53 - In viaggio (Parte 1)
Albert's POV
"Ditemi che sto sognando!" e mi fiondai ad abbracciare colei che non avrei mai conosciuto, se non tramite la mia avventura nel mondo virtuale. Lei ricambiò l'abbraccio. Era una sensazione strana, magica, quasi al limite del sovrannaturale. Stringeva ma in modo delicato. Dopo quasi un eternità, decisi di staccarmi. La guardai, vedendo che era vestita come se non se ne fosse mai andata dal mondo vero. Aveva dei pantaloni lunghi, una blusa colore avorio e scarpe da ginnastica nere con inserti dorati della Starz, compagnia che si era affermata nell'anno che ero stato assente.
Si avvicinò a piccoli passi, con movenze incerte, quasi come se si vergognasse. Angelica, per ogni passo che faceva, si guardava intorno con una curiosità tale da meravigliarsi per ogni singolo dettaglio. Si avvicinò al divano che avevamo poco distante dal bancone, e come una bimba vi si buttò sopra, provandone la morbidezza. "Sembra una nuvola!" disse con gioia.
Mia madre, senza battere ciglio, si girò verso la cucina, e preparò a tempi di record altri pancakes, e versandovi sopra talmente tanto sciroppo d'acero che stavo avendo di nuovo fame. Quando glieli porse, rimase stupita dalla misteriosa pietanza. Come ne addentò un pezzetto, vidi lacrime di gioia e di contentezza.
"Mi sembra ancora impossibile..." disse la zia Emely, coprendosi il volto con una mano, mal nascondendo il fatto che stesse piangendo. Avevo sempre visto la zia molto distaccata, fredda, ma che sotto sotto aveva talmente tanto amore materno da dedicarlo ai nipoti, ovvero a Nick, Annie e me. Ma ora, quelle attenzioni, per molto tempo dedicate a chi non era sua progenie, le avrebbe date a lei, ad Angelica, a quella figlia che il mondo digitale le aveva portato via.
Un altro colpo di clacson. Zia Emely si asciugò le lacrime, mettendo in mostra un bel sorriso, un vero sorriso, e tendendo la mano, senza dire nulla, fece capire ad Angelica che era momento di andare. Quindi sentii mio padre dire: "Oggi è un giorno molto speciale... Non sei obbligato a farlo. Possiamo sempre usare qualcun'altro per non farti diventare una celebrità e...".
"No, papà. Se non lo faccio adesso, quando potrebbe accadere?" risposi.
"Vuoi che ti accompagnamo, tesoro?" rispose mia madre.
Col viso in fiamme, per la vergogna urlai "No!", per poi avvicinarmi e abbracciare mia madre in segno di scuse.
Presi il trolley, lasciato pronto dal giorno prima, pronto ad affrontare una nuova avventura, una vera avventura, anche se non sapevo che cosa si sarebbe profilato all'orizzonte. Salii sul furgone nero lucido, lo stesso che ci aveva accompagnato dalla struttura medica dell'Oregon fino a casa.
Mia zia era seduta a fianco di Lionel, e per tutto il tempo restai in silenzio. Ero seduto in corrispondenza dello zio, mentre Angelica era dall'altro lato. Si slacciò la cintura di sicurezza, per riattaccare quella del posto centrale. Mi guardava sorridente, e io non riuscivo a non ricambiare.
"Hey, Albert... Non ci starai mica provando con mia figlia... Vero?" disse in tono serio Lionel. Rimasi di stucco, annaspando alla ricerca di parole adatte per difendermi da quella accusa infamante. Per tutta risposta, e prima ancora che potessi dire qualcosa, vidi esplodere di rabbia Angelica, che disse: "Ma papà! Ti sembrano cose da dire?!?"
Per tutta risposta, Lionel iniziò a ridere di gusto, mentre la zia Emely si mise la mano in fronte per la vergogna, dicendo solamente uno stentato "Perdona la sfacciataggine di tuo zio".
"Allora Alby" disse sottovoce Angelica, "Lei ti piace?".
"Non posso credere che tu ti sia già abituata alla realtà, quella vera" risposi, girando lo sguardo dall'altra parte per la vergogna.
"Io forse potrei darti qualche informazione in più" disse più sommessamente, mentre frugando tra le tasche tirò fuori quello che sembrava un nuovo modello di Exphone. Cominciò a cercare nei suoi dati, e la curiosità mi aveva attanagliato. Forse avevano ragione tutti che fossi coinvolto nei sentimenti. Scorreva le foto fatte, e mi meravigliai di quante foto e riprese video avesse fatto in appena tre settimane. Fino a che si fermò sulle registrazioni audio, e da lì, con due paia di cuffiette senza fili, me ne diede una coppia e avviò la registrazione.
E nel mentre che ascoltavo, rimasi scioccato per quanto stavo apprendendo, senza tenere in conto che eravamo arrivati vicino una casa di mia conoscenza. Quando sentii aprirsi il portellone posteriore, Angelica mi spense di botto la registrazione, e rimise frettolosamente il cellulare in tasca. Prima ancora che potessi capire cosa stava succedendo, mi ritrovai Jeena sul sedile di fianco. Probabilmente rise di gusto (e facendo comunella con Angelica) per avermi visto diventare rosso per la vergogna.
Ripresi il controllo ricordando a me stesso che lei non sapeva ciò che avevo ascoltato. Lei mi sorrideva, e io timidamente ricambiavo... Poi mi balenò una domanda a cui non avevo ancora pensato.
"Zio, ma dove stiamo andando?"
"Dal presidente".
"Mi prendi in giro... Vero?"
"Certo che no, nipote caro" rispose zia Emely.
"Dobbiamo prendere un aereo privato, giusto?" chiese Jeena.
"Sì, e tra meno di due ore saremo alla premiazione, con tanto di discorso del presidente degli Stati Uniti d'America" rispose Lionel, senza staccare lo sguardo alla strada, stranamente sgombra.
"Quello che sto per dirvi deve rimanere assolutamente privato, è chiaro?" disse Lionel in tono più serio.
Deglutendo, tutti e tre dicemmo timidamente di sì.
"Sapete come si chiama il 46° Presidente degli Stati Uniti d'America?"
"Mi pare si chiami Swift di cognome... ma non ricordo il nome..." rispose Jeena, cercando di far affidamento alla sua memoria.
"E il nome non lo conoscete?" Poi ruppe il grande alone di mistero dicendo: "Vi dice niente un certo nome come.... Eleanor?"
Rimasi di sasso. Possibile che...
"Sì, Albert" apostrofò Lionel. Gerald non lo sa, ma Eleanor Swift non è altri che sua madre.
"E come mai diceva che era morta?!" esclamò Jeena.
"Perché suo padre gli ha fatto credere questo. Ma mi raccomando, acqua in bocca. Sto cercando il momento più adatto per farglielo sapere".
Arrivammo in una zona apparentemente abbandonata dove, nascosta da una collinetta, c'era una piccolo aereoporto. Dato che era una pista privata, probabilmente non molti potevano usarla. Questo perché al cancello principale vi erano tre guardie armate di tutto punto e altre due poste a qualche passo dalle prime. Intimando con i fucili di fermarsi, Lionel fece quanto ordinato.
Appena abbassò il finestrino, giusto per far vedere chi ci fosse con lui, la guardia che lo fermò, a mio dire un giovane, gli disse: "Ha un permesso valido per utilizzare la suddetta pista di pilotaggio?"
Senza scomporsi più di tanto, Lionel lo squadrò e disse: "Mentre tu eri in fasce, io assistevo alla costruzione di questa pista". Successivamente, vidi un omone corpulento correre in direzione del furgone.
"Scusalo Lionel" *pant* *pant* "ma il nuovo arrivato non ha ricevuto le istruzioni del tuo arrivo" *pant* *pant*.
"Nessun problema, Rod... basta che il ragazzino impari ad approcciarsi con più disciplina ai suoi superiori" e squadrò di nuovo la giovane guardia che, nel frattempo, abbassò lo sguardo.
Appena diedero il via libera, zia Emely disse: "Non credi di aver esagerato con il giovane?"
"Nah, con me hanno fatto di peggio" rispose senza scomporsi.
E mentre ci avvicinavamo, altre macchine, uguali a quella dello zio, si erano messe ai lati. Temevo come nei film di spionaggio e azione che si sarebbe scatenata una lotta stradale. Per mia fortuna, era solo la mia fantasia ancora attiva per colpa di D.S.P..
Come scendemmo dal veicolo, dalla macchina di destra vennero fuori Gerald e Demetra, mentre dall'altra venne fuori il signor Baxter. Senza dire una parola, e come se avessimo avuto tutti la stessa istruzione, ci avviammo alla volta del piccolo jet privato. Era completamente bianco, salvo per due strisce argentate che correvano lungo tutto il corpo.
"Ragazzi, felice di rivedervi in forma!" disse Lionel, battendo le mani. Quindi si girò verso la zia Emely, gli lasciò le chiavi e un pass, gli diede qualche istruzione, quindi le baciò la fronte, prima di incamminarsi insieme agli altri in direzione dell'aereo, mentre altri addetti caricavano i vari bagagli nella stiva.
Entrati dentro, rimasi davvero meravigliato per lo sfarzo che si nascondeva all'interno del mezzo.
Senza fare caso ad altro, andai a sedermi nei posti in fondo, mi allacciai la cintura e attesi con nervosismo il momento in cui ci saremmo alzati in volo. Pensai: 'Cavolo, adesso sono qui, e tra poco sarò a una celebrazione di carattere internazionale...'
Sentii chiudersi il portellone, accompagnato in pochi attimi dalla spinta del velivolo, fino a sentire lievi scossoni, finché non si sentì altro che silenzio. Silenzio rotto da una musichetta leggera da sala d'aspetto.
Lionel prese la parola, alzandosi dal sedile e mettendosi in piedi tra le due file di posti.
"Cari amici... Che dire? Missione compiuta!"
Estasi da parte degli altri. Ma io non festeggiavo. Cosa c'era da festeggiare? Certo, un guaio di questa portata, risolto quasi senza conseguenze, era un buon motivo per gioire. Ma... era davvero necessario tutto questo? Insomma, Rudolph si era talmente dedicato a questo progetto, spinto e corroso dall'invidia, accecato dalla rabbia. E per cosa? Per vedere tutto sfumato, senza aver ottenuto un risultato?
Questi ragionamenti pesavano più di un macigno, ma qualcuno venne a svegliarmi da simili pesi con una pacca. Alzai lo sguardo, ed era Gerald, e mi stava porgendo un bicchiere di champagne. Non ne avevo mai assaggiato prima, e stentando un sorriso lo presi e lo bevvi in un colpo solo. Stupito, ma tentando di andare con delicatezza, disse: "Albert, necessiti di dimenticare?". La mia occhiata lo fece ritornare sui suoi passi, al che corresse la domanda dicendo: "C'è qualcosa che non va?"
"Eccome" gli risposi. Gli feci cenno di avvicinarsi e gli dissi a bassa voce quanto avevo ascoltato da parte di Angelica, e lui, come un buon ascoltatore non espresse opinioni, non interruppe in nessun momento, e alla fine, con una buona pacca sulla spalla, tutto quello che disse fu: "Ti senti meglio adesso?"
Mi accorsi solo alla fine che non dovevo trovare una soluzione a tutto. Bastava solo che qualcuno aprisse le orecchie e mi dedicasse un briciolo di attenzione.
E mentre il tempo sul velivolo passava, potevo vedere i vari comportamenti degli altri, cambiato da com'erano prima a come sono diventati ora. Un esperienza è pur sempre un esperienza. Da una Demetra, un tempo altezzosa e schizzata, ora più mansueta, fino ad arrivare a un Riccardo strafottente diventare più controllato e maturo, benché al momento non fosse presente. Per non parlare del signor Timothy Baxter, sempre addolorato per la mancanza della sua consorte ma con la voglia di ricominciare e di andare più forte di prima. E Gerald? Non potevo non fantasticare su quello che sarebbe potuto accadere una volta che avrebbe scoperto che Eleanor Swift, il presidente degli Stati Uniti d'America, fosse sua madre....
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