Capitolo 18
36 nuove reclute, 4 squadre e ognuna aveva un tutor assegnato ed io, ovviamente, ero in quella di Lio, per espressa richiesta di mio padre.
La prima pattuglia notturna non sarebbe dovuta essere un trauma, perché secondo vecchio il regolamento veniva fatta dopo un anno di addestramento. Ma quest'anno, dopo un veloce corso di autodifesa (perché al massimo avremmo potuto difenderci o scappare, ma mai attaccare o sarebbe stato un suicidio) Lio ci aveva radunati in strada. Il perché del cambio del regolamento non era stato diffuso alle nuove reclute, per le sfere più alte noi dovevamo sottostare agli ordini e basta, senza farci troppe domande. Per i corridoi si diceva che fosse per le eccezionali capacità delle nuove reclute, ma più lo sentivo ripetere e più pensavo che fosse stata proprio una recluta a mettere in giro la voce. Di fatti la verità era nota solo a mio padre, a Lio e a me, ma solamente perché il mio nuovo udito soprannaturale mi aveva permesso di origliare in una maniera impeccabile.
Era venerdì sera e il punto di ritrovo era fuori la fermata del Colosseo della metro B.
Prendere la metro quella sera mi aveva inquietato come al solito e a tratti pensavo di star sviluppando una seconda personalità, piuttosto che dei nuovi poteri.
Ma il Colosseo, nella sua imponenza, rimaneva sempre bellissimo, specialmente sotto le illuminazioni notturne. Era questa la zona in cui gli oscuri si muovevano maggiormente di notte. Da quello che avevo imparato in una settimana di corsi, gli oscuri tendevano ad incontrarsi in luoghi esclusivamente per loro, ma non era raro trovarli tra la gente comune. Più un oscuro tendeva a nascondersi tra gli umani e più poteva rappresentare una minaccia. Questa era la logica che seguivano i cacciatori.
Per quanto riguardava invece l'organizzazione della Lega, in genere le squadre più inesperte pattugliavano le zone al centro di Roma, perché di solito in mezzo agli umani non scoppiavano mai grosse faide. In periferia, invece, dove era più probabile trovarsi al centro di un agguato o in mezzo a qualche guerra territoriale, si muovevano i cacciatori più esperti. In città era più facile avere a che fare con vampiri e lupi mannari, dal momento che gli stregoni vivevano in luoghi isolati, in contatto il più possibile con i loro elementi; per questo ci avevano muniti di paletti, punteruoli d'argento e pugnali fatti della speciale lega della Lega (quasi uno scioglilingua). Miscelando ferro, rame, alluminio, oro e argento i cacciatori avevano ottenuto una lega capace di essere nociva per tutti gli esseri soprannaturali e con la quale avevano prodotto ogni sorta di arma. Per lo stesso motivo la spilla e il pugnale, i souvenir del giorno dell'arruolamento, a contatto con la mia pelle bruciavano come acidi, ma che secondo Ines, più che qualche leggera ustione non avrebbero potuto provocarmi.
Una volta arrivati tutti sul posto, Lio ci aveva divisi in coppie. Nella mia squadra c'era anche Marta, l'unica faccia amica in mezzo ad un mare di sconosciuti, che era finita in coppia con un ragazzo magro e solo pochi centimetri più alto di lei. Portava degli occhiali spessi, con le lenti rotonde ed era stato ammonito subito da Lio. Dopo averlo mortificato, gli aveva fortemente consigliato di indossare le lenti a contatto per la prossima pattuglia, perché 'non puoi permetterti di perdere gli occhiali e avere un senso in meno con cui combattere'. Sul volto pallido e lentigginoso del ragazzo, si era dipinta un'espressione di puro sconforto, non credo si aspettasse un commento simile. Mi ero sentita a disagio per lui e mi era dispiaciuto, perché, a dire il vero, era tanto fuori posto in quella circostanza, tanto quanto me e Marta.
Io invece, come nona recluta e arrivata in ritardo, ero rimasta da sola. Ma, forse perché anche la sfortuna aveva un senso dell'umorismo piuttosto spiccato, Lio mi aveva 'concesso' (parole sue) di fare coppia con lui. La serata non partiva con il piede giusto.
"Allora? Che si fa in una situazione come questa?" Domando per spezzare l'imbarazzante silenzio tra me e Lio. Non ho voglia di parlare, ma il suo silenzio mi dà fastidio.
"Vuoi sapere davvero cosa facciamo in pattuglia o è una scusa per sentirmi parlare?" Mi lancia un'occhiata di sbieco attraverso il ciuffo di capelli castani che gli cade davanti agli occhi.
"Hai detto anche tu che dovevo essere più partecipe, no?"
"Ottimo, Elizabeth, mi piace quando mi ascolti" e sorride, con la sua solita presunzione. Potrei sbuffare, alzare gli occhi al cielo o mettermi a ridere istericamente di fronte alla sua risposta arrogante, ma decido di fare buon viso a cattivo gioco e gli sorrido anche io. Un sorriso tanto finto che sembra essermi stato cucito addosso come su una bambola di pezza. E sento come se avessi finalmente indossato la maschera della perfetta cacciatrice, che sarò costretta a portare fino a quando non troverò il modo di tirarmi fuori da questa storia. Ma, allontanarmi da questo mondo, significherebbe dire addio anche ai miei genitori. Loro non capirebbero mai chi sono, ma non per questo gli voglio meno bene. Sono solo arrabbiata, in parte per le bugie, in parte perché so di essere anche io il loro nemico.
"Noi stiamo solo attenti che non ci siano attacchi agli umani e che non venga fuori qualche nuovo mostro, le squadre in periferia invece fanno la pulizia" Lio prosegue, distraendomi dall'angoscia che mi dà pensare ai miei genitori, ma spingendomi subito dopo in un mare di oscura amarezza.
La parola ' pulizia' mi rimbomba in testa come una specie di orribile sentenza di morte, come se gli esseri soprannaturali siano una semplice montagnola di polvere di cui diversi liberare.
Qualsiasi fossero le mie intenzioni prima, dopo quella frase ogni parola si spegne prima di arrivare alla mia bocca. Intanto nel cuore mi si allarga un senso di pesantezza tanto grande da coinvolgere persino lo stomaco. 'Pulizia', come la intendevano loro, era esattamente quello che avevo visto nella mia visione: tanta violenza, inutile e fine a se stessa.
La situazione mi mette estremamente a disagio. Io e Lio, che camminiamo uno affianco all'altro per le vie del centro di Roma, mentre il silenzio ci avvolge come l'oscurità della notte. L'aria fresca è l'unica cosa piacevole di questa serata, per il resto desidero solo poter tornare a casa il prima possibile. Sembra assurdo, ma ho persino voglia di andare a dormire.
"Come mai non dici nulla?"
Lio prende la parola mentre ci affacciamo in una buia via secondaria.
"Forse non ho nulla da dire"
"Nemmeno una lamentela? O qualche battuta caustica?"
Scuoto la testa.
Le luci al neon di qualche insegna si proiettano come schegge sulla strada. In quel momento, tutti quei colori sgargianti, sembrano quasi rassicurarmi, come piccole stelle artificiali.
"Qui è pieno di locali di Oscuri, sta' attenta"
Sembra quasi premuroso.
"Tranquillo, non mi accadrà nulla e mio padre non ti declasserà o roba di questo genere"
"Ti sorprenderà, Elizabeth, ma tuo padre non mi fa così paura"
Sorrido, ripensando alla sua conversazione con mio padre, la sua remissività in quel momento nega totalmente quest'affermazione.
"Non ti aspettare che ci creda, Lio. Tutti hanno paura di mio padre in quella scuola"
Questa volta è lui a ridere e, mentre lo guardo di traverso, mi sembra quasi turbato. Sento che c'è qualcosa nascosto sotto quella corazza, sento la durezza del suo passato, così come sentivo quello di Maddalena di fronte casa di Ines. Ma c'è qualcosa che mi impedisce di andare oltre, dì visualizzare il suo passato, sento l'impronta che ha lasciato su di lui, ma nient'altro.
Torniamo di nuovo in silenzio. Non è facile parlare con Lio, specialmente di mio padre.
Passiamo di fronte un piccolo locale dall'aria anonima, nascosto in un sottoscala illuminato solo dalle luci dell'insegna. "Black moon" una scritta in led sinuosa e argentata, montata su una porta in vetro scuro, è l'unica cosa che riesco a distinguere. Musica leggera si fa strada attraverso la porta,che fa da limite tra il locale e l'esterno, ma posso comunque sentire il brusio di voci e il tintinnare di bottiglie e bicchieri nel locale se mi concentro.
Una coppia di uomini ci passa affianco e Lio non si volta nemmeno a guardarli. Nemmeno io mi volto, ma sento i loro occhi su di noi, sento l'odore di foglie e umidità sulla loro pelle, sento il rumore dei loro passi attutirsi e poi placarsi del tutto. Si sono fermati. Sono solo a poche decine di metri da noi. Io e Lio continuiamo a camminare, ma lo vedo irrigidirsi quando si accorge dei due alle nostre spalle. Si ferma, ma non si volta e non lo faccio nemmeno io. So che se mi voltassi, vedrei occhi rossi come braci alla mie spalle. Lupi.
La mano di Lio sfiora la mia, mentre avvicina le labbra al mio orecchio.
"Sta' al gioco" sussurra.
Afferra la mia mano e mi spinge contro il muro di cemento alla mia sinistra. Il suo corpo schiaccia il mio, mentre siamo uno di fronte all'altro. La sua mano libera si posa sul mio fianco, leggera e impalpabile, senza malizia, così lenta che sembra quasi volermi chiedere il permesso per quel contatto.Con la testa piegata e la fronte sulla la mia, mi guarda attraverso i capelli castani.
"Sta' calma, fa' quello che faccio io e andranno via".
Il suo volto si abbassa all'altezza del mio e i nostri respiri si fondono l'uno nell'altro. Il cuore mi martella nel petto come mai prima d'ora, non so se per Lio o per la paura.
Sento il sangue affluire al viso, l'aria bloccarsi nei polmoni e i pensieri affollarsi e farsi confusi. Senza pensare troppo, porto una mano sul suo petto, che si alza e si abbassa affannoso. Percepisco il suo battito forte contro le mie dita. La mia mano scivola dal petto al collo di Lio e poi dietro la sua nuca, tra i suoi capelli. La situazione è assurda, ma i miei gesti vengono fuori naturalmente, senza che l'imbarazzo li blocchi. È solo un diversivo, uno stratagemma per far credere ai due lupi fermi dietro di noi che siamo solo una coppia che cerca di appartarsi. Eppure, con il suo corpo premuto contro il mio, mentre le sue labbra mi sfiorano il collo, la pericolosità della situazione si annulla completamente. E per un momento, forse solo per pochi secondi, è come se fossimo soli in mezzo a quel vicolo.
Quando sento il corpo di Lio allontanarsi dal mio, capisco che quegli uomini se ne sono andati. È assurdo, ma il piano di Lio ha funzionato davvero. Mi chiedo se per caso non sia una tecnica già collaudata da tempo.
"Ottimo lavoro, Liz" mi dice, senza nemmeno voltarsi, mentre si ricomincia a camminare sul marciapiede.
Lo raggiungo, con le gambe molli, e mi rimetto al suo fianco, debitamente a distanza, per evitare che noti quanto sono arrossita.
"Non chiamarmi così" dico sprezzante. Nessuno ormai mi chiama più così. Solo Maddalena lo faceva.
"Ormai siamo in confidenza, Liz- lo dice di nuovo, quasi sibilando, come a volermi infastidire di proposito- dopo avermi palpato per bene, dovrei poterti chiamare come voglio."
"Ma non è vero!" Urlo, pentendomene subito dopo. Alzare i toni non è il modo migliore per tenere un profilo basso.
"Sentivo le tue mani ovunque, non negare" sorride beffardo, se questo è sarcasmo, io non lo capisco.
"Ma senti chi parla" scoppiamo a ridere entrambi e la tensione, compagna di tutta la serata, si scioglie finalmente.
In questo momento non provo imbarazzo, ma mi chiedo cosa senta lui. Non è stato strano averlo così vicino, come se fosse naturale che i nostri corpi si sfiorassero in quel modo, come se la sua vicinanza chiamasse in me la necessità di un contatto fisico, come puro magnetismo. Sento ancora l'adrenalina in circolo, che mi fa bollire la pelle sotto la giacca e vorrei potermene liberare all'istante, per sentire il vento fresco passarmi addosso. Lio è per me una sorta di enigma: una corazza di durezza, serietà, arroganza e senso del dovere, sotto cui si nasconde qualcosa di indecifrabile. Posso sentire che in lui c'è molto altro, anzi so che in lui c'è molto di più di quello che vuole far apparire e mi chiedo se sarò mai in grado di scoprire di cosa si tratta. Dal primo momento che ci siamo visti ho avuto queste sensazioni, che mi rimbombano in testa ogni volta che siamo vicini.
"La serata non deve essere stata un granché" mi dice con un'alzata di spalla.
Io mi giro a guardarlo e lo scopro a fissarsi i piedi, in un momento di ingenuo imbarazzo.
"Non è stata la più noiosa della mia vita, ma di certo non è stata un pacchia"
Mi pento subito della scelta di parole, spero non pensi che sia stato quella specie di sfioramento a migliorare la serata. Anche se, forse, è stata davvero la parte più movimentata della sera.
Sorride, con una leggera malizia nello sguardo. L'ha pensato. Adesso, mi sento davvero in imbarazzo.
Vorrei correggermi, replicare in qualche modo per cercare di aggiustare le cose, quando, all'improvviso, un solo e unico grido squarcia il silenzio che si era appena creato.
Un grido acuto e doloroso, che giunge turbolento alle nostre orecchie e che sparisce subito dopo, lasciandoci attoniti, quasi smarriti.
"Cos'è stato?" Chiedo a Lio, ma so perfettamente di cosa si trattava.
"Andiamo" mi dice lui, come un ordine, mettendosi a correre.
Lo seguo subito, ma capisco che non sa dove cercare. Il grido, così com'era arrivato, è sparito, senza lasciare tracce. Una persona normale non saprebbe da dove iniziare a cercare. Io, invece, sento perfettamente la scia di dolore e morte che si è portato dietro e so esattamente dove andare.
Mi metto a correre, veloce come fuori dalla metropolitana, ed esco da quella via secondaria portandomi sulla principale. Sento Lio distante alle mie spalle, non deve essersi accorto subito che avevo cambiato strada.
Continuo a seguire la scia, mentre delle immagini, come dei flash, mi si proiettano nella mente: unghie lunghe, tacchi alti e capelli rossi. Sento lo stomaco contorcersi, ma non è la solita avvisaglia di pericolo, è fame. Una fame che non mi appartiene, viscerale e bramosa.
Altre immagini: una strada buia e isolata, occhi neri come la cenere, canini bianchi come l'avorio.
Senza accorgermene, sono davanti quella strada, da sola.
Una parola esce dalla mie labbra, portando allo stato di consapevolezza quanto avevo appena visto sotto forma di visioni.
"Maddalena"
E lei è lì, a terra, stesa sopra un groviglio scomposto di membra.
Quando si accorge della mia presenza, mi rivolge uno sguardo carico di tormento, una sguardo che vuole dire 'aiutami'. Faccio un passo verso di lei, totalmente incerta su come agire e spaventata dall'idea che Lio presto sarà qui. Appena mi inginocchio accanto a Maddalena percepisco qualcosa di strano nell'aria; le tracce di un'anima oscura sono ancora aggrappate a quel luogo, presenti sul corpo del ragazzo a terra come ferite, strette attorno al mio collo come una corda, e so fin troppo bene a chi appartengono. Alexander è stato qui.
"Mad- e, chiamandola con il suo diminutivo, è come se fossimo ancora amiche- devi scappare. Ci sono i cacciatori in giro." Quasi prego affinché mi ascolti. Non immagino nemmeno cosa potrebbero farle se la trovassero accanto ad un cadavere visibilmente dissanguato.
"Non posso, Liz." La sua voce è spezzata, come se stesse piangendo, ma sul volto non le scorrono lacrime. " potrebbe non essere del tutto morto."
Fissiamo entrambe il ragazzo a terra, la cui pelle si fa sempre più livida ad ogni secondo che passa. A me non sembra abbia alcuna speranza.
"Se in vita ha commesso un peccato capitale, potrebbe trasformarsi in un vampiro." Specifica, nel vedermi confusa.
"E allora portalo via, subito!" mi guardo furtiva intorno e non so se temo di vedere più Lio o Alexander affacciarsi in quel piccolo antro di oscurità. " Se Lio vi trova qui, potrebbe non avere il tempo di risorgere- mi guardo ancora attorno- o come chiamate voi questa cosa."
"Non sono un'assassina, Elizabeth."
"Lo so- dico, guardandola negli occhi- ma adesso vai."
Maddalena si alza, scalciando via i sandali di lustrini che portava ai piedi. Un tacco così sottile non le avrebbe mai permesso di sobbarcarsi il peso morto di un ragazzo di un metro e ottanta sulla spalle, nonostante la forza da vampira.Il corpo del ragazzo le cade mollemente addosso, come una specie di pupazzo, ma lei sembra stabile sui suoi passi mentre si allontana. Che ne sarebbe stato di quel ragazzo non era affare mio, morto o 'non morto'. Ma la presenza di Alexander in quel luogo, mi diceva certamente che il motivo per il quale era finito in quello stato era sicuramente un mio problema. Mio zio era in città e voleva che lo sapessi.
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