Capitolo 16
Non ero mai stata un fan della metropolitana, non sopportavo l'oscurità e l'umidità di quell'ambiente, mi aveva sempre dato i brividi. Ma quel giorno l'oscurità, l'assenza di luce, mi chiamava a gran voce.
E così mi ero rifugiata in uno dei vagoni del treno sotterraneo, senza nemmeno essere sicura della direzione in cui stavo andando. Era l'istinto a guidarmi, la necessità di tornare a casa.
Una volta fuori dalla metro mi ero messa a camminare veloce, un piede davanti all'altro, come se fossi in ritardo. E poi la camminata era diventata una corsa, sfrenata e febbrile. Le gambe si alternavano così in fretta che mi sembrava di volare. Non avevo mai corso così in tutta la mia vita, non pensavo nemmeno di esserne capace. Sentivo il cuore pompare a tutto ritmo, il sangue che affluiva copioso ai muscoli, che bruciavano dallo sforzo. I polmoni si riempivano in fretta e si svuotavano ancora più velocemente. Era una sensazione fantastica, il mio corpo era macchina che lavorava a pieno regime.
Solo quando avevo visto i vasi di rose sulle scale, di fronte il portone rosso, mi ero fermata.
Nonostante lo sforzo, non mi sentivo affaticata. Stavo bene, come non mai. Per quei chilometri mi ero sentita libera e la mente si era svuotata del tutto.
"Non pensavo corressi" la voce di Ines alla mie spalle è calma e familiare.
"Nemmeno io, sinceramente" le rispondo, senza affanno.
Porta un cappello largo, di corde intrecciate, e in mano tiene ancora i guanti sporchi di terra.
"Scoprirai di saper fare tante nuove cose, tesoro" lancia uno sguardo al marchio, ancora coperto dalla giacca della divisa. La manica è ormai larga, a forza di tirarla giù devo averla deformata.
"Entriamo, ti offro da bere" mi dice, mentre sale le scale e apre la porta.
Seduta sul solito divanetto nel salotto di Ines, la guardo che mi versa il thè da una caraffa in vetro. Piccole goccioline di condensa si staccano dal recipiente e cadono sul tavolino in legno, disegnando piccoli cerchi iridescenti. I suoi capelli grigi sono raccolti in una lunga treccia che le cade lungo il lato sinistro del collo, che tende a spostarsi mentre versa da bere e mi avvicina un piattino con sopra dei biscotti di frolla.
"Mangia pure, li ho fatti io-mi indice indicando i biscotti - sono fatti con la scorza dei limoni del mio albero."
Non me lo faccio ripetere due volte e ne prendo subito uno. Mi sono scordata di pranzare e la fame inizia a farsi sentire.
"Sono contenta di vederti qui" mi dice sorridendo, mentre sorseggia il suo thè.
La scena ricalca perfettamente gli eventi del venerdì precedente, solo che mancano Maddalena e la chiazza di sangue secco sul pavimento.
"Non sapevo dove altro andare. È come se l'istinto mi avesse portata qui" rispondo sincera.
"Questo sarà sempre un posto sicuro per te".
Sorride, un sorriso sincero e bellissimo.
"Ho visto che stai già sperimentando qualche nuova abilità" mi guarda curiosa, come se fossi un esperimento che si realizza sotto i suoi occhi.
"In che senso?"
"La corsa ad esempio, correvi come un fulmine. Troppo veloce per un essere umano"
L'avevo detto che non era da me correre così. Ripercorro con mente la giornata e alcuni dettagli si palesano per quello che sono: i primi segni evidenti della mia nuova natura.
"Il sole-dico di getto-mi ha dato davvero fastidio, non al punto da bruciarmi la pelle, ma cercavo l'ombra e tenevo sempre gli occhi semichiusi."
Lei annuisce, sembra aver capito che intendo.
"Un po' di fotosensibilità, è normale all'inizio. Imparerai a sopportarla con il tempo."
"E poi... ho ascoltato una conversazione attraverso una porta chiusa. Era come se. riuscissi a vedere dentro la stanza." Quel 'vedere' scivola sinuoso tra le mia labbra, come un segreto che moriva dalla voglia di essere rivelato.
"I tuoi sensi si acuiscono, come lupi e vampiri presto riuscirai a vedere nel buio, a sentire anche i rumori più bassi e distanti. I tuoi poteri cresceranno sempre di più"
'Poteri', una parola semplice e leggera, ma che sa farmi tremare il petto di paura.
"Andrà tutto bene, non ti preoccupare. Hanno sempre fatto parte di te, riuscirai a gestirli, non temere."
"Ti ringrazio" le dico e non sa quanto quelle parole abbiamo placato il terremoto che mi stava distruggendo dentro.
Bevo un sorso di thè e le note aspre e fresche di menta e limone sono come un balsamo, mentre scendono lungo la gola.
Per un momento mi sento rilassata, tranquilla e a casa, prima che il riflesso argenteo dei miei occhi sull'anta di vetro del mobile di fronte mi riporti sul chi va là.
"Ines, non abbiamo più parlato di Alexander- parlo lentamente, tastando il terreno per non farla agitare-so che è mio zio, il fratello gemello di mio padre, l'ho capito dalle foto che ci sono in giro. L'ho visto nei miei sogni, ho visto i suoi occhi..." lascio in sospeso la frase, sa dove voglio che arrivi la conversazione. Voglio sapere dov'è, perché non si trova qui e perché nel mio sogno mi tagliava la gola.
"Sì, Elizabeth, lui è tuo zio, ma non credo che lui sappia chi sei tu"
La guardo negli occhi, argento contro argento. Lo stesso colore brillante che tutti portavamo, il segno della nostra famiglia, come faceva Alexander, avendomi guardato negli occhi, a non esserci rivisto dentro?
"Lui è andato via prima che persino io sapessi di te. Temo che per lui tu sia la figlia di Dorato, una minaccia, una cacciatrice"
Quella parola sembra così dura, pronunciata da lei. E accostata a me sembra ancora più sbagliata.
"Perché è andato via?"
"Ho dovuto allontanarlo. Dopo la morte di tuo padre è impazzito, ha fatto cose che ci hanno messi in pericolo. Se voleva salvarsi- dice e l'argento dei suoi occhi si incupisce di tristezza- se voleva salvare me, l'unico modo era sparire"
Ricordo il sogno su Daniel,sulla sua morte e di nuovo si apre un strappo nel mio animo. Si può avere nostalgia di una persona che non si è mai conosciuta?
"Com'è morto?" Domando a Ines. Io so, ho visto Daniel morire, ho sentito la sua anima lasciare il suo corpo, eppure sento che c'è molto altro dietro questa storia.
"Cacciatori"
Gli occhi rossi della belva che lo aveva quasi messo all'angolo mi bruciano nella mente come tizzoni ardenti. Non era di sicuro un cacciatore quello. Poi la sagoma scura, lo scintillio della lama argentea e la pozza di sangue che si allargava sulla strada del vicolo si ridisegnano davanti ai miei occhi come un tetro promemoria. No, qualcosa non quadrava.
"Tu sai chi è stato?" Domando forse con troppa calma.
"No, ma Alexander sì, per questo ha cercato vendetta, per questo si è quasi fatto uccidere" una lacrima solitaria le solca il viso e non so se sentirmi più in colpa per la sofferenza che le sto provocando nel ricordare o per quella che che verrà dopo, quando le dirò cosa ho visto. Avevo visto Alexander combattere contro mio nonno, l'avevo visto guardarlo trionfante mentre moriva. Quella non era semplice vendetta, era puro accanimento.
Ma prima che possa raccontarle della morte di uno dei suoi figli, di ciò che aveva fatto l'altro, qualcosa mi blocca. E non si tratta di una sensazione, non si tratta di istinto, è proprio come se una forza invisibile mi tappasse la bocca.
Non ora, mi sussurra una voce nell'orecchio. E io decido di darle retta.
"Scusa" le dico "non volevo farti del male"
Sono sincera, l'ultima cosa che voglio è provocarle altre sofferenze.
"Non preoccuparti, tesoro" dice asciugandosi la lacrima velocemente con il dorso della mano.
"Nonna-e per la prima volta lo dico con coscienza- tu pensi che Alexander possa tornare?"
Una scintilla di felicità le passa rapida sul volto, che si illumina per un solo momento, quando sente quella parola. Ma poi, solo pochi secondi dopo, l'oscurità torno a calare sul suo volto.
"Non ci avevo pensato per anni. Non avevo nemmeno mai contemplato l'idea che potesse tornare, perché sapevo che solo lontano da qui sarebbe stato al sicuro. E io volevo davvero saperlo al sicuro.Ma adesso, sento come se ogni giorno ci avvicinasse sempre di più, come se fosse sulla via di ritorno."
'È già tornato' penso, ricalcando le parole di mio padre nel suo ufficio.
'E sta riprendendo da dove aveva lasciato'
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