3 · Chiocciole e treni
Il cortile interno dell'ambasciata era una specie di chiostro ovale, con corridoi coperti lungo tutto il perimetro, balconate che vi si affacciavano dai piani superiori e un gazebo circolare al centro, incastrato tra due gracili querce che sfioravano appena i due metri.
Erianna era seduta su una delle panchine a contorno del gazebo, Ingrid invece era inginocchiata al centro del pavimento mattonato con in mano le chiocciole che aveva raccolto dagli incavi delle decorazioni in ferro battuto. Aspettava pazientemente che uscissero dal proprio guscio e poi le guardava arrampicarsi sulle sue dita e sul braccio lasciando scie bavose e argentate sulla sua pelle.
Le emozioni degli animali, così come le loro menti, non erano complesse come quelle delle persone. Si trattava di sensazioni appena abbozzate, come scarabocchi di bambini in confronto a quadri di artisti. La paura era la più ricorrente, semplice e istintiva, comune e ricorrente.
Eppure le chiocciole non avevano paura di Ingrid.
«Sei strana» commentò Erianna. «Mi piaci.»
Ingrid alzò lo sguardo su di lei e Erianna si vide attraverso i suoi occhi, con le vecchie galosce scolorite ai piedi e una felpa arancione che stava grande persino a lei infilata sopra il pigiama.
«Grazie» rispose con un sorriso. Una chiocciola raggiunse il suo gomito e si infilò sotto la mezza manica della tunica e Ingrid guardò il piccolo bozzo sotto la stoffa risalire fino alla spalla per poi sentire l'animale strisciarle lungo il collo.
Erianna strinse le braccia al petto nascondendo le mani in mezzo ai gomiti. «Tu non senti freddo?»
Questa volta Ingrid non rispose subito. Il suo cervello ripescò dapprima la concezione di temperatura, poi di caldo e freddo, infine la ricollegò alle percezioni corporee. «Sì.» Il tutto era durato qualche frazione di secondo, ma Erianna seguì il processo attentamente.
Era come se il cervello di Ingrid fosse stato in qualche modo riavviato. Non c'erano informazioni mancanti, ma le varie componenti venivano ripescate mano mano che se ne presentava la necessità.
«Sì» ripeté Ingrid, con più convinzione, ma poi la sua attenzione tornò alle chiocciola sul suo collo. La afferrò quando cominciò ad arrampicarlesi sull'orecchio e se la rimise sul polso, vicino alle altre.
«Quanti anni hai?» riprovò Erianna.
«Quasi tre» la risposta fu automatica, come lo era stato il "bonjour", ma questa volta Ingrid si fermò a riflettere sulle proprie parole. «È plausibile che io ne abbia tre?» chiese, suonando incerta per la prima volta.
«Se tu fossi un geco ne avresti 15 o 16. Se fossi una chimera probabilmente un centinaio. Se fossi una mutaforma sarebbe quasi impossibile dirlo.»
«Non sono una mutaforma» affermò Ingrid, l'informazione recuperata da qualche ricordo sgranato. Non disse nulla di gechi e chimere.
«In questo caso ti registreremo come umana fino a prova contraria. Da umana dovresti essere sulla ventina.»
«Registrarmi?»
«Sai dove ti trovi?»
Ingrid si alzò in piedi. Erianna percepì la sua decisione e vide il suo campo visivo sollevarsi, avvicinarsi ad una delle querce e fece scorrere le dita nelle scalanature della corteccia. Lentamente le chiocciole cominciarono a scendere dal suo corpo.
Sapeva dove si trovava? Sapeva qualcosa su questo posto, ma si trattava di sensazioni più che veri e propri ricordi. C'era già stata? O ne aveva solo sentito parlare? Sembrava un posto uscito da una storia o da un racconto, un luogo che aveva immaginato più che visitato realmente.
«Questa è l'ambasciata sconosciuta di Roma.» Erianna scandì le parole con cura, osservando che effetto provocassero nella mente di Ingrid mentre le pronunciava. "Roma" era un nome familiare, ma generico, come "spiaggia" o "campagna". "Ambasciata" si collegava a dei volti mossi, ma non a un significato. L'aggettivo "sconosciuta" invece fu interpretato subito in maniera corretta, associato a ciò che non era il mondo umano.
Erianna percepì qualcosa che legava "Roma" e "ambasciata" nei pensieri di Ingrid, ma sfuggì prima che una qualsiasi delle due potesse afferrarla.
Erianna si aspettava che Ingrid si innervosisse, invece tutto ciò che attraversò la ragazza fu una vaga delusione. Nella sua memoria c'era troppo poco, sì, ma non mancava nulla. Non c'erano buchi o dimenticanze. I suoi ricordi erano brevi e infantili, ma completi.
«Il mio nome è Erianna De Angelis.»
Questa volta il ricordo fu così chiaro e immediato, che Erianna trasalì.
Una donna. Una donna che sembrava vecchia anche da giovane. Dai marcati tratti sudamericani. Dalle mani calde e il profumo di arance.
Il collegamento tra "Roma" e "ambasciata".
«La conosci?» chiese Ingrid.
Erianna batté le palpebre a vuoto. Fino a quel momento Ingrid non aveva dato segno di essere consapevole che lei potesse leggerle nel pensiero.
«È mia madre.» Sciolse le braccia e infilò le mani nelle tasche della felpa. «Adottiva» aggiunse mentre Ingrid registrava la mancanza di somiglianza. «Era,» si corresse «lei e mio padre...» ma non era quello il punto. «Amelia e Cornelio De Angelis. Li hai conosciuti?»
Il ricordo di lui era ancora più breve e confuso degli altri. Un uomo dietro una scrivania, la stessa scrivania che occupava Esther in quel momento, poi che veniva verso di lei allargando le braccia.
Dietro la scrivania. Poi vicino ad abbracciarla.
Dietro la scrivania. Vicino ad abbracciarla.
Un'unica scena riprodotta a ripetizione. Erianna poteva riconoscere l'ingresso dell'ambasciata, ma non c'erano altri veri ricordi dell'edificio. Ingrid era arrivata quando suo padre era ancora giovane, ma non era mai entrata.
Ma quando di preciso? E perché?
Abituata a entrare nella mente delle persone a piacimento, a leggervi le loro motivazioni e le vere risposte alle domande, Erianna si ritrovò ad odiare quella quiete mentale che fino ad un attimo prima la affascinava.
Non era questo il suo ruolo nell'ambasciata, conoscerne gli ospiti per sapere di cosa avessero effettivamente bisogno?
La ragazza – la creatura davanti a lei non aveva nulla a che fare con gli ospiti dell'ambasciata né con i suoi residenti. Non cercava aiuto, non voleva risposte. Sembrava incurante del tempo come una fata e consapevole delle esigenze del proprio corpo come una bambina. Se l'avessero lasciata in pace, avrebbe continuato a vivere nell'ambasciata come un gatto nel parco, accoccolandosi dovunque si trovasse quando aveva sonno e mangiando tutto ciò che capitasse a portata di mano quando aveva fame. Forse non per sempre, ma per un po'.
C'era qualcosa di arcaico e filosofico e sbagliato.
Una memoria da bambina affiancata ad una lucidità da adulta.
Incoerente come un indovinello.
oOo
«Grazie agli dèi!» esclamò Esther quando Avan apparì sulla soglia, i capelli a spazzola ancora più elettrici del solito e il completo stropicciato come se avesse corso. «Sono quasi le 7, cominciavo a credere che ti fossi messo a ballare con qualche fata.»
Poi vide l'espressione sul volto dell'amico.
«Oh.» Si alzò in piedi mentre Avan raggiungeva la scrivania sul fondo dell'atrio. «Oh miei dèi, avevano notizie.»
«È a Napoli. È a Napoli Esther! Praticamente dietro casa, praticamente--» Esther gli saltò al collo prima che potesse finire di parlare.
«Oh Avan!»
«È stato merito di Caedric, è stato fantastico. Ancora non mi capacito--»
«Ammetto di aver perso le speranze da anni. Aspetta, Caedric? L'ha trovata? Credevo--»
«No, non lei. Ha trovato chi aveva informazioni. Sai che c'è un troll così vecchio che si ricorda della Pangea? O quasi, credo. E parla latino! Onestamente deve essere un bel passo avanti per lui.»
«E qui c'è una ragazza che sembra spuntata dal nulla, o almeno così sembrerebbe. E io sono così contenta che tu sia tornato perché io non so cosa fare con lei e Erianna non la lascia neanche un momento.»
«Una ragazza?»
«Non Dea. Non gasarti, non Dea. Sono certa che non sia nemmeno una chimera. Cioè, certa al 99%, ma per pura filosofia precauzionale. Dov'è Caedric ora?»
oOo
La camera di Erianna si trovava in cima alle scale a chiocciola, più in alto di qualsiasi altra stanza dell'edificio e lontana dagli appartamenti privati riservati alla famiglia dell'ambasciatore.
All'inizio era stata una semplice soffitta da cui si accedeva al tetto in caso di necessità, prima che i De Angelis la rendessero un archivio. Poi Cornelio aveva sostituito metà delle pareti e parte del soffitto con delle vetrate, comprato un cannocchiale e montato due scrivanie per trasformarla nel suo studio. Amelia aveva aggiunto delle chaise longue.
Prima di perdere del tutto la vista, ma quando il suo disturbo del ritmo circadiano aveva già cominciato a manifestarsi, Erianna aveva amato passare la notte insieme a suo padre a guardare le stelle e poi osservare i suoi ogni quando lui si addormentava e lei no.
Questa era la stanza dove si andava a rifugiare quando durante la giornata le voci degli altri nella sua testa diventavano più forti della propria.
Ben prima del materasso di gommapiuma sul tappeto o dei vestiti nelle cassettiere, lo studio di suo padre era diventato la sua stanza.
Ingrid si era issata a sedere su una delle scrivanie sotto le finestre e da lì aveva una buona visuale su tutto il locale.
Erianna conosceva la camera come il fondo delle proprie tasche, ma avere un paio di occhi funzionanti su cui fare affidamento mentre riempiva il borsone, anche se non poteva controllare dove Ingrid li puntasse. C'erano delle incisioni sulla placcatura dorata della lampada da scrivania che continuavano ad attirare la sua attenzione.
Poi una luce comparve dal nulla al centro della stanza, come una nuova stella partorita dall'oscurità circostante. Prima fu solo un puntino bianco luminoso sospeso a mezz'aria, poi cominciò a fumare come ghiaccio secco e divenne verde brillante. Blu elettrico alle estremità. Prese la forma di una fiammella e infine sviluppò un abbozzo di corpo, con due gambe e due braccia e nessuna differenza tra davanti e dietro.
L'esserino risultante era alto poco più di venti centimetri e aveva una testa fumante grande quanto tutto il resto del corpo.
«Ciao Caedric» salutò Erianna senza smettere di infilare calzini in una sacchetta di stoffa. «Ti presento Ingrid. Ingrid, Caedric.»
Ingrid sollevò una mano in segno di saluto senza smettere di fissare la creatura affascinata.
Caedric, ora in piedi al centro del letto di Erianna invece che sospeso in aria, inclinò di lato la testa priva di volto. «Oh,» commentò sorpreso.
Ingrid scivolò già dalla scrivania e raggiunse il letto a terra. Si inginocchiò sulle coperte e si chinò su Caedric, studiandolo senza toccarlo, come un uccello curioso.
«Che cosa sei?» chiese Ingrid quasi dimenticandosi di richiudere la bocca alla fine.
Caedric incrociò le braccia al petto – anche se il gesto consistette più nel far sparire le braccia dentro al petto. «Sono un fuoco fatuo.»
Erianna si fermò un momento. La meraviglia di Ingrid era così pura e così profonda che avrebbe voluto poterla isolare e conservare per sempre in un barattolo sul comodino.
«Sei bellissimo» mormorò, allungando le parole in modo che avessero più significato. Protese una mano, il palmo rivolto all'insù, e Caedric vi salì sopra.
Il fuoco fatuo era senza peso, ma Ingrid mise una mano sotto l'altra mentre lo sollevava perché le loro teste fossero alla stessa altezza. Non aveva temperatura, ma consistenza simile ad albume.
«Grazie» rispose genuinamente Caedric, con una vena di sorpresa. Poi girò la testa verso Erianna. «Mi piace tanto» disse. «Che cos'è?»
«Non lo sappiamo» rispose Erianna mentre i due ricominciavano a rimirarsi. «Avanti!» aggiunse, prima che qualcuno bussasse.
La porta si aprì e un ragazzo dalla carnagione dorata e nerissimi capelli a spazzola apparve sulla soglia. Quasi un uomo, con una camicia lilla che era uscita dai pantaloni e la giacca sudata appesa ad un braccio. Aveva dei tratti orientali, ma non del tutto. Era indiano?
«Lo sai già?» esclamò entrando, gli occhi che brillavano. «Ehi, tu devi essere Ingrid.»
«Sì» risposero entrambe le ragazze.
«Lo so così bene che ho già preparato il borsone.»
«Il borsone? Piacere, Avan De Angelis, ambasciatore» tese la mano ad Ingrid e lei gli strinse il polso in silenzio.
«Pare che io e Caedric faremo un salto a Napoli, dato che tu non puoi.»
Avan si lasciò cadere sul letto. «Odio essere l'ambasciatore.»
«Tu ami essere l'ambasciatore» lo corresse la sorella.
«Tranne quando significa che non posso lasciare la città.»
«Io e Caedric ce la caveremo alla grande. Se Dea è lì la troveremo.»
Avan sospirò. Sperò che fosse vero. Che questo unico indizio non si rivelasse un vicolo cieco. Che per una volta questa storia potesse avere un risvolto diverso di lui che si ripresentava dagli arborei dopo un altro anno.
Erianna non aveva nessuna certezza da offrirgli, perciò non disse nulla. Si ritrovò invece a rispondere ai pensieri di Ingrid con un: «Sì, anche lui è adottato.»
«Pensi di prendere un treno umano? O il condotto arboreo?» chiese Avan.
«Qualunque dei due costi meno e parta prima. Caedric?»
Il fuoco fatuo fissò Ingrid qualche altro secondo, poi si dissolse con un sospiro.
oOo
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