Capitolo 11
Mio padre mi insegnò a contare quando avevo circa un anno. Da qual momento non me ne separai più.
Amavo contare. Lo facevo sempre. Per qualsiasi cosa.
Mia madre a volte non mi sopportava e iniziava a gridare per casa.
Quando poi rientrava mio padre dal lavoro diventava ancora più isterica.
La vita da casalinga a quei tempi non faceva per lei. Badare ad una bambina come me poi non era una passeggiata.
Così iniziavo a contare fino a quando uno dei due non smetteva di gridare. Di solito era papà che alla fine chiedeva scusa.
A volte arrivavo a contare davvero tanto...
Uno...due...tre...quattro...cinque...
"Hei, tesoro." Sento mio padre parlarmi vicino e una mano fra i capelli.
Apro piano gli occhi e lo guardo. Cerca di sorridermi ma vedo solo un'enorme tristezza.
"Hei pà." Gli sorrido e cerco di alzarmi. Ma un brutto colpo di tosse mi fa bloccare.
"Respira. Calma. Rimani sdraiata." Annuisco e mi ridistendo.
"Sto bene. Non è niente. So come gestire la cosa." Cerco di tranquillizzarlo, ma continua a guardarmi preoccupato.
"No. Non lo sai gestire. Da quanto non prendi i medicinali?" mi rimprovera e io distolgo lo sguardo.
Non prendo le mie medicine da un paio di settimane ormai.
"Non puoi permetterti di fare così. Lo vuoi capire una volta per tutte?" continuo a non guardarlo. Lo so che odia quando non lo guardo mentre mi parla ma non ho voglia di discutere.
"Va bene. Come vuoi. Tanto è sempre come volete voi." Alzo le spalle e mi giro dall'altro lato del letto.
Guardo la parete bianca e spoglia.
Sono ancora a casa di Andrew...
Sei...sette...otto...nove...dieci...
"Se non ricomincerai a prendere le tue medicine non ti farò andare a lavoro." Mi irrigidisco.
No... tutto tranne questo...
Mi giro di nuovo per guardarlo. Racimolo tutte le mie forze e mi seggo sul letto.
Adesso siamo faccia a faccia.
Padre e figlia. Uno più testardo dell'altro.
"Darlene. Sono serio. Non uscirai dalla soglia di questa porta se non prendi queste." Mi porge un bicchiere d'acqua e delle pillole.
Le guardo e mi viene da vomitare...
Non per il gusto che hanno, ma per quello che significano...
"Lene. Fallo per me. Ti prego." Il tono di mio padre si addolcisce notevolmente. Mi guarda come quando ero una piccola bimbetta che faceva i capricci.
"Va bene." Prima che possa cambiare idea prendo le pillole dalla sua mano e le prendo con l'acqua.
Undici...dodici...tredici...quattordici...quindici...
Dopo essersi accertato che io le abbia prese mi sorride e si alza.
"Se vuoi puoi venire a casa mia. Per non dare altro disturbo ad Andrew."
Non c'avevo pensato... Non mi ha dato impressione di dare disturbo ma ha ragione mio padre.
"No tranquillo. Stasera stesso torno a casa mia. Sto bene." Gli sorrido e mi muovo nel letto per cercare di alzarmi.
"Ce la fai?" si avvicina per aiutarmi ma io riesco ad alzarmi da sola.
"L'aiuto io." Sobbalzo al suo della voce di Andrew. Non mi ero accorta che fosse qui...
"No. Io ce la faccio." Mi lascia sbattere e si avvicina. Mi stringe i fianchi e iniziamo a camminare verso la cucina.
Sedici...diciassette...diciotto...diciannove...venti..
Non è la prima volta che siamo così vicini, ma ogni volta non posso fare a meno di irrigidirmi.
Non sono mai stata molto propensa verso il contatto fisico e non inizierò di certo adesso.
Arrivati in cucina mi fa sedere sul divano.
"Sto bene. Ho solo bisogno di andare a casa e fare un bagno caldo. Domani posso tornare a lavoro." Loro due si guardano senza dire niente.
"Va bene. Solo ad una condizione." Mio padre torna a guardarmi. "Andrew si assicurerà che prendi le medicine e per stasera dormi qui. Domani potrai tornare a casa tua." Sbuffo e alzo gli occhi al cielo.
Non potevo aspettarmi diversamente conoscendo mio padre.
Ventuno...ventidue...ventitré...ventiquattro...venticinque...
"Ok." Incrocio le braccia al petto e distolgo lo sguardo da tutti e due. Non mi va di dargliela vinta ma non posso fare niente in questo momento.
"Ti ho preparato un bagno caldo. Immaginavo ne avessi bisogno." Andrew si mette davanti a me e sorride.
Tutti questi sorrisi iniziano ad innervosirmi. Per non parlare di come mi trattano. Non ho più 5 anni.
"Non sono una bambina. Posso prepararmi anche un bagno da sola." Lo guardo male, mi alzo dal divano e vado in bagno.
Trovo tutto quello che mi può servire sopra la mensola del bagno. Sicuramente mio padre è andata a casa mia perché trovo un cambio di vestiti insieme a delle tovaglie.
Tolti i vestiti entro nella vasca.
L'acqua calda aiuta a distendere i muscoli e i nervi.
Appoggio la testa alla vasca e chiudo gli occhi.
Ventisei...ventisette...ventotto...ventinove...trenta...
Mi rilasso completamente.
Ha messo il suo bagnoschiuma. Tutto il bagno ha il suo profumo e adesso anch'io.
Un sorriso impercettibile spunta sulle mie labbra.
Ho sempre creduto che questo cose non facessero per me, che io fossi troppo complicata per trovarmi il profumo di un uomo addosso.
Anche se non conosco bene Andrew e ne tanto meno intendo andarci a letto.
Pensandoci bene in questi giorni si è comportato come se fosse un mio vecchio amico e non come semplice conoscente.
Spero solo che il fatto che abbia dormito qui non gli abbia dato false speranze.
Andare a letto o instaurare un rapporto con qualcuno è l'ultimo dei miei pensieri al momento.
Cerco di non pensarci e inizio a insaponarmi.
Trentuno...trentadue...trentatré...trentaquattro...trentacinque...
"Hei. Lene. Tuo padre sta andando via. Ti serve qualcosa?" Andrew bussa alla porta e per poco non muoio di crepacuore.
"No tranquillo." Sento mio padre salutarmi da lontano e sorrido. È sempre il solito.
Mi sciacquo ed esco dalla vasca.
Con un panno pulisco lo specchio appannato.
Mi vesto con calma e quando ho finito esco dal bagno.
Vado in cucina. Trovo Andrew intento a cucinare.
"Non c'è bisogno che ascolti il mio vecchio. Sto bene e stasera torno a casa mia." Mi seggo e appoggio i gomiti sul tavolo.
Lui non risponde. Non penso che non abbia sentito.
Mette il cibo nei piatti e poi li mette a tavola. Lo fa con così tanta disinvoltura che sono sicura che ci riuscirebbe anche ad occhi chiusi.
Si siede davanti a me, ma non inizia a mangiare.
Mi guarda e basta.
Trentasei...trentasette...trentotto...trentanove...quaranta...
Non dice niente e nemmeno io.
"Cos'è?" mi chiede ad un tratto.
Lo guardo interrogativa. Non ho capito. Ho qualcosa in faccia? Dio fa di no. Che figura di merda.
"Non sono né stupido né ceco. Poi ti ricordo che sono anche un medico." Ah. Ecco a cosa si riferiva...
Sbuffo e distolgo lo sguardo dal suo.
Mi "accudisce" da giorni, mi sembra giusto che almeno sappia il motivo del mio star male.
Quarantuno...quarantadue...quarantatré...quarantaquattro...
Prendo un grosso respiro e lo guardo di nuovo.
"Ipertensione polmonare." Dico tutto d'un fiato.
Lui non dice niente. Mi guarda.
Si alza. I miei occhi seguono i suoi. Non capisco cosa sta facendo.
Gira attorno al tavolo e si avvicina a me.
Poi in un attimo sono tra le sue braccia.
Il suo profumo mi inebria e non capisco più nulla.
"Non sei sola. Sei forte." Mi sussurra piano all'orecchio.
Quarantacinque...quarantesei...quarantasette...quarantotto...quarantanove...cinquanta...
Poi si allontana un po'. Adesso non guarda più i miei occhi.
Il suo sguardo è fisso sulle mie labbra. E io non sono capace di fare niente. So che se mi baciasse in questo momento non sarei capace di respingerlo. Forse perché in fondo lo desidero anch'io.
Ma non lo fa. Mi da solo un semplice bacio sulla fronte e va a sedersi di nuovo al suo posto.
Mi guarda e, come se niente fosse, inizia a mangiare.
Mi sorride e, dopo aver preso un lungo respiro, inizio a mangiare anch'io.
Angolo Autrice:
Ciao! Per fortuna ho aggiornato presto! Qui in Sicilia è vacanza e ho approfittato di questo tempo "libero" per scrivere questo capitolo.
Spero vi sia piaciuto e abbia chiarito dei dubbi.
Ho in mente moooolte sorprese per i prossimi capitoli ;)
Spero di poter aggiornare al più presto.
Deny
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