« Ma, secondo te, abbiamo sbagliato strada? » interloquì una donna sulla cinquantina, tenendo stretta la mano del suo bambino e guardandosi intorno, per cercare di orientarsi in qualche modo, ma le risultò molto complicato, dal momento che non conosceva il paesino dove erano giunti poche ore prima.
Era di media statura, capelli marrone scuro, corti poco più su delle spalle, e occhi del medesimo colore. Aveva un trench blu, sotto il quale indossava un semplice vestito a maniche lunghe, a motivi floreali - che le arrivava poco più giù delle ginocchia-, dei collants pesanti color carne e delle décolleté blu.
« Ma cosa vuoi che ne sappia, Serena! » sbottò, scorbutico, un uomo prossimo ai sessanta, alzando gli occhi al cielo.
La sua chioma era ramata e corta e i suoi occhi erano castani. Era di alcuni centimetri più alto della moglie e indossava un giubbotto ebano, una maglietta azzurra a maniche lunghe, un paio di jeans e delle scarpe nere.
« È anche per me la prima volta che vengo qui! Amore, non stressarmi con le tue domande, per favore! Già ci ha pensato il viaggio a farmi uscire fuori di testa! » si lamentò Salvatore.
In effetti, non era stato un viaggetto piacevole: per tutto il tempo del volo, un'hostess non aveva fatto altro che chiacchierare con i due coniugi, poiché si era accorta che fossero gli unici tra quei passeggeri a parlare l'italiano e lei, sfortunatamente per loro, era italianissima e desiderosa di parlare la sua lingua con altri che la capissero.
Il piccolo Marco, invece, aveva dormito per tutto il viaggio. I suoi capelli erano come quelli del padre e gli occhi della madre. Addosso aveva un giubbotto nero, una maglietta rossa, jeans chiari e Primigi sportive blu e grigie.
« Oh, tesoro! Mi dispiace, scusa! » esclamò apprensiva la moglie, carezzandogli la guancia per poi dargli un bacio sulla stessa.
« Mamma, io ho fame! » esordì il bambino, che fino a quel momento si era soffermato a osservare il luogo circostante.
« Ma Marco, hai mangiato poco fa! » gli fece notare la donna, in quanto, effettivamente, aveva già fatto uno spuntino sull'aereo.
« Lo so, ma ho ancora fame! Quando arriviamo da Simo? » piagnucolò lui, sbuffando.
« Vorremmo saperlo anche noi ... » ammise l'uomo, scrutando la zona.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il bigliettino, dove aveva scritto l'indirizzo di casa della loro figlia, e lo lesse. Non ricordava proprio se lei avesse detto il numero ventuno o trentuno, e neanche la moglie era da meno.
Venivano da Tenerife, la più grande delle isole spagnole al largo della costa occidentale dell'Africa, le Canarie, ma avevano tenuto il loro linguaggio e le loro tradizioni italiane.
Dopo che le due figlie più grandi si furono stabilizzate, avevano deciso di trasferirsi in quell'isola - dato che era sempre stato il loro sogno, quello di andare a vivere lì - e, naturalmente, avevano portato con sé il piccolo Marco, che aveva dovuto frequentare una scuola spagnola.
Grazie a Dio, però, aveva trovato anche suoi coetanei che parlavano l'italiano ed era così riuscito ad ambientarsi meglio.
C'erano anche altri italiani che avevano deciso di insediarsi in quell'isoletta, il che aveva agevolato le cose ai tre, ma non era stato comunque difficile imparare lo spagnolo.
Salvatore spremette ancora un po' le meningi ma, non ricordandosi proprio il numero, decise di rinunciarci e, in accordo con la sua consorte, andarono alla ricerca di un bar dove poter pranzare e, magari, schiarirsi le idee.
Cammin facendo, passarono per una Università e, non appena il sessantenne ne lesse il nome, stentò a credervi: era quella che la loro figlia frequentava. La additò pure alla moglie ed eziandio lei ne fu piacevolmente stupita.
Sorrisero entrambi: sicuramente avrebbero trovato qualche professore o qualche studente che la conosceva. Varcarono il cancello e percorsero il sentiero che conduceva all'edificio. Ritornare in quel posto rammentò loro il primo giorno da universitaria di Simona.
Era come se rivedessero la scena di lei eccitata nell'attraversare quel viale che l'avrebbe condotta all'interno della struttura e alla sua prima lezione. Ricordarono l'entusiasmo nei suoi occhi, lo stesso che aveva per le lingue straniere.
Le erano sempre piaciute - anche se la madre non era mai stata d'accordo sul fatto che lei avesse imparato il tedesco, ma alla figlia non importava: lei voleva studiare più lingue possibili, voleva saperne parlare tante, tantissime.
Aveva sempre avuto le idee chiare su cosa voler fare, dopo aver appreso così tante lingue: parlare di Dio a tutti.
Quello era il suo sogno: evangelizzare le genti, portare la Parola del Signore ad ogni persona, facendo riferimento al mandato di Gesù Cristo.
E i suoi genitori, consci del suo desiderio, non potevano che esserne felicissimi.
Saliti i pochi gradini dell'edificio, l'uomo fece per varcare il portone, lasciando la moglie con il bambino e i bagagli poco più giù, ma una voce maschile li fermò.
« Signori, vi serve qualcosa? »
Girarono la testa e videro un uomo a braccia conserte squadrarli uno per uno, da capo a piè.
« In realtà, siamo venuti qui per una persona. » gli fece sapere Salvatore.
« Spiacente, al momento nessuno può entrare. Molti ragazzi stanno dando i loro esami e alcuni stanno anche per prendere la laurea. Non credo sia il caso di disturbarli. Per cui, vi consiglio di attendere. » sentenziò severo quel tizio, con un perentorio gesto della mano.
« Oh, va bene. Non lo sapevamo. Vorrà dire che aspetteremo. » pronunciò nuovamente il padre di Simona.
L'uomo abbassò il maniglione antipanico del portone, congedandosi.
« Antipatia portami via. » cantilenò Salvatore, un po' indispettito dell'atteggiamento di quella scorbutica persona, raggiungendo il resto della sua famiglia.
« Sta solo facendo il suo lavoro. E, forse, avrà avuto una brutta giornata. » dedusse la moglie.
« Mamma, io ho fame!! » le lamentele del piccolo Marco non erano cessate e la madre alzò gli occhi al cielo, in modo melodrammatico.
« Mi brontola la pancia, mamma!! » fece ancora, battendo i piedi per terra.
« Per una volta, non potresti lamentarti con tuo padre, Marco?! » sbottò spazientita la donna.
« Salvo, il bambino ha fame, non lo senti? » si rivolse al marito con ironia, intimandogli con gli occhi di fare qualcosa, qualunque cosa.
« Marcù, non so dove puoi mangiare! Tra poco entriamo e vediamo se qualcuno ha qualcosa da darti! » suggerì lui e sembrò funzionare, sebbene ci furono degli sbuffi da parte del bambino, ma perlomeno si calmò.
Dopo una buona mezz'ora, udirono una campanella suonare e da ciò supposero che la giornata universitaria fosse terminata.
Attesero che gli studenti universitari uscissero e, lestamente, signore e signora Fedeli si caricarono i bagagli in mano. Salirono i gradini e varcarono il portone, incontrando all'entrata lo stesso uomo di prima, che si rivelò essere un coordinatore ATA o, come direbbero i siciliani, 'nu bidellu.
Domandarono gentilmente informazioni sulla propria figlia, ma egli girò molto sull'argomento e perse parecchio tempo nel cercare il registro, mentre i due coniugi diventavano sempre più impazienti.
Il piccolo di nove anni approfittò della momentanea distrazione dei genitori per sgattaiolare via da loro e dare uno sguardo in giro. Vagò per i corridoi, vide le porte gialle delle aule chiuse, scorse i bagni maschili e femminili e, infine, trovò pure la mensa!
Entrò lì dentro e cercò qualcosa da mettere sotto i denti ma, essendo troppo basso, non riuscì a raggiungere gli sportelli e i ripiani dove vi erano dei tozzi di pane. Battè i piedi, piagnucolando ancora e, scoraggiato, decise di ripercorrere la via del ritorno.
Il problema era che non la ricordava! La struttura era molto ampia e lui si era allontanato notevolmente dai suoi. Cominciò ad avere paura e a sconfortarsi, chiamando più volte mamma e papà.
Si guardò intorno, sempre più triste, finché non pianse. Si sedette per terra e tirò le ginocchia al petto, incrociando le braccia sopra di esse e nascondendovi la testa, singhiozzando con più intensità e, così facendo, i suoi piagnistei furono meglio udibili.
Per puro caso, passo di lì un ragazzo che lo sentì e, incuriosito, si fece guidare dai suoi lamenti, fin quando non lo adocchiò e gli corse incontro.
« Hey, bambino! »
Richiamata la sua attenzione, Marco alzò il capo, vedendo arrivare un tipo che non aveva mai visto.
« Hey, piccoletto! Ti sei perso? » gli chiese, piegandosi alla sua altezza.
Il bambino annuì, mentre quel tizio notava le guance bagnate dalle lacrime e un poco di moccio uscirgli da una narice.
Tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di fazzolettini e ne estrasse uno.
« Soffia. » disse, dopo avergli asciugato le lacrime, mettendo il fazzoletto sul suo nasino all'insù.
Glielo ripulì e poi gettò il fazzolettino usato in un cestino della spazzatura là vicino. Tornato dal ramato, prese posto accanto a lui.
« Come ti chiami? » gli domandò il più grande, mettendo gli avambracci sulle ginocchia piegate ad angolo acuto.
« Ma-Marco. » balbettò, tirando su col naso.
« Bene, Marco. Allora, mi dici cosa ci fai qui? Non mi pare tu sia grande abbastanza per frequentare un'Università! » scherzò il ragazzo e il più piccolo ridacchiò, divertito da ciò che gli era stato detto, sentendosi più a suo agio.
« Io sono venuto qui con mia mamma e mio papà, per cercare la mia sorellona. Però mi sono allontanato da mamma e papà perché avevo fame e mi sono perso. » spiegò, con l'innocenza che solo un bambino poteva avere.
Il ragazzo gli sorrise.
« Ho capito. Quanti anni hai, giovanotto? »
Marco gonfiò il petto, con fierezza.
« Ne faccio dieci fra cinque mesi! » esclamò, tutto contento.
« Wow, ma allora sei quasi un ometto! Molto bene, andiamo a cercare i tuoi genitori! » affermò, alzandosi da terra e tendendo la mano al ramato, che accettò senza proteste.
« Poco fa hai detto che hai fame, giusto? » interloquì ancora.
« Sì, sono anche andato in una mensa. Ma sono troppo basso per arrivare al bancone e non ce l'ho fatta a prendermi qualcosa. » gli rispose, mettendo il labbruccio.
« Che ne dici se prima di cercare i tuoi genitori, ci andassimo a sgranocchiare qualcosa? Ti piace l'idea? » esordì il giovane, poggiando le mani sulle ginocchia e sfoggiando un sorriso.
Il fanciullo fu subito d'accordo con lui e lo seguì in mensa.
Giunti lì, il ragazzo prese un pezzo di pane, un coltello e della marmellata di fragole che trovò dentro un armadietto.
Farcì il panino, ne avvolse metà in un tovagliolo e lo porse a Marco, che agguantò, con gli occhi che gli brillavano dalla golosità. Diede un morso, soddisfatto, e il più alto lo guidò verso l'entrata.
Impiegarono circa dieci minuti e, quando giunsero in prossimità del portone, notarono una donna che piangeva e due uomini, uno a lei vicino e l'altro serio e impassibile, con le braccia incrociate che, a modo suo, la stava rassicurando.
Il bambino riconobbe subito la madre e le corse incontro, urlando, euforico:
« Mamma! Papà! »
La signora sollevò il capo e vide Marco venire verso di lei, con dietro un ragazzo dai capelli biondo cenere.
« Marcolino! » esclamò, abbracciando il figlio.
« Eravamo così in pensiero, per te! Non ti allontanare mai più da noi, capito? » lo rimproverò dolcemente, stringendolo ancora di più a sé.
« Devi rimanere sempre vicino a mamma e papà! » lo rimbeccò il padre, dandogli una pacca sulla schiena.
« Va bene, non lo faccio più! » replicò il fanciullo, staccandosi dalla madre.
« Ve l'avevo detto che non gli era successo niente! » intervenne il bidello, stranamente con un mezzo sorriso sulle labbra.
Gli altri - eccetto Andrea - lo guardarono scettici.
Lui alzò gli occhi al cielo, emise un versaccio ed entrò in segreteria.
« Grazie per averci riportato nostro figlio, ehm ... » iniziò la donna, lasciando volutamente la frase sospesa, in quanto sconosceva il nome del ragazzo.
« Andrea. » disse lui, porgendole la mano.
« Serena. » si presentò altresì lei, ricambiando la stretta.
Poi, passò all'uomo, il quale gli strinse l'arto, rivelandogli anche lui il suo nome.
« Salvatore. »
Dopodiché, si rivolse nuovamente alla mamma del bambino.
« Si figuri, è stato un piacere! Vostro figlio è un tipetto che sa il fatto suo. Non mi è dispiaciuto per niente stare in sua compagnia. » proseguì infine, con un ampio sorriso sulle labbra, che i coniugi ricambiarono.
« Mi ha anche offerto un panino con la marmellata! Però ho ancora fame! » fece a un certo punto loro figlio, provocando delle risate dai tre.
« Non ti smentisci mai, figliolo! » affermò il padre e domandò al giovane:
« Non è che per caso ha un bar o un locale da consigliarci? »
Andrea annuì.
« Certamente. Ma, se non sbaglio, prima vostro figlio mi ha detto che stavate cercando vostra figlia. Potreste dirmi come si chiama, forse la conosco. » proferì, cordialmente.
I due adulti si guardarono l'un l'altra e annuirono. Sentivano di potersi fidare di quel ragazzo: dopotutto, era stato molto gentile con Marco e dava l'impressione di essere una persona perbene.
Per cui, risposero alla sua domanda indiretta.
« Si chiama Simona Fedeli. La conosce? » pronunciò il padre.
Andrea sbattè più volte le palpebre, scioccato.
Cosa avevano appena sentito le sue orecchie?
Quante probabilità c'erano che avrebbe incontrato i suoi genitori?
Come si soleva dire, il mondo era veramente piccolo!
Eccome se la conosceva!
« Sì, credo di conoscerla. » rispose, incerto.
« Fantastico! » tubò la donna, gioiosa.
« Sa dove abita? » chiese l'uomo.
« Sì, lo so. Se volete, vi accompagno sia in un locale dove si mangia piuttosto bene, sia dove abita vostra figlia. » propose e i tre non poterono che accettare, esclamando in unanime un "SÌ!" più che entusiasta.
« Vi aiuto a portare le valigie. » fece gentilmente, prendendo quella della signora dal manico telescopico e quella del bambino.
Lo ringraziarono di cuore e si avviarono fuori, guidati da quel tanto cortese ragazzo.
Giunsero in un locale non troppo ampio, gestito da un amico di Andrea.
Posò i bagagli all'entrata, in modo che non dessero fastidio, e avanzò verso il suo amico alla cassa, un ragazzo poco più grande di lui dai capelli neri, corti e ricci, e dagli occhi marroni.
« Andreuzzo! »
« Ohi, Christian! »
Il riccio uscì dal bancone e lo abbracciò in un amichevole e breve stretta, con tanto di pacche sulla schiena, tipica dei maschi.
« Com'è? A posto? » il suo accento palermitano era quasi palpabile.
« Sì, grazie. E a te? »
« Bonu, un mi lamento*. Allora, sei venuto a mangiare qualcosa? »
« Veramente ... » si girò verso il padre di Simona, che in quel momento si stava avvicinando a lui e, quando gli fu accanto, il ventiseienne continuò.
« Sono venuto a portarti dei clienti. » riferì, lasciando la parola al sessantenne.
« Vorremmo prendere un tavolo da sei, se possibile. E, gentilmente, potremmo lasciare le valigie in un punto che non dia fastidio? »
Andrea si chiese perché il signor Salvatore avesse scelto un tavolo per sei persone, ma non ci ponderò troppo. Il ragazzo dai capelli corvini fece un sorriso di cortesia.
« Ma certo! Prego, accomodatevi pure a quel tavolo laggiù, il numero dieci. Ai vostri bagagli ci penso io. » li rassicurò, andando a prendere le valigie, mentre il marito intimava la moglie e il figlio a seguirli.
Andrea venne anche loro appresso, ma con l'intenzione di salutarli e aspettarli fuori dal locale.
Invece, la signora Fedeli sconvolse tutti i suoi piani.
« Vorremmo che tu mangiassi con noi, Andrea. E vogliamo offrirti il pranzo. »
Egli rimase stupito da quella proposta inaspettata.
« La ringrazio, ma non posso accettare. Non mi pare corretto nei vostri confronti. Semmai, me lo pago da solo, ma non voglio di certo approfittare de-- » ma venne interrotto dall'uomo, il quale gli mise una mano sulla spalla per farlo smettere di parlare.
« Ragazzo, suvvia. È un modo per ringraziarti della tua gentilezza. Accetta, per favore, non negarci questa buona azione. E non vogliamo sentire un "no" come risposta! » affermò, convincente.
Andrea si chiese se anche Simona fosse ostinata quanto il padre, ma scacciò via quel pensiero, girandosi verso la signora e il bambino, che lo stava fissando con occhi dolci e supplichevoli.
Vedendosi messo alle strette, convenne con loro, seppur controvoglia, annuendo.
« Eccellente! Con le buone maniere, si ottiene sempre tutto, non è vero? » si rivolse ai due seduti, i quali asserirono con un cenno di capo, sorridenti.
Il biondo ridacchiò sommessamente, sedendosi a capo tavola, a sinistra di Marco, il quale glielo aveva insistentemente indicato, in quanto lo voleva vicino a sé.
La donna posò la borsa nell'altra sedia a capo tavola, mentre il marito si sedette al lato destro di Andrea.
Ordinarono quattro piatti di pasta alla norma, una specialità del posto e, nell'attesa, i due adulti decisero di conoscere meglio il ragazzo.
« Allora, Andrea. Raccontaci un po' di te. Da quanto vivi qui? » cominciò Salvatore.
Lui stava mostrando al bambino un trucchetto con una cordicella, ma fu costretto a fermarsi per rispondere alla domanda dell'uomo.
Lasciò armeggiare il bambino con il filo e disse:
« Vivo qui da quando sono nato, ma non abito più con i miei genitori. Purtroppo, mia madre è venuta a mancare una decina di anni fa, mentre mio padre mi ha abbandonato. Così, ho vissuto con mio zio finché non ho compiuto la maggiore età e ho deciso di andare a vivere da solo, vicino all'Università che, solitamente, raggiungo a piedi. Oggi, però, ho voluto usare la macchina quindi, finito di mangiare, potrete metterci i vostri bagagli e vi scorterò a casa di vostra figlia. »
I loro sguardi si fecero tristi, non aspettandosi un passato simile, seppur brevemente descritto.
« Oh, ci dispiace tanto per ciò che ti è successo. Grazie per la disponibilità, comunque. Sei molto gentile. » proferì la donna.
« Tranquilli, ormai è acqua passata. Ma di nulla, per me è un piacere. »
« Che lingue studi? » cambiò argomenti l'uomo.
« Arabo, cinese, tedesco, tutte quelle che studia anche vostra figlia. » comunicò loro.
« Capisco. »
« Tu e Simo dove vi siete conosciuti? » formulò genuinamente il piccoletto, con occhi curiosi.
« All'Università. » disse solo, sperando in cuor suo che non volessero andare sui dettagli della vicenda.
Per ironia della sorte, però, gli fecero proprio quella domanda.
« E come è stato il vostro primo incontro? » fu la signora ad iniziare.
Lui cominciò a sudare, timoroso: cosa avrebbe dovuto dire?
Che non era stato un incontro, piuttosto uno scontro?
In che razza di guaio si era cacciato?
Doveva aspettarsi un quesito del genere, dopotutto Simona era loro figlia!
Prese un respiro profondo e tentò di non rivelare troppe sfaccettature del loro amichevole diverbio, ma di essere conciso.
« Dunque ... ho incontrato Simona qualche mese fa, all'Università. È stato un incontro un po' turbolento, perché entrambi stavamo correndo. Ci siamo scontrati e siamo caduti per terra. Poi, però, ci siamo chiesti scusa e ora è tutto sistemato. »
Sebbene non avesse menzionato tutte le vicende che c'erano state dietro e non avesse seguito un ordine cronologico dei fatti, non si poteva dire che non fosse la verità.
Era stato molto breve, era vero, ma non aveva mentito.
« Ah, bene. Quindi, il vostro è stato uno scontro! » esclamò Salvatore, ridendo leggermente.
« Precisamente. » asserì il giovane, con un piccolo sorriso nervoso.
Vennero serviti loro i piatti scelti e il sessantenne fece la preghiera, mentre gli altri tre tenevano gli occhi chiusi.
Finita quest'ultima, si misero a mangiare, ma le domande non si erano concluse, sfortunatamente per Andrea.
« Cosa ne pensi di nostra figlia? » fu ancora il signor Fedeli.
Il ragazzo si stava per strozzare con un boccone di pasta.
Si colpì il petto e poi rispose, schiarendosi la gola.
« Ecco, è una brava ragazza, molto gentile ed educata. Sicuramente è tutto merito vostro. » laconico ma diretto.
Serena sorrise, portandosi una mano alla bocca, per poi prendere il bicchiere innanzi a sé, versarci dell'acqua e bervi.
« Ti piace la mia sorellona? »
Ma era un complotto?
Cosa erano tutte quelle domande?
Lo stavano già designando come il ragazzo perfetto per Simona?
« Perché me lo chiedi? » esitò.
« Non si risponde a una domanda con un'altra domanda. » scaltro il piccoletto.
Già, sapeva proprio il fatto suo, quel birbantello!
« Tesoro, non essere scortese! » lo salvò la signora, facendo smettere Marco di mettere in difficoltà il ragazzo con domande inopportune.
Mangiarono in silenzio e, una volta terminato, il giovane replicò nuovamente di voler pagare lui per sé ma l'uomo, risoluto, si oppose, costringendo Andrea a non obiettare più.
Pagato il conto, il ventiseienne condusse i tre verso la sua macchina - una Yundai iX 20 -, posando le valigie nel bagagliaio ed esortando gli altri a salire. Guidò per circa venti minuti, i quali vennero occupati dagli impertinenti quesiti del curioso bambino.
Domande indirizzate alla sua età, al suo lavoro - era una guida turistica - e a quello di suo zio, al fatto se fosse single o impegnato, se giocasse ai videogiochi, che programmi guardasse, se leggeva la Bibbia tutti i giorni, se era evangelico, se avesse fratelli o sorelle, se seguisse le partite di calcio e per quale squadra tifasse, se sapeva che aveva due sorelle (Simona ed Emilia) e, infine, se gli piacesse il cioccolato e quale gli piacesse.
Esasperato, aveva risposto a quelle curiosità; i genitori avevano provato a farlo tacere, ma non vi era stato verso, pertanto l'avevano lasciato fare e, quando il fanciullo le aveva esaurite tutte quante, i tre avevano tirato all'unisono un sospiro di sollievo.
Giunti a destinazione, il ragazzo accostò. Scesero dall'auto e li aiutò a prendere le valigie, dopodiché passarono ai saluti.
« Grazie ancora per quello che hai fatto, Andrea. » cominciò la signora.
« Ma si figuri, davvero. È stato un piacere conoscervi! » fece garbatamente lui, abbozzando un sorriso, che loro ricambiarono.
I due coniugi lo salutarono con una stretta di mano, mentre il piccoletto gli aveva cinto i fianchi con le braccia.
« Ci rivedremo? » domandò, drammaticamente.
« Chi lo sa! Tu prega Dio anche per questo, sono sicuro che ascolterà la tua richiesta! » affermò il più grande.
Gli occhi di Marco si illuminarono di speranza, entusiasta all'idea di rincontrarlo.
« Dici davvero? »
« Certo! Lo sai che al Signore piace tanto ascoltare le preghiere dei bambini? »
Il più giovane annuì, estrefatto.
« Sì, me l'ha detto la mamma! Allora prego Gesù che ti incontro di nuovo e che tu incontri pure le mie sorelline e che ti metti insieme a Simo! » tubò al settimo cielo, parlando forse un po' più del dovuto.
« Marcolino! » lo sgridò la madre e lui rise divertito, vedendo l'epica e buffa espressione dipinta sulla faccia di Andrea.
Si allontanò dal ragazzo ed egli si ricompose, facendo spallucce e sulle sue labbra comparve un altro debole sorriso.
« Arrivederci. Dite ad Emilia e Simona che Andrea Chiave le saluta. » proferì infine, prima di risalire in macchina, salutare con un ennesimo cenno di mano e sgommare via.
~~~
« Eccole! Presto, nascondetevi sulle scale! »
Avevano suonato il citofono per molto, prima di capire che non ci fosse nessuno nell'appartamento della ragazza. Così, i tre familiari avevano dovuto attendere per diversi minuti e menomale che avevano approfittato di un condominiale per entrare dentro, altrimenti sarebbe rimasti là fuori per chissà quanto tempo.
Avevano lasciato apposta le valigie all'entrata e avevano incaricato il piccolo Marco di dar loro il segnale, nel caso avesse visto le due giovani.
Evidentemente, fare sorprese era di famiglia!
Appostatisi qualche gradino più su, in modo tale che non avessero potuto vederli, udirono lo scatto della chiave infilata nella serratura e il cigolare del portone. Cronometrarono i secondi che precedevano il loro imminente grido.
Dieci ...
« Guarda, Emy! Ci sono delle valigie qui! »
Nove ...
« Che strano ... chi può averle lasciate così incustodite? »
Otto ...
« Probabilmente qualcuno a cui non interessavano più e se ne voleva sbarazzare. »
Sette ...
« Ma non ha senso! Guarda qui! Tutte e tre sono nuovissime! Tocca! »
Sei ...
« Sì, hai ragione. Anche la lampo è nuova, senza alcun difetto. »
Cinque ...
« Che buffo! Sono dalla più grande alla più piccola, hai notato? »
Quattro ...
« Sì. Hey, qui c'è l'etichetta col nome! »
Tre ...
« Vediamo, vediamo! »
Due ...
« Mizzica, che sei curiosa! »
Uno ...
« Ma questo è-- »
« SORPRESAAA!!! »
Uscirono allo scoperto, facendo stupire le ragazze al punto che caddero a terra e urlarono dallo spavento. Si portarono ambedue una mano al cuore, atterrite.
« Mamma! » esclamò Simona.
« Papà! » si meravigliò Emilia.
« Marcolino! » chiocciò la più grande.
« Ciuchino! » proferì il padre, scherzosamente.
Calò un piccola pausa silenziosa, dopo l'ultima parola affermata. Ma poi tutti scoppiarono in una fragorosa risata; le due sorelle si alzarono e, uno alla volta, abbracciarono i loro familiari.
« Ma che ci fate qui? » interloquì la maggiore.
« Piccola visita a sorpresa! Sorpresa? » replicò la madre, con un ampio sorriso sul viso.
« Certo che sono sorpresa! Accipicchia, ma allora è proprio un vizio di famiglia fare visite a sorpresa all'insaputa altrui! Solo io non l'ho ereditato? » ridacchiarono un po' tutti.
Poi, Emilia domandò:
« Ma quando siete arrivati? »
« Poche ore fa. » le fece sapere il padre.
« E avete mangiato? » chiese ancora.
« Sì. Siam-- » stava per raccontare alle due ragazze dell'incontro con il giovane, ma la madre fermò la sua iniziativa, volendo essere lei a parlarne.
« Simo! Abbiamo conosciuto un ragazzo che pare perfetto per te! »
La diretta interessata strabuzzò gli occhi, facendo una faccia stranita.
« È bello, simpatico, gentile e soprattutto ama Gesù! Direi che è perfetto, no? »
L'espressione perplessa della maggiore si fece più accentuata, mettendo chiaramente in evidenza il suo smarrimento.
Per cui, la signora si sentì in dovere di darle un piccolo incipit.
« E pensa un po': lo conosci già! » esclamò, in visibilio.
Se quella di prima trapelava solo spaesamento, la successiva fu talmente sconvolta che sembrava che un camion le fosse appena passato a pochi centimetri dal viso e lei avesse pressoché visto la morte in faccia.
Era chi pensava?
Possibile mai che la perseguitava ovunque, anche quando durante tutta la giornata non l'aveva visto?
Quel ragazzo le faceva provare una strana sensazione allo stomaco: era un senso di nausea mischiato alla confusione, all'ansia e al nervosismo. Aveva un nome quella sensazione? Era soggezione?
« E come si chiama? »
Sebbene ne avesse il sospetto, voleva la conferma, che non tardò a giungere.
« Andrea Chiave. E ha anche detto di salutargli te ed Emilia. » concluse con un sorriso e Simona si sentì mancare: era lui!
Immediatamente, la domanda che le premeva di più si piazzò nella sua mente: e se gli avessero chiesto del loro primo incontro?
Lui cosa aveva risposto?
Il panico la invase interamente e le mani cominciarono a tremarle.
Poi, però, rifletté un attimo sulle espressioni dei volti dei tre familiari e si turbò: se sapevano dell'accaduto, perché erano tranquilli e ... allegri? Come aveva raccontato loro di quel giorno?
Rilassò le spalle, dapprima divenute rigide, ed espose il suo dubbio.
« Vi ha per caso detto come ci siamo conosciuti? »
Il padre annuì,
« Oh, sì! » ridacchiando divertito.
« Che c'è di divertente? » interloquì ancora, mettendosi a braccia conserte e battendo un piede sul pavimento.
« Che ne pensi se ne parlassimo con calma nel tuo appartamento? Siamo stanchi e non ci dispiacerebbe affatto sederci su un divano comodo! » la avvisò lui, mantenendo il sorriso.
Simona si ricompose, come rinsavita.
« Ma certo! »
Prese per il manico telescopico la valigia della madre ed Emilia prese quella del padre, avviandosi entrambe verso l'ascensore.
« Una domanda, Simona. »
Arrivate di fronte ad esso, la bruna pigiò il pulsante per richiamarlo al piano terra e, nell'attesa, si girò in direzione del sessantenne.
« Sì? »
« Il tuo appartamento è il numero ventuno o trentuno? »
*Bene, non mi lamento.
Angolo Autrice
Ma salve, gente! 😊
Eccomi con il nuovo capitolo! Che ve ne pare? Ora, invece, abbiamo conosciuto meglio la famiglia di Simona. Famiglia che sembra abbia preso di buon grado il caro Andrea! :) Cosa vi aspettate nel prossimo capitolo? Sono curiosa di sapere cosa pensate di questa storia, dai! 😅❤ Lasciatemi un commento e una stellina, please! ❤
Alla proxima!
Dio vi benedica.❤
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