Cuore Nero

La lezione di letteratura quella mattina sembrava non finire mai. La professoressa Harrison, seduta in bilico sul bordo della cattedra, si guardava intorno in cerca di un minimo cenno di interesse in un mare di volti inespressivi e assenti. Slittai un po' sulla sedia e lasciai che i capelli mi ricadessero sulla faccia. Cercavo di nascondermi. Non mi è mai piaciuto mettermi in mostra. Così decisi di estraniarmi e continuare a leggere, lanciando di tanto in tanto un'occhiata all'orologio sopra la lavagna.

«Signorina Truman? Susy? Mi ha sentito?» La voce della professoressa mi riportò alla realtà. No, non l'avevo sentita. La Harrison, dando un'occhiata al foglietto che le aveva appena consegnato un ragazzo dell'ultimo anno, mi disse:«È desiderata nell'ufficio della preside».
In tutti gli anni di liceo non vi avevo mai messo piede. Non sono il tipo. Che fosse successo qualcosa a mia madre? Non ci potevo fare niente se pensavo sempre al peggio. Ero fatta così, il bicchiere per me era sempre mezzo vuoto.

La presidenza era a due passi dall'aula. Mi fermai sulla porta aperta dell'ufficio. «Prego, signorina Truman, si accomodi», mi accolse la preside guardandomi da sopra gli occhiali da lettura e sistemandosi sulla sedia. «A quanto pare debbo congratularmi con lei.»
Spalancai gli occhi senza nemmeno accorgermene. «Ci hanno appena comunicato che lei è stata accettata nel programma di stage Lux organizzato dal dipartimento dell'Istruzione.»

Impiegai un minuto a rielaborare l'informazione. «È fantastico, grazie», risposi poco entusiasta, ma stavo cercando di ricordare tutte le domande che avevo inviato quell'anno. Erano troppe. Stage, borse di studio, concorsi: la mia casella di posta era un flusso continuo di domande di iscrizione, termini di scadenza e speranza. Quel programma, però, proprio mi sfuggiva.

«Si tratta di un programma sperimentale: scelgono gli studenti migliori e più brillanti e offrono loro uno stage di una settimana presso un'azienda affermata. Il prescelto poi sarà affiancato da un interno che fungerà da tutor. E...» proseguì inforcando gli occhiali, «a quanto pare lei è stata scelta per Hotel Lux di Chicago. Davvero straordinario. Sta per riaprire e il proprietario è salito alle luci della ribalta praticamente dal nulla. Un' opportunità unica per te. Avrai vitto e alloggio e, se ti darai da fare, anche una congrua retribuzione.»

La preside mi riempiva di parole, e io non ci capivo niente. Riuscii solo a sussurrare:«Grazie mille, preside, non ha idea di quanto sia felice». In realtà avevo la testa piena di dubbi. Non mi restava che parlare con mia madre. D'altronde un'opportunità come quella che mi veniva offerta non si poteva rifiutare.

***

Il giorno d'inizio dello stage arrivò presto, mia madre era stata entusiasta della possibilità che mi era stata data. Mi sentivo come se fossi stata in partenza per il Polo Sud anziché per Chicago ma, alla fine, eccomi qui, con due enormi borsoni al seguito, di fronte all' imponente fortezza di mattoncini rossi del Lux Hotel.

L'albergo era alto dieci piani; al secondo e all'ultimo piano c'erano delle cornici in terracotta, mentre lungo l'angolo arrotondato si protendeva una mezzaluna di bovindi: le stanze migliori, di sicuro. Sul tetto, in coincidenza dell'angolo formato dalle due facciate, si stagliava fiera una bandiera immobile, rigida, in metallo. Una fila di luci illuminava la scritta Lux.

Mi caricai i borsoni in spalla e mi trascinai su per gli scalini e oltre la porta girevole. La hall scintillava: era splendida, quasi irreale. Si vedeva che era nuova di zecca. E vuota. In qualsiasi direzione c'erano tappeti rossi e dorati con lo stemma dell' hotel. I tanti corridoi probabilmente conducevano alle parti comuni. Lo spettacolo mozzafiato, però, era un lampadario di cristallo a più bracci, impegnato a riflettere e dividere la luce in mille prismi. I raggi del sole entravano da un immenso lucernario, dieci piani più in alto, e inondavano gli spazi, rendendo superflua la corrente. Lungo ogni piano correva una ringhiera che permetteva agli ospiti di guardare verso la hall oppure di ammirare il lucernario.

Smisi di ammirare ciò che avevo intorno e chiamai:«Ehilà?», la mia voce risuonò flebile in tanto spazio. «C'è qualcuno?» Mi avvicinai alla reception, che si trovava dalla parte opposta alla scalinata.

«Eccola qui finalmente!» intervenne una voce maschile alle mie spalle, facendomi sobbalzare. La voce era profonda e crepitante come un fuoco. Mi girai. L'uomo era talmente elegante, con un completo grigio e la cravatta di satin a quadri rosa e viola, che mi occorsero alcuni secondi per rendermi conto che doveva essere fresco di diploma. I capelli impomatati lo facevano somigliare a un attore d'altri tempi, e che dire del viso, con quel naso quasi troppo fine, gli zigomi perfetti e le labbra carnose... Non avevo mai usato l' aggettivo "bellissimo" per descrivere un ragazzo, ma lui lo era.

«Sono Sam Garrison, il figlio del proprietario.» Si avvicinò per salutarmi. «Piacere», dissi stringendogli la mano. Il suo tocco mi diede la scossa, un fremito caldo mi attraversò ogni fibra del corpo e mi augurai che non si accorgesse del mio battito. Mi trapassò con i suoi occhi grigi screziati di un blu cristallino, poi inarcò un sopracciglio con aria d'intesa, e mi fece un sorrisetto. Che tuffo al cuore! «Lei è molto fortunata. C'è chi venderebbe l'anima per essere al suo posto.»

***

La prima settimana passò celere. I miei compiti erano piuttosto semplici, dovevo occuparmi della reception. Per due giorni fui affiancata da un signora sulla trentina molto antipatica. Mi spiegò tutto in modo secco, dopo di che non mi degnò più di uno sguardo. Il terzo giorno mi ritrovai sola, ma non ebbi problemi. Gli ospiti, tutti dai modi eleganti e raffinati, arrivarono a scaglioni. Una volta fatto il check-in, sparivano nelle loro stanze e non li vedevo più fino al checkout.
La domenica sera andai a letto presto, ero stata poco bene per tutto il giorno. Avevo lo stomaco sottosopra.

Mi svegliai di soprassalto in piena notte. Un tonfo sordo risuonò nel silenzio. Il rumore mi rimbombò nella tempia, come se mi avessero colpito dritto in testa. Schizzai a sedere, ero in un bagno di sudore freddo, con la mano cercai l'interruttore dell'abat-jour. Ansimavo, il cuore mi batteva all'impazzata, avevo i capelli appiccicati alla fronte e la testa mi pulsava fra le mani. Mi imposi di riprendere il controllo. Gli occhi cercavano di abituarsi alla luce fioca, ma era come se nella stanza ci fosse nebbia fumosa. Un altro colpo e poi di nuovo rumore di trascinamento. E ancora. Poi un flebile suono, sembrava quello di un flauto, che cresceva d'intensità. Mi feci coraggio e andai subito ad aprire la porta. Il suono smise di colpo. Fuori però non c'era nessuno. Forse era stato solo nella mia testa. Mi facevano male le spalle, per non parlare della schiena. Era come se mi avessero premuto contro un attizzatoio rovente. Mi bruciava una guancia, neanche mi avessero frustato. Ma... cos'era quella cosa bagnata e appiccicosa?! Sangue. Forse mi ero graffiata nel sonno.

Guardai l'orologio, erano già le due e mezzo. Provai a stendermi nella speranza di dormire un po', ma il suono del flauto si intensificò. Ero terrorizzata. Incapace di fermarsi, il cervello aveva continuato a lavorare, a cercare una soluzione. Mi alzai e uscii dalla stanza, decisa a scoprire da dove provenisse quel suono. Lo seguii e imboccai il corridoio buio che conduceva ad uno stanzone inutilizzato. Sam mi aveva avvertito che era ancora in fase di restauro. In poche parole di starne alla larga. Il suono però sembrava proprio provenire da lì. Attenta a non fare rumore, c'era qualcosa che non tornava. Oltre il suono del flauto non si sentiva nient'altro. Un silenzio assordante, in cui riecheggiavano i miei passi leggeri.

Avanzavo in punta di piedi, con la torcia rigorosamente spenta. Per non andare a sbattere tenevo una mano appoggiata alla parete. A un tratto questa finì e mi ritrovai davanti una porta da cui proveniva un caldo bagliore. Sentii delle voci. Sembrava che qualcuno stesse preparando qualcosa. «Deve essere perfetto», diceva una. «E lo sarà, non c'è scelta», replicava un'altra. Guardai la porta, non c'era modo di aprirla, liscia, nessuna maniglia. Poi, all'improvviso, sentii qualcosa di più freddo e liscio, discosto dalla parete. Era una sbarra di metallo in orizzontale, lunga e spessa quanto il manubrio di una bicicletta. Tastai un po' più su e ne trovai un'altra, e così una al di sotto. Erano i pioli di una scala. Il bagliore fioco non mi permetteva di vedere dove portassero: che fare? Avventurarmi a salire, e magari trovare ad aspettarmi qualcuno o qualcosa di poco raccomandabile, oppure restarmene dov'ero ma col rischio di essere scoperta? Decisi di arrampicarmi verso l'ignoto.

Salivo piano, individuando di volta in volta la sbarra successiva alla cieca, coi palmi che iniziavano a sudare. Per fortuna, se anche avessi guardato giù, non avrei visto nulla. Poi le mani toccarono un piano fatto di mattoni. Grazie alla fioca luce capii che si trattava dell' imboccatura di una passerella di metallo, non più larga di un trampolino e delimitata da un muretto. Sotto pendevano i riflettori colorati che illuminavano quel lato del locale. Mi ci infilai restando in ginocchio: ero sopra la parete e la visuale era perfetta.

Sotto di me stavano riuniti gli ospiti dell' hotel. Erano tutti vestiti uguali, di nero e con una cappa dello stesso colore a coprirli, si salutavano e poi si sistemavano in tondo attorno a un cerchio di fuoco. Era come se ciascuno avesse il suo posto ben preciso. L' ambiente era in penombra, perciò, se fossi rimasta in ginocchio, nessuno mi avrebbe notata.

A un tratto le luci si abbassarono ancora, proiettando il familiare chiarore rosso. Gli ospiti erano fermi, in cerchio e senza fiatare, quando risuonarono dei passi leggeri. Un gruppo di sconosciuti, ne contai venti in tutti, fra uomini e donne, tutti bellissimi, in abiti e completi neri e un'espressione cupa dipinta in viso, si fece avanti.
Formarono un anello all'interno di quello degli ospiti, tenendo sempre lo sguardo fisso sul cerchio di fuoco. Erano immobili, proprio come me, in attesa che accadesse qualcosa di importante. Un riflettore puntò sul tunnel all'ingresso e comparve Sam. I presenti ruotarono all' unisono per osservarlo mentre raggiungeva il cerchio di fuoco, saliva la scaletta e si posizionava vicino al piedistallo, con le mani dietro la schiena. Mi dava le spalle. Era l'unica fonte di luce, oltre alla parete di fiamme. Persino il cerchio era spento.

Lentamente, la superficie del piedistallo si aprì e ne spuntò un viso bellissimo, e poi un corpo perfetto, avvolto in un abito lungo con una scollatura vertiginosa. La donna brillava letteralmente; la pelle di alabastro e i capelli color del grano catturavano la luce e la riflettevano. «Benvenuti, miei discepoli».
Dal gruppo si levò un saluto sommesso.
«È per me un immenso piacere accogliervi qui, stasera, per assistervi nel passaggio al regno della Mutazione. Come ben sapete, si tratta di un privilegio concesso unicamente ai più meritevoli, perciò mi congratulo con voi per essere stati ammessi in questa nostra esclusivissima casta. Da oggi in poi le vostre responsabilità si faranno a mano a mano più evidenti, e così le gratificazioni. In cambio della vostra sottomissione e dei vostri servigi, vi sarà concesso di veder esaudito il più grande dei desideri. Ciò che più volete sarà vostro. Preparatevi dunque alla grandezza.»
Si inchinò ai presenti, si rialzò e allungò una mano, e subito dal cerchio scaturì una scintilla e poi una fiamma, che seguì il movimento delle sue dita, compiendo un giro completo della piattaforma.

Fui percorsa da un brivido e mi accorsi di sudare freddo. La donna scese dal piedistallo e camminò lungo il perimetro del cerchio, seguita dagli sguardi di tutti. Si sentiva solo il crepitio della fiamma. «Che cos'è la Mutazione, vi chiederete? È l'origine del Potere. Un livello cui in pochi hanno la possibilità di accedere. Immagino abbiate tutti un'idea dell'Inferno, 'il parco giochi del demonio', e anche di quel limbo che è il Purgatorio », disse con un gesto della mano. «E poi c'è il Paradiso, cui pochi aspirerebbero se sapessero quanto è tedioso .» Dal pubblico si levò un'ondata di risatine soffocate. «La Mutazione è qualcosa di più grande, un ponte spirituale fra la realtà e l'ultraterreno. È un regno rimasto segreto per millenni. Il luogo in cui pochi fortunati sono ammessi tra le file di un'enorme e potente armata e arruolati per portare a compimento una missione voluta dal nostro signore, il Principe delle tenebre. Il nostro compito è riunire i migliori e i più acuti per un progetto ambizioso, una rivoluzione... » La donna scandì quelle ultime parole lentamente, dando loro maggiore enfasi. «Tra qualche ora avremo raggiunto il numero necessario per fare camminare di nuovo il Principe su questa terra. Un ultimo sforzo e alla fine sarete onnipotenti.» Camminava osservando il pubblico negli occhi spalancati e assenti.

«Ma stiamo correndo un po' troppo avanti, non trovate?» riprese la donna accennando un sorriso. «Questa sera siamo qui perché voi diate il contributo alla rinascita del nostro Principe. E a voi dico: rammentate che da oggi assurgerete a un livello di potere inimmaginabile.» Così dicendo, tornò sul piedestallo, dal quale spuntò una colonna argentata che le si fermò all'altezza del petto. Un podio perfetto.
«Che abbia inizio la cerimonia! Si dividerà in due fasi. La prima è la firma del contratto, che vi consegnerò io stessa. Stanotte sarà Sam a raccogliere l'offerta.

Rabbrividii. L' offerta? Sam salì sulla piattaforma e si fermò ai piedi del piedistallo. La donna, nel frattempo, proseguiva con le istruzioni e l'ascoltai con attenzione, prendendo mentalmente nota di tutto. «Avvicinatevi a Sam e salite sul piedestallo per firmare le pergamene con il dito indice; poi passeremo alla seconda fase: il marchio rituale. Serve a guarire la ferita e a purificare da ogni tossina. A quel punto la cerimonia sarà terminata.»
Si interruppe ancora, osservando a uno a uno i volti ansiosi e consumati dalla bramosia, poi scese dal piedistallo con in mano un plico di fogli di pergamena: «Bene, allora non ci resta che iniziare: Dustin...»

Un adone dalla pelle olivastra, il più vicino alla scala, la raggiunse sul cerchio di fuoco e le strinse la mano, prendendo il foglio che gli porgeva. Notai che Sam impugnava un oggetto dorato simile a una matita. Dustin allungò la mano destra, col palmo rivolto verso l'alto, e lui gli procurò un taglietto sull'indice, dal quale comparve subito un puntino rosso. Si fecero un cenno col capo, Dustin salì sul piedistallo, appoggiò il contratto sul leggio e lo firmò col sangue, poi ridiscese dall'altra parte, mentre la donna chiamava altri nomi.

La vista del sangue non mi aveva mai dato problemi, eppure fui colta dalla nausea. Ma si rendevano conto di quanto fosse antigienico? Anche se, in effetti, quella doveva essere l'ultima delle loro preoccupazioni. Stavano vendendo l'anima al diavolo. Sam e la donna, lo servono. La donna era circondata dal male allo stato pure. Lo percepivo con ogni fibra del mio corpo. Dovevo ingoiare il boccone amaro e calmarmi, perché il respiro si stava facendo un po' troppo rumoroso. Tenevo di non riuscire a trovare il coraggio di andarmene. Mi sentivo come inghiottita dalla forza emanata da tutta quella gente, da tutto quel male. E tra poco sarebbe arrivato anche lui, Il Principe. Dalle parole della donna avevo capito che la cerimonia sarebbe servita a quello scopo.

Tornai a concentrarmi su Dustin, che adesso sedeva su una panca con Sam. Si era tolto la giacca e aveva arrotolato una manica della camicia fin quasi alla spalla. Sembrava nervoso; anche se l'espressione era risoluta, lo sguardo era sfuggente. Sam si alzò e gli permette sul bicipite quello che sembrava un sigillo. Il ragazzo digrignò i denti, mentre dal braccio gli si levavano riccioli di fumo. Strizzò gli occhi per il dolore, Sam tolse il sigillo e il disegno comparve: l' occhio col pentacolo. Sam gli appoggiò una mano sulla schiena e lui lo guardò, fece un cenno di ringraziamento col capo e tornò al proprio posto nel cerchio.
Lo stesso cerimoniale si ripeté per tutti gli altri, con le uniche differenze della reazione al dolore - alcuni piansero, altri gridarono - e del punto in cui porre il marchio: scapola, braccio, caviglia.

Una volta finito, la donna tornò sul podio. «Congratulazioni a tutti voi. La grandezza vi attende.»

Mi parve che quello fosse il momento giusto per svignarsela prima che qualcuno potesse tornare a smontare il piedistallo e spegnere il fuoco. Mentre scendevo la scala improvvisata, reimmergendomi nell'oscurità del corridoio, avevo la sensazione di addentrarmi sul palcoscenico di un nuovo spettacolo degli orrori. Cosa potevo fare dopo quello che avevo visto? Chi mi avrebbe creduto? Come minimo mi avrebbero rinchiuso in un ospedale psichiatrico. E poi chi mi assicurava che quelli lì dentro non fossero dei semplici invasati?

Allungai la gamba per cercare il gradino e invece toccai terra. Fu allora che il suono del flauto si estinse e cominciarono le urla. Sembrava di trovarsi vicino a un mattatoio. Mi venne da vomitare. Cercai di non pensare a ciò che stava accadendo a pochi passi da dove mi trovavo. Mi appiattii contro la parete e, tenendo un braccio teso in avanti, la rasentai sino alla fine del corridoio. Grazie anche alla ritrovata luce, per quanto fioca, riuscii a proseguire a passo svelto. Le urla erano terminate. Ciò mi fece ritrovare un guizzo di energia. Finché non lo udii: un piccolo scatto, il tintinnio del metallo contro metallo e il rumore di una porta che si spalancava. Tornai indietro, in cerca di un rifugio. Mi infilai in un vano senza porta. Una nicchia. Lì era buio pesto, per mia fortuna. Una voce! Mi feci piccola piccola contro il fondo.

«È andata meglio del previsto, non credi Lilith?» chiese Sam con calma.
«Sì, Samael. L'offerta è stata generosa. Non resta che risvegliare il Principe.»
«Basterà prendere l'involucro che lo ospita e consacrarlo con il sangue degli adepti. I tempi sono maturi» disse lui con tono saccente.

Rabbrividii e incrociai le braccia per impedirmi di tremare. Avevano ucciso, probabilmente in modo atroce, tutti gli ospiti dopo aver loro fatto firmare un contratto. Il ticchettio dei tacchi a spillo di Lilith si avvicinò. Mi appiattii contro il fondo più che potevo. Mi passò davanti camminando svelta e, a giudicare dal rumore, imboccò il corridoio. Sam non si sentiva più, doveva averla seguita. Aspettai qualche secondo e poi scivolai fuori dal nascondiglio. Corsi fino alla mia stanza senza voltarmi indietro. Arrivata davanti la porta la aprii e me la rinchiusi dietro. Dovevo solo prendere il telefono e chiamare un taxi che mi portasse via di lì. Poi avrei deciso come agire. Accesi la luce e il mio cuore si fermò.

Samael e Lilith erano in piedi accanto al mio letto con un sorriso beffardo disegnato sulle labbra. Mi girai per riaprire la porta ma scoprii che era bloccata.
La risata di Lilith echeggiò maligna nella stanza. «È proprio buffa, non credi Samael?»
«Il Principe ha fatto una scelta singolare questa volta... sembra così innocente.»
Si scambiarono uno sguardo d'intesa. «Se è stata in grado di ospitare il cuore nero del Principe, tanto innocente non deve essere, non credi Samael?»

Fu l'ultima cosa che udii prima che le tenebre mi avvolgessero.

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