Capitolo 3 "Salvezza"

Non ci è dato di scegliere la cornice del nostro destino, ma ciò che vi mettiamo dentro è nostro.

Anno 1579 del Regno di Zen

"Non possiamo permetterci di correre il rischio." L'umore di Alessio, il Primo Monaco di Zen, era cupo come il cielo che osservava dalla sua finestra.

"Siete sicuro che non ci sia un'altra soluzione?" La regina Freda spostava il suo sguardo da Alessio al Signore di Evora. Cinque dei nobili più potenti del Regno erano stati convocati d'urgenza a Zen, ma nessuno dei suoi figli era tra questi. La ragione era una sola, erano stati chiamati a decidere del destino del suo secondogenito. 

"Gabriel Crisanto sta creando demoni in quantità mai viste prima. Sono orde, centinaia di demoni, che potrebbe far marciare sulle nostre terre, e questo ha una sola spiegazione: si sente minacciato da suo figlio. Il ragazzo gli ha fatto capire che può essere sconfitto. Abbiamo interrogato i nostri oracoli e la risposta è stata univoca, dobbiamo sacrificare Marin Crisanto, è lui il suo avversario più temuto in questo momento ed è l'unica minaccia contro la quale il Signore di Tron muoverebbe il suo esercito."

"Marin è mio figlio" protestò Freda, sentendosi mancare la terra sotto ai piedi. L'avevano attirata a Zen con l'inganno, non sarebbe mai dovuta partire senza Alessan, lui non avrebbe acconsentito a quella follia.

"Se il giovane Crisanto è l'unica minaccia al suo potere, potrebbe anche essere la nostra unica risorsa, non credete?" Il Signore di Evora tentò di intervenire ma Alessio scosse la testa. "Dimenticate la terza profezia. Il Signore di Tron la teme più di ogni altra cosa. Dobbiamo impedirgli di muovere contro le nostre terre."

"Suggerite di uccidere il ragazzo?" chiese uno dei nobili. "Chi mai si macchierebbe di un simile crimine?"

Il Primo Monaco tornò a guardare fuori dalla finestra. Imponenti nubi nere si stavano addensando dietro alle montagne e minacciavano tempesta. Nella stanza silenziosa ora si udivano solo i singhiozzi della Regina.

"No, non saremo noi a decidere. A Casedimezzate vive una giovane donna, il suo nome è Ambra. Si dice parli per conto di Maia e che le sue parole siano l'espressione della saggezza della nostra Signora. Rimetteremo a lei la decisione."

Così Freda fu costretta a tradire suo figlio per la seconda volta. Gli mentì, dicendogli che il Monastero di Zen aveva bisogno del suo aiuto per mettere in salvo una fedele che viveva a Casedimezzate. Un'orda temibile di Demoni Neri avrebbe marciato su quelle terre, spazzando via ogni forma di vita. Il compito di Marin era semplice, portare in salvo la donna, conducendola al sicuro, tra le mura di Zen.

Marin si apprestò a partire per il Nord, con una lettera per Ambra scritta di proprio pugno dal Primo Monaco, lasciandosi alle spalle le calde terre di Alario e la sicurezza della sua fortezza, mentre sua madre moriva dentro una seconda volta.

L'odio è amore contro l'amore

Il suo cuore era in fiamme, sembra voler esplodere in centinaia di pezzi ad ogni respiro. Marin girò il viso da un lato ma non riuscì a vedere niente, oltre la neve che era caduta candida e silenziosa. Il suo petto si alzava e si abbassava convulso. Aveva già vissuto quell'esperienza. Aprì e chiuse le palpebre per cercare di vedere oltre il chiarore della neve e la luce grigiastra del cielo. Vicino a lui sentì il soffice rumore di passi.

"E' vivo!" gridò la voce di una donna. Era luminosa, più luminosa del cielo stesso e lo rischiarava costringendo a chiudere gli occhi. Ma lui voleva continuare a guardarla perché quella luce gli infondeva la pace tanto desiderata. Le sorrise tendendole la mano.

Il giovane si risvegliò improvvisamente tornando nel mondo dei vivi. Aveva sognato di morire, un sogno ricorrente che lo perseguitava da quando era rinato come Demone Nero. Si alzò, scuotendosi dagli abiti la neve che era caduta silenziosa la notta precedente.

"Buongiorno Lisandro" salutò il suo cavallo, come faceva tutte le mattine e gli gettò sopra la sella, con le sue bisacce. Doveva fare ancora qualche ora di strada per arrivare a destinazione. Non mancava molto.

Il rumore di un ramo secco che si spezzava fece volare via uno stormo di uccelli dai cespugli. Marin si voltò di scatto, il pugnale in mano, giusto in tempo per respingere il primo attacco. Diede una spallata al suo aggressore facendolo finire lungo tra la neve, ma ce n'erano almeno un'altra decina. Fu assalito con una ferocia brutale e lui era da solo contro un gruppo di demoni. Respinse i loro colpi con tutta la forza di cui era capace ma non riuscì ad evitare di essere colpito. Osservò in silenzio il suo sangue che macchiava il manto nevoso, prima di cadere.

Lo presero per i piedi trascinandolo tra gli alberi, lo spogliarono e lo derubarono dei suoi averi, lasciandolo inerme a terra. Per la prima volta dopo tre anni provò nuovamente la sensazione di impotenza che lo aveva accompagnato nella sua infanzia.

* * *

"Fermati, ho sentito qualcosa!" Ambra era una cacciatrice provetta, difficilmente i rumori dei boschi la traevano in inganno. Aveva trascorso tutta la sua vita in quei posti.

"E' un cavallo!" Leone, il suo accompagnatore fermò il calesse e scese a terra. Un magnifico destriero nero cercava tra la neve dell'erba da brucare. Sembrava completamente fuori luogo in quel posto.

"Che cosa fai tu qui?" chiese Ambra saltando a terra e correndo verso di lui. L'animale non si mosse.

"Attenta, ci sono tracce di un attacco" la avvertì l'amico trattenendola dall'avvicinarsi troppo. "Può essere una trappola."

L'uomo tese una mano verso il cavallo che si allontanò da lui, cercando rifugio tra le querce, ai limiti del bosco. Solo allora la donna notò che l'animale stava strofinando il suo muso su qualcosa che giaceva ai piedi dell'albero.

"E' un uomo! E' ferito!" Ambra corse verso il punto in cui il cavallo si era fermato e lo vide.

Un giovane uomo, dai lunghi capelli neri, la guardava con gli occhi grigi sbarrati, il respiro rotto. Si avvinò ancora circospetta, le stava sorridendo, che strano, e tendeva la mano verso di lei come per attirarla più vicino. La ragazza si sentì percorrere dai brividi e tremò, non per il freddo, ma perché lo aveva già visto, nei suoi sogni. Anche lei gli sorrise, mentre si accovacciava per toccarlo. Era bellissimo, le lunghe ciglia nere coperte da cristalli di neve, sembrava una creatura magica. Ambra allungò la mano per sfiorare le sue dita. La sua mano era gelida, come la morte e quello che la donna vide la sconvolse. Fiamme, dolore, morte. Urlò.

Urlarono entrambe.

Al suo grido di orrore si unì quello di dolore del giovane, un dolore lancinante come il fuoco che lo attraversava e lo sconquassava facendolo tremare in preda alle convulsioni.

"E' un demone nero!" allertò il suo compagno. "Non ti avvicinare!".

"Ma cosa dici, sei impazzita. Non vedi che è solo un ragazzo. Dobbiamo portarlo via da qui o morirà congelato."

Ambra si sollevò fiera e trapassò Leone con lo sguardo. "Se così fosse sarebbe solo un demone in meno" disse.

I due discussero a lungo sul da farsi e alla fine l'uomo ebbe la meglio, caricarono Marin sul carretto e lo portarono a casa.

Ambra, Leone e una donna di sessant'anni di nome Ada vivevano in una piccola casa di pietra alle porte di Casedimezzate in cui ospitavano una decina di bambini orfani di tutte le età. Non erano ricchi e vivevano grazie alla generosità della gente del villaggio.

Ada accolse Marin come uno dei suoi figliocci. Preparò per lui un letto caldo, lo lavò, curò le sue ferite e lo vegliò per tre notti, nonostante le proteste di Ambra.

Il quarto giorno Marin si risvegliò. Era solo, in una stanza dalle pareti di pietra, buia come la pece. Cercò di alzarsi anche se il suo corpo bruciava come se fosse stato avvolto dalle fiamme, si lasciò cadere a terra e strisciò a fatica fino alla finestra da cui entrava il chiarore della luna. Avvolto nella coperta rimase lì a guardare la luce che entrava dal vetro. C'era qualcosa tra quelle pareti, che gli toglieva le forze, rendendolo ancora più debole, qualcosa che lo stava lentamente uccidendo.

Poi la vide. Era davanti a lui, la creatura più bella che avesse mai incontrato, lo guardava in silenzio. Aveva lunghi capelli biondi, quasi bianchi e occhi azzurri che illuminavano il suo viso di perla. Le caviglie sottili spuntavano da un lungo abito bianco di lana cotta, ma per lui poteva essere broccato. Era scalza.

"Ti ho vista nei miei sogni, chi sei?" le chiese, tendendole una mano. Desiderava toccarla, più di ogni cosa.

"Anche io ti ho visto nei miei sogni" rispose lei. Era disprezzo quello che sentiva nella sua voce?

Marin non aveva più guardato una donna, perché odiava il desiderio che questo gli provocava ed i pensieri osceni che lo tormentavano, ma quella fanciulla era diversa. Non la voleva, la desiderava. Era un sentimento così puro, che lo sorprendeva. Lei poteva essere la sua salvezza. Sentì una lacrima cristallina scendere lungo il suo viso. Salvami avrebbe voluto dirle, ma non ne aveva il coraggio.

"Vattene da qui, sei ancora in tempo e non ti farò del male." Le parole aspre della donna risuonarono nelle sue orecchie ma non avevano alcun senso nella sua testa, perché lui aveva bisogno di restare.

"Non posso, mi ha mandato il Primo Monaco di Zen, per avvisarti del pericolo che incombe su queste terre" disse, cercando di trasmetterle l'urgenza della sua missione.

"Zen non manderebbe mai da me un Demone Nero." Il suo volto delicato era contorto dal disgusto.

"Ho una lettera da parte del Primo Monaco" rispose Marin, cercando invano negli abiti. Alzò gli occhi verso di lei sperando nella sua comprensione.

Ambra fece un altro passo verso di lui. "Non c'era nessuna lettera tra le tue cose."

"Devono averla presa." Marin sentì il sudore imperlargli la fronte, stava male. La vicinanza della donna non lo aiutava.

Lei si avvicinò ancora e alzò una mano verso il suo viso, come per toccarlo. Non c'era niente che in quel momento desiderasse di più, si sporse per lasciarsi accarezzare.

La fanciulla lo guardava perplessa come se trovasse inspiegabile il suo comportamento. Non poteva capire. Lei era l'acqua per un assetato che aveva passato giorni nel deserto, l'aria stessa di cui aveva bisogno per vivere, il fuoco che poteva riscaldarlo.

Le sue dita sfiorarono il suo volto febbricitante ma non erano fresche come sperava, bruciavano come fuoco ardente. Il giovane la guardò e batté le palpebre come sorpreso, prima di cadere a terra, ai suoi piedi.

"Ambra, cosa hai fatto!" La voce di Ada la riscosse. Guardò il corpo sotto di lei. Le sue mani erano sul petto dell'uomo e lo tenevano fermo sul pavimento, mentre veniva percorso da tremiti. Gli occhi grigi con cui l'aveva fissata fino a qualche istante prima erano chiusi, il suo cuore batteva appena. Alzò le mani.

Perché non si era difeso? Perché si era lasciato toccare?

"E' un demone nero" le rispose come per giustificare il suo gesto.

"Tu prima di tutti dovresti difendere la vita, non toglierla!" La donna la spostò dal corpo di Marin.

Respirava appena, la sua pelle abbronzata era candida, quasi trasparente.

"La sua non è vita" le rispose. Ada non avrebbe dovuto intromettersi in cose più grandi di lei, cose che non comprendeva appieno. Era infuriata con la donna, ma ancora di più era confusa dallo strano comportamento dell'uomo. Si era lasciato toccare da un Demone Bianco, che diavolo aveva in quella testa? La ragazza uscì dalla stanza e prese il suo mantello prima di andare a cercare Leone.

"Ho bisogno di tornare nel luogo dove abbiamo trovato il demone" disse, sellando un cavallo.

Leone non fece in tempo a rispondere che lei era già sparita dietro gli alberi che delimitavano la loro terra.

Ambra cavalcò senza fermarsi fino alla radura in cui lo avevano trovato quattro giorni prima.

Non era rimasto molto tra la neve.

Cercò bene, annusando il suo odore, cosa che per lei era facile, le era entrato nelle narici e non la lasciava più.

Seguì le tracce del gruppo di demoni che lo avevano assalito, percorrendo la strada verso sud e ad un tratto la vide. Era una bisaccia di cuoio, gettata sul bordo del sentiero. La raccolse e guardò dentro, sembrava vuota ma non lo era, nella sua fodera era stata cucita una pergamena. Ruppe il sigillo di ceralacca e la lesse, era indirizzata a lei. La lettera era formale e inizialmente conteneva dei saluti e una spiegazione della missione di Marin della Torre di Alario.

"Vostra grazia, io Alessio, Primo Monaco di Zen, vi saluto e ... Quante chiacchiere!" Ambra la scorse rapidamente fino in fondo. Il demone le aveva detto la verità.

Ma c'era dell'altro. Il cuore di Ambra smise di battere.

"Marin è l'unico figlio del Signore di Tron e secondo il nostro oracolo è una minaccia. Egli ha sfidato suo padre che ora lo teme e rischia di scatenare la sua vendetta sulle nostre terre. A voi rimettiamo la decisione Signora, se ucciderlo o tenerlo in vita."

La lettera era sigillata, il ragazzo aveva ignorato il suo contenuto e questo non faceva che alimentare altre domande, altri dubbi.

Quale demone sfiderebbe il Signore di Crisanto?

Quale demone varcherebbe le porte del Monastero di Zen?

Ambra risalì in sella e spronò la sua montatura, sperando di trovare Marin ancora vivo.

Entrò in casa di corsa, salì le scale e spalancò la porta della sua camera.

Doveva assolutamente svegliarlo, parlargli, sapere.

La stanza era vuota.

"Dov'è?" chiese, guardandosi intorno nella camera che il giovane aveva occupato fino a qualche ora prima.

"Non lo so" Ada scosse la testa, sconsolata. "Quando sono venuta a cambiarlo non c'era più"

Noi profumiamo del profumo dell'eternità

La sofferenza di Marin era ormai tanto grande che non riusciva più a pensare. Il dolore pulsava nel suo corpo e si propagava fino alla sua mente. L'ultimo pensiero coerente che era riuscito a costruire era che stava morendo. Aveva toccato la sua stella e adesso non aveva più bisogno di altro.

La sua fede però non gli permetteva di non riservare un ultimo pensiero a Maia, che lo aveva sempre vegliato. Così si coprì alla meglio con il suo mantello e scivolò via tra le ombre della casa. Nessuno si accorse della sua fuga.

Uscì nella neve e con il suo passo barcollante e malfermo si avviò lungo il sentiero che andava verso il paese. In tutti i villaggi c'era sempre una chiesa fuori dalle mura, gli bastavano solo pochi minuti, perché non credeva che sarebbe sopravvissuto a lungo.

La strada era deserta alle prime luci dell'alba e questo gli permise di viaggiare indisturbato. La chiesa era appena fuori del villaggio ed era abbandonata, il vecchio portone appena accostato.

Marin entrò, la sua vista offuscata dalla sofferenza e dal sudore che gli entrava negli occhi, non riuscì a percepire alcun movimento all'interno. Il tempio era buio e freddo, ma per lui, in quel momento, era una reggia. Percorse la navata, faticando per rimanere in piedi, non gli bastava sedere su un banco, voleva abbracciare la statua della Signora. Era lì, proprio davanti a lui adesso, scolpita nel marmo candido, si ergeva al centro del transetto. Rappresentava una donna, in tutta la sua delicata bellezza. Il giovane si gettò ai suoi piedi e pianse, chiedendo di essere perdonato.

La signora si chinò ad accarezzarlo, dolcemente scansò i lunghi capelli neri dal suo bel viso e lo consolò.

Ambra seguì il suo odore, la portava verso il paese.

Non capiva perché il demone fosse fuggito per trovare rifugio in un luogo ancora più pericoloso. Niente aveva senso.

Quando arrivò alle porte del villaggio la traccia la condusse ad un piccolo sentiero sterrato.

"La vecchia chiesa?" La ragazza notò che la porta era aperta ed entrò.

Una donna bellissima, circondata di luce, cullava il corpo senza vita del demone.

"Maia" Ambra non poteva non riconoscere la sua Signora, si gettò in ginocchio davanti a lei.

"Questo mio figlio ha sofferto molto" disse, senza sollevare gli occhi dal giovane.

"Lui ... è un ...demone nero!" La sua voce tradiva sconcerto.

Maia alzò il suo sguardo e la fissò. Le sue iridi non avevano colore, ma riflettevano la magnificenza dell'universo.

"Lui è il più caro dei miei figli" disse continuando ad accarezzargli i capelli. "Il più caro. Nessuno ho mai amato tanto."

Ambra spalancò gli occhi.

"Non ha importanza chi sia, l'unica cosa che conta è la fede con cui ha vissuto."

Il demone bianco annuì. Una lacrima solitaria scese sulla sua guancia. "E' colpa mia" disse.

"Ma tu puoi rimediare", le sorrise ancora. "Io ho la sua anima qui con me, se vuoi, ti do il potere di rendergliela. Ma sei tu sola che può decidere, nessun altro."

Ambra fece qualche passo per avvicinarsi e guardarlo più da vicino. Sembrava dormire, le labbra delicatamente incurvate in un sorriso. Si inginocchiò accanto a lui.

"Non posso farlo" pianse, guardandolo.

Maia la osservava in silenzio, non le chiese perché, lo sapeva già.

"Se lo riporto in vita, io diventerò una peccatrice, so di non potergli resistere. Apparterrò a lui, l'ho visto nei miei sogni." Le sue lacrime caddero sulle guance del giovane.

"Che cosa hai visto nei tuoi sogni, figlia mia?" Maia le sorrise. Lentamente la sua presenza si dissolse lasciandola sola.

Ambra appoggiò il palmo dove era il suo cuore e lo riportò in vita.

Ama tuo fratello come la tua anima e vigila su di lui come sulla pupilla del tuo occhio.

Anno 1580 del Regno di Zen.

"Un Demone Nero sconfiggerà Zeno." Ambra non riusciva a pensare ad altro. La profezia risuonava nella sua testa come una filastrocca mentre dalla finestra osservava Marin che spaccava la legna. Il giovane si era rimesso in fretta ed era diventato una presenza indispensabile nella vita della piccola comunità.

All'inizio aveva insistito perché scappassero verso Sud, ma Ada e Leone non avevano voluto saperne.

Lui era rimasto con loro.

Marin non l'aveva mai toccata con un dito, non l'aveva sfiorata, ma le aveva regalato la sua presenza, la sua protezione discreta. La sua era una grande prova di amore.

Doveva tornare ad Alario, lì c'era la sua gente, aveva dei doveri nei loro confronti, eppure era rimasto a Casedimezzate per proteggerla.

La giovane vide dei cavalli arrivare al galoppo da lontano. I cavalieri entrarono nel cortile e furono accolti da Leone. Ambra chiuse gli scuri della finestra e si affrettò al piano inferiore.

Proprio in quel momento gli stranieri facevano il loro ingresso accompagnati dal vecchio.

"Signora" la salutarono. "Siamo messaggeri, ci manda il Primo Monaco di Zen" disse il più alto dei due. "Alessio vi chiede di seguirci. Siamo stati incaricati di portarvi in salvo. Centinaia di demoni marciano verso questa zona, temiamo che stiano cercando voi."

Ambra si guardò intorno, sgomenta. Non poteva andare a Zen abbandonando i bambini, Leone, Ada e soprattutto temeva per Marin.

Improvvisamente avvertì il solito brivido alla schiena che accompagnava la sua presenza. Sapeva che era dietro di lei, senza bisogno di voltarsi.

I due uomini erano impalliditi, non si aspettavano di trovarlo in vita e Marin Crisanto sapeva come incutere paura.

"Non possiamo accettare la vostra proposta." Marin parlò senza chiedere la sua opinione, ma come sempre sembrava averle letto nel pensiero. "Ci sono una decina di bambini e due anziani con noi, non possiamo lasciarli indietro."

"L'offerta è per la signora, non per gli altri." I due messaggeri erano concordi.

"Se la minaccia è incombente, voi avete il dovere di portare in salvo i bambini." La voce di Marin era quasi un ringhio, ma gli uomini non si lasciarono convincere. Ambra era amareggiata, non li avrebbero protetti.

"Ci metteremo in viaggio da soli" disse, appoggiando con grazia una mano sul braccio teso di Marin, calmandolo immediatamente. "Partiremo all'alba."

Gli adulti fecero i bagagli, aiutati dai ragazzi più grandi. Non avevano molte cose da portare con sé quindi furono pronti nel giro di qualche ora e lasciarono la casa quando fuori era ancora notte. Avevano tre cavalli ed un carro in cui caricarono i bambini più piccoli. Avrebbero viaggiato verso Sud per raggiungere Alario. Il viaggio richiedeva tre giorni di cammino.

Nessuno di loro sapeva che cosa li aspettava.

Orde di Demoni Neri e altre creature del male si stavano spostando da nord, attraverso il Fosso delle Lame e marciavano spediti. Ad Ovest l'esercito di Alessan di Zen si preparava ad affrontarli, con il supporto di Evora ad est e di Alario a sud.

All'inizio del secondo giorno di cammino Marin si staccò dal gruppo per esplorare il sentiero davanti a loro. Cavalcò fino al punto in cui le dolci colline del Tron si aprivano sulle pianure di Petra. Dall'alto di una rupe cercò la migliore visuale sulle terre sottostanti. La vista degli eserciti che si fronteggiavano gli tolse il respiro.

"Sono migliaia." La voce di Ambra fece eco ai suoi pensieri.

"Cosa fai qui?" le chiese.

"Ho avvertito la loro presenza, non volevo lasciarti solo." La donna si avvicinò, senza scendere da cavallo e si affiancò a Lisandro. Dolcemente fece scivolare la sua mano in quella di Marin. "Non abbiamo speranza" sussurrò, mentre il resto del gruppo li raggiungeva.

Il giovane si voltò a guardare i bambini seduti nel calesse. Mira, la più piccola, aveva quasi due anni ed era aggrappata al collo di Ada. Marin sentì il suo cuore spezzarsi.

In quel momento lo scalpitare di zoccoli lungo il pendio della collina attirò la sua attenzione. Il giovane fece cenno ai suoi di fare silenzio e sguainò la spada, pronto a difenderli fino alla morte se fosse stato necessario.

Tre cavalieri uscirono dal bosco e fermarono le loro montature tirandone le redini. I cavalli nitrirono nervosi.

"Se fossi in te rimetterei la spada nel fodero, lo sai che non hai nessuna speranza di battermi." Uno degli uomini abbassò il suo cappuccio, sul suo volto teso era stampato un sorriso impertinente.

"Lapo?" Marin non poteva credere ai suoi occhi. Lapo, Rossa, Catalina, erano tutti lì.

"Che cosa fate qui?" chiese senza nascondere la felicità che provava.

"Siamo venuti a togliere il tuo sedere dalla brace ardente!" rispose l'amico abbracciandolo.

La situazione, come fu dipinta dai tre cavalieri di Alario era drammatica.

"L'esercito di Zen si è radunato per bloccare l'orda di demoni, ma lo scontro è impari. Presto saranno costretti a ritirarsi, ci sono state centinaia di perdite." Rossa teneva la testa bassa sul petto, era ovvio che desiderava più di ogni altra cosa essere al fianco di Alessan in quel momento.

Non potevano tornare indietro e avanzare avrebbe significato una morte certa. Ma c'era una soluzione dopotutto, anche se significava separarsi.

"L'unica speranza è deviare ad Est, verso il Monastero di Zen. Al momento le truppe di Tron sono troppo occupate nella battaglia, la strada dovrebbe essere libera" disse Lapo.

"No" obiettò Ambra, il suo sguardo triste.

"Non c'è altra soluzione, dobbiamo pensare a mettervi in salvo". Catalina prese le redini del carretto. "Non c'è tempo da perdere dobbiamo andare."

Marin sorrise alla donna e ai bambini, lui non sarebbe andato con loro. "Io e Rossa restiamo qui" disse. "Voi andate."

Niente gli costava di più di quella separazione.

Ambra scese da cavallo e sfilò dalla cintola di Marin un pugnale, senza smettere di guardarlo negli occhi si tagliò una ciocca dei lunghi capelli biondi e la porse al giovane. Non si erano mai baciati, mai nemmeno sfiorati ma i suoi occhi brillavano d'amore.

"Torna da me" gli disse, prima di salire sul carro che l'avrebbe portata via.

Il cavallo galoppava alla velocità del vento. La testa ed il corpo appiattiti contro la schiena dell'animale, Marin poteva sentire il suo odore. Gli zoccoli battevano sulla terra sollevando nuvole di polvere.

"Attento!" Il grido di Rossa lo avvisò del pericolo un momento prima che fosse troppo tardi, roteò la spada, rovesciando il suo avversario nella polvere e con un grido si avventò contro il cavaliere successivo. Voleva vivere, doveva vivere. Con un colpo potente mozzò di netto la testa del demone che gli si era affiancato.

"Seguimi" Il suo ringhio furioso sovrastò il rumore della battaglia ed entrambe i cavalli virarono in mezzo alla mischia.

Doveva trovare il centro di comando dell'esercito di Zen. Suo fratello aveva bisogno di aiuto in quel momento, perché stava perdendo.

Rossa atterrò due demoni mentre con la mazza ne colpiva un terzo a terra scaraventandolo in mezzo alla polvere.

"Laggiù, laggiù" gridò la guerriera, indicando lo stendardo rosso di Zen.

Non fu facile guadagnare metri e la testa dell'esercito sembrava irraggiungibile. I due erano coperti di sangue e polvere quando le teste dei guerrieri di Zen divennero visibili. Erano in una posizione leggermente più alta e videro chiaramente Alessan ed i suoi generali che indietreggiavano dietro alla spinta irresistibile dei demoni.

Marin spronò il suo cavallo per raggiungerlo quando vide un gruppo di demoni guidati da Neri Crisanto irrompere al galoppo sfondando le difese di Zen. Suo fratello fronteggiò il nemico brandendo la spada, colpì due dei demoni che erano davanti a lui, poi il braccio di Alessan volò via mozzato mentre ancora impugnava l'arma. Il Re gridò di dolore e perse l'equilibrio cadendo a terra, sovrastato dai nemici.

Marin doveva fare più in fretta. Scese da cavallo e spintonò gli uomini che gli si paravano di fronte, gridò come un ossesso chiamando il nome di suo fratello, fino al momento in cui lo vide. Era a terra. Davanti a lui Neri Crisanto si voltò e le loro spade si incrociarono con fragore, rischiando di spezzarsi per la forza dell'impatto.

"Sei morto!" Marin ringhiò mentre l'altro sorrideva beffardo levando il suo grido di vittoria. "Ho ucciso il Re! Ho ucciso il Re".

Il giovane demone non riuscì a contenere il suo odio, infranse tutte le barriere che aveva costruito, mentre colpiva l'uomo con tutta la sua rabbia, lasciandosi accecare dalla rabbia. Schivò due fendenti di Neri quindi gettò a terra la sua spada e si lanciò addosso al nemico, abbracciandolo con tutta la sua forza e trascinandolo a terra, mentre lo colpiva a mani nude. Neri non rideva più sotto quella gragnuola di pugni e Marin si alzò solo quando lo vide inerme a terra. Quando levò gli occhi, intorno a lui si era creato uno spazio.

Uomini e demoni si erano allontanati, l'aria sembrava rarefatta mentre il tramonto tingeva di rosso la terra.

Circondata dai generali dell'esercito di Zen, Rossa teneva tra le braccia quello che rimaneva del corpo di Alessan.

"Fratello" disse, la voce rotta dalla polvere. Il Re stava morendo.

Alessan alzò il volto verso di lui, chiedendogli di rimanere in silenzio. "Perdonami, non c'è più tempo" mormorò, la sua voce un sussurro. "Prenditi cura di nostra madre e di lei" disse, indicando la sua donna. "Guida ... il mio esercito, salva la nostra gente."

Queste furono le ultime parole del Re e tutti le udirono.

* * *

Dall'alto della rupe Marin della Torre di Alario guardò un'ultima volta la vallata sottostante, in cui l'esercito nemico si preparava a passare la notte.

L'indomani lo attendeva un'impresa impossibile, doveva guidare l'esercito delle Terre Libere contro orde di demoni. Non c'era nessun altro che poteva farlo.

Toccò l'amuleto che portava al collo, quella ciocca di capelli che gli ricordava il motivo per cui si batteva, e si issò in piedi sulle staffe. Li avrebbe abbattuti uno ad uno se fosse stato necessario. Ricacciò indietro le ombre che cercavano di trascinarlo con loro negli inferi e lasciò libero Lisandro di sfogare il suo nervosismo. L'animale lo assecondò alzandosi sulle zampe posteriori e nitrendo furioso.

In fondo alla valle ancora bruciavano le pire con i morti, ancora bruciava la pira di Neri Crisanto.

Il Principe Gabriel osservava silenzioso il corpo di suo cugino, mentre ardeva, lasciando salire al cielo grigie volute di fumo.

Improvvisamente un grido disumano scosse la vallata, la voce di un Demone Nero che veniva portata lontano dall'eco delle montagne. Alzò gli occhi verso le colline su cui sapeva che si era rifugiato l'esercito nemico. Era arrivato il momento della verità.

Uno dei generali si avvicinò alle sue spalle. "Signore, forse sarebbe il caso di parlare con i nostri soldati" disse.

"Perché mai?" Il Principe lo guardò con sorpresa.

"Gli uomini hanno paura, vostra altezza." Il guerriero indicò un punto in alto, sulle colline, dove controluce si distingueva la figura di un uomo a cavallo.

Paura. 






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