Capitolo 1
La porta del bar si aprì producendo uno scricchiolio per niente rassicurante, un individuo a dir poco losco uscì dal suo interno trascinando i piedi e barcollando leggermente, era sicuramente ubriaco.
I vetri quadrati, che un tempo sicuramente erano stati di un bel verde smeraldo, erano talmente macchiati da non lasciar intravedere l'interno del locale e la vernice scrostata della porta metteva in bella vista il legno scadente di cui era fatta.
Dall'interno proveniva un insieme di voci confuse, tintinnio di bottiglie vuote e sedie trascinate sul pavimento; l'odore poi non era dei migliori, sudore e alcol si percepivano anche alla distanza di diversi metri.
"Il posto ideale per passare inosservati" mormorò la ragazza fra sè e sè, tirando il cappuccio per coprire ancora di più il proprio viso.
Musutafu era una bella città posizionata vicino Tokio, sede della scuola numero 1 per Eroi di tutto il Giappone: il Liceo Yuei.
Chiunque possedesse un quirk abbastanza potente poteva tentare il test d'ammissione.
All'ingresso dell'edificio, c'era un muro di sicurezza soprannominato "UA Barrier" che si chiudeva automaticamente se una persona non aveva una carta di identità dello studente o un ID di permesso di ingresso speciale. Molte precauzioni erano state prese per tenere fuori i membri della stampa e i Villains.
Gli studenti erano separati in base alle loro abilità in specifici dipartimenti e classi: il dipartimento eroismo - le classi A e B - dove gli studenti imparavano tutto ciò che avevano bisogno di sapere per diventare eccellenti Eroi al servizio della comunità e lavorare per le qualifiche necessarie per poter usare i loro Quirk negli spazi pubblici; la sezione ordinaria - le classi C, D ed E - , gli studenti che non erano tagliati per il dipartimento degli eroi erano inclusi in questo reparto. Vantava una formazione di alto livello con ottimi insegnanti. La sezione ordinaria sosteneva gli studenti che miravano al college e ad altre attività. Era anche possibile che gli studenti con voti eccezionali venissero trasferiti al dipartimento degli Eroi; la sezione support - le classi F, G ed H - , gli studenti di questo dipartimento si concentravano sullo sviluppo di attrezzature di supporto che aiutavano gli Eroi sul campo di battaglia. Con un'area di lavoro rifornita con tutti i tipi di strumenti esecutivi, il dipartimento offriva un ambiente creativo senza pari; la sezione management - le classi I, J e K - , questo dipartimento si concentrava su tutti gli aspetti del business eroico, dalla fondazione e gestione di agenzie di Eroi agli eroi produttori esecutivi.
Insomma, un posto in cui lei non si sarebbe mai sognata di entrare.
Si avvicinò alla porta del bar e, aprendola con un calcio, fece voltare praticamente tutta la clientela - se così si può definire un insieme di persone ubriache, barboni e malfattori - che un secondo dopo tornò ad ignorarla.
Si sedette al bancone, guardando truce il barista, un ragazzo sulla trentina che la osservava incuriosito. Di certo non poteva dargli torto, una ragazza incappucciata con una maschera scura che le copriva naso e bocca non si vedeva tutti i giorni.
"Cosa ti servo?" chiese, puntando insistentemente lo sguardo sulla scollatura triangolare del suo costume di pelle nera che si allacciava intorno al collo, in continuità con la maschera.
"Sto aspettando qualcuno" rispose secca, sperando che leggesse fra le righe la sua richiesta silenziosa di essere lasciata in pace.
L'interno del locale era anche peggio dell'esterno, bottiglie senza etichetta dal contenuto sconosciuto, tavoli traballanti e assi del pavimento ormai marce facevano già capire tutto della gente che poteva frequentarlo.
"Ehi, principessa. Perché non andiamo nel retro a divertirci un po', magari puoi anche mostrarmi il tuo bel viso senza quella maschera. Anche se credo che la mia attenzione potrebbe essere catturata da qualcos'altro"
L'uomo che aveva parlato era uno dei soliti criminali che si credevano forti solo perché erano ricoperti da piercing e tatuaggi.
I suoi occhi le attraversarono tutto il corpo, dagli stivali alti ai guanti senza dita rafforzati con delle placche in titanio sulle nocche.
E dire che si era ripromessa di non attirare l'attenzione.
Attivò il suo quirk senza neanche pensarci, il suo corpo scomparve per una frazione di secondo per poi ritrovarsi in piedi sopra il bancone con la punta dello stivale destro piantata sulla nuca dell'uomo, che si ritrovò con la fronte premuta contro un bicchiere di whisky che era appena andato in frantumi con uno schiocco.
Nel locale calò nuovamente il silenzio, lei passò il suo sguardo cremisi sul viso di ogni cliente mentre con nonchalance si accarezzava la treccia candida che le ricadeva sulla spalla sinistra, come se non ci fosse la testa di un uomo sotto la propria scarpa e non fosse in uno dei posti più malfamati della città.
"E voi che avete da guardare? Vi avverto, la mia pazienza è terminata da un bel pezzo" esclamò alzando il mento allo stesso modo in cui ci si rivolge a degli esseri insignificanti.
"È proprio vero che il tempo cambia le persone"
Una voce familiare la fece voltare verso l'ingresso del bar, con un sorriso lasciò andare l'uomo, che si rialzò tramortito mentre un rivolo di sangue gli scendeva dalla fronte e lungo il naso, e raggiunse il nuovo arrivato.
"Potrei dire lo stesso, Dabi"
Era cresciuto, anche molto, ma la sua corporatura magra e un po' snella era sempre la stessa. I capelli neri, lunghi e dritti, pendevano verso il basso sugli occhi sottili, di colore turchese e con le palpebre prennemente cadenti.
Le sue caratteristiche più evidenti, tuttavia, erano senza dubbio le ampie cicatrici violastre che gli ricoprivano la parte inferiore del viso e del collo, fino in fondo oltre la clavicola, sotto gli occhi e su braccia e gambe; queste sembravano essere attaccate al resto della sua pelle chiara da graffette o punti chirurgici. (Nome) si chiese se fosse stato lui stesso a procurarsele di proposito.
Aveva diversi piercing d'argento alla cartilagine su entrambe le orecchie e un triplo piercing sulla narice, sul lato destro del naso. Indossava una giacca blu scuro con un colletto alto e strappato, e pantaloni abbinati, tagliati sopra le caviglie, con un paio di scure scarpe eleganti.
La ragazza scese dal bancone e si piazzò di fronte a Dabi con le braccia incrociate.
"Lo sai che odio aspettare, panda"
Un lieve sorriso cancellò dal suo viso la solita espressione apatica.
"Ancora con quel nomignolo, Akane?"
Il ragazzo spesso la chiamava con quel soprannome, tutto ciò a causa del colore dei suoi occhi, quella parola significava infatti 'rosso brillante'.
Le posò una mano sulla testa, come era solito fare quando erano piccoli - visto che lei era sempre stata più bassa di lui - e non poté trattenersi dal pensare che con il passare degli anni si era fatta sempre più bella.
E non parlava solo del suo corpo; gli zigomi alti, gli occhi grandi e splendenti come rubini, la chioma sottile e bianca come la neve: era impossibile non guardarla.
Dabi si avvicinò al bancone e, dopo aver schioccato uno sguardo inespressivo al barista, ordinò da bere. (Nome) rimase ferma sulla soglia della porta, non vedeva l'ora di lasciare quel posto, ma decise di aspettare che il suo amico finisse di bere. Lui era l'unico per cui avrebbe fatto una cosa del genere, perché lei, (Nome) (Cognome), non avrebbe mai sprecato il suo tempo per nessun'altro.
Si erano conosciuti quando Dabi viveva ancora con la sua famiglia - i Todoroki - ; non era raro che lui, dopo gli estenuanti allenamenti con il padre scappasse di casa, ferito e distrutto. Fu durante una di quelle fughe che (Nome) e Dabi si conobbero.
Era una notte limpida, il cielo era trapuntato di stelle e un lieve venticello faceva svolazzare i sottili capelli di (Nome) lasciati sciolti.
Lei amava godersi la tranquillità del parco di notte e, anche se aveva solo dieci anni, sua madre la lasciava libera di andare dove voleva.
'Il tuo quirk ti proteggerà sempre' le ripeteva.
Le aveva sempre permesso di affrontare il mondo da sola, ma per qualunque problema sua madre c'era sempre per lei.
Ma fu in quella particolare sera che (Nome) notò un ragazzo seduto sotto il suo ciliegio preferito, aveva braccia e gambe fasciate e diverse bende anche sul viso. Aveva la testa china, quindi i capelli rossi e spettinati gli coprivano gli occhi, e i vestiti che indossava erano bruciati in più punti.
"Va tutto bene?" chiese accovacciandosi davanti al ragazzo misterioso.
Lui non rispose. Subito (Nome) avvicinò una mano al suo viso e quando gli sfiorò una guancia si accorse con stupore che era bagnata di lacrime. Senza pensarci lo strinse in un abbraccio.
'Un abbraccio può curare qualsiasi cosa', ecco un altra cosa che sua madre le ripeteva spesso.
Il ragazzo inizialmente rimase immobile, ma poi si lasciò andare ad un singhiozzo aggrappandosi alla felpa nera che (Nome) indossava.
"Qualunque cosa sia successa, andrà tutto bene. Vuoi che ti riaccompagni a casa?" chiese accarezzandogli la schiena.
Lui all'improvviso si staccò violentemente dall'abbraccio facendola cadere all'indietro.
"No! Non ci voglio tornare!" urlò alzando di scatto la testa e spalancando gli occhi, che (Nome) si accorse essere di un bellissimo turchese.
"Scusami" mormorò lei rimettendosi a sedere. "Vuoi venire a casa mia allora? Mio padre non c'è mai e abbiamo un letto libero se vuoi restare a dormire"
Lui la guardò dubbioso.
"Perché mi stai aiutando?"
La ragazza si mise a ridere e lui pensò subito che amava il suono di quella risata. "Credo sia più forte di me... non posso ignorare chi ha bisogno di aiuto"
Si rimise in piedi e offrì una mano al ragazzo per aiutarlo ad alzarsi.
Poco dopo si ritrovarono sulla strada che portava alla casa di (Nome).
"Comuque sono (Nome), piacere"
Lui le posò una mano sulla testa.
"Toya"
Da quella sera il ragazzo passò molto tempo a casa (Cognome), la madre di (Nome) si affezionò subito a quel ragazzo bisognoso solo di un po' d'affetto. Dabi, dal canto suo, le aiutava sempre a cucinare la cena o faceva quei 'lavori pesanti' che sennò sarebbero toccati ad una delle due donne.
Divenne presto uno di famiglia.
Fino al giorno in cui scomparve misteriosamente, senza lasciare né un biglietto né nient'altro dietro di sé.
L'ultimo ricordo che lei aveva di Dabi era quando le chiese di aiutarlo a tingersi i capelli di nero. Sul momento (Nome) non capì il motivo di tale richiesta, almeno fino a che non si accorse della scomparsa del suo amico.
Lui voleva cambiare vita, e per farlo aveva bisogno di una nuova identità.
"Andiamo?" Dabi la riscosse dai suoi pensieri, non si era neanche accorta che lui avesse finito di bere.
Lasciarono il locale in silenzio e percorsero allo stesso modo tutto il tragitto per la casa di lei; questa era una moderna casa a due piani che non aveva niente a che fare con la tradizione giapponese.
Varcarono l'ingresso dell'abitazione e, dopo essersi tolti le scarpe, Dabi parlò di nuovo "non è cambiato nulla dall'ultima volta"
(Nome) strinse i pugni.
"Come puoi dire così tranquillamente una cosa del genere!? Credi che basti lasciarmi un biglietto anonimo sotto la porta e riapparire da nulla perché tutto torni come una volta?" sbottò improvvisamente.
"(Nome)..."
Lo interruppe con un gesto della mano. "Tu sei sparito senza lasciare neanche una lettera. Quando avevi bisogno di me, quando tuo padre ti faceva allenare fino a farti ustionare ogni centimetro di pelle sana, io c'ero"
Una lacrima le scivolò lungo la guancia. "Ma quando me l'hanno portata via, quando sono stata a tanto così dal crollare, tu eri lontano. Mi hai abbandonata ad affrontare tutto da sola"
Lui subito capì, a quell'ora di notte Mitsuko sarebbe già dovuta essere a casa.
(Nome) si strinse nelle spalle, strofinando le mani sulle braccia come per riscaldarsi.
"Mi dispiace, non lo sapevo." Dabi sentì anche i propri occhi inumidirsi.
"Come avresti potuto? Mi hai letteralmente cancellata dalla tua vita" Non riusciva più a guardarlo in faccia, era stata felice di rivederlo ma tutta quella felicità si era ora trasformata in una vecchia ferita che credeva di essersi lasciata alle spalle da ormai più di due anni.
Spostò lo sguardo sul bancone grigio e argento della cucina con gli sgabelli tondi su cui erano abituati fare colazione con i pancakes. Il monolocale, diviso in due solo dalla scalinata che portava al piano di sopra non le era mai sembrato così vuoto.
Non pensava che i ricordi potessero ancora fare così male.
"Guardami" (Nome) non si mosse di un millimetro, era paralizzata.
"(Nome), guardami!" La voce di Dabi si era ridotta ad un ringhio rabbioso.
"Fottiti" sussurrò lei.
Il ragazzo, grazie alle sue lunghe gambe, la raggiunse con un singolo passo e, con un unico movimento, la bloccò tra il muro chiaro e il proprio corpo; le tirò giù il cappuccio e la maschera e le afferrò il mento con due dita per guardarla negli occhi.
"Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere" Il suo corpo tremava di rabbia, (Nome) percepiva il calore proveniente dalla pelle della sua mano. "Non potrei mai cancellarti dalla mia vita, mai"
La ragazza si morse il labbro e Dabi rimase ipnotizzato a guardarla.
'Chissà come sarebbe baciare quelle labbra'
Scosse la testa con foga, come poteva pensare una cosa del genere in quel momento.
Si staccò dal suo corpo, continuando a guardarla negli occhi. "Non ti lascerò più, te lo prometto" disse.
(Nome) non poté fare altro che credergli, era l'unica famiglia che le rimaneva. "Se lo farai ti giuro che ovunque sarai verrò a cercarti e non sarò tenera come oggi"
Dabi si fece avanti per abbracciarla ma lei attivò il suo quirk e un attimo più tardi si ritrovò in cima alle scale.
"Ho fame, vedi di cucinare qualcosa di buono mentre mi cambio"
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"Non ci penso proprio" rispose secca mentre mandava giù l'ultima spaghettata di ramen vegetariano che Dabi aveva preparato per lei.
Nonostante accanto alla cucina ci fosse una bellissima sala da pranzo con un ampio tavolo di vetro, le pareti ricoperte di fiori e piante rampicanti, e una vetrata che dava sul giardino sul retro, avevano deciso di cenare sul bancone, accomodati sui piccoli sgabelli senza schienale, come facevano da piccoli.
"Ma non mi hai fatto neanche finire di spiegare" la rimproverò il ragazzo, le bacchette che reggevano un pezzo di uovo sodo rimaste a mezz'aria.
"Ho già capito tutto quando hai menzionato l'Unione dei Villain. Non mi unirò mai al loro capo raccapricciante" (Nome) si alzò irritata per posare la propria ciotola nel lavello e cominciare a sciacquarla.
"Per caso non vuoi macchiare il tuo futuro da Hero?" la canzonò Dabi.
In quel momento un rumore di vetri che vanno in frantumi riempì la stanza; (Nome) era appena riapparsa sul bancone a pochi centimetri dal viso del ragazzo ed aveva scaraventato a terra la sua ciotola ancora piena di ramen.
Lo afferrò per la maglia bianca e lo tirò ancora più verso di sé, fino a che i loro nasi non si sfiorarono.
"Non farò mai parte di una feccia come loro, esseri che non sono capaci neanche di salvare una donna con una figlia di appena tredici anni attaccate nel bel mezzo della notte"
Dabi le portò una mano intorno al polso che gli stava strattonando i vestiti. "Allora perché non essere una Villain?" le chiese, liberandosi dalla sua stretta, ma mantenendo ancora il contatto con la sua pelle.
"Perché non voglio fare del male alle persone innocenti. Non voglio che qualcun'altro viva ciò che ho vissuto io"
Dabi poggiò la propria fronte contro quella di (Nome). "Non dovrai farlo. Unirti a loro non significa per forza diventare esseri senza cuore, potrebbe essere la tua unica occasione per vendicarti degli Heroes"
La ragazza sospirò e scese nuovamente sul pavimento per cominciare a raccogliere i cocci di vetro.
"Domani mi hanno convocato per un incontro, perché non vieni anche tu? Possiamo ricominciare da capo. Questa volta insieme"
(Nome) alzò i suoi occhi cremisi sul ragazzo, poi un lieve sorriso le increspò le labbra. "Sei testardo come al solito. A che ora è l'incontro?"
"Domani alle 22.00, al loro quartier generale"
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(Nome) aprì gli occhi di scatto, il solito incubo che la perseguitava ogni notte la fece svegliare all'improvviso.
Spostò lo sguardo sulla sveglia digitale posata sul comodino: erano le cinque del mattino, ma sicuramente non avrebbe più ripreso sonno.
Riviveva l'omicidio di sua madre tutte le notti. Aveva provato tutti i rimedi possibili - tra cui soluzioni estreme come sonniferi o allenamenti infiniti durante la giornata - ma tutto si era rivelato inutile, i suoi demoni tornavano sempre a perseguitarla.
Tanto più quella notte, dopo che Dabi era tornato ed era stata costretta a raccontargli ciò che era successo a sua madre.
Si alzò lentamente cercando di non svegliare il ragazzo che dormiva beatamente al suo fianco, proprio come facevano sempre in passato.
La sua stanza era ampia e vantava un letto matrimoniale - lei odiava dormire in spazi stretti - , un armadio a quattro ante, una scrivania con vari cassetti, una libreria con ogni tipo di libro, fumetto o manga, e un bagno privato. L'unica cosa positiva di un padre che lavora dall'altra parte del mondo è il fatto che può permettersi una casa del genere per la propria figlia.
Indossò una felpa nera, abbandonata sulla poltrona su cui si sedeva per leggere, da sopra la canotta e i leggings con cui aveva dormito e un paio di anfibi scuri; poi afferrò le chiavi di casa dal comodino e con un balzo scavalcò la finestra, una volta a mezz'aria attivò il suo secondo quirk che la fece atterrare silenziosamente sull'erba intorno a casa.
Non lo usava quasi mai, visto che il saper muoversi senza produrre alcun suono era utile solo durante gli appostamenti o gli attacchi a sorpresa.
Si alzò il cappuccio e cominciò a camminare senza una direzione precisa godendosi l'aria fresca della mattina presto. Dopo un po' si ritrovò sulla strada che costeggiava il fiume, era separata da questo da una ringhiera di metallo e da una ripida discesa verde, poco più in là c'era anche un piccolo ponte che univa le due sponde.
L'acqua limpida scorreva veloce senza mai rallentare, ogni tanto qualche pesce sguazzava qua e là creando piccole macchie di colore; il sole stava albeggiando e ricopriva l'atmosfera della città con le sue calde tinte rosate e aranciate, persino gli occhi di (Nome) sembravano meno taglienti del solito.
La ragazza superò con facilità la ringhiera e raggiunse la sponda destra del fiume senza inciampare nel terreno umido di rugiada. Si stese sul prato e chiuse gli occhi per godersi la tranquillità del posto, interrotta solo dal canto dei passerotti che volavano nel cielo limpido.
Sua madre aveva sempre amato guardare l'alba, diceva che le dava la sicurezza che anche una brutta giornata avrebbe potuto riscattarsi con uno spettacolo così bello.
"Va tutto bene?" Una voce sconosciuta la fece scattare di nuovo in piedi.
Di fronte a lei c'era un ragazzo con dei capelli corti divisi in due sezioni, bianchi sul lato destro e rossi sul sinistro. Anche gli occhi erano di colore diverso, aveva l'iride sinistra azzurra mentre quella destra era grigia, in più un'ampia cicatrice gli circondava l'occhio sinistro, ma, nonostante questo, doveva ammettere che era piuttosto attraente.
"Credevo di essere da sola" mormorò più a se stessa, passandosi una mano sul viso. In quel momento si accorse che le sue guance erano bagnate di lacrime, non si era neanche resa conto di star piangendo.
Si asciugò in fretta gli occhi e guardò accigliata il ragazzo che a quanto pare non aveva intenzione di allontanarsi.
"E comunque sto bene" aggiunse.
"Di solito chi sta bene non piange" esclamò il ragazzo in modo fin troppo diretto.
Indossava una felpa bianca di una taglia più grande e dei jeans scoloriti con i risvolti, non sembrava intenzionato a darle fastidio o a deriderla.
"Credo di non star bene da ormai troppo tempo, ci ho fatto l'abitudine sai?" (Nome) sorrise tristemente, era da tempo che qualcuno non si interessasse al suo stato d'animo.
Si sedette nuovamente sull'erba, seguita a ruota dal ragazzo.
"Non hai proprio intenzione di lasciarmi in pace, eh. Allora dimmi, perché anche tu sei in giro a quest'ora?" continuò, giocherellando con un filo che pendeva dalla manica della sua felpa.
"Se mio padre non mi trova in casa non può costringermi a partecipare al suo allenamento mattutino" spiegò lui, alzando il viso verso la tenue luce solare che cominciava ad illuminare il fiume.
"Tu invece?"
"Incubi"
Era la prima volta che ne parlava con qualcuno.
"Rivivo ogni notte l'assassinio di mia madre. È successo quando avevo tredici anni e, nonostante il mio Quirk, non ho fatto nulla per aiutarla. Non credo riuscirò mai a liberarmi da questo senso di colpa."
"Ma brava (Nome), racconta i tuoi fatti personali al primo ragazzo che incontri!"
Di solito non avrebbe mai parlato così apertamente del suo passato, ma c'era qualcosa in quel ragazzo - forse la sua espressione distaccata che le ricordava quella di Dabi, o forse il fatto che entrambi stessero scappando da qualcosa - che la portava a fidarsi di lui.
"Non puoi incolparti di una cosa del genere. Le persone nascono e muoiono per una ragione, possiamo cercare di reagire, ed a volte funziona, ma alcuni destini sono tatuati sulla pelle delle persone e, per quanto cerchiamo di cambiare le cose, il punto d'arrivo alla fine sarà sempre lo stesso."
(Nome) si voltò stupita verso il ragazzo, come aveva fatto un completo sconosciuto a dire ciò che lei avrebbe voluto sentire da anni?
Fece un sospiro profondo e posò la testa contro la sua spalla, la stanchezza la rendeva più mansueta del solito.
"Chi sei, angelo bicolore?"
Sentì la risata del bicolore rimbombare attraverso il tessuto della felpa, in quel momento si rese conto che lui non doveva essere uno che rideva spesso: era stato un suono breve, netto, di chi non è abituato a farlo.
Con un gesto della mano lui creò una piccola rosa di ghiaccio senza stelo e la porse alla ragazza.
"Shoto Todoroki"
(Nome) sussultò, ci doveva per forza essere qualcosa che la legava a quella famiglia, visto che suo fratello stava ancora dormendo nel letto della ragazza, o almeno così ipotizzava: con Dabi non si sapeva mai.
"(Nome) (Cognome). Dev'ssere dura essere il figlio di Endeavor" commentò.
"L'unica cosa che so è che non userò mai il Quirk di mio padre, un uomo che non è degno di essere l'Eroe numero 2. È colpa di questo potere se mia madre ha avuto una vita così difficile, se io sono diventato solo lo strumento di mio padre per riuscire nel suo sogno di gloria: superare All Might."
La ragazza strappò con forza un ciuffo d'erba, anche se Todoroki non poteva saperlo, lei capiva tutto ciò che aveva dovuto passato, lo aveva visto con i propri occhi sulla pelle di Dabi.
"E tu invece chi vorresti essere?" chiese.
"Una persona che si sacrifica per gli altri, che è ammirata non per il suo potere ma per il suo lavoro"
Riusciva a vedere gli occhi bicolore del ragazzo brillare di una nuova luce mentre pronunciava quella frase.
"Ci sono troppi falsi Eroi nel mondo" si lasciò sfuggire.
Per fortuna Todoroki non la sentì, perso per un attimo nei suoi pensieri.
"E tu chi sarai?" le domandò a sua volta, appoggiando il mento sulla testa chiara della ragazza.
Colei che porterà la vera giustizia nel mondo.
"Più o meno quello che hai detto tu" rispose sorridente.
𖠄 *ೃ skip time 𖠄 *ೃ
Il bar in cui l'Unione dei Villain aveva convocato Dabi era molto meglio di quello in cui si era incontrato con (Nome).
Il bancone era lucido e i cuscinetti delle sedie senza schienale erano perfettamente integri; un Villain fatto di fumo viola dagli occhi luminosi di un giallo acceso stava lucidando dei bicchieri, indossava un completo elegante e una specie di collare gli circondava il collo, o almeno sembrava essere il suo collo.
Il leader dell'Unione, Tomura Shigaraki, era un ragazzo magro, non molto alto, con una pelle mortalmente pallida, giallo paglierino, e rugosa intorno agli occhi. Le sue labbra erano screpolate e delle cicatrici visibili gli sfregiavano l'occhio destro e il labbro inferiore. Aveva i capelli blu-grigio, disordinati e di varie lunghezze, i ciuffi più lunghi arrivavano intorno alle sue spalle, e quelli davanti erano lasciati sul viso con fare morbido e mosso.
I suoi occhi, spalancati in un modo quasi maniacale, avevano delle iridi rosso brillante molto piccole.
Indossava delle sneakers rosse semplici, dei pantaloni neri che esponevano le sue caviglie e una t-shirt abbinata, a maniche lunghe, con una semplice giacca nera con il cappuccio.
Non appena li vide entrare pose una delle sue mani - quella che lui chiamava 'Padre' - davanti al proprio viso.
"E lei chi sarebbe?" chiese con la sua voce leggermente stridula, era tremendamente infastidito da tutto ciò che non andasse come lui aveva programmato.
Oltre lui e Kurogiri - il Villain fatto di fumo - non c'era nessun altro, il locale infatti era silenzioso, si poteva udire solo il rumore dei bicchieri appena puliti che tintinnavano quando venivano posati sotto il bancone.
"Lei è con me, siamo un pacchetto completo. Mi ero dimenticato di avvisarti, per caso?"
Nel dire ciò Dabi allungò un braccio per avvicinare a sé il corpo di (Nome); gli arrivava appena sotto l'altezza delle spalle, sembrava quasi la sua sorella minore.
"Non puoi portare chiunque qui dentro! Specialmente una stupida ragazzina mascherata" esclamò Shigaraki cominciando a grattarsi freneticamente il collo.
La ragazza serrò la mandibola e, senza dare il tempo a Dabi di fare alcunché, apparve alle spalle del Villain, seduto su uno sgabello, e gli assestò un calcio in mezzo alle scapole che lo spedì di faccia a terra.
Preso alla sprovvista, questo lasciò cadere la mano che gli copriva il volto, la quale rotolò un metro più in là, ritrovandosi sotto il tacco della scarpa di (Nome), che aveva usato nuovamente il suo quirk.
"Non provare più a rivolgerti a me in quel modo" ringhiò lei, cominciando a calpestare la mano, che emise un sinistro scricchiolio.
"Padre!" Shagaraki allungò un braccio verso la mano imbalsamata, ma (Nome) con un calcio la spedì dall'altra parte del bar.
'Lo sapevo che era una cattiva idea', pensò.
"Hai capito quello che ho detto?" continuò lei, afferrandolo per il colletto.
Shigaraki stava per afferrarle il braccio con la mano destra per usare il suo Quirk degenerazione, capace di ridurre in polvere qualsiasi cosa toccasse, però Kurogiri si intromise dicendo: "pensaci, Shigaraki, una recluta del genere ci farebbe comodo. È spietata, abile e possiede un Quirk potente, potrebbe farci entrare in qualsiasi edificio senza farsi notare"
(Nome) lasciò andare il capo dei Villains e si rivolse a Kurogiri.
"È solo uno dei miei quirk"
Shigaraki si rimise in piedi.
"Su, presentati" borbottò; le parole dell'altro Villain avevano sortito l'effetto voluto.
"Sono (Nome) (Cognome), ho quindici anni e posseggo i quirk teleport e silencer, che mi permettono rispettivamente di spostarmi velocemente da un posto all'altro e di muovermi nel più assoluto silenzio, di notte è impossibile vedermi"
"Il tuo amico invece?" chiese il leader annoiato.
"Oh, lui?" disse, per poi rivolgersi al corvino "Dabi, perché non glielo mostri?"
Senza farselo ripetere due volte, il ragazzo attivò il suo quirk cremazione, capace di produrre delle fiamme talmente calde da non permettere alle cellule di rigenerarsi.
Una lingua di fiamme azzurre si propagò per l'intero locale lasciando una lunga bruciatura per tutto il pavimento del locale.
"Credo sia abbastanza, qual è la vostra decisione?" domandò (Nome).
Aveva promesso a Dabi che avrebbero cominciato una nuova vita insieme, ed era quello che avrebbe fatto.
"Un'ultima domanda... perché vuoi unirti a noi?" Chiese Shigaraki rimettendosi la mano sul viso.
"Per dimostrare a tutti quegli Heroes che non sono imbattibili come credono"
Il capo dei Villains sorrise, o almeno così sembrò, visto che la mano gli copriva gran parte del volto.
"Ho l'incarico perfetto per te... hai l'età giusta, dei buoni Quirk e un aspetto che non passa inosservato"
Le si avvicinò lentamente e le sfiorò lo zigomo sinistro con un dito.
"Dalla prossima settimana frequenterai il Liceo Yuei"
Angolo autrice:
Ed eccoci con il primo capitolo di questa nuova (fantastica) fanfiction sull'universo di My Hero Academia (per i più precisi, Boku no Hero Academia).
Come avrete notato i miei capitoli sono moooltooo (ma molto) lunghi (più di 4000 parole); ora vi chiederete il perché... beh, posso solo dirvi che, personalmente, preferisco dare ai miei lettori la soddisfazione di leggere un capitolo che occupi almeno 10-15 min del loro tempo dopo che hanno dovuto aspettare interminabili giorni per un aggiornamento.
Spero che la cosa non vi annoi.
Detto questo, non ho voluto commentare il mio tristissimo 'Prologo', per lasciare soltanto a voi la prima impressione sulla mia storia. Ma da questo primo capitolo avrete già capito che questa non seguirà la solita (a volte banale) trama di tutte le altre fanfiction.
La protagonista, infatti, non ha intenzione né di essere un Villain né un Hero; ma è alla ricerca della propria vendetta.
Ce la farà? Chi lo sa...
Di certo, la storia si ingarbuglierà abbastanza più avanti.
Devo però fare un'ammissione: sono follemente innamorata della famiglia Todoroki, infatti non ho potuto aspettare l'ingresso alla U.A. per introdurre il personaggio di Shoto Todoroki, spero che la cosa sia stata di vostro gradimento.
Ho parlato fin troppo (come al mio solito). A questo punto, aspetto i vostri 'voti' e 'commenti' per questo primo capitolo.
Hasta la vista,
~Ale💕
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