innamorato

❝ I want to be happy too. ❞

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Tornare a casa era stato peggio di quanto Byeongkwan si fosse aspettato.

Ad aprirgli la porta era stata sua madre. Non gli aveva rivolto la parola.

Se l'aspettava, dopotutto. Non pretendeva nulla di diverso. Anzi, preferiva così, tanto non avevano nulla da dirsi.

Si diresse fiaccamente verso la propria stanza, costeggiando la parete tappezzata di quadri con la mano, quasi gli desse sicurezza in caso fosse caduto tanto gli dolevano le gambe.

Non sembrava essere stato così stanco prima... e il vuoto all'altezza dello sterno non accennava a colmarsi, nonostante probabilmente avesse già digerito quello che aveva mangiato per pranzo.

Era da molto tempo che non si sentiva così debole fisicamente; l'ultima volta che gli era successo di trovarsi in quelle condizioni non era stato affatto un bel periodo per lui.

Preferiva non ricordarlo.

Piuttosto si chiedeva perché mai continuasse a sentirsi in quel modo, nonostante i medici gli avessero assicurato che si fosse ripreso del tutto.

Ripreso da cosa effettivamente non lo sapeva, e non lo sapevano nemmeno loro che su quel referto medico non avevano saputo scrivere altro che "intossicazione farmaceutica".

Ma non era proprio di farmaci
che si stava parlando.

I suoi pensieri corsero immediatamente ai due occhi corvini del ragazzo che mercoledì sera doveva avergli iniettato qualcosa in corpo.

Qualcosa che non sapeva cosa fosse e che avrebbe dovuto scoprire.

Lo metteva in agitazione il fatto di essere stato coinvolto in qualcosa più grande di lui, ma non voleva che nessun altro lo sapesse.

Doveva combattere da solo contro i suoi demoni; era ora di iniziare a farlo.

Era stanco di tutti quelli che pretendevano il diritto di compiere scelte al posto suo, così come di quelli che lo avevano costretto a contesti e ambienti che non rispecchiavano il suo vero io.

Un “io” che era stato soppresso per così tanto tempo che ormai aveva dimenticato persino cosa significasse avere ambizioni.

Si era arreso. Aveva trascorso troppi anni a deglutire emozioni amare e a ricacciare indietro i conati di tutte le sue insofferenze.

Adesso avrebbe voluto soltanto vomitare ciò che si era tenuto dentro per tutta la vita.

Ogni singolo pensiero che non aveva potuto realizzare, ogni singola parola che non aveva potuto pronunciare, ogni singola lacrima che non aveva potuto versare.

Necessitava liberarsi di quel peso, eppure non sembrava affatto facile.

Desiderava tornare a sognare semplicemente, con l'innocente curiosità dei bambini, qualcosa che non riusciva più neppure a concepire.

Era troppo da chiedere per
un ragazzo di appena 20 anni?

Il mondo sembrava tutto così squallido ormai, non aveva più senso per lui sperare in qualcosa di meglio.

Non poteva più sperare in qualcosa di meglio ormai.

Non ne era nemmeno capace.

La porta scorrevole della sua stanza si aprì a metà, rivelando il viso di suo fratello maggiore.

L'ultima persona che avrebbe
voluto vedere al momento.

Quello gli aveva rivolto uno sguardo freddo, sembrava avesse appena letto nella sua mente.

《 Vieni a cenare. Nostro padre vuole vederti. 》

Il suo tono era distaccato, come se non avessero condiviso gli ultimi vent'anni nella stessa abitazione, mangiando le stesse cose, dormendo nella stessa stanza, guardando lo stesso cielo dalla stessa finestra e auspicandosi entrambi di potersene andare il prima possibile.

《 Non ho fame, non dirmi cosa fare. 》

Rispose tagliente, ripagandolo con la stessa moneta.

Da piccoli erano sempre stati l'uno il supporto dell'altro, si coprivano le spalle a vicenda. Cosa che crescendo non avevano potuto continuare a fare.

Suo fratello era stato sempre il più influenzato dai suoi genitori tra loro due. Lo facevano sentire importante le lodi che gli rivolgevano per le sue ottime prestazioni scolastiche o per la sua impeccabile educazione, e così il poveraccio col passare degli anni aveva finito con l'assomigliare sempre più ad un cane fedele ai suoi padroni. Non certo ad un essere umano pensante.

Byeongkwan, invece, aveva una spiccata ed innata creatività, un animo profondo che ospitava uno spirito libero, impossibile da rinchiudere negli schemi che i suoi familiari gli imponevano.

Aveva cominciato a capirlo soltanto di recente, soprattutto quando aveva conosciuto Yoochan, il suo migliore amico.

Yoochan gli aveva aperto gli occhi sulla verità. Gli aveva detto che non erano normali comportamenti del genere da parte della sua famiglia, non più. Gli aveva fatto capire che i suoi genitori non facevano altro che cercare di coprire la realtà con le loro menzogne.

Si erano autoproclamati i regnanti del loro piccolo mondo.

A Yoochan doveva davvero tanto.
Era grato di averlo conosciuto.

Senza di lui, un giorno, sarebbe stato peggio di suo fratello. Il fratello che adesso lo guardava in cagnesco, ferito.

《 A chi vuoi che importi se mangi? Vieni e basta. 》

Disse, e richiuse la porta con forza.

Aveva appena tranciato l'ultimo filo che li teneva connessi in qualche modo.

E per l'ultima volta, allora, il biondo decise di fare ciò che gli era stato richiesto.

Si alzò in piedi, affrontò un leggero capogiro, e uscì dalla stanza, dirigendosi con passo flemmatico verso la sala da pranzo.

Calpestò i morbidi e maniacalmente puliti tappeti persiani, a piedi scalzi. La sua mano si appoggiò per un istante sulla cassettiera laccata in blu che con i suoi intarsi dava un tocco di eleganza allo spoglio corridoio che precedeva la sala da pranzo.

Prese un profondo respiro e si staccò dal mobile che gli aveva dato supporto per qualche secondo.

Schiena dritta e petto in fuori.

Poi aprì lentamente la porta scorrevole, come se non avesse ancora abbastanza coraggio per affrontare ciò che lo avrebbe aspettato.

Tre paia di occhi in quel momento si voltarono verso di lui, nessuna delle tre sapeva di “famiglia”.

Prese posto su un cuscino attorno al tavolino basso. Quello di sempre: accanto al fratello, di fronte ai suoi genitori. Afferrò le solite bacchette di legno e abbassò lo sguardo verso la ciotola di riso al kimchi.

Non aveva fame in effetti, l'idea di mettere del cibo in bocca lo disgustava al momento. Eppure quella sensazione allo stomaco non era ancora andata via.

Anzi, l'odore d'incenso diffuso nell'ampio ambiente gli stava dando il voltastomaco.

Dopo aver passato due giorni in ospedale in mezzo alla luce a neon e all'odore di alcol etilico, stare lì con un profumo nauseante nelle narici e la luce soffusa delle lampade gli metteva sonnolenza, oltre che nausearlo.

Azzardarsi a dire qualcosa in merito non era, però, contemplato.

E per sua sfortuna, il silenzio tra i presenti non durò ancora a lungo.

《 Dove sei stato mercoledì sera? 》

Il timbro grave e pesante della voce di suo padre si abbatté contro le sue tempie, peggiorando violentemente il suo mal di testa.

Anche quando parlava sembrava esserci un vuoto tremendo, una quiete ricca di tensione. Gli metteva i brividi.

Era come se la sua voce provenisse da un altoparlante, distante e imponente.

《 In giro. 》

Impiegò qualche secondo a trovare la forza di far vibrare le sue corde vocali.

《 Nei sobborghi malfamati di Jungnang?⁽¹⁾ 》

Quell'uomo incuteva terrore, non aveva più niente di paterno nei suoi modi. E Byeongkwan non ricordava se l'avesse mai avuto.

《 Sì. 》

Cercò di rendere la sua risposte secca, modulando la voce per far sí che non tremasse.

Non devo sembrare debole.

《 Dovevi andare a prendere qualche cazzo? 》

Sbatté un pugno sul tavolo, facendo sobbalzare per lo spavento anche gli altri due.

Sua madre si affiancò al marito; gli poggiò una mano su una spalla, tentando di rilassarlo.

Come se fosse lui quello offeso, quello ad aver bisogno di supporto in quel momento.

Era quella l'assurdità della sua famiglia. Il mondo girava tutto al contrario dentro quelle quattro mura.

《 Seobangnim⁽²⁾, calmati... Dio mio... Byeongkwan io non ti ho partorito per farti uccidere... 》

Uccidere?

Probabilmente si riferiva alla comunicazione che dovevano aver ricevuto dall'ospedale.

Era un bel capro espiatorio quello, sì, per farlo sentire in colpa. Peccato che lui non avesse fatto un bel niente per cui doversi sentire in colpa.

《 Non ho sofferto tanto per avere un figlio così ingrato. Io e tuo padre vorremmo soltanto che tu riflettessi sulle tue azioni sconsiderate... Per favore pensaci. 》

Aggiunse la donna. Il suo tono era supplichevole, i suoi occhi lucidi, terribilmente falsi tuttavia.

《 Ci ho pensato abbastanza, madre. 》

Rispose dopo alcuni, pesanti, secondi di silenzio. Aveva bisogno di togliersi quel peso dal petto.

Era il momento giusto?

Non gli importava. Non sarebbe mai esistito un momento giusto finché avrebbe continuato a vivere in quell'ambiente.

《 Davvero? 》

Il tono della donna era incredulo, ma quasi sollevato. Si aspettava forse che il figlio da un momento all'altro si sarebbe inchinato a loro, rinnegando una volta per tutte se stesso.

Ma non sarebbe stato come lei sperava.

《 Si, certo. Voi credete che io non sappia pensare? Sono un essere umano, anche piuttosto intelligente purtroppo, è per questo che non posso lasciarvi in mano le redini della mia vita. Mi dispiace. Mi dispiace di essere stato una delusione per voi. Mi dispiace non rientrare nelle vostre aspettative. Potete continuare pure a non considerarmi più vostro figlio, non voglio darvi ulteriori problemi. Mi dispiace essere nato e avervi fatto sprecare soldi e tempo per un prodotto mal riuscito. Mi dispiace tanto, ma non capirete mai. 》

Si alzò dal suo posto, gli diede le spalle, tornò in camera. Non più la sua camera.

Si lasciò alle spalle le urla di suo padre e il pesante tonfo di un pugno che si schiantava contro il tavolo, facendo sobbalzare tutte le stoviglie in fine porcellana verde.

Un brivido gli corse lungo la schiena all'idea che quell'uomo potesse raggiungerlo e decidere di porre fine a quella vita che Byeongkwan stava disperatamente cercando di salvare.

Tuttavia, nessuno lo seguì.

Le sue orecchie allora si chiusero alle grida provenienti dalla sala da pranzo. Non aveva intenzione di ascoltare dei cinquantenni frustrati  accusarsi a vicenda di errori mai commessi. L'unico sbaglio che avessero fatto era stato decidere di diventare genitori.

Sospirò e cancellò dalla sua mente l'esistenza di quelle persone. Non sarebbe rimasto in quella casa una notte in più. Quella non era casa sua.

Non lo era mai stata, e adesso lo avvertiva anche peggio.

Recuperò un borsone, ci infilò dentro quanti più vestiti possibili e un paio di scarpe che sostituissero le converse che aveva ai piedi ogni tanto. Il caricatore del cellulare, il libretto dei risparmi, gli auricolari, il suo album da disegno, lo spazzolino da denti e una confezione di lentine mensili.

Non aveva idea di dove andare ma aveva bisogno di andare via da lì.

O meglio, un'idea ce l'aveva.

E, sebbene non fosse sicuro che quella scelta fosse la più giusta, non aveva granché alternative.

Uscì dall'abitazione in silenzio, attento a non farsi notare.

Non che gli importasse, ma preferiva non lasciare tracce di sé.

Aveva indossato una felpa di sopra ai vestiti che aveva cambiato in precedenza. Faceva un po' freddo fuori.

O forse lui era particolarmente sensibile al freddo in quel momento...

Fu angosciante attendere che arrivasse la metropolitana alla stazione, il luogo era deserto.

E la sua stazione di arrivo era ancora più inquietante.

Quel luogo... Adesso gli incuteva un certo timore. A quell'ora aveva sempre avuto paura di uscire. Il cielo era buio ormai, più buio del crepaccio apertosi nel suo cuore.

Si era lasciato guidare dai propri passi.

E l'istinto l'aveva portato di nuovo lì.

Però... Però stavolta era tutto diverso... Era pieno di gente.

Luci fioche che danzavano nell'oscurità come lucciole, suoni di molteplici voci sconosciute che ondeggiavano, risate... quasi spensierate...

Per favore,
anch'io voglio essere felice.





____________note____________

⁽¹⁾ Jungnag: quartiere di
periferia della città di
Seoul, in Corea del Sud.

⁽²⁾ Seobangnim: “marito”,
appellativo utilizzato
esclusivamente dalle mogli.

_______spazio autrice_______

Scusate se fa un po' schifo questo
Ho scritto di notte ed ero un po'
stanca, mi farò perdonare col
prossimo capitolo ~
Luv ya

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