Capitolo 8
~Diffidate delle persone che puzzano di perfezione, che la vita è fatta di sbagli e di ferite.~
Anna Magnani.
Il solito campanello suona e annncia la mia entrata, Carin si volta subito e, inaspettatamente, sorride.
Spontaneamente, faccio un piccolo sorriso di rimando, come se non volessi deluderla.
«Buonasera Josh, cosa le posso offrire questa sera?»
«Caffé, grazie Carin.»
La ragazza sorride e mi guarda.
«Chissà perché mi aspettavo questa risposta.»
Faccio un altro impercettibile sorriso, poi lei si volta per preparare il mio caffè, ed io mi perdo nei miei pensieri, totalmente. Quest'ultimi mi affogano. Chissà se a Jake sarebbe piaciuta questa bizzarra ragazza....ma cosa dico, a lui piacevano tutti, non c'era una persona con la quale non attacava bottone.
Non mi scorderò mai quel pomeriggio, in cui pur di parlare, iniziò a discutere con una vecchietta su quale fosse il modo migliore per cucire un buco.
Oppure, quella volta che lo trovai a parlare con un ubriaco a una festa, non importava se non l'avesse mai visto o se l'altro ragazzo non sarebbe ricordato nulla di quella sera. A Jake importava solo che qualcuno lo ascoltasse, gli piaceva raccontare strani aneddoti o parlare in generale.
Era ed è convinto che la parola possa curare molti mali, così parla, parla e parla ancora, finché la sua voce non chiede pietà, ed anche quando succede, lui continua a raccontare.
Come se non sopportasse il silenzio, perché a lui il silenzio pesa più di mille parole.
Così, ogni silenzio lui lo spezzava, anche dicendo la prima cavolata che gli passava per la mente.
Noi eravamo gli opposti. Lui riempiva i miei silenzi con parole che possono sembrare inutili, ma non lo sono, e io stavo in silenzio anche per lui.
Perché sapevo e so quanto lui odi dover stare in silenzio. Così, quando lui doveva stare zitto, alla fine lo facevo io, e quando dovevo parlare, parlava lui per me.
Perché noi eravamo così, riempivamo i "buchi" dell'altro con la cosa che ci veniva meglio. Ci bilanciavamo a vicenda, come due piatti di una bilancia.
Ora, però, la bilancia non solo non è più bilanciata, ma è anche caduta per terra.
Lui riuscirà a trovare qualcuno che rialzi la bilancia e lo aiuti a farla tornare al suo stato originario...io non ho molte speranze, anzi, non ne ho neanche una.
La cosa ironicamente divertente, è che prima ci tutto questo, a me piaceva moltissimo starmene per conto mio, da solo. Ora, non so cosa darei per tornare a quei momenti in cui Jake era con me.
Perché alla fine, era il mio migliore amico, anche se non sono mai stato capace di dimostrargli quanto gli volessi realmente bene...
«Terra chiama Josh. Ci sei?»
Carin mi distrae dai miei pensieri e in parte gliene sono grato.
Mi guarda e nei suoi occhi vedo un'ombra di preoccupazione.
«Ci sono. Scusa è che...non è periodo.»
Carin mi sorride e si gira.
Stranito, la guardo lavorare.
Dopo pochi secondi, si rigira e mi porge un bicchierino.
«Vodka. Quello che stasera ti serve. Offre la casa. Ora mettiti comodo e raccontami quali drammi da adolescente in crisi ti affliggono.»
«Non so se...»
«Dai Josh, raccontami qualcosa. È ormai un mese e mezzo che vieni e l'unica cosa che so di te è che ti piace il caffè.
So che non mi racconterai mai la tua vita per intero, ma voglio conoscere almeno le briciole di quello che sei.
Forse, anche perché sei la prima persona che non mi considera una stronza solo perché sono tremendamente schietta. Forse, perché il nostro rapporto potrebbe definirsi l'ombra di un'amicizia. La prima che avrei dopo tanti tempo, o almeno, la prima amicizia sincera e non quelle false basate su compiti e lavori di gruppo.
Come puoi aver inteso, ho i miei problemi anch'io, sono un'adolescente problematica anch'io. Per cui, perché non puoi dirmi anche solo qualcosina di te. In fondo, cos'hai da perdere?»
La guardo interdetto. Ho sinceramente paura ad aprirmi con qualcuno, però, in fondo ha ragione, non ho nulla da perdere e un'amica non mi dispiacerebbe averla. Ho bisogno di qualcuno che non mi faccia affondare nel baratro che mi porto perennemente dietro.
So che questa concezione di amicizia può essere egoista, però, non so...in cambio posso dare qualcosa.
Per esempio, se mi lego particolarmente, posso suonare qualcosa per la persona prescelta.
So che non è molto...infatti ho sempre capito chi si è rifiutato di avere a che fare con me.
Non sono mai stato così tanto interessante, o anche solo importante.
Sono sempre stato quel tipo di persona che se incontri per strada, non attira la tua attenzione. Sono troppo monotono, insignificante.
Mi rendo conto dopo qualche minuto di essermi perso di nuovo nei miei pensieri e di aver lasciato in sospeso Carin che mi guarda speranzosa di sapere qualcosa di me.
«Cosa posso dire...non sono mai stato una persona molto interessante...vivo con mia madre e le mie due sorelle. Sono tutte e tre delle vere rompipalle, non fanno altro che volermi cercare la ragazza e importunarmi. Poi le mie sorelle essendo gemelle, si fanno man forte l'una con l'altra e mia madre non si tira mai indietro.
Vivo in un covo di matti.
Non sono mai stato un ragazzo molto espansivo o solare, ho sempre preferito starmene sulle mie, però, ho avuto un amico.
L'ho perso dopo una cazzata un mese fa. Era il mio migliore amico, l'unico che mi avesse mai sostenuto in tutto e capito, l'unico con cui io abbia avuto il coraggio di condividere il mio amore per la musica.
Ho sempre odiato la colonna sonora dei Plrati dei Caraibi, eppure quando lo sentivo arrivare e salire le scale per entrare in camera mia, mi facevo sempre trovare a suonarla.
Non sono mai stato bravo a dimostrare affetto, sono sempre sembrato apatico, e forse lo sono un po'. Ma mi pento in una maniera allucinante di non esser riuscito a dirgli quanto gli volessi bene, o quanto gli voglia bene visto che non è cambiato assolutamente nulla, però non sono mai riuscito.
Non ho mai confessato a quel bambino che mi faceva sentire speciale, quanto per me sia come l'ossigeno.
So che sembra esagerato, e so che sembra che io sia innamorato perso o cose così, ma è il mio migliore amico, è colui con cui sono cresciuto, colui per cui non ho mai sofferto realmente di solitudine, nonostante il fatto che gli altri bambini, e poi gli altri adolescenti, mi schifassero.
Grazie a Jake riesco a dire di aver conosciuto la parola amicizia, quella vera, che non ha bisogno di parole buttate al vento, ma di gesti ed io nel mio piccolo spero di averne fatti abbastanza da farlo passare sopra alla cazzata più grande della mia vita.
Però, visto come si comporta ora, nonostante sia passato più di un mese, la vedo dura.
Questo sono io.
Sono Josh, un ragazzo solo.
Sono Josh il misterioso.
Sono Josh lo sfigato.
Sono Josh quello da cui stare lontani.
Sono Josh e faccio paura a tutti.
Sono Josh e di tutto quello che si dice di me nella mia scuola, non c'è assolutamente nulla di giusto.
Sono Josh e vorrei soltanto essere capace di dimostare affetto.
Sono Josh e per una volta nella mia vita vorrei sentirmi normale.
Perché tutti gli altri sono così perfetti, così normali, così semplici. Poi ci sono io, che qualsiasi cosa faccia non è mai abbastanza, perché non ne faccio una giusta.
Questo sono io.
Non sono un granché, anzi.»
Solo quando ho finito il fiato, mi rendo conto di aver parlato di me per più di dieci minuti. Sono stupito da me stesso. Non pensavo di avere tanto da dire.
Mi sento bene...come se avessi un peso in meno.
Spalanco gli occhi quando realizzo una cosa.
Butto giù velocemente il bicchierino di Vodka, ignorando il bruciore in gola, e scendo altrettanto velocemente dallo sgabello.
Carin mi guarda, nel suo sguardo leggo confusione ma anche felicità.
Non mi curo di spiegarle cos'ho detto, raccolgo le mie cose e mi fiondo fuori dalla porta.
Ora so cosa fare e come farlo, ma ancora più importante, so di poterlo fare.
Fu così che in quel bar di periferia rimase soltanto la ragazza, confusa per quest'uscita fulminea, ma felice per aver scoperto qualcosa del ragazzo misterioso che le fa compagnia ogni venerdì.
Non è rimasta stupita dalla quantità di cose che aveva da dire, aveva sempre pensato che le persone più silenziose fossero quelle con più cose da dire, dovevano trovare il coraggio di dirle.
Rimase stupita, invece, dalla leggerezza e dalla facilità con cui il ragazzo aveva pronunciato parole così significative, come se non si rendesse neache conto di star parlando.
Rimase stupita di quei piccoli sorrisi che gli aveva visto fare.
Già da quando era entrato dalla porta la prima volta, Carin aveva avuto l'impressione che sarebbe stato qualcuno di importante per lei.
Così, dopo un paio di minuti di realizzazione, l'unica cosa che la ragazza riuscí a dire di tutto quello che aveva in testa fu: «Wow.»
A dimostrazione del fatto che a volte non bastano le parole per poter esprimere quello che si pensa.
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