Capitolo 4

Da quand'era arrivato a Buchenwald, Till zeigler non aveva fatto nulla – o perlomeno nulla che potesse essere davvero considerato qualcosa. Dopo il giro di routine nel campo, Lawrence si era premurato di spiegargli da vicino i diversi ambienti ricreativi. Ma era pur vero che di quelli gl'interessasse ben poco, perché ciò che davvero premeva alla sua indole era rendersi artefice di azioni plateali, azioni classificabili come giuste. E l'unico che sembrava essersi reso conto di questo, alla fine, era ancora una volta Lawrence Anderson. Perché sì: lui aveva soppesato il particolare carattere del nuovo arrivo – così megalomane, così narcisista – e aveva deciso di fargli una sorpresa. Dopo il regalo per la cagna di Buchenwald, Till Zeigler era diventato il suo pensiero fisso. Gli era bastata qualche ora per comprenderlo nel minimo dettaglio: sapeva cosa avrebbe potuto interessarlo e cosa, invece, non lo avrebbe minimamente sfiorato.

«Stiamo andando ancora lì?» Till ruppe il silenzio. Lo sguardo contrito, irritato, come il cipiglio che gl'increspava le labbra. «Dovete finire un altro tatuaggio, forse?» Chiese ironico. Non aveva intenzione di seguirlo fino al Sonderbau, cosa che Lawrence percepì all'istante e fino a sbuffare.

«No, nessun tatuaggio» disse semplicemente, avanzando verso l'edificio speciale con aria assorta. Annoiato, forse perfino frustrato, non si curò di essere o meno seguito da Till Zeigler – oh, lui sapeva che sarebbe rimasto al suo fianco fino a nuovo ordine!

«E allora cosa?» Non riusciva davvero a credere che l'idea di ronda di Lawrence Anderson fosse quella di stanziarsi lì tutte le notti a non fare nulla di produttivo. No, non poteva proprio capacitarsene, perché dopotutto aveva visto concludere il famigerato lavoro per la cagna di Buchenwald – al quale non aveva partecipato in nessun modo, malgrado ciò che era stato riferito al Comandante Koch – e stentava a credere che ci fosse granché da fare in un bordello – oltre sfogare le proprie pulsazioni sessuali, ovviamente.

«Sono certo che prima o poi lo capireste da solo se la smetteste di fare tante domande» soffiò. E parve quasi echeggiare le parole della sera prima.

Till Zeigler aggrottò le sopracciglia con fare seccato. Tuttavia continuò a seguirlo, a studiare l'ambiente, a pensare e perfino a crucciarsi – senza motivo, perlomeno a detta di Lawrence. La verità era che questi aveva iniziato a provare una sorta di antipatia nei suoi confronti: lo considerava uno scansafatiche – e chiunque avrebbe confermato la sua tesi dopo una prima occhiata. «Dite sempre di essere annoiato a causa delle mie domande, Anderson, ma continuate a non dare risposte affinché io possa starmene in silenzio» schioccò acidamente.

«Capita che a volte la risposte arrivino con un po' di ritardo, sapete?» Replicò l'interpellato, non mancando di condire le proprie parole con un sarcasmo velato di tenerezza. Allora sollevò le spalle iniziando a canticchiare qualcosa tra sé e sé.

Till Schioccò la lingua in un moto di fastidio, percependo delle note fuori programma. Era inglese, dannatamente e maledettamente inglese. Non aveva mai sentito una melodia simile all'interno del Reich e non poteva sbagliarsi. Chiese: «Cosa state cantando?»

«Who killed Cock Robin?»

«Siete davvero uno straniero» constatò con sdegno Till. La mano posata sulla fondina e lo sguardo gelido.

«Se preferite posso cantarla anche in tedesco...» Ghignò. E non attese una conferma, cominciò semplicemente a declamare la filastrocca: «Chi ha ucciso il pettirosso? Io, ha detto il passero, con il mio arco ed una freccia, io ho ucciso il pettirosso...» Si voltò a guardare Till Zeigler e lo fulminò con un guizzo di sadismo. I denti bianchi, splendenti, stranamente aguzzi. Sembrava una creatura ultraterrena, demoniaca. «Chi lo ha visto morire? Io, ha detto la mosca, con i miei piccoli occhi, io l'ho visto morire.» Lawrence indicò la fondina di Till e questi, chissà come, allontanò la mano dalla Luger. «Chi ha preso il suo sangue? Io, ha detto il pesce, con un mio piccolo piatto, io ho preso il suo sangue.»

«Cosa significa?» La domanda di Till, tuttavia, non lo fermò.

«Chi farà il suo sudario? Io, ha detto lo scarafaggio, con un mio filo ed un mio ago, io farò il suo sudario.» Lawrence attese di essere raggiunto da Till, poi continuò: «Chi scaverà la sua tomba? Io, ha detto il gufo, con un mio piccone ed una mia pala, io scaverò la sua tomba. Chi sarà il prete? Io, ha detto il corvo, con il mio piccolo libro, io sarò il prete. Chi sarà il chierichetto? Io, ha detto l'allodola, se non è di sera, io sarò il chierichetto. Chi porterà la fiaccola? Io, ha detto il fanello, io la trasporterò in un minuto...» Smise di sorridere e inclinò appena la testa. Occhi negli occhi con Till Zeigler, non batté le palpebre neppure per errore. «Io porterò la fiaccola» disse ancora. Poi riprese: «Chi riceve le condoglianze? Io, ha detto la colomba, io sono a lutto per il mio amore. Io riceverò le condoglianze. Chi trasporterà la bara? Io, ha detto il nibbio, se non sarà durante la notte, io trasporterò la bara. Chi farà il drappo funebre? Noi, ha detto lo scricciolo, sia il gallo che la gallina, noi faremo il drappo funebre. Chi canterà il salmo? Io, ha detto il tordo, come lui appoggiato su un cespuglio, io canterò il salmo. Chi suonerà la campana? Io, ha detto il bue, perché io posso tirare, perciò addio, pettirosso.»

«Tutti gli uccelli in aria sospiravano e singhiozzavano, mentre ascoltavano la campana suonare per il povero pettirosso.» La voce di Till Zeigler risuonò nel silenzio della sera. Lo fece sussultare, mentre la risatina soddisfatta di Lawrence echeggiava al ritmo di un lungo brivido sulla schiena. «Io non conosco questa filastrocca» mormorò scioccato.

«Dovreste smetterla di pretendere delle risposte da me» soffiò Lawrence, sollevando un indice con fare imperioso. «Non credete che queste siano più divertenti se siete voi stesso a trovarle?» E fece spallucce, si schiarì la voce. Poi gli diede le spalle e continuò a camminare verso l'edificio speciale. Dietro di lui, Till Zeigler con uno sguardo spaesato.

«Non ho bisogno di usufruire dell'edificio speciale, né di chi è in quelle stanze!» Riuscì a farsi sentire soltanto con un po' di ritardo. A denti stretti, ancora contrito, ci tenne a specificare la propria posizione. Ma lo seguì ugualmente e chissà perché – oh, Lawrence Anderson era un vero mistero! Aveva un potere enorme su di lui, talmente strano e impossibile da fargli dubitare della propria sanità mentale. La stessa filastrocca – che Till pareva appena dimenticato – ne era la dimostrazione lampante.

«Ma non vorrete mandare all'aria la mia sorpresa...» Lawrence arricciò le labbra. Sembrava un bambino capriccioso mentre indicava a Till la porta attigua a quella in cui erano entrati la sera prima. «Avanti» disse. Voleva indurlo a entrare per primo.

«Un'altra sorpresa?» Scattò in uno sbuffo contrariato. «E questa volta chi sarebbe il beneficiario?»

«Voi, naturalmente.» Lo guardò, poi sorrise nel vedergli posare la mano sulla maniglia. «Avanti» ripeté. «Vogliate sbrigarvi, almeno...»

Till gli lanciò un'occhiataccia. «Una sorpresa per me in un posto come questo...» sibilò scocciato. Poi scosse il capo e decise di accontentare Lawrence per non sorbirsi altre lamentele. Ciò che vide fu una stanza diversa, più grande, e tre donne. Deglutì. «Cosa significa?»

«Che dovete prendere la vita in modo meno rigoroso.»

Dinanzi a Till Zeigler c'erano tre esemplari di bellezze diverse, tutte apparentemente straniere, che questi identificò in una sola occhiata come provenienti da nord-est – quelle terre gelide di cui, per sua fortuna, aveva soltanto sentito parlare.

Le fauci improvvisamente secche, arse, e gli occhi attenti.

Le guardò tutte, una a una, notando come queste cercassero di stringersi addosso i vestiti leggeri che non erano abbastanza spessi per proteggerle dalla sera della Turingia. E in quel momento, mentre i loro animi cercavano di rifuggire lontano, Till Zeigler fissò Lawrence con fare contrito.

«Cosa significa?» Domandò ancora, dubbioso sul da farsi. Perché sì: malgrado si trovassero lì, in quella stanza, lui non aveva la benché minima intenzione di muovere un dito per approfittarsi di una di loro – la sola idea lo repelleva.

«Quello che ho detto: dovreste prendere la vita in modo meno rigoroso e, per esempio, adesso potreste iniziare a far allenare queste ragazze...» Lawrence posò la schiena sul montante della porta, non prima di aver dato a Till una pacca sulla spalla e averlo visto entrare. «Non vedete che sono terribilmente gracili?» Chiese ironico. «Voi vi allenate, Zeigler?»

«Come dovrei farle allenare, Anderson?» Era perplesso per l'ennesima volta: un pesce fuor d'acqua – e Lawrence lo sapeva.

Vedere Till Zeigler in piena analisi lo esaltava. E più il suo cipiglio contemplava la situazione, più quello di Lawrence assumeva delle connotazioni divertite. Era stato bravo – o almeno così si disse – nell'adocchiare il suo punto debole. Di certo avrebbe saputo usarlo a vantaggio del proprio tempo perso, magari come fulcro d'intrattenimento per altre SS che si sarebbero intromesse nei loro giochi di umiliazione da lì a qualche giorno. Dopotutto era così che funzionava da quelle parti, nei campi di concentramento, e soprattutto a Buchenwald – uno dei peggiori luoghi di annichilimento psicologico.

«Volete che vi dia una mano?» Chiese ironico, spostandosi dal montante per affiancarlo con sguardo austero.

«Una mano...» echeggiò piano Till, ponderando l'idea senza però distogliere la propria attenzione dalle tre ragazze appena ventenni – lo erano tutte in quell'edificio speciale, perché a decretarlo erano le disposizioni di Himmler.

Lawrence annuì e disse: «Potete iniziare col chiedere loro di fare qualche piegamento.» Gesticolò, poi ghignò con fare beffardo. «So che adorate dare ordini, Zeigler. Ma non chiedetemi come, lo si capisce fin troppo bene.» Spostò allora lo sguardo su di lui e indicò le giovani con una mano dal palmo rivolto verso l'alto. «Coraggio, mettetele sull'attenti e fategli fare un po' di moto!» Gliele stava offrendo per rompere il ghiaccio, per tagliare il filo di tensione che si era creato fra loro nelle ultime ore.

E Till Zeigler, dopotutto, era solo uno fra tanti: un'SS dalla volontà distorta, impropria, legata a quel regime immondo al quale aveva dedicato anima e corpo. Per questo non mancò di fare come gli era stato suggerito e diede il via al supplizio con voce tonante: «Auf dem boden

Il luccicore che brillava nei suoi occhi chiari, tersi quasi quanto il cosiddetto carta da zucchero, era paradossale e terribilmente eccitante – o almeno così poté constatare Lawrence che, ovviamente, si beava del dramma come fosse poesia. Le parole ferme, le indicazioni decise, il sudore e lo sforzo: ecco ciò che vide.

«Chi ha ucciso il pettirosso?» Chiese piano.

Senza un'apparente ragione, Till Zeigler mormorò: «Io, ha detto il passero, con il mio arco ed una freccia, io ho ucciso il pettirosso.»

E Lawrence sorrise. Nuovamente esaltato, mentre nella stanza iniziavano a risuonare le stesse note che aveva intonato fuori dall'edificio speciale, incrociò le braccia al petto e trattenne la propria euforia. «Chi lo ha visto morire? Io, ha detto la mosca, con i miei piccoli occhi, io l'ho visto morire...»

Dopo qualche minuto, Lawrence si schiarì la voce e posò una mano sulla spalla di Till Zeigler.

«Chi ha ucciso il pettirosso?» Quelle parole gli uscirono ancora di bocca senza che potesse fermarle, facendogli sgranare gli occhi di rimando. Di fronte a sé, il sorriso sadico di Lawrence Anderson.

«Zeigler, Zeigler...» cantilenò. Scosse perfino la testa, infine si lasciò andare a un piccolo sospiro divertito e spostò lo sguardo sulle ragazze. Si chiese come diamine facessero a essere tanto fragili, ma poi si disse che forse era proprio quello ad animare l'istinto di Till Zeigler. «Vi piace davvero tanto dare ordini» schioccò. Nelle orecchie sentiva l'affanno delle tre e il respiro pesante di Till Zeigler. Ed era quest'ultimo a renderlo quasi ebbro, perché delle donne gl'interessava ben poco – a dirla tutta le detestava, le aveva sempre detestate. «La strofa giusta è un'altra» soffiò. «Chi ha preso il suo sangue?» E spostò lo sguardo sul pavimento sporco, sulle stille rosse che macchiavano le labbra screpolate di una delle ragazze – l'aveva vista scivolare e rimbalzare sulle assi neanche fosse una palla da tennis. «Io, ha detto il pesce, con un mio piccolo piatto, io ho preso il suo sangue...» Restrinse lo sguardo. Erano tutte uguali per lui, tutte puttane, e la sola idea di condividere degli attimi in loro compagnia gli faceva rigirare lo stomaco. Schioccò la lingua, semplicemente soddisfatto di vederle soffrire, e poi tornò a osservare ciò che più di ogni altra cosa lo interessava: Till Zeigler e il suo volto madido di follia.

Era quasi divertente pensare che fosse stato lui stesso ad additare Lawrence Anderson come pazzo, perché in realtà lo erano entrambi. Oh, tutti erano pazzi in quel campo, dal primo all'ultimo: il Comandante Koch, la stessa cagna di Buchenwald – lei e il suo infame feticismo per la pelle umana conciata! – e l'ucraina che, singhiozzante, era finita in terra pur cercando di continuare a mantenere l'equilibrio nelle sue flessioni. Che dire di tutte quelle donne che si trovavano nel bordello, invece? Anche loro erano pazze, sì. Chi mai avrebbe creduto e sperato nella libertà pur trovandosi in un posto come Bunchewald? Lawrence provava solo disgusto per quell'ammasso d'idioti. Till, le SS, i kapò, i prigionieri che non riuscivano a ribellarsi dinanzi al potere di una Luger fumante: erano tutti pazzi.

«In piedi!» Ordinò la voce tonante di Till Zeigler che, animata da una strana euforia consapevole, fece ridacchiare Lawrence. «Vi voglio vedere fuori di qui tra dieci secondi» aggiunse inquisitorio. E riuscì a ghignare, irrimediabilmente complice della follia collettiva. Era stato infettato anche lui, sì, e finalmente sentiva scorrere nelle proprie vene quella sensazione di pieno potere che tanto aveva bramato.

Le ragazze scattarono in piedi e corsero subito, come delle pazze, non appena Lawrence Anderson si spostò dall'uscio della porta.

Till pronunciò il primo numero. Mosse lievemente le labbra, ma fu in grafo di farle tremare. E la sua voce le raggiunse in men che non si dica, le fece tremare, singhiozzare, annaspare. Sembrava più sadica di quelle che finora si erano susseguite per ingiuriarle nel Sonderbau.

«Vi ascoltano, Zeigler, non siete contento?» Domandò sardonico Lawrence, incamminandosi a sua volta lungo il corridoio. Poi sentì i passi di Till, batté le palpebre e si sentì superare in un vero e proprio impeto di follia. «Che spettacolo...» commentò sottovoce. Spalancati gli occhi, lo spettacolo che aveva dinanzi era quello di un pazzo aguzzino in preda alla consequenzialità numerica. «È incredibile» si disse, vedendo le tre ragazze rimbalzare con affanno lungo le porte che riempivano il corridoio. E ghignò soddisfatto, procedendo verso l'uscita dell'edificio speciale con passo fermo, deciso. Nella testa, le proprie congratulazioni. Era quasi certo che Till Zeigler avrebbe impiegato molto di più per uscire fuori di testa, invece era successo esattamente il contrario. «Chi farà il suo sudario? Io, ha detto lo scarafaggio, con un mio filo ed un mio ago, io farò il suo sudario.» L'aria pungente della notte gli batté sul volto nel momento in cui Zeigler afferrò l'ucraina per la chioma bruna e corta. Lawrence attese di essere raggiunto da Till, poi continuò: «Chi scaverà la sua tomba? Io, ha detto il gufo, con un mio piccone ed una mia pala, io scaverò la sua tomba.»

Till spinse l'ucraina verso il basso e la fece capitolare con la faccia sul terreno umido. Gli occhi sgranati, folli, e le narici allargate dalla rabbia. Era il ritratto di un mostro. Le altre, spaventate, si arrestarono di colpo. Con il cuore in gola e il volto pallido, compresero di non essere state liberate, ma solo scelte da Lawrence Anderson per far divertire Till Zeigler.

«Chi sarà il prete? Io, ha detto il corvo, con il mio piccolo libro, io sarò il prete. Chi sarà il chierichetto? Io, ha detto l'allodola, se non è di sera, io sarò il chierichetto. Chi porterà la fiaccola? Io, ha detto il fanello, io la trasporterò in un minuto...» Lawrence ridacchiò. «Io porterò la fiaccola!» Sollevò la voce, poi batté le mani un paio di volte per congratularsi con Till.

«Togliete i vestiti!» L'ordine di Till Zeigler fece storcere il naso a Lawrence.

L'idea di vedere non uno, ma ben tre corpi femminili con le mammelle all'aria lo disgustava. «Chi riceve le condoglianze? Io, ha detto la colomba, io sono a lutto per il mio amore. Io riceverò le condoglianze.» Sospirò.

«Voglio vedervi in terra, a quattro zampe, come le cagne che siete!» Till aggiunse un po' di cattiveria all'infamia appena ordinata e fece nuovamente ridacchiare Lawrence che, dal canto suo, gli si avvicinò solo per appropriarsi di fiammiferi e portasigarette.

«Chi trasporterà la bara? Io, ha detto il nibbio, se non sarà durante la notte, io trasporterò la bara» borbottò con la sigaretta tra le labbra. «Chi farà il drappo funebre? Noi, ha detto lo scricciolo, sia il gallo che la gallina, noi faremo il drappo funebre» continuò in uno sbuffo di fumo. «Chi canterà il salmo? Io, ha detto il tordo, come lui appoggiato su un cespuglio, io canterò il salmo.» Sembrava un demonio circondato di zolfo: gli occhi brillanti, profondi, attenti, e il sorriso bianco, perfido quanto la delicatezza della sua voce. «Chi suonerà la campana? Io, ha detto il bue, perché io posso tirare, perciò addio, pettirosso.»

«Sbrigatevi!» Grido Till, squarciando il silenzio della notte e sormontando i lamenti che provenivano dall'edificio speciale. Allorché rivolse un'occhiata fugace a Lawrence e non obbiettò per la libertà che questi si era appena preso, anzi. Disse: «Tutti gli uccelli in aria sospiravano e singhiozzavano, mentre ascoltavano la campana suonare per il povero pettirosso.» E sorrise, complice della sua pazzia, prima di riavere indietro portasigarette e fiammiferi. Si accese subito una sigaretta, poi rimase immobile a osservare l'assurdo risultato ottenuto.

«Per quanto tempo volete lasciarle là a quattro zampe, Zeigler?» Chiese Lawrence.

«Poco» asserì lui, deciso e schietto, mentre continuava a fissare le loro membra sporche di terriccio.

«Menomale» commentò atono, tornando a fumare con noncuranza.

«Dieci giri...» fece Till all'improvviso. «Cominciamo con dieci giri.»

«Solo dieci?» Soffiò ironico Lawrence, lasciando che il fumo fluisse via dalle sue labbra schiuse. A suo dire, quella era una scelta poco curata.

«Cominciamo con dieci» sottolineò l'interpellato, facendo sorridere Lawrence con evidente compiacimento.

Questi annuì di rimando, comprendendo bene il suo gioco e dicendosi tra sé e sé che quei dieci giri sarebbero poi diventati venti, quaranta, ottanta, forse più di cento – e allora la cosa sarebbe stata davvero divertente. «A quattro zampe, immagino» suggerì.

Till scosse la testa affermativamente e disse: «Adesso.» Si sentiva lo sguardo di Lawrence addosso, ma per la prima volta non sembrava infastidito dalla sua presenza. Tutt'altro, la riteneva quasi necessaria.

L'affanno delle ragazze in preda al gelo, la strana corsa che aveva ideato, le loro mani insanguinate e le ginocchia escoriate: tutto era folle, assurdo, ma impossibilitato a fermarsi.

Lawrence si disse che c'era del vero potenziale in Till Zeigler, un sadismo tale che pochi avrebbero compreso. Per questo continuava a fissarlo affascinato, ormai più che certo di aver adocchiato l'uomo giusto con cui passare del tempo. E la cosa andò proprio come aveva preventivato: quei dieci giri aumentarono fino a far perdere il conto a quelle povere ragazze.

Le sigarette di Till Zeigler finirono in fretta. Attorno al Sonderbau, l'unica cosa fissa e immobile erano i mozziconi. E forse Lawrence, sì, perché non aveva più mosso un muscolo dall'inizio della corsa – oh, lui era troppo intento a ragionare, a sondare, per fare qualcosa di utile. Con lo sguardo fino e torbido, rifletteva sull'ormai defunta umanità di Till. Non sapeva se esserne entusiasta o deluso, non comprendeva fin dove potesse spingersi per renderlo mostruoso. Sapeva solo che il suo inconscio, forse, si era un po' risentito. D'altro canto non poteva non notare come l'estro creativo del suo es tormentato lo avesse fatto risplendere. Già, Lawrence Anderson aveva appena dato vita a un torturatore, a un boia sia fisico che psicologico. «Più veloce!» Gridò al posto di Till.

Le tre ragazze erano diventate animali – riusciva a percepirlo nell'aria che si mozzava loro nei polmoni, nel modo in cui queste arrancavano sul suolo e addirittura nei gemiti che, di tanto in tanto, scappavano tra i singhiozzi.

Till Zeigler echeggiò l'ordine: «Più veloce, più veloce!»

E loro si affannavano, cercavano di andare più veloce. Poi capitolavano in terra. Il respiro sembrava tanto sfiancato quanto le membra che, sotto il freddo della sera e il sudore gelido, si riempivano di poltiglia bruna. Ferite infette.

«Non pensavo che foste ferrato con le vitamine, Zeigler» disse d'un tratto Lawrence, osservando Till con una sorta di cinismo

Questi, assorto nella contemplazione del proprio operato, gridò un nuovo ordine per altri giri dell'edificio speciale. Non rispose, non subito, ma poi batté le palpebre e si sentì come chiamare da lontano. Quando si voltò a guardare Lawrence, chiese: «Cosa?»

«Date loro qualche altro ordine, no?» Lo spronò Lawrence. Era certo che Till Zeigler potesse creare qualcosa di maggior interesse, se lo sentiva nelle viscere. «Non è forse noioso vederle girare ancora qua attorno come delle cagne?» Sbuffò. «Dopotutto Buchenwald ne ha già una: basta e avanza...» Trattenne a stento una risata, divertito per la propria, subdola, battuta.

Till spostò lo sguardo da Lawrence all'ucraina che, finito il nuovo giro, continuava ad arrancare per iniziare il seguente. Solo allora, con lo sguardo fisso su di lei, comprese cosa volesse dire. «Questo allenamento lo chiamate vitamine, dunque...» soppesò sottovoce. E controllò il portasigarette, batté le palpebre confuso – che fine avevano fatto? Non poté fare a meno di chiederselo. Infine portò lo sguardo in terra e contò i mozziconi che aveva sparso tutt'attorno a sé, mentre l'ultimo gli frizzava ancora tra le dita della mano destra. Irritato per quell'improvvisa mancanza di tabacco, dunque, storse il naso. E raggiunse una delle ragazze che, per sua sfortuna, gli stava passando di fronte in quell'esatto momento. Senza nemmeno pensarci su, Till spense la sigaretta sulla sua schiena e la sentì gridare. Poi la vide cadere in terra, capitolare rovinosamente su un fianco e cercare di raggiungere la parte lesa, dolorante, con la punta delle dita.

«Sembrate quasi più capace dei kapò. Sapete tormentare la gente, Zeigler... Me ne compiaccio» soffiò Lawrence, osservando come le lacrime di quella ragazza sembrassero non toccare affatto il suo aguzzino – e come avrebbero potuto? Lui aveva lo sguardo vacuo, distante, perso chissà dove – probabilmente nei meandri della fantasia d'onnipotenza – mentre le puntellava lo stomaco con lo stivale nero. «Non capita spesso di trovare persone come voi. E anche se in questo campo ce ne sono di diverse, ma posso assicurarvi che le battete tutte!»

Till Zeigler ignorò l'astruso complimento di Lawrence e chiese: «E adesso?» La voce atona, distorta. Diede un forte calcio allo sterno della giovane e la sentì boccheggiare, tossire, quasi vomitare in terra.

Le altre due continuavano a correre. Il cuore in gola, le lacrime agli occhi.

Lawrence lo fissava annoiato, aveva perfino smesso di divertirsi.

L'adrenalina che fino a poco prima scorreva in fiotti abbondanti nelle vene di Till Zeigler parve non solo dimezzarsi, ma addirittura svuotarlo completamente e fino a fargli percepire il freddo della sera contro le guance accaldate.

«Le vitamine, generalmente, finiscono.» Lawrence lo affiancò con aria sinistra. Dalla tasca del cappotto estrasse il proprio portasigarette e lo porse Till con nonchalance, offrendogliene una. «Da questa parte...» aggiunse poi. Quando lo vide portare la sigaretta alle labbra e accendere un fiammifero, dunque, ripose il portasigarette nel cappotto. E si chinò un poco, afferrò la donna singhiozzante per i capelli. Infine la strattonò verso l'alto e, incurante del fatto che le dolessero le ginocchia, la mise in piedi.

Sembrava più che malferma, cosa che scocciò perfino Till Zeigler. Perciò questi si affrettò a ringhiare un: «Halt!» E sbuffò fumo grigio in direzione delle altre due ragazze che, sfiancate quanto lei, vennero subito ammonite con una sequela di orrendi appellativi.

Lawrence Anderson, nel frattempo riprese a canticchiare. Lo sguardo fisso su quello della donna e il palmo rivolto verso l'alto, nella direzione che avrebbe dovuto seguire: quella più prossima al recinto del campo.

Negli occhi delle tre vittime comparve un lieve barlume di speranza. Per un attimo riuscirono a credere di poter davvero fuggire da Buchenwald – Lawrence glielo leggeva in faccia. Ma tutto quello che avevano vissuto fino ad allora non sarebbe diventato un lontano incubo, non sarebbe stato qualcosa da dimenticare. I progetti di Lawrence Anderson erano completamente diversi dai loro, per questo poterono sentirgli schioccare la lingua. Divertimento e compiacimento, forse una punta di noia.

Questi si avvicinò a Till per togliergli il berretto e lanciarlo lontano.

«Cosa fate?» Sbottò irritato, carezzandosi subito la testa ormai nuda e un po' sudata.

«Vi do del pane per i vostri denti, tutto qui» rispose Lawrence, indicando all'interpellato laddove si era andato a posare il cappello: la sommità del recinto elettrificato. E restrinse lo sguardo, ghignando. Prima fissò Till Zeigler, poi più a destra, dove si trovava ancora la donna che era stata ferita con la sigaretta. «Avanti, vai a prenderlo» le disse. Subito la spintonò in avanti e la vide incespicare sui suoi piedi fino a cadere rovinosamente con la faccia in terra. «Ho detto vai a prenderlo» ripeté indignato – il fatto che fosse caduta lo indispettiva.

E sebbene le braccia vibrassero per lo sforzo della corsa a quattro zampe, sebbene gli sguardi delle altre due si puntassero su di lei con terrore, questa fece come le era stato richiesto. Riuscì a sollevarsi a fatica, fremendo e rabbrividendo, poi s'incamminò alla svelta e sotto il nuovo ordine di Lawrence.

Il silenzio parve distruggere tutto in quel momento, fintanto che i passi della donna si susseguivano uno dietro l'altro. Poi ci fu il suo urlo, a seguire la scossa del recinto. E Till rimase di sasso, mentre la donna cadeva in terra in preda alle convulsioni. La vide dapprima scattare, attaccarsi al recinto, infine bruciare come un pollo allo spiedo.

Lawrence Anderson si avvicinò al suo corpo per dare un calcio al berretto di Till, lo stesso che raccolse dal suolo e spolverò prima di tornare al punto di partenza. Glielo porse solo allora, ghignando sardonico – come suo solito. E aggiunse qualcosa al suo precedente discorso: «Non voglio levarvi il gusto di provare quest'ebbrezza, Zeigler. So che vorreste provare anche voi...» Inclinò appena il capo verso destra e lasciò che la mano dell'altro si posasse sul proprio berretto per riappropriarsene. «Avanti, pensate a come concludere le vitamine: sono certo che vi piacerà.»

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