Capitolo 14
Era stato strano tornare a casa e trovare i miei genitori completamente calmi. Non c'erano state urla, litigi o discussioni al mio ritorno, come se si fossero preparati alla mia ribellione. Il weekend era trascorso passivamente, loro nel loro mondo e io nel mio. Non c'erano stati tentativi di riavvicinamento e io ero più che contenta di mantenere le distanze.
La domenica sera, di ritorno dalla doccia, avevo trovato sul mio letto un paio di pantaloni neri in tessuto tecnico e una giacca color bronzo. Sopra la giacca erano posati il pugnale e la spilla con lo stemma della Lega. Un velato messaggio per evitare che dimenticassi di indossarli e chi dovevo essere, secondo loro.
Il giorno seguente sarebbe iniziato quello che mio padre aveva chiamato 'addestramento', perché forse 'pena' non sarebbe stato un termine poi molto accattivante per descriverlo, sebbene estremamente azzeccato. Ed io mi sentivo esattamente così: un condannato messo di fronte alla pena da scontare.
Ma almeno la giacca della divisa aveva le maniche lunghe, un problema in meno a cui pensare. Era già tanto.
Quel lunedì mattina, all'inizio dell'ultima settimana di vacanze estive, vengo spinta con prepotenza nella vita che non avevo chiesto, metaforicamente. Nella realtà varco semplicemente l'ingresso della scuola.
Cammino nel corridoio principale dietro ai miei. Ogni mio passo sembra mosso dal disagio e dall'incertezza. Non mi sento tranquilla, ho sempre la sensazione di dovermi guardare le spalle.
"Buon primo giorno, Elizabeth" mio padre si volta e mi guarda fisso negli occhi.
Io non dico nulla, evadendo dal suo sguardo.
"So che non è facile avere a che fare con tutto questo, tesoro. Ma non abbiamo dubbi che presto capirai l'importanza della causa". Mi sfiora leggermente la guancia con le labbra, per poi dirigersi verso il suo ufficio. O almeno credo che stia andando lì, non conosco praticamente nulla di questo posto e del suo lavoro. Mia madre lo segue in silenzio. E io rimango lì, da sola, in quel corridoio gremito di ragazzi di ogni età, con la parola 'causa' che riecheggia ancora nella mia testa. Perché per loro uccidere creature innocenti è una causa più che nobile, ovviamente.
In ogni caso, per la mia sicurezza, non perdo di vista il portone d'ingresso.
"Reclute!" Per un attimo il mio sguardo si sposta dal portone al centro del corridoio.
"Seguitemi in palestra!"
Riconosco subito quel tono di voce, e l'ira scaccia via la paura. Lio Silverini, con la sua imponente altezza e il suo sguardo altezzoso, cammina al centro del corridoio, seguito da una ragazza alta e snella. Entrambi sono in uniforme, ma, al contrario di me, la indossano con orgoglio e fierezza. Quando Lio mi passa davanti, capisco subito che mi ha riconosciuta e lo vedo lanciarmi un sorriso di trionfo, sapeva già che ci saremmo rivisti presto. Mio malgrado.
La palestra è rimasta quasi identica al giorno dell'arruolamento, solo che adesso le teche espositive sono piene di armi di ogni genere: spade, spadoni, pugnali, fucili e tanti altri strumenti a cui non saprei dare nemmeno un nome.
Lio e la ragazza che avevo visto nel corridoio sono sulla pedana al centro della sala. Ci squadrano uno ad uno. Ci stanno già valutando, lo sento. Si domandano se saremo dei bravi soldati, se renderemo orgogliosa l'organizzazione, o se saremo semplicemente un fallimento e in quale pseudo-battaglia periremo. 'Essere cacciatori, d'altronde, ha anche i suoi rischi', penso con tetro sarcasmo.
Lo sguardo di Lio indugia particolarmente su di me, come a volermi sfidare. E mi domando se, ormai, abbia deciso di darmi il tormento.
Io cerco di reggere il suo sguardo, mostrando tanta arroganza quanta ne ha lui, anche se dentro mi sembra di bruciare di vergogna.
"Benvenuti ragazzi, io sono Lio e lei è Diana" dice, indicando la ragazza che gli è accanto. Ha la pelle leggermente olivastra e i capelli lunghi e scuri sono perfettamente raccolti in una coda ordinata. Sembra sicura e a suo agio nel ruolo che ricopre. È bellissima. Una bellezza che esprime tanta compostezza, ma che cela una pericolosità non indifferente dietro uno sguardo glacialmente severo.
Lio le posa una mano sulla spalla e lo sguardo di lei sembra addolcirsi, quando incrocia quello di lui. 'Non è il luogo per le smancerie questo', penso seccata.
"Non vi mentiremo, la vita nella Lega non è facile. Bisogna studiare, allenarsi duramente e riorganizzazione la propria vita sulla base di tutto ciò. Far parte della Lega significa essere pronti a sacrificarsi e a mettersi in pericolo per la causa. Ma se sarete pronti a tutto ciò, qui troverete una famiglia, una fonte di supporto, oltre che l'obiettivo della vostra vita."
Ed eccoci all'ennesimo discorso motivazionale stile setta. Non ci credo che sto assistendo ancora ad una scena del genere. Perché tutti pensano di doverci convincere a rimanere, non abbiamo altra scelta. Siamo costretti a stare qui, volenti o nolenti.
Sbuffo. Queste parole sono pura ipocrisia.
"Noi saremo tra i vostri tutor, vi aiuteremo ad ambientarvi e saremo a vostra disposizione per gli allenamenti"
Chissà perché non mi sorprende sapere che abbiano messo uno come Lio a fare da guardia alle nuove reclute. In questo momento sembra quasi una persona disponibile e simpatica, praticamente l'opposto del ragazzo conosciuto qualche giorno fa.
Sbuffo ancora. Voglio andare via.
Cerco di muovermi silenziosamente verso l'uscita, ma non riesco a raggiungere nemmeno la porta prima che la voce di Lio mi immobilizzi.
"Dorato! Vai da qualche parte?"
Mi irrigidisco ancora di più, ma non rispondo.
"Essere la figlia del capo non ti autorizza a fare quello che vuoi, lo sai?"
Eh no! Questo è troppo!
"Scusami, ma serve davvero che io stia qui ad ascoltare questo discorso? Non è poi molto diverso da quello fatto da mio padre giorni fa e nemmeno allora sarei voluta rimanere ad ascoltare." l'espressione sul mio volto è dura. In passato non avrei mai risposto così; sono sempre stata la studentessa silenziosa del primo banco, attenta ed educata, ma adesso non sono più quella persona. Sono una nuova Elizabeth, più ostile e combattiva. Mi chiedo se non sia frutto della comparsa del marchio, nella vita non ho mai avuto troppo coraggio.
"Che c'è, ragazzina? Vuoi metterti nei guai il primo giorno?" a parlare questa volta è Diana, il suo tono di voce è fermo e sprezzante, un po' come quello di Lio.
"Se proprio lo vuoi sapere, sarei disposta a tutto pur di farmi espellere. Ma la vera punizione è rimanere qui, giusto?"
Incrocio le braccia sul petto. Mi sento sicura. Forse troppo. Spero di non star volando eccessivamente vicino al sole o lei mie precarie ali di cera inizieranno a sciogliersi e farò la fine di Icaro.
"Sei libera di andare allora, ma riceverai solo una nota di ammonizione " mi risponde Diana, allontanandomi con un gesto fluido delle mani, mostrandomi le unghie perfettamente curate e smaltate di rosso. Una come lei non poteva non avere lo smalto di quel colore. " E di certo non sarà abbastanza per farti espellere". Sorride, come a volermi mostrare quanto le mie azioni siano inutili, secondo lei.
Non me lo faccio ripetere due volte, giro sui tacchi e vado via, addentrandomi nel corridoio.
"Elizabeth, tutta questa resistenza non ti porterà da nessuna parte" la sua voce è di nuovo alle mie spalle.
"Com'è che continui a rincorrermi, Lio? Pensavo di essere una causa persa in partenza" pronuncio il suo nome quasi come un sibilo, continuando a ostentare sicurezza. Questa nuova me inizia a piacermi davvero.
"Sono il tuo tutor, dovresti avere maggior rispetto" mi squadra dall'alto verso basso, con curiosità, piuttosto che con disprezzo. " Ad ogni modo, puoi decidere di dimostrarmi se vali qualcosa in palestra oppure puoi scappare come una ragazzina presuntuosa e fare la figura della codarda."
"Tu non mi conosci, non ti permetto di trattarmi così". Sento quasi le mani prudermi, per quanto vorrei schiaffeggiarlo.
Lio si avvicina, siamo di nuovo a pochi decine di centimetri, esattamente come qualche giorno fa.
Alzo di nuovo la testa per guardarlo dritto negli occhi, non gli darò la soddisfazione di vedermi abbassare lo sguardo. Mentre lo guardo negli occhi continuo ad avere l'impressione che dietro quell'espressione dura si nascondano emozioni ben più profonde.
"E allora smettila di comportarti da finta ribelle, metti fine a questa sceneggiata e inizia ad impegnarti. Mettiti in gioco." Si fa ancora più vicino, adesso posso sentire il suo respiro addosso.
"Perché non torni dalla tua ragazza, piuttosto che perdere tempo con me?"
Lio ghigna e avanza ancora. Adesso è troppo vicino, così tanto che i nostri petti si sfiorano.
"Diana non è la mia ragazza, se può sollevarti."Mi sorride malizioso.
Pensa per caso di piacermi? Sarà pure un bel ragazzo, ma non mi fa quel genere di effetto.
"Dovresti ridimensionare l'idea che hai di te, non tutte le ragazze sono pronte a cascarti ai piedi. Soprattutto io."
Sento che la mia voce inizia a tentennare, forse ho già perso la mia nuova sicurezza.
Lui ride, lo fa di gusto, come a volermi schernire. Poi, abbassandosi e avvicinando le labbra al mio orecchio tanto da poterle sentire sfiorare la pelle, sussurra:
"Ti sorprenderebbe sapere cosa molte sono state disposte a fare per avvicinarsi a me".
Con l'indice percorre il profilo della mia spalla, scendendo poi fino al braccio. Sfiora delicatamente il tessuto che copre il marchio e, inconsciamente, un brivido mi corre lungo tutta la schiena.
Il mio respiro si fa irregolare, il petto si alza e si abbassa con un ritmo fin troppo accelerato e questo non fa che aumentare il contatto tra noi.
Non sono mai stata così vicina ad un ragazzo. Non ad uno come lui; un ragazzo che sembra una angelo fuori, ma che dentro nasconde il caos dell'inferno. Uno ragazzo che sembra l'emblema di un paradosso; perfetto all'apparenza, ma che conduce alla contraddizione.
Ed è proprio nel momento in cui le sue dita sfiorano le mie che abbasso lo sguardo, incapace di reggere quella tensione.
Lui mi sorride trionfante, ha ottenuto ciò voleva. Ma non mi piegherà così facilmente.
"Ti aspetto presto agli allenamenti, Elizabeth".
Lio si allontana correndo verso la palestra, mentre io rimango ferma nel bel mezzo del corridoio, con il batticuore e la testa in completa confusione.
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