2. Di nuovo a Londra
Harry era atterrato di nuovo a Londra per la promozione del suo album, dopo un breve passaggio nella capitale quindici giorni prima. La sua carriera come cantante era partita da lì e gli sembrava giusto che il suo quinto album iniziasse il suo cammino proprio in quella città.
«Harry, vuoi andare a casa tua, oppure da Aaron e Cecilia? Sono arrivati ieri...»
«A casa, Patrick, li vedrò domani. Dopo li avviso che sono atterrato. Oh, mi ero scordato, com'è andato l'incontro con il gestore del Dreams?»
«Tutto alla perfezione, sarà a tua disposizione fino dal pomeriggio.»
«Perfetto. Poi ti mando le indicazioni per il buffet.»
«Certo, Harry, non devi preoccuparti anche di questo. Pensa solo all'uscita del singolo...»
Il cantante sospirò. Il singolo. Era un buon sound, tutto l'album lo era. E allora perché aveva questo senso di nausea alla bocca dello stomaco? Guardò la città apparire piano davanti ai suoi occhi. Era quasi sera e Londra brillava, specchiandosi nel Tamigi. Quella città era un po' dolce e un po' amara per lui. Non ci viveva veramente da quando aveva diciassette anni. Diventare una superstar da giovanissimo l'aveva portato a viaggiare per tutto il mondo e poi a stabilirsi di fatto a Los Angeles, dove aveva fondato la sua etichetta discografica.
Da alcuni anni aveva però acquistato una proprietà nel quartiere di Notting Hill, lontano dalla zona più frequentata dai turisti, ma che affacciava su uno dei tanti canali del Tamigi. Era una villetta a un piano circondata dal verde, nel bel mezzo del quartiere. Apparteneva a una coppia di canadesi e Harry l'aveva adorata da subito, anche se c'era stato praticamente solo due volte.
«Ho fatto pulire l'appartamento e riempire la dispensa con prodotti biologici» disse Patrick «Inoltre abbiamo già portato lì Neon.»
«Oh, e come sta?» chiese Harry. Neon era la sua gatta, gliela aveva regalata Vivienne, la sua manager, per il venticinquesimo compleanno e quella povera bestiola aveva già fatto troppi viaggi. Però non poteva lasciarla a Los Angeles e inoltre si sentiva solo. Da quando anche la sua ultima relazione era naufragata alcuni mesi prima, sentiva sempre di più il peso di questa vita dorata. Anche al suo amico Aaron era successo, ma per fortuna lungo la sua strada era comparsa Cecilia e Harry provava sempre un po' d'invidia per la loro storia d'amore. Voleva anche lui avere un qualcosa di simile, ma sembrava impossibile. Era troppo famoso, molto più di Aaron, e i giornali lo braccavano come se fosse stato un animale da macello. Ogni sua scelta era passata sotto la lente di ingrandimento dei media.
La voce di Patrick lo riscosse da quei pensieri. «Bene direi, ha superato alla grande la quarantena e adesso è a casa.»
«Grazie Patrick, veramente.»
«Ehi, superstar, non devi ringraziarmi, in parte perché mi paghi e poi perché ti voglio bene, anche se sei un rompiballe. Quando ti ho conosciuto eri un soldo di cacio e chi l'avrebbe detto che saresti diventato alto oltre un metro e ottanta.»
Harry ridacchiò. Effettivamente da adolescente era bassino, poi lo sviluppo era arrivato tutto insieme e adesso era un gran bell'uomo, modestie a parte.
«Sono felice che tu mi abbia seguito in America.»
«Anch'io, e poi lì ho conosciuto mia moglie» sorrise l'uomo dallo specchietto retrovisore del SUV nero su cui stavano viaggiando.
«I media sanno che sono arrivato?»
«Non ancora, con i PR abbiamo attuato un depistaggio, ma da domani sapranno che sei qui. Mi raccomando, niente alzate di testa tu e quell'altro campione. Sempre una guardia del corpo ciascuno con voi. Due, se c'è anche Cecilia.»
«Sì» sbuffò Harry.
«Davvero, non potete fare sempre come vi pare e creare panico in mezzo mondo.»
«Ma siamo solo andati in un parco divertimenti.»
Patrick scosse la testa, ricordando quando i due amici erano andati con le rispettive ragazze a Orlando in Florida, senza avvisare nessuno, e praticamente avevano bloccato il parco della Disney.
«Certe cose vanno concordate con i manager, lo sai. Dai, Harry, sei nel settore da troppo tempo per poter pensare di condurre una vita del tutto normale. Quanti followers hai su twitter?»
«Ho perso il conto.»
«Ecco! Oh, siamo arrivati» concluse Patrick aprendo il cancello automatico della proprietà di Harry ed entrando nel vialetto.
«Buonanotte superstar!»
«Notte, Patrick.»
~
Harry varcò il portone di casa e un silenzio surreale lo avvolse. Le luci si accendevano automaticamente al suo passaggio, ma questo gli dava un ulteriore senso di inquietudine.
Era quasi in salotto quando vide Neon stiracchiarsi. Sembrava a suo agio in quella villa enorme e per niente intimorita dal nuovo ambiente. «Ehi, piccola!» disse con tono affettuoso, mentre la bestiola si avvicinava inarcando la schiena e strusciandosi a lui per mostrargli la sua contentezza nel rivederlo. Harry la sollevò da terra e la accarezzò con dolcezza portandola al petto, ricevendo fusa e versetti di apprezzamento.
«Hai fame?» le parlava come si fa con un bambino ed era felice che fosse lì con lui. Si diresse in cucina e prese i croccantini dalla dispensa. Neon miagolò ma non sembrava affamata, sicuramente era già stata nutrita a sufficienza. La posò a terra con il cibo e ritornò sui suoi passi per prendere le valigie e andare in camera per farsi una doccia. Si guardò intorno. La villa era molto bella, piena di oggetti di design e altri vintage. Aveva scelto ogni pezzo, anche se a distanza. Forse abitando lì sarebbe riuscito a sentirla casa sua, come faceva con l'appartamento di LA. Non era neanche arrivato in camera che il cellulare prese a vibrare. Guardò il nome sul display e un sorriso si dipinse sul suo volto.
«Nathan!»
«So come mi chiamo, grazie, Williams! Sei arrivato?»
«Ci puoi scommettere!»
«E quando vieni in trasmissione da me?»
«Uhm, non so, sicuramente dopo il lancio del singolo.»
«Il giorno dopo?»
«Neanche morto, tu trasmetti all'alba, amico.»
L'uomo dall'altra parte del telefono rise. «Non dirlo a me. Il giorno dopo ancora, e non sparare altre cazzate, che me lo devi. Quando mi ricapita di poterti intervistare in diretta e non via streaming dall'altra parte dell'oceano?»
«Va bene, ma non ti porterò di nuovo il caffè. L'ultima volta mi hai fatto fare una figura di merda...»
«Non è colpa mia se sei una giraffa dalle gambe lunghe e non sai camminare... E poi la ragazza non ti ha richiamato per la lavanderia, un autografo o, che ne so, una querela per bruciature permanenti?»
«No, no e no.»
«Strano...»
«Sì è stato strano.» Harry aveva pensato molto a quell'episodio di due settimane prima, quando era venuto a Londra per quarantotto ore, per alcune incombenze per il nuovo album. Anche se era di fretta, aveva deciso di incontrare Nathan, uno dei pochi amici che aveva ancora a Londra, e lui gli aveva chiesto del caffè, visto che lavorava alla radio e aveva sempre il programma del primo mattino. Dopo aver preso il caffè da uno Starbucks aveva deciso di passare per Hyde Park, perché gli ricordava dei momenti felici della sua infanzia, e lì si era distratto e aveva versato le bevande su una ragazza. La sua reazione l'aveva colpito più del suo aspetto. Era triste, preoccupata e sembrava terrorizzata da lui. Eppure era stato gentile. Cioè, non a versarle il caffè addosso, ma insomma, dopo. Però lei era scappata e non si era fatta più sentire, nonostante le avesse dato il suo biglietto da visita privato. Pessima mossa che i manager avevano subito criticato attendendosi una catastrofe coi media o sui social, ma non era successo. La ragazza era sparita nel nulla.
«Ehi, ti sei addormentato?»
«Spiritoso come sempre. Ci sono, scusa se sono arrivato ora da Los Angeles dopo dodici ore di volo e il jet lag mi sta uccidendo, eh?»
«Okay, ti lascio riposare. Ci sentiamo in questi giorni.»
«Vieni giovedì al lancio del disco, vero?»
«Certo, superstar, non me lo perderei per niente al mondo e per favore non propinarci solo antipasti vegani, sì?»
«Vaffanculo. La carne ti ucciderà prima o poi.»
«Probabile. Cambiando discorso, volevo chiederti se mi puoi mandare un altro invito per il mio tecnico del suono? Il suo compagno lavora al ristorante in cui ci sarà l'evento, ti ricordi il personal trainer pachistano che mi ha rimesso in forma?»
Nathan aveva perso diversi chili in quei mesi e Harry annuì di riflesso, anche se sapeva che l'amico non poteva vederlo. «Sì, ma che c'entra?»
«Il mio personal trainer è Al, il compagno di Sven, il mio tecnico del suono. Oltre a quello, fa il cameriere al Dreams e canta. Potresti fargli un provino. Non ti mancava un Open Art per il tuo prossimo tour?»
«Okay, ci penserò. Per il provino, intendo. L'invito te lo mando domani in radio. Notte, Nate...»
«Notte, superstar e bentornato a casa!»
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