Capitolo 2

~Quando sentiamo il bisogno di un abbraccio, dobbiamo correre il rischio di chiederlo.~
Emily Dickinson.

Ero felice di essere finalmente arrivato a casa, fin quando mia sorella Arya e la sua gemella non hanno iniziato a parlarmi di fidanzate e relazioni.

«...Ecco perché secondo noi è arrivato il momento che tu ti trovi una ragazza.»

Tengo lo sguardo fisso e continuo a giocare con il cibo, sperando che così capiscano che non voglio parlarne.

Ma a quanto pare il messaggio non arriva.

«Josh? Ci hai ascoltate? Noi abbiamo già stilato una lista di ragazze.»

«Non vi ho ascoltate e non voglio neanche leggere questa lista. Lasciatemi in pace.»

«Ma noi...»

«Non mi interessa, ragazze.»

«Ma tu...»

«Smettetela. Io sto bene così.»

Mi alzo dalla sedia, trascinandola, e vado in camera mia.

Ora l'unica cosa che voglio fare è suonare e lo faccio.

Mi siedo davanti al pianoforte e inizio a suonare, mi immergo nelle note, mi lascio trasportare, quasi respiro le note, perché questo è il mio ossigeno. Questo è il mio modo di scappare.
Questa è la sola cosa veramente mia, che mi rende speciale, perché per il resto, io non mi sento speciale.

Mi sento più un fantasma che cammina, un'anima troppo banale per essere presa sul serio, ma anche troppo complessa per essere capita.

Forse, anzi, sicuramente sono io che sbaglio a comportarmi così duramente con chiunque, sono io quello che non sa gestire le emozioni.
Sono io quello strano, ma la realtà che nessuno vede è che sono bloccato dalla paura.

La mia timidezza, la mia voglia di scappare il più lontano possibile dalle persone, la mia chiusura verso la gente è semplicemente il frutto di una paura talmente annodata nel mio animo, da influenzare completamente ogni mia scelta.

La paura dell'abbandono.

Non è una cosa dovuta da qualche trauma passato, semplicemente ho paura che le persone si rendano conto che dentro mi sento vuoto. Nonostante tutte le parole che mi affollano la mente e che non ho mai detto.

Ho paura che le persone si rendano conto che non sono così speciale, così importante da meritare il loro tempo.

Così, mi sono chiuso in me stesso, mi sono costruito una corazza che solo Jake è riuscito a oltrepassare, per ora.

I pensieri mi vorticano nella testa e più si fanno assillanti, più la velocità delle note aumenta, arrivo anche ad inciampare tra le mie stesse dita per la fretta. La melodia si fa sempre più scomposta.

La musica mi rappresenta, riverso il lei tutto ciò che non ho il coraggio di dire o di mostrare.

In questa melodia ho riversato la tempesta che c'è in me.

La battaglia sempre presente tra la mia paura, la mia timidezza e la voglia di sentirmi normale, per una volta.

I miei pensieri si placano, così, l'ultima nota si diffonde nella stanza.

Una sola, coraggiosa, lacrima mi scappa dagli occhi e percorre tutto l'arduo percorso fino al mio mento, poi cade sui tasti del pianoforte.

Io la lascio scendere, me la lascio sfuggire.

Perché questa mi basta, perché voglio che solo lei sia testimone di questo momento.

Abbasso lo sguardo dove la lacrima è caduta.

Poi, in un moto di coraggio, agguanto il cellulare, faccio il numero di Jake e spero che mi risponda.

Perché ora, forse lo ammetto per la prima volta, ma ho bisogno del mio migliore amico. Non so perché quel
discorso mi abbia destabilizzato così tanto, ma so che ho bisogno di tornare indietro nel tempo, di rivivere uno di quei tanti pomeriggi passati a suonare mentre lui mi ascoltava in silenzio.

Mi tremano le dita per l'agitazione, ma a un certo punto mi rendo conto di una cosa.

Ha già squillato sei volte.
Jake risponde sempre dopo il terzo.

Non mi risponderà, non ora, ma è in questo momento che io ho bisogno di lui.

Così, faccio una pazzia, esco fuori di casa e mi dirigo al campetto dove so che è.

Quando arrivo, il mio sguardo lo trova subito, ma, per un qualche motivo, quando dovrei iniziare ad avvicinarmi non lo faccio, anzi, indietreggio e scappo via.

Inizio a girovagare senza una meta tra le persone.

A un certo punto, mi squilla il cellulare, io metto giù senza neanche guardare chi sia, poi spengo il cellulare. Non voglio parlare.

Mi siedo su una panchina e guardo le macchine e le persone passare.

Chissà se prima o poi riuscirò a non sentirmi solo anche quando sono in mezzo alla gente...

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