1. Inganno Gitano
Ares
«E... full!» il mio sfidante, da uno strano accento francese, poggiò le carte scoperte sul tavolo con evidente soddisfazione. Alzai lo sguardo verso mio fratello Paco che, contrariato, scuoteva il capo e mi fissava a braccia incrociate.
Sbuffai. «D'accordo amico, hai vinto» dissi, passandomi la lingua tra le labbra e tirando fuori le banconote. «Sono tue.» mi alzai soddisfatto e mi stiracchiai, facendo cenno a mio fratello di uscire da quella camera impregnata di fumo e sudore. L'odore era talmente sgradevole che avrei potuto vomitare da un momento all'altro. Uscimmo in silenzio, ero parecchio pensieroso e sapevo che da un momento all'altro avrei ricevuto una strigliata da parte di mio fratello. Peccato che non ne ebbe il tempo. «Corri!» lo presi dal polso e iniziai a correre senza una meta mentre lui, confuso, urlava qualcosa che non riuscivo a comprendere granché bene. Ci fermammo ansanti in un vicolo buio, il retro di un ristorante che aveva appena chiuso. Feci una smorfia. Era decisamente la serata dei cattivi odori, ci eravamo fermati vicino a un bidone dell'immondizia.
Paco non riusciva a parlare. Era piegato in due, con le mani appoggiati alle ginocchia cercando di riprendere fiato. Scoppiai a ridere. «Si può sapere che cazzo ridi?» sfiatò, appoggiandosi alla parete.
Accesi una sigaretta. «Gli ho dato dei soldi falsi. Me li aveva dati Aròn e dovevo solo trovare lo stronzo a cui scaricarli.»
Alzò gli occhi al cielo. «Ecco perché hai insistito per giocare a poker stasera. Tu, che non hai mai preso un mazzo di carte. E se questo ci trovasse?» mi guardò di traverso.
Alzai le spalle. «E come? Non sa che lavoriamo alle giostre e tra meno di un mese saremo abbastanza lontani da qui. Rilassati, non succederà nulla.» cominciai a incamminarmi verso il luna park, intenzionato a raggiungere la nostra dimora.
Mi raggiunse. «A volte sembro io il fratello maggiore...» sussurrò, ridendo poi con gusto.
Ero un danno. Non che la cosa mi pesasse molto. Sapevo di essere un danno e la cosa mi andava più che bene. Noi gitani avevamo la fama di essere ingannatori seriali. Era vero, ma raramente usavo questa nostra dote naturale. Alzai lo sguardo verso il cielo e i miei occhi si incupirono. Era piena. Odiavo quando quel dannato satellite si mostrasse in tutto il suo splendore. La luna piena non portava mai a nulla di buono. Rincasammo nel silenzio della notte, con le giostre spente. Quella sera non avevamo aperto a causa del maltempo, non ci sarebbe stato granché lavoro. lLavisione era completamente diversa da quella di quando eravamo aperti. Le giostre, che solitamente pulsavano di colori e luci vivaci, erano ora silenziose e spente. Le ruote della grande ruota panoramica erano ferme, avvolte in una rete di ruggine e polvere, i colori brillanti dei suoi cavi di illuminazione erano ridotti a un pallido ricordo sotto la luce della luna.
Le montagne russe, con le loro curve sinuose e i vagoni in attesa di essere riempiti, sembravano scheletri di un tempo passato, le barre di sicurezza arrugginite e le strutture metalliche screpolate sembravano gridare un silenzio inquietante.
Il silenzio era interrotto solo dal crepitio occasionale di un cartellone pubblicitario che ondeggiava, spostato dalla brezza leggera, e dal rumore dei nostri passi. Senza il clamore e la vivacità della giornata, il parco era diventato un luogo desolato, un'enorme carcassa che sembrava attendere pazientemente il ritorno della vita.
«Ehi, al sud hanno ucciso un altro dei nostri!» mio fratello, con gli occhi puntati sullo schermo, quasi non vide il gradino per accedere a casa nostra. Fermai la sua caduta con il braccio. «Grazie.» sistemò gli occhiali sul naso. «Credi sia stata una lite di famiglia?»
Mi buttai sul divano. «Che cosa?»
Sbuffò. «Il ragazzo morto, Ares» mormorò, «a volte mi chiedo se mi ascolti.»
Accesi una sigaretta. «Non lo so, ma perché te ne preoccupi? È un collega giostraio?» scosse il capo. «E allora neanche lo conoscevi, certo dispiace sentire queste brutte notizie, ma nessuno verrà a ucciderci domani.»
Si sdraiò al mio fianco. «Che insensibile del cazzo.» non risposi. Nessuno sarebbe venuto a ucciderci, nessuno ci avrebbe fatto del male. Non più, almeno. Percepii un brivido lungo la schiena.
«Conosci qualche brava cartomante?» lo guardai serio e lui aggrottò la fronte.
«Che devi fare? Tu non credi alle carte.»
Era vero. Ma sapevo che lui era ancora piede libero e, per quanto non ci pensassi, il pensiero mi tormentava. «Solo curiosità» mentii. Gli avevo nascosto tutta la verità per molti anni e, di certo, non era il momento giusto per sapere com'era morta nostra madre.
Laia
Adoravo l'aria che si respirava dopo la pioggia. Quel leggero freschetto autunnale che accarezzava la pelle, quel profumo che associavo all'arrivo di settembre, a quel mese dove tutto ricominciava in loop e la vita si riprendeva dal punto in cui l'avevi lasciata. Che meraviglia, l'autunno. Lo vedevo come una sorta di rinascita, salutare il vecchio per dare spazio al nuovo nell'attesa della primavera. Ero seduta davanti alla mia piccola roulotte. Osservavo mia sorella Selene che giocava con i nostri piccoli vicini imbrattandosi nel fango. La lasciavo fare. Per i bambini era divertente sporcarsi. A differenza di molte famiglie gitane, noi ci spostavamo a gruppetto. Viaggiavamo da anni con le stesse persone, condividendo con loro gioie, dolori e tragedie. Erano diventati la mia famiglia. Sorrisi quando notai Kalo sedersi al mio fianco. «Ciao, occhi belli.» mi chiamava così per il mio colore degli occhi molto particolare. Erano verde smeraldo, così intensi da sembrare finti. Avevo ereditato il colore dalla mia bisnonna, eravamo le uniche persone ad avere questa particolarità tra i gitani che giravano in Spagna. Da molti, i miei venivano chiamati "occhi maligni", proprio a causa del colore che rendeva il nostro sguardo misterioso e felino.
«Kalo...» sussurrai, appoggiandomi alla sua spalla. Lui mi ricordava tanto il mio papà. Se non avessi la certezza, avrei pensato che loro fossero fratelli separati dalla nascita. Kalo era tutto per me. Aveva preso il ruolo di mio padre quando lui era diventato figlio della luna. Non si era mai sposato, Kalo. Aveva avuto una relazione con una donna sposata, il marito di lei possedeva una ditta di giostre, proprio come la famiglia di Kalo. Quando vennero scoperti, lo scandalo fu talmente tanto che i genitori del mio caro amico decisero di vendere tutte le attrazioni in loro possesso e si ritirarono. Il padre di Kalo non lo perdonò mai per questo. Il mio vecchio amico non riuscì mai più a innamorarsi.
Mi baciò la fronte, accarezzandomi i ricci con dolcezza. «Stai bene, stellina mia? Ti vedo parecchio pensierosa.»
Sospirai. «Lo sono, infatti. Selene cresce a vista d'occhio e i costi per mantenerla sembrano non bastare mai. Non voglio che lei si senta meno degli altri suoi coetanei solo perché siamo rimaste senza famiglia.» storsi le labbra.
«Ma voi avete una famiglia» mi sorrise, prendendomi la mano, «quando la tua cara bisnonna Esmeralda ci ha lasciati, mia cognata Carmen ha promesso di prendersi cura di voi. Per noi gitani le promesse sono sacre tanto quanto viaggiare»
Accennai un sorriso. «Devo farcela da sola, però. Non posso sempre contare sul vostro aiuto.» sapevo che non sarei mai stata un peso, ma non volevo assolutamente creare problemi o preoccupazioni anche alle persone che mi giravano intorno. Dovetti interrompere la conversazione, perché il telefono che usavo per lavoro squillò per una chiamata. Facevo la cartomante di mestiere, non che mi portasse chissà quali guadagni, ma in Spagna ero molto conosciuta e avevo clienti fissi in ogni posto in cui alloggiavamo per un periodo di tempo. Ciò mi permetteva di vivere bene. Sicuramente non nel lusso, ma avevamo quanto bastava per vivere in maniera dignitosa.
Afferrai il cellulare e lo portai all'orecchio. «Ciao, sono Laia, con chi parlo?» mi riempii un bicchiere con dell'acqua fresca.
Seguì un secondo di silenzio, poi la persona dall'altro lato si schiarì la voce. «Ciao, sono Paco. Volevo sapere se fosse possibile avere un consulto nel pomeriggio.»
«Dammi un secondo» presi l'agenda e controllai quanto lavoro ci fosse per quella giornata. Avevo lavorato parecchio la mattina e mi stavo riposando fino alle 16:00 per ricominciare. Nel pomeriggio avevo sicuramente meno lavoro. «Certo, ma posso raggiungerti prima del tramonto, intorno alle 19:00.»
«Mi sembra perfetto, puoi segnarmi.»
Sorrisi. Un consulto in più significava soldi in più. Non mi sembrava affatto male. «Dove devo venire?»
«Al luna park in periferia. Mi farò trovare davanti all'ingresso perché ci sono parecchie carovane.»
Lo salutai e riattaccai, aggrottando la fronte. Un gitano chiedeva il mio aiuto, questo sì che era parecchio interessante.
~Spazio autrice~
Buonasera, tesori! Come state? Sono tornata con una nuova storia e questa volta giuro di essere costanti. Ci ho lavorato parecchio alla trama, ne vedrete delle belle.
Ringrazio ManuelaFlore per essere stata un'ispirazione per "figlio della luna". Carovana è sempre con me.
Alla prossima ❤️
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