Capitolo 2 "Espiazione"

La paura può farti prigioniero. La speranza può renderti libero

"Apri gli occhi, ti prego Marin, apri gli occhi."

Rossa era sopra di lui. Aveva già visto quella scena e per un attimo gli sembrò un dejà vu. Il giovane demone inspirò rumorosamente lasciando entrare l'aria nei suoi polmoni. Si chiese da quanto tempo fosse in apnea.

"Grazie Signora, pensavo fossi morto." La donna stava armeggiando con qualcosa nella bisaccia che aveva appesa al collo. Intorno a loro era tutto bianco.

La neve.

"Sono morto" puntualizzò lui dopo aver fatto vagare il suo sguardo nella rada innevata e silenziosa. Della neve cadde dal ramo di un pino e andò a depositarsi accanto alle sue radici.

"Lo so, idiota." Rossa lo tirò a sedere. "Sei congelato. Eri disteso nella neve e non so da quanto tempo, deve essere caduta nel frattempo e ti ha ricoperto. Ti ho visto per puro miracolo."

"Perché sei qui?"

Il giovane non riusciva a muoversi, ma poteva avvertire il calore delle sue mani sulla pelle. La donna lo coprì alla meglio con il suo mantello.

"Ci nasconderemo per la notte" disse, evitando di rispondere alla sua domanda e indicando una grotta tra le rocce. "Tra poco la tormenta tornerà a soffiare e non possiamo farci sorprendere per strada."

"Non posso restare con te da solo in quella grotta." Marin le lanciò uno sguardo disperato. Quella prova era più grande di lui, aveva fame e il desiderio aveva ripreso a pulsare nelle sue vene, come un'ossessione.

"Non mi farai del male, ne sono sicura." Rossa non si fermò a discutere e continuò a preparare l'accampamento. "Scusa, ma ora non ho tempo da perdere" lo mise a tacere, secca e tagliente come la lama di una spada.

"Non credo che tu abbia capito, io ti farò del male." La voce di Marin uscì come un ringhio basso e sordo che lo spaventò.

Rossa lo guardò con un sorriso divertito. "Puoi provarci, tesoro" gli rispose, prima di prendere le sue cose e lanciarle nella grotta.

Marin si lamentò tutta la notte in preda ad una strana febbre e il suo delirio si calmò solo quando le prime luci dell'alba iniziarono a filtrare dal buco nella roccia. Rossa doveva essersi addormentata da poco perché era sicuro di averla sentita sempre presente, accanto a lui. Il giovane la guardò dormire, le sue guance erano arrossate dal calore del fuoco che ancora bruciava nella grotta, il corpetto sotto al gilet di pelle leggermente aperto lasciava intravedere la sua pelle bianca. Il suo autocontrollo era arrivato al limite, strisciò fuori dal buco alla ricerca di aria fresca e di cibo, come un animale da preda. Fuori la neve era caduta ancora più copiosa durante la notte e aveva formato dei dossi e delle conche dalle forme dolci, la luce dell'alba la tingeva d'oro e la rendeva lucente, come una stoffa preziosa. Marin alzò il viso da tutta quella bellezza e rimase a guardare a bocca aperta i cavalli e i guerrieri immobili in un'unica fila davanti alla grotta. Erano lì per ucciderlo.

"Stai fermo e non fiatare." Rossa era già accanto a lui e lo spinse giù nella neve. Avrebbe voluto protestare ma la donna aveva ragione, dovevano andarsene da quel posto o non ne sarebbero usciti vivi.

"Rossa, so che sei qui. Vieni fuori." La voce di Alessan rimbombò contro le rocce e l'eco fu accompagnato dal rumore degli zoccoli dei cavalli che fino a quel momento erano rimasti in silenzio. "Consegnaci il demone e non ti succederà niente."

Marin cercò di tirare su la testa "C'è lei?" chiese, incapace di pronunciare il suo nome.

Rossa si girò a guardarlo. "No, non c'è. Ha dato ordine al suo figlio legittimo di ucciderti, ma non è venuta a guardare." Le sue parole suonarono cariche di risentimento.

"Dobbiamo andarcene da qui." La donna lo toccò appena sulla spalla destra e gli fece cenno con il mento indicandogli l'ingresso della grotta, dietro di loro. C'era un fiume sotterraneo sotto la cavità, potevano provare a cercare una via di fuga.

Marin pensò all'assurdità di quella situazione e fece l'unica cosa che in quel momento gli veniva in mente, si alzò in piedi. Doveva essere una visione orribile, la sua pelle era bluastra per il freddo e sul petto aveva i segni di due ferite, quella che lo aveva ucciso e quella che lo aveva riportato in vita. Lo squarcio aperto da suo padre era stato ricucito con dei punti di sutura e sembrava un tatuaggio nero che partiva dal petto e arrivava fino al suo stomaco. Fece due passi verso gli uomini in fila mentre i cavalli sbuffavano nervosi, avvertendo la paura dei loro cavalieri.

"Eccolo!" gridò Alessan girandosi verso i suoi cavalieri e facendo cenno ai suoi arcieri di mirare e tenersi pronti a lanciare.

Il demone aprì le braccia e guardò verso il cielo, sperando di essere liberato presto dal suo supplizio.

"Porterai il mio corpo a nostra madre?" chiese. "E' il mio ultimo desiderio, per pietà Alessan, lei saprà cosa fare per liberarmi."

Rossa si era alzata in piedi ed era corsa verso i cavalieri mettendosi tra loro così da fargli scudo con il proprio corpo. "Risparmialo Alessan, ti prego, sono sicura che c'è ancora una possibilità di salvezza per lui."

L'uomo li guardò entrambe, i suoi occhi rivelavano il suo disprezzo e la sua profonda gelosia.

"Tua madre ha già versato tutte le sue lacrime, demonio. Non nominarla più, lei è morta per te." Il principe impugnò la sua spada.

"Freda non ti perdonerà mai Alessan, io le dirò che Marin non ti ha attaccato ma ha chiesto di essere salvato, le racconterò tutto." Le parole di Rossa si insinuarono nella mente del principe e fecero più effetto di qualsiasi arma. L'uomo si fermò immediatamente, come trafitto, mentre cercava di mantenere ferma la sua cavalcatura. La bestia mostrava tutto il suo nervosismo.

"Va bene" disse infine. "Vattene, le dirò che sei morto in battaglia."

Il giovane demone spalancò gli occhi, il suo mondo era stato capovolto e non c'era verso di raddrizzarlo, nonostante i suoi sforzi restava a testa in giù. Non sapeva più come piangere, altrimenti avrebbe versato lacrime cocenti per la rabbia di quello che gli stava accadendo. Portami con te, portami con te, era l'unico pensiero inespresso che attraversava la sua mente in quel momento.

Rossa si spostò, diretta a passo svelto verso la grotta, lo superò e nel farlo gli mise addosso il suo mantello.

"Cosa fai?" chiese Alessan, sorpreso da quel gesto.

"Io vado con lui" rispose, senza voltarsi indietro a guardarlo.

Solo chi ha superato le sue paure sarà veramente libero

Marin e Rossa camminarono per giorni, diretti verso sud, lontano da Alba ma anche dalle Terre di Tron. Viaggiavano di notte, quando le ombre erano basse e il buio ammantava la terra, permettendo loro di nascondersi dagli sguardi dei viandanti curiosi. Non si avvicinavano mai ai centri abitati e vivevano di caccia. Dopo quasi una settimana di cammino la giovane guerriera iniziava a disperare e Marin era sempre più inquieto, quello che mangiava non gli bastava e qualcosa di oscuro sembrava insinuarsi nei suoi pensieri.

Così, quando incontrarono una colonna di viandanti diretta verso sud, decise di non fuggire, ma di avvicinarsi da sola, per capire dove andassero. Aveva bisogno di un contatto umano e di poter parlare con qualcuno, anche se le sue azioni avrebbero potuto metterli in serio pericolo.

"Scusi, scusi, buon uomo!" gridò, uscendo dal suo nascondiglio, dietro ad un gruppo di grosse querce nere. Coprì a fatica la ventina di passi che la dividevano dalla comitiva, facendosi strada tra la neve che le arrivava al ginocchio.

Uno degli uomini che stavano ai lati del gruppo fece cenno agli altri di fermarsi e la guardò torvo. Era ovvio che, in quella landa sperduta, lontana dalle strade battute, i viaggiatori temevano di essere attaccati da balordi di ogni tipo.

"Chi siete? Cosa fate qui, da sola?" chiese l'uomo, guardandosi intorno per capire se la donna avesse amici nascosti, magari pronti ad un attacco.

"Mi chiamo Rossa" rispose lei, guardando verso gli alberi. "Sono con un amico, che sta molto male. Abbiamo bisogno di aiuto."

Nel frattempo altri viandanti si erano avvicinati.

"Dove state andando?" chiese, ancora non soddisfatto, scrutando con gli occhi il bosco che delimitava il sentiero.

Rossa temeva di tradirsi, ma qualcosa in quell'uomo dai capelli neri brizzolati, le mani callose e gli occhi sinceri le ispirava fiducia. Inoltre quella gente aveva con se bagagli, attrezzature per lavorare la terra. Sembravano migranti, gente umile, in cerca di un futuro migliore.

"Io non posso dirvi chi siamo, ma non abbiamo più una casa e non sappiamo dove andare" disse con sincerità.

"Potrebbero venire con noi." Un ragazzo poco più che adolescente si fece largo tra la gente. Nonostante la giovane età doveva essere uno dei capi perché gli uomini più anziani lo fecero passare e non protestarono alle sue parole. Aveva dei begli occhi color nocciola che spiccavano su un volto quasi infantile, coperto di lentiggini. Rossa gli sorrise.

"Io sono Lapo, questa è la mia gente, fuggiamo da Caserotte. Eravamo tutti contadini, fino al giorno in cui gli uomini del Signore di Tron hanno confiscato le nostre terre. Sotto il suo regno gli uomini vengono assoldati per entrare nell'esercito, ma per le donne, i bambini e gli anziani non c'è un futuro quindi non avevamo altra scelta che scappare."

"Dove siete diretti?" chiese Rossa.

"Verso il mare, a Sud ci sono delle terre libere e una fortezza sul mare ormai diroccata. Pensavamo di stabilirci lì e di ricostruirla, per poterci difendere."

"Pensi che potremmo venire con voi?" chiese Rossa piena di speranza.

Lapo alzò le spalle e si guardò intorno, zittendo le proteste del gruppo più vicino. "Non dipende da me, signora, ma dalla nostra Guida, sarà lei a decidere."

Gli uomini accompagnarono Rossa al centro della carovana, fino ad un carro, coperto da pelli di animali. Lapo salì nella carrozza e Rossa poté distinguere le sue parole mentre parlava.

"Signora, dei viandanti chiedono di unirsi a noi" aveva appena iniziato a dire, che la donna lo interruppe. "So già tutto, Lapo, dì alla donna di portare qui il suo amico."

La guerriera avrebbe voluto opporsi ma Lapo le spiegò che non c'era altro modo se volevano essere accettati nel gruppo. La parola della Guida era legge per ognuno di loro. Così alla donna non restò altra possibilità che portare il giovane demone al suo cospetto, consapevole che in quel modo si stava giocando la loro unica possibilità di sopravvivenza. Marin la seguì fino alla carrozza, con passo malfermo e gli occhi deliranti, davanti agli sguardi stupiti dei viandanti. Era coperto di stracci e del mantello di Rossa ed i suoi capelli neri spiccavano sul volto emaciato. I due si fermarono ai piedi del calesse e attesero che la Guida scendesse, aiutata da Lapo. La donna era incredibilmente anziana, i suoi capelli erano dello stesso colore della neve e si muoveva a fatica, il suo corpo ridotto pelle e ossa. L'unica nota stonata con il resto del suo aspetto erano gli occhi che brillavano come due acquemarine e sembravano quelli di una bambina.

"Faccio da sola" disse al suo aiutante ed il giovane Lapo si fece da parte, mentre la Guida cercava il suo equilibrio.

"E così siete voi due che chiedete di essere ammessi a far parte della nostra comunità" disse, reclinando il capo sulla spalla. A Rossa sembrò un fiore delicato, che rischiava di essere spazzato via dal vento. Accanto a lei Marin ondeggiava come un ubriaco, ma alla vista di quegli occhi rimase immobile, come trafitto.

"Povero piccolo." La Guida rimase in silenzio mentre i loro sguardi dicevano più di qualsiasi parola.

"Possono venire con noi, ma il giovane avrà bisogno del nostro aiuto, Dono si occuperà di lui" disse, prima di far cenno a Lapo di aiutarla a risalire nel calesse."

"Chi è Dono?" chiese Rossa, ma la Guida era già scomparsa.

"E' il comandante del nostro piccolo esercito, lo avete conosciuto prima" rispose Lapo.

Se Rossa pensava che i loro problemi fossero finiti, si sbagliava. Marin non aveva ancora conosciuto tutte le pene dell'inferno: le lunghe ore di marcia durante il giorno erano seguite da ore di addestramento, quando gli uomini si accampavano. Alcuni gruppi andavano a caccia, altri preparavano l'accampamento per la notte, mentre chi rimaneva si addestrava con la spada, con la lancia e con altre armi di rimedio. Il suo corpo inizialmente sembrò deperire ancora di più, ma poi iniziò a rafforzarsi e con lui il suo spirito. La fatica lo temprava e gli insegnava l'autocontrollo.

L'inizio del pentimento è l'inizio di una nuova vita

Anno 1578 del Regno di Zen

Frate Monaldo era un uomo semplice, non era abituato a fare domande ai fedeli che frequentavano la sua piccola chiesa sul mare di Alario, ma uno fra tutti aveva sempre destato la sua curiosità. Anche quel giorno era seduto sull'ultimo banco della chiesa, coperto da un lungo mantello nero.

La prima volta che lo aveva visto, la chiesa non era che un ammasso di rovine, poi un gruppo di pellegrini in fuga dal Tron si era impossessato delle terre sul mare e aveva iniziato a ricostruire la fortezza e la sua chiesa, il giovane era stato tra quei pellegrini.

Entrava in chiesa di mattina all'alba e si inginocchiava. Rimaneva lì per un'ora. L'intensità e l'abbandono con cui pregava lo aveva colpito così tanto che un giorno, mentre se ne stava andando, lo aveva fermato per scambiare qualche parola e saziare la sua curiosità. Soprattutto quello che Monaldo non capiva era il perché l'uomo sedesse sempre nell'ultima fila; ormai erano passati quasi due anni e Marin era un esponente illustre del governo di Alario, la Terra della Libertà, come la chiamavano i suoi cittadini, eppure era sempre defilato. Quando gli aveva chiesto il perché il giovane aveva risposto che non era degno di entrare nel tempio di Maia e che doveva ottenere il suo perdono. Al prete era sembrato strano, ma aveva accettato la sua risposta.

Il frate attese che Marin alzasse la testa dallo scranno, segno che la sua preghiera era terminata, per avvicinarsi. Era un giorno importante nella vita della piccola comunità perché la Guida avrebbe assegnato le cariche più importanti dell'esercito e aveva chiesto di vedere i suoi generali.

"Sei pronto?" chiese, sedendosi sul banco accanto a lui.

"No, Monaldo, non credo di essere pronto" disse, alzando gli occhi al cielo. "Pensi che avrò mai il Suo perdono?"

Il frate gli strinse la spalla in silenzio per trasmettergli parte della sua forza. Conosceva il segreto del fedele più devoto che frequentava la sua chiesa e avrebbe dato un braccio pur di fargli ritrovare la pace.

Marin attraversò il cortile della Rocca di Alario a passo spedito, incurante degli sguardi che la gente gli dispensava. Persone che desideravano salutarlo o semplicemente parlargli; lui era l'eroe di Alario, il difensore instancabile che aveva contribuito a restituire alla rocca il suo antico splendore.

"Sei pensieroso? O semplicemente di umore nero?" la voce di Rossa lo risvegliò dai suoi pensieri. La donna era vestita con una tunica di velluto verde ricamata in oro con le armi di Alario e vicino a lei Lapo se ne stava seduto alla base di una statua, vestito di azzurro.

"Solo pensieroso" rispose, consapevole di quanto il suo carattere scontroso contribuisse a scavare un solco invalicabile tra lui e le persone. Erano pochi i suoi amici fedeli: Rossa, Lapo e Catalina, gli unici che lo cercavano sempre, anche quando lui li mandava al diavolo. Adesso la Guida li aveva chiamati per nominarli cavalieri, i primi di un nuovo ordine.

"Andiamo a bere stasera?" chiese Rossa prendendolo sottobraccio mentre salivano le scale.

"Qualsiasi sia la scelta della Guida, senza rancore!" Lapo scherzò. "Che vinca il migliore!"

La Guida li fece entrare uno alla volta, nell'ampio salone del palazzo in cui aveva sede il Governo di Alario. Marin fu l'ultimo ad essere convocato, quando ormai gli altri tre avevano già conosciuto le intenzioni dell'Anziana. Quando fu il suo turno, compì il percorso che lo separava dal trono lentamente, trattenendo l'aria nei polmoni, come faceva sempre quando aveva bisogno di calmarsi. Sapeva di essere una presenza impressionante, completamente vestito di nero, le sue armi ricamate sulla lunga tunica di velluto, si sentiva quello che era, un demone. Solo i suoi amici non lo vedevano così. Salutò la donna con rispetto e attese le sue decisioni.

"Marin, io ti ringrazio per questi anni di instancabile servizio. Ho preso la mia decisione dopo aver parlato con ogni anziano e con ogni cittadino, tutti siamo stati d'accordo che la tua forza d'animo deve essere premiata. Per questo motivo io ti nomino cavaliere e ti affido la custodia della Torre di Alario, la più alta e la più importante delle torri che proteggono le nostre mura, a te affido la guida del nostro esercito."

Le parole della donna colpirono Marin con la forza della loro rivelazione, il giovane si raddrizzò e si guardò intorno. I suoi amici sorridevano soddisfatti. Stava per esprimere i suoi dubbi quando la Guida lo interruppe facendogli cenno di rimanere in silenzio.

"Conosco i tuoi pensieri Marin, e so quello che stai per dire, ma non farlo, puoi star sicuro che la nostra decisione è stata ben ponderata" disse, impedendogli di parlare. "Inoltre devo assegnarti un altro incarico, un compito importante."

"Si, Signora." Marin abbassò lo sguardo in segno di rispetto.

"I signori delle Quattro Terre ed i loro vassalli, si ritroveranno alla Fiera di Evora, per iniziare una trattativa che dovrebbe portare alla pace tra i nostri regni. Voi andrete in rappresentanza di Alario."

Marin si raddrizzò, solo il battito delle sue palpebre ruppe la sua calma apparente.

Avrebbe rivisto Gabriel Crisanto ed Alessan di Zen. Il passato che aveva imparato a tenere a bada, sopito come un fuoco sotto la cenere, rischiava di ritornare a tormentarlo divampando come un incendio.

Colui che è coraggioso è libero

"Non credo che la vostra proposta sia accettabile, Principe Zen." Gabriel Crisanto sospirò, non celando la sua irritazione. Quel ragazzino doveva imparare l'educazione e lui sarebbe stato il suo maestro. D'altronde era cresciuto senza una madre per colpa sua, in parte se ne sentiva responsabile. L'uomo sorrise accarezzandosi il mento.

"Caserotte, Casedimezzate e Petra devono rimanere sotto il controllo del governo di Tron o non ci sarà nessuna trattativa, mi dispiace" disse, mostrando la sua dentatura perfetta.

Alessan di Zen batté entrambe i pugni sul tavolo. Era giovane e non riusciva a tenere sotto controllo le sue emozioni, ancora immaturo per essere un vero sovrano. Il caldo e le mosche non facevano che peggiorare la sua situazione. Almeno una cinquantina di uomini era stipata sotto l'ampio tendone al centro della fiera.

Intorno al lungo tavolo di quercia sedevano il Primo Monaco del Monastero di Zen, il principale esponente del culto di Maia, ed altri venti signori di casate minori. Gabriel era certo di tenerne una buona parte in pugno, non avrebbe avuto problemi ad avere il loro voto, il vero ostacolo era rappresentato dal ragazzino e dalla rappresentanza di Alario. Quella era un vero mistero. Nessuno li conosceva, erano un'accozzaglia di banditi e contadini fuggiti dalle sue terre, ma ormai Alario aveva la stessa dignità delle altre terre e aveva dovuto acconsentire ad averli al tavolo delle trattative. Non aveva idea di come si sarebbero espressi, anche se temeva che il loro arrivo non avrebbe portato niente di buono. Zen ed Alario insieme pesavano più di tutti gli altri venti messi insieme e potevano metterlo all'angolo. Doveva essere cauto.

In quel momento il suono delle trombe interruppe il corso dei suoi pensieri.

"Lupus in fabula" pensò, mentre gli araldi annunciavano l'arrivo della rappresentanza di Alario.

Stava ancora sorridendo sornione, quando due uomini e due donne, fecero il loro ingresso nella tenda. Erano giovani, dalle movenze feline, sicuramente dei guerrieri, ma quello che catturò tutta la sua attenzione era il Demone Nero che li guidava: Marin Crisanto.

Gabriel trasalì, come trapassato dal filo di una spada. Suo figlio.

I suoi occhi cercarono Neri che era accanto a lui ma non trovò conforto nel suo sguardo che lasciava trasparire stupore, sconcerto e perfino paura. Potevano giocarsi tutto con quella bravata della conferenza di pace. Ora aveva davanti a se un nuovo potente nemico.

"Oppure, possiamo cercare una soluzione alternativa, Principe Zen" disse, proseguendo nella trattativa.

"Come?" Alessan di Zen non riusciva a distogliere lo sguardo da suo fratello e da Rossa, che lo accompagnava.

"Potremmo risolvere la questione con un duello. Un regolare duello per aggiudicarsi le terre contese e siglare il trattato di pace."

Gli occhi di tutti i presenti si spostarono sul Signore di Tron.

"Io contro uno dei vostri campioni" disse. "E' una proposta generosa, non potete negarlo."

Alessan stava per rispondere alla provocazione, quando la voce di uno dei guerrieri di Alario spezzò il silenzio. "Accetto la sfida, se gli altri sono d'accordo mi batterò io per le Terre Libere." Marin Crisanto si fece avanti appoggiando la mano sopra la spada.

Nella sala scoppiò un vero e proprio tumulto. Nessuno conosceva il nuovo arrivato personalmente, ma avevano sentito parlare del suo coraggio e del suo valore in battaglia. Alessan di Zen era rimasto in silenzio e non esprimeva i suoi pensieri.

"Non è stata un'idea brillante la tua." Neri aveva appoggiato la sua mano sulla spalla del cugino e la stringeva con forza.

"Non capisco le tue paure." Gabriel si divincolò dalla sua stretta con fastidio, non aveva paura di Marin, era un demone giovane, non conosceva i suoi poteri.

"Ti ricordo le tre profezie, cugino. Tutto mi fa temere che si stiano avverando."

Gabriel si voltò e fissò a lungo Neri. Il volto dell'uomo lasciava trasparire la sua paura.

"Non dire idiozie" lo rimproverò. Era lui che aveva le carte in mano e le avrebbe giocate nel modo migliore. Le profezie erano leggende per spaventare i bambini del Tron, quando facevano i capricci e non volevano andare a dormire. Un Demone Nero governerà il mondo emerso, Zeno trionferà ... erano le prime due.

"Un Demone Nero sconfiggerà Zeno." Neri gli ricordò la terza e più oscura profezia.

"Non significa niente" rispose alzandosi in piedi.

"Accetto la sfida" disse ad alta voce, superando il baccano che in quel momento regnava sotto la tenda.

Marin si preparò al duello che lo avrebbe portato ad affrontare il più temibile dei demoni. Solo lui poteva conoscere i tormenti che la sua anima nera gli provocava. La vicinanza di suo padre risvegliava tutti i suoi sensi e gli avrebbe reso ancora più difficile resistere alla tentazione di abbandonarsi alla rabbia.

Rossa gli porse i bracciali ed il pettorale dorato che avrebbe indossato per la sfida. Spada lunga e spada corta, questo avevano stabilito i giudici. Lo aiutò ad indossarli sopra la pelle abbronzata dal sole. La cicatrice che aveva sul petto sarebbe stata visibile a tutti.

"Non avresti dovuto" gli disse, sfiorandogli le labbra con il dito. Come sempre Marin si ritrasse per sfuggire al suo tocco. Rossa era attraente ma il suo autocontrollo gli imponeva di non cedere ai piaceri; la sua vita aveva trovato un senso solo attraverso il potere che la sua mente esercitava sul corpo e non poteva permettersi alcuna debolezza. Non c'era molta differenza tra la sua vita e quella di frate Monaldo, forse era per questo che si piacevano.

"Non avevo altra scelta." I suoi occhi si posarono sulle due armi, era concentrato e non avrebbe permesso a niente di distrarlo.

"Marin, posso entrare?" La voce di Lapo lo riportò nel mondo reale. "C'è una persona che vuole vederti" disse, alzando il lembo della tenda.

Sulla porta, scontornata dal sole, si stagliava la figura di una donna che stava lì in silenzio, incapace di fare un solo passo all'interno della tenda. Marin sapeva benissimo chi era, nonostante la sua vista umana non gli permettesse di metterla a fuoco.

"Lasciateci soli per favore" chiese ai suoi amici, mentre le tendeva le mani per accoglierla.

Freda allungò una mano verso di lui.

* * *

L'arena era piena di gente, di viandanti, di contadini, accorsi per assistere al duello tra il Signore del Tron e il Signore della Torre di Alario. Sarebbe stato uno scontro all'ultimo sangue e questo piaceva agli spettatori.

La struttura di pietra era piena all'inverosimile e acclamò Gabriel Crisanto al suo ingresso. Non era importante che si stesse lottando per la libertà delle terre di Alba, Crisanto era un guerriero potente ed il pubblico chiedeva solo sangue.

"Che idioti!" Alessan di Zen non poté non trattenere un moto di rabbia.

"Sono solo bifolchi che ucciderebbero la madre ed il padre per un tozzo di pane." Il signore di Evora, che sedeva vicino a lui, condivise il suo pensiero con un gesto di disprezzo.

All'ombra del tunnel Marin dedicò un ultimo istante a serrare meglio i suoi gambali e a cercare il suo stato di calma ideale. "Signora, proteggimi" pregò, dopodiché percorse a passo deciso gli ultimi metri che lo avrebbero portato al centro dell'arena.

Suo padre era lì e lo aspettava con un ampio sorriso. Il giovane strinse l'elsa della spada e la sfilò dal suo fodero.

"Vieni avanti vigliacco!" Il suo contendente lo stava provocando.

Marin accelerò il passo per farsi sotto ed in quel momento esatto fu investito da una forza sconosciuta. Il male era forte in quel luogo, rivestiva suo padre come una cappa, lo proteggeva e facendolo rivelava la sua vera natura. La folla gridò spaventata perché il Demone Nero era davanti a loro in tutto l'orrore del suo terribile aspetto. Nudo, scheletrico, con la sua pelle avvizzita, era osceno. La bocca aperta, senza le labbra e gli occhi rossi fiammeggianti, brandiva le spade facendole roteare nell'aria.

"Vieni, non farmi ripetere l'invito" sibilò.

Il giovane si fermò abbassando l'arma per un istante. Doveva prendere una decisione. Se avesse accettato lo scontro avrebbe dovuto varcare quella cappa rivelando la sua vera natura. Tutti avrebbero conosciuto il suo segreto. I suoi occhi cercarono tra la folla. Sua madre, suo fratello, i suoi amici erano lì. Marin deglutì e fissò per un momento il ghigno del demone, prima di riprendere la sua corsa.

Le loro lame si incrociarono con uno schianto fragoroso.

"Non ti manca il coraggio devo dire!" Crisanto continuava ad avere quel ghigno infernale stampato sul volto. "Se anche dovessi per caso vincere questo combattimento per te non ci sarà più una casa, lo sai, vero?" lo schernì.

"Stai zitto e combatti" gli ringhiò contro suo figlio.

La lama del demone sibilò pericolosa vicino alla gola del giovane che si ritrasse indietro con un movimento che rivelava tutta la sua forza, mentre la lama più corta lambiva la pelle del suo braccio.

"Fammi vedere quello che sai fare, ragazzino."

Il Signore del Tron scaricò una serie di fendenti contro il contendente, sfogando tutta la sua rabbia.

Marin uscì ed entrò più volte nel campo di forza del demone, ma non aveva tempo di curarsi della reazione della folla. Doveva pensare a sopravvivere.

La sua lama lunga roteò nell'aria mancando di un soffio la testa del padre, mentre quella corta mirava con forza al suo petto.

"Bravo, continua così!" Crisanto lo schivò agile come solo la sua natura di demone gli consentiva di essere e menò un fendente alla coscia di Marin. Il giovane trasalì per il dolore ed il suo grido fu accompagnato dal boato della folla. Cosa stava succedendo? Erano dalla sua parte?

"Fatti sotto ragazzo. Non ti capiterà un'altra occasione come questa. Vuoi che ti racconti come sei nato?"

Marin si bloccò improvvisamente come se l'uomo lo avesse colpito al cuore. Il suo gioco era chiaro, voleva fargli perdere la calma, far emergere la sua natura demoniaca, quella che aveva rifiutato anni prima.

Doveva rimanere calmo.

Chiuse gli occhi e inspirò profondamente.

Quando li riaprì il demone lo stava guardando con curiosità.

Il giovane sorrise, prima di lanciarsi contro di lui con entrambe le spade. Per alcuni istanti l'unico rumore nell'arena fu quello delle loro lame che si incrociavano. Marin colpiva e arretrava, colpiva e arretrava, sembrava instancabile. Il suo corpo era forte e vigoroso, aveva spaccato pietre per un anno ad Alario, per ricostruire la città. La folla accompagnava i suoi colpi con grida di incoraggiamento e Crisanto iniziò ad indietreggiare. Gli occhi di Marin erano calmi, come l'acqua del lago di Alba e non rispecchiavano la furia con cui i suoi colpi si abbattevano sul corpo del padre. Era una pietra da spaccare, come tante. Un lavoro da fare, senza odio né rancore. Non si prova rancore per le pietre.

Il demone cadde all'indietro, colpito ad una gamba, poi ad un braccio, stava sanguinando vistosamente ed il suo sangue nero tingeva la sabbia dell'area.

"No, stai indietro. Per Zeno!" urlò mentre lasciava che i suoi poteri fluissero attraverso le sue braccia verso il guerriero che lo sovrastava. Un'ondata di forza colpì Marin al petto paralizzandolo. Il ragazzo si piegò in due, improvvisamente avvolto dall'oscurità.

Il giovane gridò, intorno a lui era buio. Non vedeva più nulla e la sua pelle bruciava come lambita da fiamme invisibili. Si gettò a terra e si rotolò nella sabbia per alleviare il dolore, sapeva di essere un bersaglio facile in quel momento, ma la sofferenza era troppo grande.

"Fermate il duello!" Una voce, più voci risuonarono tra la folla. "Non è corretto!"

Gridò ancora contorcendosi. Non riusciva più a lottare, non riusciva.

"Basta, fermatevi! La voce era più vicina ora, Marin si sentì afferrare da delle braccia forti che lo stavano trascinando via, mentre quella strana forza che lo aveva reso cieco svaniva improvvisamente.

"Che cosa è successo?" chiese, battendo le palpebre.

"Hai vinto, Crisanto si è dichiarato battuto!" Suo fratello Alessan lo stava stringendo tra le braccia. 




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