Capitolo 1 "Peccato originale"
L'umiltà è la forza dei saggi
Anno 1576 del Regno di Zen
"Avanti, avanti, fate largo." Gli scudieri entrarono al galoppo nel cortile delle stalle reali per annunciare l'arrivo di Neri Crisanto. Il signore stava rientrando dalla caccia e forse non era solo.
"Dai, muoviti scansafatiche!" Il capo stalliere, un uomo robusto con delle mani grandi come pale, diede uno spintone e scansò Marin con tutta la sua forza. Il ragazzo fece del suo meglio per non rotolare a terra tra la paglia e lo sterco; era tanto magro che sarebbe bastato un soffio di vento per farlo volare via.
"C'è anche il Principe Gabriel con lui. Fate spazio, togli di mezzo quella cavalla, idiota!" gli urlò, aggiungendo agli insulti parole colorite che rivelavano una notevole dose di creatività.
In quel momento i cavalli dei due nobili fecero il loro ingresso accompagnati dai valletti che li seguivano di corsa. Il capo stalliere si affrettò verso il suo signore per aiutarlo a smontare dalla cavalcatura.
Marin cercò di rendersi invisibile, come faceva ogni volta che suo padre entrava nelle stalle. L'uomo non cercava mai il suo sguardo e fingeva di ignorare la sua presenza nonostante fosse proprio lui ad occuparsi di Absil, il suo cavallo. Le lunghe ciocche dei capelli davanti agli occhi, il giovane prese le redini dell'animale che sembrò riconoscerlo e ricambiare con gratitudine le attenzioni che gli riservava.
"Aspetta!" La voce di Neri, il cugino di suo padre, fece sussultare Marin. Il suo sesto senso gli diceva che stava parlando proprio con lui, ma fece finta di non sentire. "Sto parlando con te stalliere. Aiutami a smontare" gli ordinò.
Marin si inchinò rassegnato e mise le sue mani a coppa per permettere al nobile di appoggiare il piede. Neri lo osservò dall'alto prima di fare forza sulla sua schiena e saltare a terra conficcando lo sperone nel palmo della sua mano, strappandogli un gemito di dolore.
"Cosa c'è?" chiese il signore voltandosi verso di lui. Il giovane schivò il suo sorriso beffardo e si girò dall'altra parte stringendosi la mano dolorante. Sicuramente lo aveva fatto apposta.
"Lascialo stare Neri, lo sai che il ragazzo è come sua madre. Ricordi come guaiva la notte che l'ha concepito?" La risata sprezzante di Gabriel lo gelò mentre il significato delle sue parole si faceva strada nella sua mente. Stavano ridendo di lei. Si strinse la mano al petto dove già sentiva un dolore sordo e represse le lacrime che minacciavano di uscire per la rabbia.
Nessuno è libero se non è padrone di sé stesso
Quando Marin rientrò nella baracca che condivideva con la madre non le raccontò dell'incontro con il Signore di Tron. Solo pronunciare il suo nome faceva piombare la donna nella tristezza più profonda, quindi la baciò, addentò una mela e si stese sul suo pagliericcio perché, il gallo avrebbe cantato presto l'indomani, quando fuori era ancora buio.
Odore di fumo, grida. Il sonno di Marin quella notte fu funestato da immagini orribili di morte e distruzione, il giovane si girò nel sonno diverse volte prima di aprire gli occhi, il respiro accelerato. Sua madre lo stava scuotendo con forza.
"Alzati, presto, dobbiamo andarcene da qui."
Il rumore di un vetro infranto lo fece sussultare. La fortezza era sotto attacco, ma come era possibile? Chi aveva potuto rischiare tanto da attraversare il Fosso delle Lame per rimanere intrappolato tra le montagne? Marin si alzò e cercò la sua tunica, in quel momento la porta del loro alloggio si aprì con uno schianto di legno e pietra e finì scardinata contro il muro.
"Vostra altezza?" La sagoma di un uomo alto, coperto da un pesante mantello nero grondante di pioggia, apparve sulla soglia.
"Regina Freda?" L'uomo aveva una torcia in mano e illuminò la stanza cercando con gli occhi ogni angolo. Sua madre era atterrita e si stringeva a lui timorosa, ma ad un tratto sembrò risvegliarsi da quell'incubo. "Sono io" rispose.
Tre uomini fecero irruzione nella baracca e quello che aveva parlato afferrò la donna per il polso tirandola verso l'uscita.
"Abbiamo trovato la regina. Andiamocene da qui" disse, cercando nel frattempo di tranquillizzarla. "Altezza, ci manda vostro figlio Alessan, venite con noi, siamo qui per portarvi in salvo."
A Marin il volto di sua madre sembrò illuminarsi di luce e non poté dire se fosse a causa della fiamma della torcia che il soldato teneva in mano o per l'inattesa felicità.
La donna sorrise all'uomo vestito di nero e fece per seguirlo. Una volta arrivata alla porta si arrestò nuovamente e si voltò verso suo figlio, l'altro figlio, che la guardava terrorizzato.
"Lui viene con noi!" Freda pronunciò quelle parole come un ordine, un tono che Marin non le aveva mai sentito utilizzare in tutta la sua vita. Il giovane tese la mano verso di lei, improvvisamente incapace di muoversi o di parlare.
"Non c'è posto per lui, abbiamo pochi cavalli e dobbiamo essere veloci se vogliamo scappare da qui" replicò il gigante. Il suo sguardo si posò per la prima volta sul ragazzo. Probabilmente si stava chiedendo il motivo di tanto interessamento da parte della donna.
"Se lui non viene, rimango qui anche io, mi dispiace." Fedra si voltò e fece un passo verso l'interno della baracca. L'uomo guardò Marin incerto sul da farsi. Sembrava contrariato quando, con un cenno della testa, gli fece cenno di seguirli.
Sorgi, vendicatore, dalle mie ossa
I cavalli del gruppo di soccorso attraversarono le mura del regno di Alba dopo un giorno di viaggio in cui si erano fermati solo per far riposare i cavalli. Freda era arsa da un fuoco indomabile che le consentiva di non sentire la stanchezza. Il suo unico desiderio era ricongiungersi al figlio che per anni aveva creduto morto; avrebbe camminato sulle braci ardenti per raggiungerlo prima possibile. Il suo volto era teso, gli occhi lucidi, quasi febbrili. Per la prima volta da anni ammirava il lago di Alba ed il palazzo che si rispecchiava nelle sue placide acque, con desiderio. Avrebbe avuto la sua vendetta, suo figlio Alessan era vivo e avrebbe rivendicato il suo diritto alla corona. Ora che anche lei era lì, niente l'avrebbe fermato.
"Loro non hanno idea di cosa sta per succedere" mormorò tra sé, prima di rimontare a cavallo e percorrere al galoppo le ultime miglia che la separavano dalla sua casa. Le strade deserte erano appena illuminate dalla luce biancastra dell'alba e non c'era nessuno a festeggiare il suo ritorno, ma lei non ci fece caso, il suo unico pensiero era riabbracciare il suo primogenito.
Superato il ponte levatoio i cavalli frenarono per fermare la loro corsa mentre il pesante portone di legno si richiuse alle loro spalle cigolando cupo sugli stipiti. Il rumore sordo del legno che batteva contro la pietra fece sussultare Marin. Nel cortile decine di nobili e persone di servizio attendevano in religioso silenzio.
"Madre!" Un giovane uomo si fece strada tra la gente mentre i cortigiani si scansavano per lasciarlo passare. Doveva avere circa vent'anni, i lunghi capelli biondi incorniciavano un viso piacevole dai tratti determinati, illuminato da due occhi di zaffiro. Il suo corpo era quello di un guerriero, armonioso, pericoloso, i cui muscoli guizzavano sotto la lunga tunica di seta e broccato. Un principe che incuteva rispetto. Marin, nascosto dai capelli neri che gli ricadevano sulla fronte e celavano un viso fin troppo somigliante a quello del giovane nobile, osservava suo fratello da lontano. Pensò a quanto erano simili, eppure diversi. Sventurati, avevano entrambe conosciuto la sofferenza. Alessan di Zen era determinato, aveva riconquistato con la forza un pezzo del suo regno, governava su Alba ma non aveva mai avuto l'affetto di sua madre; lui invece, reietto e rifiutato, nei suoi sedici anni di vita l'aveva avuta tutta per sé.
"Alessan ..." Freda era smontata da cavallo e ora rimaneva in silenzio, tremante, incapace di muoversi. Il giovane le corse incontro e la abbracciò con forza, stringendola a sé, come se temesse di vederla sparire un'altra volta.
Gli occhi grigi di Marin, così simili a quelli di un lupo, si posarono sulla donna che stringeva al petto il proprio figlio legittimo. Era felice per sua madre, finalmente aveva quello che voleva.
La corte di Alba era in festa perché la sua regina era tornata a casa. Il Signore di Tron era meno potente ora che non aveva più Freda sotto il suo controllo, anche se si diceva che la regina avesse avuto un figlio da lui, un bastardo.
Marin lasciò vagare il suo sguardo e la sua fantasia nel grande salone delle feste, illuminato a giorno, Freda era bellissima, seduta sul trono accanto al Principe Alessan, le torce illuminavano i loro volti e facevano splendere i capelli dorati del giovane Zen.
"Cosa fai qui, chi sei?" La voce di una donna lo risvegliò bruscamente dai suoi pensieri e quasi strappò dal suo supporto la tenda dietro alla quale si era nascosto.
"Guardavo la festa, sono arrivato con la ... Regina" disse, abbassando immediatamente gli occhi. La donna davanti a lui era bellissima, la pelle bianca, i capelli rossi come il fuoco e due labbra che sembravano ciliegie.
"Io mi chiamo Rossa, sono promessa al Principe Alessan" si presentò lei, come per chiarire che era fuori dalla sua portata. I suoi occhi erano verdi come il sottobosco ma la luce che illuminava le sue iridi e il modo fiero in cui teneva il mento, non lasciavano dubbi sul fatto che anche lei fosse una guerriera.
"Marin." Il giovane piegò la testa educatamente in segno di saluto.
La Regina aprì le danze al fianco di suo figlio e accolse con lui i nobili. A cena furono servite carni pregiate e ogni tipo di prelibatezza mentre vino rosso e miele scorrevano a fiumi, ma Freda era triste perché il segreto che nascondeva le pesava come un macigno. Nessuno aveva avuto il coraggio di chiederle chi fosse il ragazzo che aveva portato con sé da Tron eppure sapeva che i nobili mormoravano e in molti si chiedevano se non si trattasse del suo amante.
"Madre, posso farvi una domanda?" La voce di Alessan la risvegliò dai suoi pensieri. Freda sorrise a suo figlio.
"Tutti si chiedono chi sia il giovane che vi ha accompagnato nella fuga. I miei uomini mi hanno detto che per nessun motivo vi siete voluta separare da lui" disse, con una nota di gelosia nella voce.
Per un momento Freda pensò di mentire, ma poi il desiderio di vendetta si impadronì di lei. Era giusto che suo figlio sapesse che cosa le era stato fatto.
"Marin è tuo fratello." Le parole uscirono dalla sua bocca stridendo come lame contro la pietra. Lo guardò negli occhi prima di continuare "Il Principe Crisanto ha abusato di me per giorni pur di avere un erede da mettere sul trono di Alba al tuo posto."
Il principe si alzò rovesciando la sua seduta che cadde a terra rumorosamente. Il giovane era pallido come un cadavere e fissava il vuoto davanti a se.
Alessan l'avrebbe vendicata, avrebbe annientato il Signore di Tron, mandandolo all'inferno e ripagandola per tutti quegli anni di tormento.
"E cosa facevi nelle terre del nord?" chiese Rossa, guardandolo con curiosità.
Marin le sorrise amabilmente. Non aveva mai parlato con una giovane donna prima di quel giorno e trovava quella conversazione elettrizzante. Quasi non si accorse del principe Alessan che avanzava verso di loro a grandi passi. Alzò il viso all'ultimo momento quando ormai il guerriero lo sovrastava con il suo fisico imponente.
"Alessan!" Marin udì la ragazza gridare mentre cercava di spostarlo con il suo peso, ma era troppo tardi. Il giovane si guardò il petto in cui il principe aveva appena conficcato la lama di un pugnale, poi guardò suo fratello negli occhi. Avrebbe voluto chiedergli perché ma conosceva già la risposta. Il sangue intrise rapidamente la sua tunica mentre le forze lo abbandonavano. Cadde a terra senza possibilità di tenersi e di attutire la caduta. Rossa era sopra di lui e gridava qualcosa ma il sangue gli usciva dal naso, dalla bocca e gli impediva di respirare.
"Madre ..." Fu l'unica parola che Marin riuscì a pronunciare, prima di morire.
Il primo requisito per l'immortalità è la morte.
Freda pianse e si disperò. Aveva amato Marin più della sua stessa vita, quel figlio sfortunato, nato dalla violenza e rifiutato da suo padre. Adesso il suo cuore non batteva più.
Lo seppellirono lontano da Alba perché Alessan non avrebbe mai voluto le spoglie di un nemico nelle sue terre. Il suo corpo fu caricato su un carro e fu portato oltre il Fiume Largo, nelle terre di Caserotte, al confine con il Tron.
Un messaggero si recò fino al Fosso delle Lame e fu avvisato il Signore di Crisanto che Alessan di Zen gli stava restituendo il corpo di suo figlio. Incredibilmente l'ira di Gabriel Crisanto fu memorabile. Non aveva voluto quel ragazzo malaticcio ma non poteva nemmeno perdonare l'offesa, per cui sellò Absil e accompagnato dai suoi uomini più fidati scese verso Caserotte per recuperarlo e riportarlo a casa.
Gabriel diede ordine di comporre il corpo del suo erede nella sala del trono e Marin fu spogliato, massaggiato con balsami e coperto con la bandiera di Tron. I nobili vegliarono il suo corpo tutta la notte fingendo di provare dolore.
"Sembra già uno scheletro." Neri Crisanto vuotò la sua coppa di vino in un sol sorso. Aveva osservato suo cugino tutta la sera e sapeva che tramava qualcosa. Gabriel aveva gli occhi iniettati di sangue e non riusciva a contenere la sua rabbia.
"Uscite tutti." La sua voce interruppe bruscamente le preghiere dei monaci.
"Fuori di qui, ho detto!" gridò rovesciando a terra bottiglie e bicchieri che erano sul tavolo.
I nobili uscirono di corsa, cercando di mettersi al riparo dalla sua furia.
"Che cosa vuoi fare?" chiese Neri, fingendo indifferenza.
"Quello che avrei dovuto fare dieci anni fa." Il principe ringhiò ormai consapevole che la sua natura demoniaca era diventata palese. Poteva sentire i cambiamenti nel suo corpo, nei suoi sensi, che anticipavano la trasformazione. Neri era come lui, non si sarebbe scandalizzato.
"Non puoi farlo." Suo cugino lo stava osservando con un mezzo sorriso.
"Non permetterò a quel bastardo di spandere il mio sangue impunemente. Me la pagherà!" ringhiò ancora. Con una mano afferrò la bandiera che copriva il corpo di suo figlio e la strappò via, lasciandolo nudo. Pelle ed ossa, questo era sempre stato, un ragazzo troppo debole per difendersi. Osservò i lembi della ferita che aveva sanguinato pompando via la vita fuori dal suo corpo. I lembi erano scuri, ormai quasi neri. Il volto di Marin sembrava sereno. Poteva lasciargli godere il riposo eterno, era un Giusto, forse era già nella Luce della Signora.
"Rabbrividisco al solo pensiero" sibilò, sfilando il suo pugnale dalla fondina. Con un colpo preciso squarciò il torace del giovane dallo sterno fino al ventre, dove non incontrò resistenza, poi immerse la mano destra nel suo corpo. Cercò il cuore, ormai freddo e quando lo trovò lo strinse nella mano.
"Zeno ti dia la vita, vivi demone nero." Pronunciò quelle parole antiche e maledette con una smorfia e rimase in ascolto. Il suo sguardo spaziò nelle volte del palazzo e si soffermò a guardare il pulviscolo che si formava intorno ai lampadari.
Poi sentì un battito. Un altro battito. La vita che tornava nel corpo di suo figlio.
Marin Crisanto, l'erede che aveva tanto desiderato. Il Principe Gabriel lo osservò mentre dormiva. Il giovane era disteso su una branda di legno, chiuso in una cella. Non sarebbe stato facile gestirlo al suo risveglio, certo non aveva un fisico possente, ma ora era un demone nero. Avrebbe avuto fame e bisogno di carne e sangue, come tutti i demoni della loro razza. Al resto avrebbero pensato dopo. Doveva solo tenerlo al sicuro.
"L'hai portata?" Neri fece cenno ad una delle guardie di far passare la ragazza. La conosceva bene, si chiamava Ederla, era una delle inservienti della cucina, un piccolo sedere sodo e curve al posto giusto. Non era magra avrebbe fatto il suo dovere.
"Mi avete chiamato signore?" chiese la donna, improvvisamente timida.
"Abbiamo bisogno dei tuoi servigi mia cara" le disse con un profondo sorriso mentre la invitava ad entrare nella piccola cella e chiudeva la porta dietro di lei. Sarebbe rimasto a guardare.
* * *
Il battito di un cuore pulsante e odore di donna. Marin aprì gli occhi in preda alle convulsioni e si guardò intorno spaventato. Era nudo e il suo corpo testimoniava la sua eccitazione. Fissò la donna con occhi famelici, lo spazio era stretto non avrebbe dovuto fare molta fatica. Con un balzo la spinse contro il muro stordendola e la distese sulla branda. Le strappò i vestiti gettandosi su di lei come una belva affamata. L'avrebbe presa, aveva bisogno di possederla, provava dolore fisico nel trattenersi. La ragazza lo stava guardando, poteva percepire la sua paura.
Marin capì, ricordò la lama che si conficcava nel suo corpo, le grida di Rossa, quelle di sua madre. Non era arrivata in tempo, non era riuscita a dirgli addio.
Gridò, l'urlo di una bestia ferita mentre la consapevolezza di quello che era diventato si faceva strada nella sua mente.
"No!"
Il suo grido gelò gli uomini di guardia e la donna, che ora piangeva, raggomitolata in un angolo.
Cosa ci faceva lì? Perché non poteva semplicemente morire come tutti? Con gli occhi iniettati di sangue fissò per un momento Ederla.
"Ti ... chiedo ... perdono ... " balbettò, prima di sfondare la porta e scappare nel corridoio.
Le guardie cercarono di fermarlo, ma Marin era troppo forte, non era controllabile. Il giovane demone ebbe la meglio di quelli che incontrò lungo la sua via di fuga e riuscì ad arrivare alle scale che portavano in cima alla torre. Salì più in alto che poteva fino a quando le scale lasciarono il posto al ballatoio. Il vento del nord soffiava gelido e fece volteggiare vorticosamente i suoi lunghi capelli neri.
Non voleva essere quello che era diventato.
"Principe Marin, fermatevi!" Gli uomini di suo padre emersero dalla scalinata sul ballatoio.
Non voleva. Marin si voltò verso di loro e poi guardò giù dalle mura della torre. Non aveva scelta, si lasciò cadere nel vuoto, nelle acque gelide del torrente. Un volo di decine di metri che avrebbe ucciso chiunque, ma lui era già morto e non poteva morire ancora, non in quel modo almeno. Aveva sentito decine di storie sui Demoni Neri e sul fatto che potevano essere uccisi solo da uno dei loro simili oppure da un Demone Bianco, quindi non si meravigliò quando emerse dall'acqua ferito, ma vivo.
Vagò per giorni, verso sud, con una sola idea in mente, tornare da sua madre, lei avrebbe aggiustato le cose.
Il messaggero che aveva accompagnato il corpo di Marin fino al Fosso delle Lame tornò ad Alba e arrivò tre giorni dopo essere partito, portando notizie di quello che era accaduto. Raccontò dell'ira del Signore di Tron e che, si diceva, avesse usato il cadavere di suo figlio per creare un nuovo Demone Nero.
La regina fu sconvolta perché creare un demone era il peccato più grande che si potesse fare contro la Signora e suo figlio era stato sempre un suo devoto fedele. Freda si rinchiuse nel silenzio più cupo, rifiutando di accettare la realtà. Rossa di Casedimezzate parlò a lungo con il messaggero che le rivelò come il demone stesse viaggiando verso sud, probabilmente diretto ad Alba.
"Sicuramente viene qui per vendicarsi" disse Alessan, lanciando uno sguardo preoccupato verso la sua compagna.
"O forse sta solo cercando sua madre" replicò la donna.
"Non dire idiozie." L'uomo le lanciò uno sguardo di fuoco. Rossa era sempre stata una testa calda, ma l'idea di sapere che ora difendeva suo fratello contro di lui era qualcosa di inaccettabile.
Quella notta Rossa sellò il suo cavallo e di nascosto partì verso nord. Aveva visto Marin morire, non poteva dimenticare quegli occhi innocenti che la guardavano chiedendole aiuto. Lo avrebbe trovato e se si sbagliava sul suo conto, lo avrebbe ucciso, una volta per tutte. Come, ancora non lo sapeva, ma l'impresa non la spaventava.
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