Capitolo 10
"Papà, perché non mi avete mai detto nulla?" Chiedo con voce sottile.
"La Lega ha tante regole, Elizabeth. Una di queste impone ai membri di non far parola dell'organizzazione con i propri figli fino all'arruolamento, serve a preservare la vostra infanzia, a farvi vivere tranquilli. Meno sapete e meglio è, fin quando siete bambini."
Non replico subito, nonostante le domande che voglio fare siano tante, so che non riuscirei ad esporle educatamente. Non voglio trascorrere qui un attimo di più. Mi volto e mi dirigo verso l'uscita, fin troppo consapevole che presto dovrò tornare qui. Ormai sono dentro questa cosa, faccio parte della Lega. Che io lo voglia o no.
"Elizabeth Dorato!- tuona mio padre e sento il rumore dei suoi passi dietro di me- dove pensi di andare? Torna qui subito"
Io non mi fermo e non lo guardo. Possono pure avermi privato della mia possibilità di scegliere se far parte o no di questa specie di esercito, ma di certo non possono obbligarmi a stare dove non voglio. Scopriranno presto di aver di fronte un pessimo soldato e che sono restia seguire le loro regole. Non mi vedranno scattare sull'attenti così facilmente.
"Ci vediamo a casa, papà" lo saluto alzando la mano. E questo è il massimo del rispetto che riesco a mostrare in questo momento.
Non lo sento più affannarsi per raggiungermi, deve aver capito che in nessun modo avrebbe potuto convincermi a rimanere.
L'afa e la luce del pomeriggio stanno lentamente sfumando verso il crepuscolo quando lascio la scuola. Non ho idea di che ore siano, so solo che i minuti trascorsi lì dentro pesano sulle mie spalle come ore. 'Ma figurati se le stranezze di questo periodo si erano concluse. Ci mancava solo altra benzina sul fuoco' penso rammaricata.
Forse tutto questo è troppo da gestire per me. È come se stessi camminando sull'orlo di un precipizio, basta solo un passo falso e rischio di cadere giù. E nessuno potrà aiutarmi.
Mi lascio cadere sulle scale dell'ingresso e guardo fissa la strada di fronte a me. Lo sguardo vuoto, inespressivo.Realizzo di essere più sola ora, che mai nella mia vita. Sono due giorni che evito Maddalena, perché ho troppa paura che lei possa non riuscire a gestire questa situazione e temo che tutto questo possa essere troppo per lei. D'altronde, è troppo persino per me.
Non voglio tornare a casa, non per ora almeno. Non sono pronta ad affrontare i miei genitori.
Non so dove andare. È questa la dura verità.
Mi stringo le braccia attorno alla vita e la pressione risveglia il dolore al braccio. Mi guardo intorno furtiva, mi assicuro di essere sola prima di scoprirlo di nuovo. La pelle della mano è bruciata nel punto in cui è venuta a contatto con il manico del pugnale e sul braccio, quella attorno al marchio, sembra più infiammata del solito. Altre due foglie si sono aggiunte al disegno e questo conferma la diversità tra il mio marchio e quello di Daniel. Fatico ancora a realizzare di aver trovato il mio padre biologico. Non lo avevo mai cercato, non avevo mai fatto domande su di lui, eppure, adesso che l'ho trovato, mi sento più completa. Anche se questa nuova consapevolezza ha portato con se' ulteriori dubbi, almeno ho un punto da cui partire per la ricerca e la comprensione della nuova me stessa. Copro di nuovo il marchio, mentre poso la testa sulla ginocchia e chiudo gli occhi per un secondo, beandomi di questo raro momento di quiete cittadina.
"Voi reclute siete tutte uguali, ogni anno trovo qualche ragazzino a piangere sulle scale" una voce sconosciuta alle mie spalle rompe il perfetto clima di quiete in cui ero riuscita a nascondermi.
"Come scusa?" Chiedo confusa. Il ragazzo scende veloce le scale e si ferma sul marciapiede di fronte a me. Lo riconosco subito, é il ragazzo che ha consegnato la cesta con i pugnali a mio padre e solo ora, nel rivederlo, mentre la scena si ridisegna davanti ai miei occhi, realizzo di avere ancora il mio in tasca. Ci mancava solo che mi mettessi a girare per la città con un pugnale. Non sarebbe stata la più furba delle decisioni.
"Non reggete la pressione, la maggior parte di voi scappa fuori in lacrime dopo la cerimonia"
È molto alto, tanto che dalla mia posizione faccio fatica a guardarlo bene in faccia.
"Io non sto piangendo" puntualizzo, seccata.
"Ma avresti voluto farlo immagino. Che c'è, ragazzina? Pensi di non riuscire a sopportare il peso della guerra?" Il suo tono strafottente mi infastidisce terribilmente. In questo momento, non è il caso di farmi arrabbiare.
" scusa, ma tutta questa arroganza da dove ti viene ?" Mi alzo in piedi e mi avvicino, cercando di guardarlo meglio negli occhi. 'Da dove viene a me tutta questa sicurezza?' Mi domando piuttosto. In altre situazioni avrei evitato ogni genere di confronto, ma tanto cosa potrebbe succedere adesso? Cos'ho da perdere?
"Ho anni di esperienza, ne ho viste di reclute, nessuno dei nuovi è mai un grande acquisto per la Lega. Non avete la stoffa" sorride, e sul suo volto si dipinge un perfetto sorriso di scherno.
"Perdonami allora se ho già deluso le tue aspettative" lo supero. Non ho voglia di proseguire questo discorso.
"Vedremo quando inizierai gli allenamenti, scommetto che non durerai poi molto"
Sento la rabbia montare in me con la forza di un uragano. Mi volto e lo guardo, a denti stretti.
"Non credo mi vedrai spesso da queste parti."
"Allora hai già mollato" dice e con entrambe le mani si tira indietro i capelli, che gli erano caduti sul volto. Nel complesso sarebbe anche un ragazzo carino se non fosse per quest'aura di impertinenza che lo circonda. I suoi capelli sono castani, lisci e lasciati lunghi sul davanti, a coprire parte dei lineamenti del volto, che appaiono nel complesso morbidi e simmetrici, nonostante la sua espressione e il suo sguardo cerchino di indurirli.
"Non ti pare di star prendendo un po' troppa confidenza?"
"Mi scusi allora- il suo sarcasmo è fin troppo evidente- e la prego di perdonarmi, se non mi sono ancora presentato. Sono Lio Silverini, recluta al terzo anno. E lei sarebbe ?" Mi domanda con un finto inchino, come se volesse farmi la riverenza.
Sono una grande amante del sarcasmo e sono abituata ad usarlo spesso, ma l'uso che ne fa lui mi tende i nervi come corde di violino.
"Elizabeth Dorato, recluta contro la sua volontà" spero con tutta me stessa di non dovermi identificare mai più con quella parola, che accostata al mio nome sembra ancora più dura e rende il tutto estremamente cacofonico.
"Le regole sono regole. Genitori cacciatori, figli cacciatori. È semplice". Lui sembra così ben inserito in questo contesto, sembra così a sua agio, immerso nel suo elemento. Ma io non voglio lasciare che tutto questo mi definisca. Io so di essere ben altro.
"Io la trovo una forzatura. Dovremmo poter scegliere"
Lui mi si avvicina, ormai pochi centimetri ci separano, siamo in piedi l'uno di fronte all'altro. Alzo lo sguardo, e i miei occhi si scontrano con i suoi, in cui spiccano le iridi di un verde intenso, interrotto da tante pagliuzze color oro, che gli illumino lo sguardo.
"La nostra è un'organizzazione centenaria. Ci sono regole che sono più vecchie dei nostri nonni. Siamo nati senza una scelta" e su quest'ultima frase la sua voce sembra tremare. Per un attimo anche la rabbia che provo scema, mentre lo guardo. Il suo sguardo è duro, la sua postura rigida. Forse ho riaperto una vecchia ferita?
"Tuo padre è il capo, a te non sarà mai permesso di mollare. Ormai sei dentro" aggiunge e mi sembra meno sfrontato e più comprensivo, mostra un atteggiamento completamente diverso rispetto a pochi minuti fa.
Avevo intuito che mio padre fosse ai vertici maggiori dell'organizzazione, lo avevo visto da come lo guardavano le altre persone nella palestra. Tutti gli mostravano un rispetto che si riserva a pochi, un servilismo che io stessa non sono sicura di potergli garantire.
"Questo è tutto da vedere. Non credo che questo sia il mio posto"
"Lo è invece. E prima lo accetterai, meglio sarà." La sua voce si fa di nuovo aspra. "Arrenditi, Dorato. È questo il tuo destino" il suo sguardo è così gelido, i suoi occhi si sono fatti così scuri e duri, che per un attimo non so cosa rispondergli, è tornato di nuovo il ragazzo insopportabile che mi si era presentato scendendo le scale.
"Prima che te accorga avrai fatto tua la nostra causa"
"Ed è qui che ti sbaglio, Lio- e, chiamandolo per nome, cerco di mostrarmi sfacciata almeno quanto lui- questa è la vostra guerra. Non la mia."
Lo sento sbuffare in lontananza mentre mi allontano e la luce dorata del tramonto si spegne, lasciando spazio al buio delle prime ore della sera.
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