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❝ Are you awake? ❞
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In quel posto, popolato solo dai fantasmi del passato, non metteva mai piede nessuno.
Tranne ovviamente chi sapeva cosa andare a cercare e dove cercare.
Negli ultimi anni si era creato uno spaccio tra le rovine di quel cantiere. Sehyoon era lì quasi tutto il giorno, tutti i giorni.
Tutte le notti, soprattutto.
La notte era quel luogo in cui lui faceva affidamento più di qualunque altro.
Nessuno poteva portargliela via, quella.
La notte riusciva a farlo sentire a casa, anche quando aveva cominciato a odiarla quella parola.
"casa".
Forse era stato anche normale che avesse cominciato a odiarla: proprio lì tutte le sue aspettative erano state mandate in frantumi tanto da farlo piombare nella più angosciante disillusione durante la più tenera età.
Sehyoon non sapeva non serbare rancore, sebbene ci avesse provato sul serio a non essere come le persone che avevano rovinato la vita a lui e alla sua famiglia.
Ma era stato tutto vano.
Loro lo avevano condotto ad essere così e lo avevano costretto a quella vita e da loro aveva imparato a odiare.
Lui viveva di notte. Principalmente perché la notte è il momento della giornata in cui si animano tutti i vizi dell'uomo.
Quando la città dovrebbe essere immersa nel sonno, allora la corruzione si sveglia.
E tutti i difetti, le mancanze e le imperfezioni dell'uomo vengono a galla.
Di notte c'è l'atmosfera giusta per commettere crimini. Il buio mette a proprio agio i peccatori.
La notte accoglie tra le sue braccia coloro che sono incompresi da tutti e considerati la feccia dell'umanità. Come una madre condiscendente, perdona tutti gli errori dei propri miseri figli, consapevole che siano succubi di una realtà più crudele di qualsiasi cosa abbia mai potuto fare ciascuno di essi.
Sehyoon amava la notte. Poteva persino pensare di piangere o pregare in sua presenza, quando, a un certo punto, tutti avevano ottenuto ciò che volevano e se ne andavano, lasciandolo solo.
Piangeva per realtà mai accadute, perché ciò che investiva la sua vita gli scivolava sulla pelle, ma i sogni mai realizzati diventavano incubi capaci di soffocare ogni briciola di speranza.
Pregava un Dio in cui non credeva, nella speranza che qualcosa potesse sollevare il macigno che gravava sulla sua esistenza.
Anche se fosse esistito un Dio, però, il corvino dubitava che un essere simile si sarebbe potuto interessare a lui. Lui che era un peccatore qualsiasi. Lui che non aveva mai toccato con mano la soddisfazione di avere un credo in cui riporre la propria fiducia. Lui che non conosceva il sapore della carità e della benevolenza verso il prossimo.
E di chi era stata la colpa?
Un sorriso amaro gli si dipinse sul volto. Era per questo che preferiva rinchiudersi nel suo regno da eremita.
Non era una solitudine sofferta di solito, ma a volte, nei suoi momenti peggiori, diventava difficile da sopportare.
L'invidia non era mai stata clemente con lui, l'aveva affetto sin dall'età dell'innocenza.
Era invidioso persino di veder sorridere i suoi compagni a volte.
Junhee e Donghun andavano così tanto d'accordo tra di loro che era diventato immancabilmente geloso di quel rapporto.
Una volta, mentre ridevano, gli aveva intimato di stare zitti. Gli altri due erano rimasti sorpresi, ma non avevano più aperto bocca per tutta la notte.
Ogni volta che se ne ricordava cercava di non sentirsi troppo egoista.
In realtà per Sehyoon era sempre stato più semplice del dovuto mantenere un'espressione propriamente apatica in viso, per questo tollerava poco coloro che riuscivano a esprimersi con tanta facilità. Quella era decisamente una delle cose che odiava di più di sé, oltre all'egoismo.
In fondo, non voleva costringere i suoi amici ad essere come lui.
Avrebbe voluto provare l'ebbrezza di essere felice nel veder sorridere qualcun altro, ma non era qualcosa che gli veniva spontanea.
Erano anni che di notte si ritrovava puntualmente in compagnia di Junhee e Donghoon. Loro, insieme a pochi altri elementi, gestivano lo spaccio di quel quartiere.
Quella zona era così poco controllata... A nessuno importava di chi ci fosse o di cosa facessero.
In altre parole, si trattava di un'autorizzazione al suicidio. Con o senza l'esistenza di quei reietti il mondo sarebbe andato avanti comunque, e anche le vite degli altri.
Sehyoon ne era consapevole, ma non per questo aveva voglia di morire.
Non ci aveva mai pensato a quella eventualità nella vita, anzi, il suo più recondito desiderio era quello di poter avere un futuro normale, anche se sembrava soltanto un'utopia.
Ma la speranza non muore mai,
non è vero?
Quella sera, al tramonto, Sehyoon era già al solito posto. Aspettava i suoi amici.
Non che normalmente tutto il resto della giornata avesse di meglio da fare.
Di solito trascorreva tutto il giorno nel suo piccolo appartamento poco lontano da lì. A cercare di dormire, visto che di notte non dormiva mai e la sua insonnia lo distruggeva.
Non era tipo da amicizie e non usciva molto. Conosceva bene poche persone, con le altre ci passava la notte. In un senso o nell'altro.
Spesso divideva le ore precedenti all'alba tra le anime dei disperati cui vendeva l'unica medicina esistente per fuggire dal mondo, e i corpi delle vittime della società che si regalavano al primo che passava in discoteca.
Bastava un drink annacquato, una carezza e poche parole sussurrate all'orecchio, e troppe ragazze cadevano inermi nel pozzo del piacere.
Ormai non avvertiva più nessun tipo di brio neppure in quelle situazioni. Si sentiva fin troppo disgustato dal procedere del mondo verso quel baratro di decivilizzazione.
Tutto ciò che chiedeva era di essere perdonato per il suo istinto animale, che necessitava uno sfogo ai suoi bisogni carnali, e per il suo attaccamento a quella subdola esistenza, unico motivo che teneva in piedi tutto quel teatrino.
Se non fosse stato per quello, probabilmente, avrebbe più volentieri detto addio alla sua vita e la sua esistenza sarebbe stata cancellata con un soffio di vento.
Eppure, la morte lo spaventava molto più di un futuro monotono e ricco di sensi di colpa.
Questi ultimi, dovuti essenzialmente a quelle facce viste e riviste, qualcuna più delle altre, i cui spiriti prima o poi avrebbero infestato la sua vita.
Perché?
Perché era lui, ovviamente, la causa della loro lenta e inesorabile discesa agli Inferi.
Le uniche persone che tentavano di metterlo a suo agio erano proprio Junhee e Donghoon, le sole su cui poteva contare e di cui poteva fidarsi. Era profondamente in difetto nei loro confronti, considerando che provare invidia non era di certo un ringraziamento per i loro sforzi.
Quella sera, come al solito, avrebbe atteso l'arrivo degli altri al solito posto. Come sempre, si era avviato in anticipo per effettuare un sopralluogo di sicurezza, nonostante di controlli le autorità non ne avessero mai fatti e, dunque, il rischio non esisteva.
Tuttavia, qualcosa andò diversamente dal "solito" in cui Sehyoon riponeva speranza.
Un suono di passi - incerti - raggiunse le orecchie del corvino, prima del tempo.
Junhee e Donghoon, né nessun altro, erano soliti arrivare a quell'ora.
D'istinto si era nascosto dietro un pilastro e aveva riempito una siringa qualsiasi di una dose di eroina tagliata con cocaina e ketamina - un mix infallibile per lasciare immediatamente stordito chiunque fosse l'intruso e dargli così la possibilità di scappare in caso l'avesse ritenuto necessario.
E quando i passi furono abbastanza vicini, allora uscì allo scoperto.
I suoi occhi si soffermarono solo per una frazione di secondo ad osservare la figura che aveva dinanzi.
Non aveva mai visto quel viso prima di allora, era completamente sconosciuto ai suoi occhi attenti.
Proprio per questo fu la paura ad agire al posto suo. La paura di chi sa di essere nel torto, qualsiasi cosa faccia.
Nell'esatto istante in cui incrociò lo sguardo del biondo un moto di adrenalina gli corse nelle vene.
Non temeva nulla in particolare se non l'eventualità di perdere la sua libertà. Proteggeva la sua vita nella speranza che un giorno potesse cambiare, non avrebbe lasciato a nessuno la possibilità di portargli via l'unica cosa che di prezioso aveva.
Era stata la paura stessa ad afferrare il braccio dello sconosciuto; un sorrisetto fuori luogo gli dava l'aria di uno psicopatico forse. Poteva sembrare il ghigno di un predatore, ma in realtà era solo il sollievo di una preda che ha scampato la morte.
Era il sorriso dell'adrenalina di chi sta morendo dentro, sommerso dalla burrasca di errori che imperversa dietro ogni suo gesto e respiro. Il sorriso del timore, arreso all'evidenza che prima o poi il male viene a galla.
Ma lui non poteva ancora farsi scoprire. Non adesso, non era pronto a rischiare la sua vita.
Fu per questo che istintivamente la paura si trasformò in un violento tentativo di difesa.
《 Vuoi provare? 》
Gli aveva chiesto, senza aspettare alcuna risposta. Gli aveva iniettato il contenuto della siringa, senza pensarci due volte.
Era davvero una così cattiva persona?
Aveva sempre pensato di esserlo. Dopotutto, quello che lui faceva non aveva alcun beneficio per nessuno.
Eppure quel ragazzo non gli aveva fatto niente di male in realtà...
Ma che senso aveva pensarci adesso?
Era già troppo tardi.
Il biondo aveva un viso così angelico che sembrava impossibile fosse andato lì con l'intenzione di fare qualcosa di male.
Guardò i suoi occhi, gli occhi di un animale spaventato che sa di essere in trappola.
Nel momento in cui Sehyoon lasciò il suo braccio, infatti, l'altro cadde barcollando come una foglia secca che si stacca dal suo ramo, trascinata dal vento.
E restò a terra, immobile.
Soltanto dopo parecchio tempo il più alto si decise ad avvicinarsi, quando si rese effettivamente conto che il biondo era svenuto. Adesso i suoi occhi non vedevano più nulla di così intimidatorio. Anzi, quella creatura pareva tutt'altro che pericolosa.
Le sue dita affusolate sfiorarono la testa bionda del ragazzo steso scompostamente sul suolo di cemento.
《 Sei sveglio? 》
Non ebbe alcuna reazione in risposta.
Premette due dita sul collo del biondo, lì dove la vena bluastra era ben evidente rispetto alla sua carnagione pallida.
Il battito era lì, aveva solo perso i sensi.
Per la prima volta Sehyoon si trovò a pregare che qualcuno non si fosse fatto troppo male. Non a causa sua.
Non gli piaceva doversi considerare sempre la causa di tutti i mali delle persone che aveva attorno, nonostante sapesse che, in parte, lo fosse davvero.
Fu più spontaneo di quanto non volesse ammettere il prendere il cellulare e chiamare un'ambulanza.
Dovette ripetere più volte le indicazioni stradali perché spesso e volentieri molti non sapevano nemmeno che esistesse quel pezzettino di mondo.
Ed era meglio così.
Si assicurò nuovamente che il battito del ragazzo fosse regolare, poi si alzò per andare via prima che chiunque altro arrivasse in soccorso.
Restava la paura che il biondo potesse denunciarlo quando si sarebbe svegliato. Dopotutto l'aveva visto, e aveva visto anche il luogo in cui si nascondeva...
Ma non l'avrebbe ucciso per questo. Non voleva alcun morto sulla coscienza, era già abbastanza sporca così.
Si allontanò a passo veloce, cappuccio alzato e mani nelle tasche.
Soltanto quando fu lontano da quell'edificio, da quel cantiere e da quella strada, ricominciò a respirare.
Un respiro che però era ostacolato da un peso sul petto, qualcosa che non aveva mai provato prima e che turbava la sua tipica tranquillità.
Chi era quel ragazzo?
Le mani corsero nuovamente al cellulare.
Avrebbe potuto fargli una foto... Magari Junhee o Donghoon lo conoscevano. E invece l'unica cosa che gli restava di lui era il ricordo del suo aspetto etereo.
Perché era lì qualcuno del genere?
Si morse il labbro inferiore in un gesto di frustrazione e telefonò istantaneamente al suo migliore amico.
- C'è stato un imprevisto. -
- Che tipo di imprevisto? Hyung, stai bene? La tua voce è strana -
Junhee come al solito si preoccupò immediatamente, ma il maggiore non era esattamente in vena di parlare.
- Io sto benissimo. Sta sera nessuno di voi si presenti al solito posto, riprenderemo domani. -
- Perché? -
- Non mi chiamate più su questo numero, mi farò sentire io. -
- Sehyoon che succ-
Terminò il collegamento prima ancora che Junhee terminasse di parlare. Non aveva voglia di rispondere alle sue curiosità in quel momento.
Non aveva voglia di fare niente se non tornarsene a casa in compagnia di una bottiglia di alcool qualsiasi.
Lanciò con violenza il cellulare sull'asfalto, distruggendolo. Ne raccolse ciò che restava e lo gettò in un cassonetto lì vicino.
Congratulò se stesso per aver deciso di attivare una scheda sim virtuale. Ormai era tutto andato insieme al cellulare. Ne avrebbe ricomprato un altro con un nuovo numero, magari il giorno dopo.
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