2. Iniziamo bene ...

Nonostante avesse pregato per riuscire a prendere sonno, fosse andata in cucina a prepararsi una camomilla, avesse contato le pecore fino ad arrivare ad un numero superiore a duecento e avesse provato le più impensabili posizioni comode su tutta la superficie sulla quale era distesa, non riuscì proprio ad addormentarsi.

O meglio, le sue palpebre decisero finalmente di chiudersi - come un sipario nel momento in cui lo spettacolo era concluso - alle quattro del mattino.

Dopo neanche tre ore la sua sveglia, che segnava le sette, suonò, emettendo un rumore terribilmente insopportabile e assordante, che stimolò in Simona un profondo istinto sveglicida.

Tolse bruscamente le lenzuola, aprì la finestra e, presa dalla voglia irrefrenabile di ritornare a dormire, lanciò la sveglia fuori.

Un vecchietto che passava di lì, sfortunatamente per lui, fece le veci della vittima, in quanto l'oggetto colpì in pieno la sua povera testolina canuta, provocandogli non solo dolore, ma anche un bernoccolo arrossato ed evidente.

Sbraitò:

« Ahi! Ma chi è stato?! Ma vedete se questo è il modo di trattare le persone civili che passano tranquillamente per le strade! » e massaggiò la parte lesa.

Prese la sveglia - ormai rotta - da terra e la girò tra le sue dita: era rosa, con il personaggio Titty raffigurato al centro, in posa, come se qualcuno gli stesse scattando una foto.

L'anziano capì che il proprietario doveva essere una ragazza.

Fece una smorfia di disappunto e gettò l'aggeggio in un cassonetto dell'indifferenziata lì vicino, borbottando:

« Bah, i giovani d'oggi! » e continuò per la sua strada.

Simona, nel frattempo, era ritornata sul suo letto e sfoggiava un sorriso più che soddisfatto; niente e nessuno avrebbe potuto disturbarla.

Stette coricata per parecchi minuti, fino a quando un pensiero non fece capolino nella sua mente, rammentandole un impegno che aveva in agenda: l'esame!

Sbarrò gli occhi e guardò l'orologio che teneva sempre al polso: sette e trenta.
Come una forsennata, si liberò nuovamente dalle lenzuola e corse in bagno.

« Oh, cielo! L'esame! Me l'ero completamente dimenticato! Ma quanto sono distratta, io?! » parlò a se stessa, mentre si sbarazzava di ciò che aveva addosso per farsi una doccia super rapida.

Dopo averla fatta, indossò l'accappatoio, che era appeso ad un appendiabiti vicino la cabina, e uscì in fretta dal bagno - nel quale si era creata una sorta di nebbiolina -, sebbene non mancò di perdere l'equilibrio e di scivolare ma, grazie a Dio, non accadde.

Mise velocemente l'intimo e afferrò i primi vestiti che le capitarono sotto tiro: un jeans a zampa di elefante, una camicia bianca dai bottoni a forma di diamante e con dei ricami in pizzo sopra la stoffa bianca e una giacca nera.

Asciugò ad una velocità impressionante i suoi capelli, finendo non dopo quindici minuti, bensì dieci! Un record per lei!
Li spazzolò alla bell'e meglio e si guardò allo specchio.

Si recò in cucina a passo veloce e mise a riscaldare in un pentolino un po' di latte.

Intanto, prese la sua tazza viola preferita da un armadietto, posto in alto della cucina, un cucchiaio e un barattolino di miele dalla credenza.

Controllò nuovamente l'orario: otto meno dieci.
Non era molto presto, ma neanche troppo tardi.

Una volta che il latte fu pronto, lo versò nella tazza; intinse il cucchiaio nel miele e lo fece colare dentro quest'ultima. Mescolò, pregò e bevve a sorsi.

Finita la colazione, portò la tazza nel lavandino, la sciacquò e, come ogni giorno, la mise nella lavastoviglie, insieme al cucchiaio.

Osservò il calendario evangelico appeso ad un pilastro della cucina e si accorse di non aver cambiato il giorno, giacché segnava ancora il dodici settembre.

Rimediò rileggendo i versetti del tredici e del quattordici, ovvero il giorno stesso dell'esame.

Si avviò verso la sua camera, tirò fuori l'O bag nera dai manici bianchi con ghirigori neri dall'armadio e la posò sul divano, quando un pensiero le balenò in mente: doveva portare dei vestiti di riserva.

Simona fece una smorfia perplessa:

"Perché mai dovrei portare un cambio?" si chiese, non approvando.

Ma un qualcosa si faceva più insistente, al che lei si arrese e andò a prendere dal suo armadio una gonna ebano, che arrivava poco più giù delle ginocchia, mettendola dentro un sacchetto di plastica, che aveva tirato fuori da una cesta della cucina che ne era piena zeppa.

Lavò i denti, passò un po' di fondotinta sulla faccia, mise sulle labbra un rossetto nude, si osservò qualche istante e, soddisfatta del make up e del look, agguantò la busta di plastica e la infilò nella sua O bag.

Prese le chiavi di casa, calzò le sue decoltè nere e uscì, serrando l'uscio.

Scese due piani di scale e, arrivata a pianterreno, diede un'occhiata all'orologio: otto e venticinque.

L'esame sarebbe cominciato alle nove. Doveva darsi una mossa!

Varcò il portone dell'edificio, attraversò la strada, sbloccò le portiere della sua macchina con il telecomando, una Citroën bianca, e vi saltò dentro.

Infilò le chiavi, mise in moto, ma ... il motore non partiva!

« Cosa!? »

Guardò il quadro elettrico e fu lì che si accorse del danno: non si accendeva!

Provò a fare la stessa cosa con i fari, ma ottenne il medesimo risultato!

Capì che la macchina fosse andata in panne a causa della batteria scarica; quindi, valutò che l'unica opzione rimasta a sua disposizione fosse disperarsi!

« Ci mancava solo questa! » esclamò arrabbiata, battendo la fronte sul volante.

In uno scatto di rabbia, uscì dalla macchina e diede una serie di calci a una gomma davanti, lamentandosi:

« Stupida macchina da quattro soldi! Proprio ora dovevi decidere di decedere?! »

Le si scompigliarono addirittura i capelli, talmente era esaurita. Peggio di così non poteva andare ... o forse sì!

In quel momento passò Abigail, con la sua Clio blu. Giratasi verso destra, notò fuori dal finestrino la sua amica in preda alla disgrazia.

Si mise a ridere a crepapelle, osservando la scena, e accostò vicino a lei, deridendola:

« Hey, Simo! Che bella giornata, non trovi? »

Si beccò un'occhiataccia e un ringhio da parte di Simona, la quale si era girata non appena l'aveva sentita parlare.

« Se tu fossi nei miei panni da stamattina, non credo ti metteresti a ridere! » piagnucolò, alterata.

La castana, per tutta risposta, continuò a ridere. Palesemente irritata, l'altra formulò, dopo aver preso un grande respiro, educatamente:

« Fammi salire in macchina, per favore! L'Università dista venti minuti da qui e sono già in ritardo! »

« Salta su! » le rispose, aprendole la portiera accanto al guidatore.

Simona salì e richiuse lo sportello, ringraziandola. Agganciò la cintura di sicurezza e Abigail ripartì, diretta verso l'Università dove, l'ora dopo l'amica, anche lei avrebbe dovuto dare l'esame.

Durante il tragitto, la bruna le raccontò tutte le sue peripezie di quella mattina e sul volto della castana non smettevano di comparire sorrisi e risate.

Di rimando, l'altra le regalava molteplici occhiate severe, ma anche lei si lasciava andare all'ilarità, ripensando a ciò che le era capitato.

« Ahaha! Sei unica, Simo! » gongolò la ragazza alla guida.

L'amica sorrise lievemente, mentre sistemava la sua chioma, con la spazzola che non poteva mai mancare nella sua borsa.

« Però, sai? Mi dispiace per quel povero passante. Secondo te, gli ho fatto molto male? » chiese, con tono dispiaciuto.

Abigail ci rifletté qualche istante, mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada.

« Beh, dipende dell'intensità del lancio. » le rispose.

Smise di spazzolarsi i capelli e, emettendo una risatina nervosa, comunicò:

« Eheh ... allora credo di avergliene fatto parecchio! »

Abigail la guardò e intuì cosa fosse successo.

Tornata a fissare davanti a sé, la sua bocca si allargò in un sorriso e scoppiò nuovamente a sghignazzare, seguita dall'altra.

Risero talmente tanto che le uscirono addirittura le lacrime. Simona poteva diventare davvero temibile quando qualcuno le faceva un torto e la sua migliore amica lo sapeva molto bene. Quell'episodio che era stato alluso ne era una prova.

Calò il silenzio tra loro.

La credente prese il suo cellulare dalla borsa, accese la connessione Internet e controllò i nuovi messaggi che aveva ricevuto e ne inviò uno a una persona a lei conosciuta.

Stavano per giungere a destinazione. Non avevano incontrato parecchio traffico, fortunatamente, e forse avevano solo perso circa cinque minuti, a causa di un piccolo ingorgo stradale nel quale erano inceppate.

Simona diede un'occhiata all'orologio: nove e cinque.

Era in ritardo!

Accostata momentaneamente la macchina di fronte l'Università, ella spalancò la portiera, uscì e, velocemente, Abigail le disse che, non appena avesse parcheggiato l'auto, sarebbe venuta da lei.

La bruna annuì vagamente e richiuse lo sportello, correndo in direzione dell'edificio, facendosi strada tra la folla, dicendo affannosamente e continuamente, come il Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie:

« È tardi! È tardi! Sono in ritardo, sono in ritardo! »

Ma, ad un certo punto, accadde l'inevitabile: uno scontro.

O meglio, il suo scontro!

Correndo, non si rese conto che qualcun altro stava venendo nella sua stessa direzione, al medesimo passo.

A giudicare dalla stazza, doveva essere un ragazzo. Questi, inizialmente, teneva tra le mani dei fogli che, dopo l'urto, si sparpagliarono per quella sorta di sentiero esterno che conduceva al grande edificio.

Caddero l'uno di fronte all'altro, ambedue col sedere per terra.

Sfortunatamente, Simona finì in una pozzanghera, sporcandosi il dietro dei pantaloni!

« Hey, tu! Vuoi fare più attenzione?! » furono le scontrose parole di quel ragazzo.

La sua voce era profonda e distaccata.

« Fare attenzione io? Attento tu, piuttosto! Guarda dove mi hai fatta finire! » esclamò, adirata.

« Non è colpa mia se stavi correndo! » ribatté lui, ritenendosi nel giusto.

« Da quel che mi risulta, anche tu stavi correndo! » gli rinfacciò.

« Ma sei stata tu a venirmi addosso! »

Sembrava un battibecco infantile tra due bambini di neanche cinque anni che stavano litigando per un giocattolo.

Lei si alzò, facendo un versaccio di esasperazione e irritazione, raccolse da terra e alla meno peggio i documenti sparsi, e li consegnò bruscamente al legittimo proprietario.

Quindi, filò dritta verso il bagno pubblico, a passi veloci, lasciando quel giovane spiazzato dal suo comportamento.

Giunta dentro e chiusa la porta, Simona sbuffò, isterica:

« Ma guarda che giornataccia! »

Prese dalla borsa un fazzoletto e lo umettò un po' con l'acqua del rubinetto.

Lo sfregò sul pantalone, ma non andava via nulla!

« È inutile: non va via! Argh, accidenti! » si lamentò, emettendo anche dei gemiti disperati.

Improvvisamente, si ricordò di aver portato con sé un cambio.

Lestamente, estrasse dall'O bag la busta di plastica e la aprì.

Si tolse l'indumento zuppo con uno scatto e indossò rapidamente i collants neri - portati in vista d'emergenza - e la gonna.

"Fiù! Grazie, Signore!" pensò, facendo un sorriso.

Mise il pantalone nel sacchetto, lo infilò dentro la borsa e uscì dal bagno.
Di nuovo, guardò l'orologio: nove e venti.

Si affrettò ad entrare nell'edificio e cercò l'aula dove avrebbe dovuto dare quel benedetto esame.

La trovò, ma era chiusa!

"Sono vergognosamente in ritardo!" commentò Simona, mentre le gote cominciavano a colorarsi di rosso.

Bussò, attendendo una risposta dall'interno. Dopo una manciata di secondi, tre voci distinte dissero in coro:

« Avanti. »

Entrò, pronunciando:

« Buongiorno. Scusate il ritardo. » e chiudendosi la porta alle spalle.

I professori si girarono verso di lei, facendola sentire al centro dell'attenzione. Erano seduti in fila orizzontale alla cattedra ed erano tre: due uomini e una donna.

Oltre a loro, seduta al primo banco marrone dirimpetto ai docenti, vicino alla finestra, era presente Abigail, che le rivolse uno sguardo sbigottito.

« Prego, accomodati. » fece cordialmente la professoressa d'esame, intimandole di sedersi sulla sedia davanti la cattedra.

Bionda, occhi verdi, non molto in carne e poteva avere una quarantina d'anni.

Alla sua destra vi era un uomo sulla cinquantina dai capelli neri - sebbene fossero evidenti dei ciuffetti bianchi -, gli occhi marroni e un paio di baffi ebano.

Alla sinistra della donna, invece, vi era un professore coetaneo al suo collega dai capelli biondo chiaro, gli occhi tendenti sia al verde sia al marrone e una lieve barba.

La ragazza deglutì, imbarazzata, e si sedette. La docente le sorrise per cercare di farla sentire a proprio agio anche se, ormai, avrebbe dovuto esserci abituata ad affrontare un esame.

Purtroppo, Simona era sempre stata un tipo ansioso che, nonostante sapesse la lezione, aveva costantemente paura di non essere ben preparata e che qualcosa le sarebbe andato storto.

Ma, grazie a Dio, erano rare le volte in cui entrava nel pallone.

E quando succedeva, chi la ascoltava capiva che era capitato qualcosa che l'aveva un po' scossa, perciò cercavano di calmarla e di farla continuare o, se era il caso, le rinviavano l'esame ad un altro giorno.

« Allora, signorina Fedeli. Cosa ci ha portato, oggi? »

Simona tirò fuori dalla sua borsa nera un dépliant che aveva preparato spontaneamente e lo diede ai tre.

La prima a sfogliarlo fu la donna che, dopo avergli dato un'occhiata veloce, lo passò al collega di destra.

« Molto bene, cominci pure. » disse stavolta il professore baffuto.

Sotto gli occhi attenti delle quattro persone presenti, la ragazza iniziò a ripetere ciò che aveva studiato, con solo il suo tono incerto che la tradiva.

Quando la fermavano per farle delle domande riguardo a ciò per cui si era preparata, lei rispondeva correttamente.

Certo, capitava che avesse qualche momento di smarrimento e non ricordasse qualcosa, ma non appena le veniva dato un incipit, quello le era sufficiente per riprendere il filo del discorso e continuare la sua interrogazione in maniera eccellente.

Dietro di lei, Abigail sorrideva, contenta dell'andamento della prova orale dell'amica.

Ripetuto il programma, si congratularono con lei.

« Davvero molto bene, signorina Fedeli. Un risultato più che positivo. Un altro trenta e lode! » parlò il docente di sinistra, levandosi in piedi e porgendole la mano.

Simona abbozzò un sorriso e ricambiò la stretta eziandio* con gli altri due, appena alzati.

« Signorina Stefanini. » la richiamò la bionda, girandosi nella direzione della seconda ragazza.

« È il suo turno. »

« Sì! » affermò, accomodandosi al posto che qualche minuto prima era stato occupato da Simona.

Similmente all'altra, aveva portato un raccoglitore, dove vi era scritto tutto il suo programma, che aveva stampato.

Anche per Abigail, l'esito dell'orale fu più che ottimo e i tre eseguirono lo stesso trattamento che avevano riservato alla sua migliore amica, dandole il trenta con la lode.

Uscirono ambedue soddisfatte dall'aula, lasciando i professori d'esame intenti a scrivere i risultati delle ragazze, ognuno nelle proprie agende.

Mentre camminavano spensierate per il sentiero che separava l'alto cancello dell'Università dall'edificio stesso, Abigail voleva sapere perché l'amica non fosse arrivata in tempo e cosa l'avesse fatta tardare abbondantemente.

Inoltre, solo in quell'istante notò che indossava una gonna, mentre ricordava che prima avesse un pantalone.

Sospettosa, proferì, attirando la sua attenzione:

« Simona. Ho un dubbio. »

La diretta interessata si girò, essendo qualche passo più avanti a lei.

« Sì? »

« Come mai sei arrivata tardi all'esame? Avresti dovuto essere già lì, dato che sei arrivata prima di me. » osservò, con fare indagatore.

Vide Simona incupirsi inspiegabilmente, corrugando la fronte.

« Un ineducato! » sibilò alterata, a denti stretti, riducendo gli occhi a due fessure.

Era convinta che l'educazione l'avesse ricevuta dai suoi genitori, perciò utilizzò quel termine.

« Un grandissimo ineducato che pretendeva pure ragione, quando, invece, non ne aveva affatto! » continuò, fuori di sé.

Intanto, raggiunsero il parcheggio dell'Università, dove aveva lasciato l'auto Abigail.

A quest'ultima cominciarono a sollevarsi gli angoli della bocca.

« Ma davvero? Dai, racconta! Sono tutta orecchie! » esclamò, eccitata.

« Stavo correndo verso l'Università - lo so che non avrei dovuto, non c'è bisogno che tu me lo dica. » la troncò sul tempo, non appena l'aveva vista in procinto di rimproverarla.

« Ma, esattamente come accade nei film, che è successo? Ho sbattuto contro un ragazzo e sono finita col sedere in una pozzanghera! »

L'amica trattenne a stento una risatina, mettendo le mani davanti alla bocca.

« Però anche lui stava correndo! Ed è caduto come me, ma il suo prezioso fondoschiena non è finito in nessuna pozzanghera. Questo perché? Perché la sfortunata di turno, oggi, sono io! No? »

"Abi non ridere, Abi non ridere!" si sforzò di contenersi la castana, mordendosi le labbra.

« Ah, e poi sai che fa? Mi fa la predica dicendomi di stare attenta a dove vado! Dico io, anche tu stavi correndo, che polemica mi fai?! » sbraitò aggressiva, come se si stesse rivolgendo a quel ragazzo, sfoggiando il suo accento siciliano.

« Almeno era carino? » chiese l'altra, volendo entrare più nei dettagli.

« Non lo so. Ero troppo esaurita e nervosa per l'esame, che non ci ho fatto cas- Aspetta! Che razza di domande mi fai, tu, che sei pure fidanzata?! » sbottò, a metà tra la scettica e l'irritata.

A quel punto, Abigail non riuscì proprio a farcela e scoppiò letteralmente a ridere, reggendosi con una mano sulla portiera della macchina.

« Certo che come ti faccio ridere io, non ti fa ridere nessuno. Sarà già la terza o la quarta volta che ridi come se non ci fosse un domani per ogni cosa che ti racconto! » disse Simona, inarcando un sopracciglio e poggiando un palmo su un fianco, annoiata e per niente divertita.

« Scusami, Simo. È che ... è che ...! » sghignazzò ancora.

Ma, vedendola con quell'espressione seria, si rimise in posizione eretta, ricomponendosi.

« Sei una comica. Ad ogni modo; e poi che è successo? »

Simona sospirò pesantemente.

« Teneva dei fogli in mano, però, quando ci siamo scontrati, gli sono caduti per terra. Abbiamo iniziato a discutere animatamente e poi, presa com'ero dalla rabbia, ho raccolto i suoi fogli, li ho sistemati "per bene" - mimò le virgolette con le dita - e glieli ho buttati di sopra in un gesto da cafoni. Poi sono andata in bagno e mi sono cambiata. » spiegò seccata, in sintesi.

« Allora ricordavo bene che prima indossavi i pantaloni! » incalzò, battendo un pugno sul palmo dell'altra mano.

« Ti sta meglio la gonna, comunque. » constatò, facendo sì che Simona si guardasse dall'alto verso il basso.

« Ah. Beh, grazie. » farfugliò, indifferente.

Giunte all'auto, Abigail pigiò il bottoncino del telecomando delle chiavi e sbloccò le portiere.

Entrate in macchina, mise in moto e partirono.




*eziandio= significa anche, pure, altresì, e lo userò spesso, perché ci sono affezionata! 😅

Angolo Autrice

Buongiorno! Come va?
Vi è piaciuto il capitolo? 😅 Per il momento siamo solo all'inizio e forse è normale che il tutto vi sembri un po' noioso, ma vi prometto che i prossimi capitoli saranno migliori.
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla proxima.
Dio vi benedica.❤

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