Capitolo 19

"Non sono un'assassina, non sono un'assassina, non sono un'assassina" continuava a ripetersi Maddalena mentre trascinava quel corpo molle fino alla sua auto e poi guidava veloce verso casa. Suo padre le aveva dato un'unica regola: non uccidere. Non aveva tolto fisicamente lei la vita a quel ragazzo, ma non poteva a fare a meno di sentirsi responsabile. Se lei non lo avesse azzannato, se non fosse mai andata in quel locale, Alexander non lo avrebbe ucciso e a quest'ora lei sarebbe stata a casa, nel suo letto, senza sentirsi divorare dai sensi di colpa. Una vampira con i sensi di colpa è praticamente l'equivalente di uno scherzo della natura, ma lei non avrebbe mai potuto sopportare di perdere anche quell'ultimo briciolo di umanità che le era rimasto.
Tra una sguardo alla strada e uno alla figura stesa sui sedili posteriori, era arrivata a casa. Prima di scendere dall'auto si domandò ancora se stesse facendo la cosa giusta, se sperare che quel ragazzo si trasformasse non fosse altrettanto crudele quanto il lasciarlo morire in quel vicolo. Ma forse, in ogni caso, avrebbe sbagliato comunque. La vita di un vampiro non era propriamente una vita, era lo scherzo crudele dell'immortalità, ma non sapendo cosa c'era dall'altra parte, forse non era poi la peggiore delle alternative.
Inspirò profondamente per poi caricarsi di nuovo quel tizio sulle spalle e trascinarlo in casa, sperando di non essere notata dalla schiera di vicini impomatati che vegliano sul quel luogo come una specie di pattuglia di sicurezza. Era tardi e con ogni probabilità tutti stavano dormendo. Dopo aver varcato l'ingresso di casa Maddalena si chiese di nuovo come sarebbe potuta finire quella storia. Non aveva ancora ammesso del tutto a se stessa che quel ragazzo avrebbe potuto non svegliarsi mai e, a quel punto, non sapeva davvero cosa ne sarebbe stato, né di lei né di lui.

"Maddi, cos'è successo?"
La voce di suo padre è aspra alle sue spalle.
Per un attimo qualsiasi spiegazione le sembra improponibile e, mettere in fila anche solo due parole, le appare come un'impresa.
Lascia cadere il corpo del ragazzo sul divano in pelle nera del salotto, per poi voltarsi verso il vampiro alle sue spalle. Carlo Mingazzini aveva l'aspetto di un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e lo sguardo severo di un padre. Non era, ovviamente, il vero padre di Maddalena, ma lui l'aveva salvata e tenuta con sé e, per questo, lei sentiva che sarebbe stata per sempre in debito con lui.
E adesso sicuramente l'aveva deluso.
Carlo era nato nel diciottesimo secolo, Maddalena nel secolo successivo. Lui aveva vissuto in una famiglia abbiente, che gli aveva consentito di studiare e istruirsi, permettendogli di costruirsi una carriera come avvocato, che aveva dovuto aggiornare nei secoli, ma che comunque era sempre risultata utile e remunerativa.
Maddalena, invece, era cresciuta in una famiglia povera e sfortunata, lasciata orfana nel 1818, dalla tubercolosi. Una ragazza, di 16 anni e sola, a quell'epoca poteva fare ben poco, se non cacciarsi in affari pericolosi e, proprio una notte d'ottobre di 200 anni prima, era stata anche lei vittima della sete di un mostro della loro stessa specie. Così, come stava facendo lei in questo momento, Carlo l'aveva trovata e raccolta, portandola in luogo sicuro affinché, se nella sua anima fosse vissuto un briciolo di oscurità, si sarebbe potuta svegliare nella sua nuova e immortale vita.
E così era stato, perché l'anima di Maddalena era stata sporcata più volta dal male. Il male che nasceva dalla necessità di sopravvivere, fatto di truffe, furti, adescamenti e tante bugie.
Far finta che fosse sua figlia dava ad entrambi dei vantaggi: lui vedeva in lei la perfetta copertura della sua inesistente vita passata, da raccontare ad amici e colleghi, e lei vedeva in lui la figura di un tutore, che poteva essere davvero molto utile se, da 200 anni, avevi l'aspetto di un'adolescente.
Con i secoli tra i due era nato un reciproco affetto e, alla fine, erano diventati davvero una famiglia.
"Papà- dalla necessità di essere più credibile in pubblico, quella parola era poi diventata parte della loro quotidianità anche nel privato- io non volevo. Sono stata attenta come al solito, e non avrei mai fatto del male a questo ragazzo. Ma poi è arrivato Alexander..." le parole le escono fuori una dietro l'altra, veloci e confuse, bloccandosi quando lo sguardo argenteo di lui le saetta di nuovo tra i ricordi. Maddalena cade a terra, accanto al divano, agognando la possibilità di poter piangere e dar sfogo a quel dolore che dentro la sta dilaniando.
Carlo conosceva Alexander, sapeva di cosa era capace e non c'era bisogna che la figlia aggiungesse altro. Non aveva mai dubitato che sarebbe tornato.
"Tranquilla cara, troveremo una soluzione" le posa affettuosamente una mano sulla spalla, in maniera comprensiva. Le sensazioni che Maddalena aveva nel petto erano quel mix letale di dolore e distruzione che solo un uragano è capace di lasciarsi alla spalle, ma quel segno di affetto le aveva dato lo stesso sollievo del calore di un raggio di sole dopo la tempesta. Forse, dopotutto, non l'aveva deluso.

Lasciata sola con quel corpo steso sul divano, rimpiangendo il fatto di non avergli mai chiesto nemmeno il nome, Maddalena cercava di conoscerlo solamente scrutando i lineamenti del suo volto. Non le sembrava altro che un ragazzino indifeso, vittima di una serie di sfortunati eventi e, sicuramente, non le sembrava il tipo di persona che avrebbe mai potuto commettere un peccato così grave da precludere la salvezza della sua anima.
Quella serata era stata atroce e, mai da quando era diventata immortale, Maddalena si era sentita così fragile e preda delle emozioni. Quando non puoi morire, non è solo il concetto di tempo ad alterarsi, ma cambiano tutte quelle le cose di cui impari a godere solo perché sai che non saranno eterne. Per questo le emozioni si fanno relative e sfumate. Paura, tristezza e dolore non hanno più lo stesso sapore amaro se il mostro sei tu, se il tuo corpo non può più fisicamente ammalarsi, se non hai più nulla da perdere. Erano anni che non provava emozioni così forti, anni che non temeva per se' stessa o per qualcun'altro. Forse, le veniva da pensare, in quel che rimaneva della sua anima brillava ancora qualche scintilla di luce. Poteva non essere il mostro che credeva.

Con lo sguardo rivolto verso l'ampia finestra del salotto, mentre il cielo sfumava dal blu profondo verso l'azzurro opaco dell'alba, le sembrava che il giorno tardasse ad arrivare, come se quella notte non volesse mai finire. Ogni ora che passava rendeva meno probabile che quel ragazzo si svegliasse. Con un gesto istintivo tira le pesanti tende rosse, facendo piombare di nuovo il salotto nell'oscurità, nel vano tentativo di congelare davvero il tempo. Persino al buio poteva vedere la pelle pallida di quel ragazzo, priva di colore come quella di chi non ha sangue caldo che scorre nelle vene. Ma non era cianotica come quella di un cadavere.
Poteva essere il segno della sua trasformazione e, se era realmente così, era ora che lei pensasse a ciò che veniva dopo: la fame. Si sarebbe svegliato affamato, preda degli istinti, e solo il sangue umano avrebbe potuto calmarlo. Le serviva del sangue e, suo malgrado, sapeva perfettamente chi ne aveva. Ma non sarebbe stato facile ottenerlo.

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