Capitolo 10
Klara era sempre in ordine, sempre perfetta, sistemata di tutto punto e mai con un capello fuori posto. Suo marito lo sapeva bene e, pur cercando di starsene per conto proprio, la vedeva spesso camminare per casa con abiti eleganti. Truccata dalle prime luci del mattino, sembrava aspettare qualcuno e restava a imbellettarsi fin quando quel qualcuno non arrivava a bussare alla porta cui subito si precipitava.
Vederla con indosso il bel vestito color avorio, quello che tanto le cadeva bene lungo i fianchi fino a farla sembrare una silfide, non era un'occasione rara. Tuttavia, Rupert aveva notato qualcosa di diverso nel guizzo dei suoi occhi – una strana lucentezza, forse, che collimava con la collana di perle che aveva al collo.
«Rupert, Till Zeigler è passato a trovarci!» Esclamò d'un tratto, echeggiando nell'ingresso e facendo risaltare il nome del giovane con un po' troppa enfasi.
L'interpellato diede un'occhiata veloce all'orologio a pendolo che si trovava lì vicino, constatando che fosse giustappunto arrivata l'ora della consueta visita di Till Zeigler. Ma se in un primo momento non gli parve affatto strano che questi fosse lì, un successivo tarlo parve volergli suggerire dell'altro – e l'euforia di Klara era più che una conferma per le sue orecchie. Così si umettò le labbra, fece forza sul bracciolo del divano cui era seduto e raggiunse la gruccia per infilarsela sotto l'ascella con ben poca grazia. Era certo del fatto che nessuno avrebbe potuto sapere niente sul famoso tarlo, ma il mondo in cui digrignava i denti pareva tradire una certa ansia. Quando se ne accorse era appena riuscito a mettersi in piedi, perciò dovette dar fondo a tutta la sua calma interiore per andare ad accogliere Till all'ingresso. Barcollò fuori dal salotto, zampettando con la gruccia fino a raggiungere Klara, e una volta lì poté vedere non solo il suo fermento, ma addirittura la contrastante espressione di Till che, subito, tornò a dipingersi con placida e cauta compostezza. «Till, è un piacere avervi qui» disse. E accennò subito a un sorriso quando questi, rispettosamente, gli si rivolse nella stessa maniera.
«Come sempre, quando posso passare, è un piacere anche per me.» Annuì alle proprie parole e si avvicinò a Rupert dopo aver lasciato che Klara, da brava massaia quale voleva proporsi alle conoscenze del marito, si occupasse del cappotto.
«Non avete da studiare?» Azzardò Rupert, fissandolo con una punta di rimprovero. E dietro questa, perfino il dubbio parve stanziarsi lì, tra le sopracciglia folte.
«Essere sempre un passo avanti è la soluzione migliore» commentò appena Till, continuando a sorridere con fare rassicurante. Seguì Rupert verso il salotto e lo fece lentamente, ben modulato, mostrandosi per nulla impaziente – e dire che stava letteralmente morendo dalla voglia d'intavolare qualche discorso in grado di portarlo al punto cruciale della visita: la cena tanto importante di cui solo Klara gli aveva accennato.
«Vero, ma non bisogna mai disdegnare la puntualità» gli ricordò l'altro, sospirando e lasciandosi scivolare sul divanetto cui era seduto poco prima.
«Nella consegna, certamente, e negli appuntamenti» soffiò Till, ignorando il fatto che Klara non li avesse seguiti come di consueto – forse a causa di un'occhiataccia di Rupert, chissà.
«Siete puntuale come al solito» disse. «Devo dedurre che questo sia un appuntamento?» Rupert Haas ironizzò un po', notando subito come negli occhi di Till si fece largo un prepotente guizzo d'allusione.
«E perché no, Rupert?» Sorrise questi, cercando di mostrarsi più naturale possibile e addirittura ingenuo – una dicitura che di certo non gli spettava. «Di cosa vogliamo parlare quest'oggi?» Sussurrò poco dopo. Poi si guardò attorno e constatò come in salotto ci fossero soltanto loro due – Klara non si era davvero azzardata a seguirli. Allora si disse che, probabilmente, era proprio quel motivo a spingere Rupert verso certe libertà, perché mai si sarebbe azzardato a porsi in modo così fraintendibile dinanzi a sua moglie.
«Mi spiazzate sempre» commentò piano, scuotendo appena il capo. Infine posò un gomito sul bracciolo vicino e continuò a fissarlo.
Till batté le palpebre. «Perché?»
«Con la vostra naturalezza, dico» si affrettò a spiegare, umettandosi poi le labbra in modo semplice e affatto allusivo.
Till sorrise appena, convinto del fatto che, come al solito, fosse riuscito a rimettere Rupert al suo posto senza incappare in qualche strana proposta indecente. Chiese: «Credete che sia un difetto?» E fece spallucce, lo spronò, perseverando sulla scia del ragazzo di sempre – quello ingenuo, quello per nulla interessato a Klara o all'arrampicata sociale. Tuttavia era a quest'ultima che mirava, era quest'ultima che più gli premeva. E il giocare a carte scoperte non sarebbe stata una mossa saggia, lo avrebbe solo allontanato dalla fantomatica cena che deteneva le redini del suo futuro. Ecco perché continuava a sorridere con noncuranza ed ecco ancora perché non storceva il naso con fare infastidito sotto lo sguardo di Rupert Haas.
«Non necessariamente» disse Rupert, finalmente tranquillo. Se in un primo momento aveva dato ragione al tarlo del dubbio, subito dopo era capitolato nella vischiosa tela di Till Zeigler – e senza nemmeno accorgersene, per giunta! «Potrebbe essere definito pregio da molti e forse anche da me» aggiunse, non prima di aver sospirato e sorriso al proprio interlocutore. All'improvviso sembrava aver capito tutto, ogni cosa, peccato che fosse nettamente fuori strada nel dirsi: Mia moglie è interessata a Till, ma lui non se ne è neppure accorto e probabilmente non la guarda nemmeno.
«Ne sono lusingato» mormorò, vedendolo battere le palpebre un paio di volte. Subito si rese conto di quanto questi fosse perso nei propri pensieri e sorrise ancora, forse cinicamente, senza che Rupert se ne rendesse conto. La realtà che vivi è ben diversa da quella che sogni, si disse, ma continua pure a sognare, monco, perché vivere come uno storpio invertito deve essere molto difficile.
Rupert sorrise ancora e sollevò una mano. Il palmo rivolto verso l'alto e lo sguardo animato. «Volete suonare qualcosa?» Chiese di getto.
E Till batté le palpebre a sua volta, colto in fallo dalla totale nonchalance di Rupert. «Cosa dovrei suonare?» Ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli chiari. La verità è che sperava di arrivare al dunque il prima possibile, di sorvolare i convenevoli, le chiacchiere, perfino le occhiate di Rupert, per sentirgli dire la fatidica frase: Vuoi unirti a noi per cena, Till?
Dal canto suo, Rupert disse: «Suonare vi riesce tanto bene quanto parlare, Till.» E attese in silenzio, notò un moto d'imbarazzo nell'abbassarsi dello sguardo azzurrino dell'interpellato, così aggiunse: «Immagino che saprete con quale brano iniziare...»
Till aveva un ampio margine di scelta, perlomeno a detta di Rupert, eppure sembrava non esserne affatto certo. Quel margine era ristretto, opprimente, annichilente. Se non poteva spaziare con le composizioni al di là di quelle benviste dal Regime, poi, doveva estrapolare quelle preferite da Rupert Haas e fare affidamento ai loro tanto molteplici quanto datati discorsi. «Non sono un genio della musica» borbottò, tergiversando, mentre la bocca continuava a muoversi da sola e a parlare. «Tantomeno un luminare o un artista...» Lanciò un'occhiata nella direzione di Rupert, poi sospirò. «Sono soltanto un uomo, Rupert, e come tale saprei di che sbagliarmi.» Aggrottò un poco le sopracciglia, mostrandosi pensieroso com'era in realtà: continuava a cercare nei meandri di sé un qualcosa di adatto all'occasione. «Ditemi cosa preferite e vedrò di darmi da fare come posso» fece d'un tratto, non mancando di notare come l'espressione dell'interpellato si fosse contratta – era ben lungi dal poter essere interpretata così su due piedi.
«Sonata in B flat» disse. Poi sorrise e indicò ancora il pianoforte per lasciare a Till il tempo di prepararsi. «Si accompagna bene a qualsiasi discorso» commentò in seguito, osservando le sue spalle ampie, lievemente ricurve e alle prese con gli accordi.
Fece vibrare qualche nota dalla coda del pianoforte, poi ghignò e disse: «Bene, allora parlate pure.» Un soffio, uno sguardo sui tasti lustri e sulle proprie dita già in posizione per la wagneriana Sonata in B flat.
Rupert si morse appena l'interno di una guancia, puntellandola da fuori con l'indice ben teso. «Cosa pensate che sia la fiducia?» Ed ecco che il tarlo del dubbio si faceva nuovamente vivo per erodergli il cranio. Prepotente, insistente, gli si dipinse in faccia.
In quel momento, Till Zeigler aveva lo sguardo fisso sui tasti. Attento, meticoloso, letteralmente assente. Cercò subito di fare mente locale sui passaggi e poi, quando fu finalmente pronto, diede inizio alle prime vere note della Sonata in B flat. Spostò lo sguardo, lo sollevò dopo aver agganciato il ritmo. E socchiuse gli occhi, sì, li rivolse verso le tende tirate e pallide, quelle illuminate dal torpore pomeridiano. «La fiducia è un sentimento che si nutre nei confronti di chi è degno» rispose. Con un po' di ritardo, certo, ma lo fece e in modo pertinente, soppesando bene le parole – fin troppo, perlomeno a detta di Rupert.
«Esposizione da manuale» schioccò questi. «È vero, ma voi cosa pensate esattamente della fiducia?» Domandò una seconda volta. E cercò di sondare quel suo animo impostato, quello che di tanto in tanto lo faceva dubitare. Perché sì, a detta di Rupert, Till era un perenne punto interrogativo, un'incognita o addirittura una formula fisica – non se ne intendeva nel dettaglio, eppure era certo del fatto che si trattasse di qualcosa di simile: un esplosivo, una mina, un chissà cosa di terribilmente pericoloso.
«Che solo pochi ne sono degni, ma che quei pochi possono reputarsi fortunati e possono ricambiare in egual misura la fiducia a loro concessa» soffiò l'interpellato, lasciando che le altre note lo accompagnassero.
«Giusto» confermò Rupert. Allorché sospirò e rilasciò i muscoli della schiena contro il tessuto morbido alle sue spalle. Infine si guardò attorno, cercò Klara con lo sguardo e si rassicurò nel non vederla. Sorrise appena, diretto alle spalle del ragazzo che, dal canto suo, continuava ad assecondare quel suo piccolo capriccio.
«Perché mi parlate di fiducia?» Chiese Till, finendo con il sorprenderlo di nuovo. Aveva ben inteso quale dubbio covasse Rupert, ma a tal proposito si era ripromesso che non avrebbe fatto neppure un passo falso: l'unica mossa corretta sarebbe stata quella di far leva sui suoi strani sentimenti. «Non vi fidate di me?»
«Sono altre le persone di cui non mi fido o mi fido poco e niente» borbottò Rupert, socchiudendo gli occhi e lasciandosi cullare un po' dalla Sonata.
Era ovvio che si riferisse a Klara, perfino Till non ebbe alcun dubbio in merito, perciò si affrettò subito a replicare con un tono più dolce: «Anch'io mi fido di voi, Rupert.»
«Ne sono felice...» Deglutì e sospirò ancora, restringendo di poco lo sguardo prima di lasciarsi trascinare da quel suono morbido e mellifluo fino a cadere letteralmente nella trappola di Till Zeigler. «Fra tre giorni, esattamente dopodomani sera, avrò degli ospiti» disse. Si schiarì la voce e si raddrizzò – detestava quella molle postura che, suo malgrado, assumeva di continuo dal giorno in cui aveva perso la gamba.
Till calcolò mentalmente le ore che lo avrebbero separato dal traguardo e si trattenne dallo schioccare la lingua per l'inesattezza di Klara. Pensava che la cena si sarebbe tenuta quella sera stessa, non a distanza di tre giorni. Dapprima serrò i denti, poi rilassò i muscoli del viso e si premurò di adottare il suo fare innocente per domandare: «E non vi fidate di loro? Volete qualche consiglio?» Ed ecco che apparve di nuovo il suo temperamento ingenuo, quello falso che tanto faceva palpitare i cuori delle donne quanto quello di Rupert.
Questi sorrise, scosse appena il capo e abbassò le proprie difese fino a dire: «Affatto, pensavo solo che vi avrebbe fatto piacere essere presente.»
Ed era quella la proposta che Till stava aspettando, la stessa alla quale aveva voluto portarlo con la Sonata in B flat di Wagner e con la propria schiettezza fasulla. Perciò sogghignò tra sé e sé, lasciando che il tono ben modulato uscisse quasi dignitosamente euforico dalle sue labbra: «Oh, ne sarei onorato... Ma ditemi, Rupert, conosco già questi vostri ospiti?»
Un soffio sincero. «No.» Rupert posò il mento sulla mano stretta a pugno, indossò perfino un'aria pensierosa, infine aggiunse: «Mi farebbe piacere che li conoscessi, però.»
«Ditemi almeno chi sono» mormorò Till. «Così potrò vestirmi adeguatamente...» E ridacchiò tra una nota e l'altra, sentendo la propria voce volteggiare con tono quasi ammiccante. Forse ho esagerato, si disse. Udì il suono lieve della gruccia che batteva in terra e deglutì a vuoto. Perché diavolo si è alzato? Domandò a se stesso. Poi si fermò, percepì la sua presenza alle spalle e si voltò appena per guardarlo. Fece sfoggio della sua riconoscenza con un sorriso radioso, considerando che non aveva motivo di mentire su una cosa tanto futile.
«Siete sempre vestito adeguatamente, Till» lo rimproverò Rupert con una certa ironia latente. Poi lo guardò dall'alto, instabile, sorreggendosi su un piede e sulla gruccia usurata. Infine, mentre questi tornava a fissare i tasti dove si posavano appena le sue dita, Rupert fece altrettanto e le vide fuggire lontano – altri tasti, altre note.
«Non dite assurdità, è la vostra amicizia a farvi parlare così.» La modestia non era mai stata il punto forte di Till Zeigler, lo si capiva dal tono di voce e dalla risatina che tratteneva a stento dietro le labbra, eppure Rupert pareva proprio essere di tutt'altro avviso. Ma lui non lo conosceva davvero, non sapeva di cos'era capace e non aveva la benché minima idea di ciò che gli passasse per la testa – tantomeno che fosse stato già a letto con sua moglie.
«Indosserete i pantaloni meglio di me» commentò lievemente, posando una mano sulla sua spalla improvvisamente ferma.
E allo stesso modo, anche le mani di Till si bloccarono. Interrotta la Sonata in B flat, si voltò per fissare il suo interlocutore con le sopracciglia corrugate. «Rupert...» provò a dire, mostrando un lieve cenno di rimprovero verso sé stesso e verso quell'infelice trovata che si era lasciato scappare proprio l'interpellato.
Questi sorrise, scherzandoci su e dando un lieve colpetto alla spalla di Till. Allora cambiò discorso e disse: «Verrà anche Herr Josef Seff Dietrich.» Annunciò uno dei nomi che avrebbero presenziato alla famigerata cena cui, puntualmente, Till era stato invitato.
«Herr Dietrich?» La sua voce risultò più che stupita e lo sguardo pressoché incomprensibile, velato di una vittoria lieve. Batté le palpebre e fissò Rupert il quale, dal canto suo, non si accorse del barlume che gli animava gli occhi – oh, dopotutto era fin troppo perso nei suoi pensieri!
Le parole che aveva mormorato per risollevare il morale falsamente alterato di Till erano state comunque in grado di abbassare il proprio. «Lo conoscerete senz'altro per nomina...» continuò, cercando di non pensare a come potessero calzare dei pantaloni eleganti su di sé.
«Sì, ma siete certo che la mia presenza a cena possa essere adeguata?» Con quella domanda, Till volle assicurarsi che fosse un'idea propria di Rupert e non una strana allusione di Klara – la prudenza non era mai troppa.
«Con la vostra modestia e la vostra eloquenza, Till, non credo faticherete a trovare uno spunto di conversazione. E se anche fosse diversamente, ci penserò io» lo rassicurò, muovendosi appena nella stanza per raggiungere di nuovo il divano. «Si vocifera un dato malcontento in merito all'operato di altre persone, sapete?» Disse d'un tratto, volendo spiegare a grandi linee la circostanza che lo aveva portato ad accorarsi tanto per una cena con un esponente come Josef Seff Dietrich.
«Non nominerò operato di terzi, se è questo che vi preoccupa» sussurrò Till, lasciando intendere quanto capisse la situazione e fosse grato a rupert per l'opportunità che gli stava dando.
«E non vorrei mai che finiste come me» aggiunse questi con un accenno di malinconia. Si sedé a fatica, sospirando sul divano appena raggiunto.
«Come voi, dite?» Till sollevò un sopracciglio, si mostrò perfino contrito, indignato per le parole che aveva appena udito. Ma sapeva bene laddove Rupert volesse andare a parare. «Avete una splendida casa e una bellissima moglie, siete rispettato anche da personaggi come Herr Josef Seff Dietrich, avete buon gusto in fatto di musica e discorsi: pagherei per essere come voi...»
«Invalido?» Domandò questi, non riuscendo a trattenere una risatina asciutta, ironica. Guardò Till in modo a dir poco eloquente e gli vide scuotere il capo con quella che pareva estrema testardaggine.
«Rupert, avete combattuto...»
«Ho perso una gamba» constatò, lasciando a Till ampio margine d'interpretazione.
Ma neppure quello parve bastare, perché lo sguardo di Till Zeigler si mostrò più duro del previsto quando questi sollevò il mento per osservare Rupert Haas. «Anche senza una gamba siete in grado di badare a voi stesso e a tutto quello che avete coltivato negli anni, perciò io vi stimo molto» ammise. Lo disse di getto, forse con troppa enfasi. Non era certo di aver detto la verità, ma perlomeno si trattava di una mezza verità. Sapeva che se fosse stato al suo posto avrebbe gestito la situazione in modo diverso, molto meglio di lui, ma non poteva neppure biasimarlo per essersi tanto lasciato andare. «Francamente parlando non sarebbe da tutti tenere a bada una moglie come la vostra: sempre ben vestita e acconciata come se dovesse fare festa da un momento all'altro...» disse. Lo fece per riscuotere atra fiducia, altro successo, e infine sospirò, si crucciò di rimando a Rupert. «È così giovane che perfino io avrei dei dubbi...» aggiunse con un tono lievemente criptico, sembrando proprio che ci stesse ragionando su.
Rupert deglutì. «Avreste dei dubbi al mio posto?» Incalzò. Si sentì come punzecchiare dal tarlo che fino a qualche minuto prima sembrava mormorare il nome di Till Zeigler. Tuttavia era stato proprio quest'ultimo a ridestarlo e non prima di parlare dell'astratto tema della fiducia.
«Ho sentito delle voci al riguardo e immagino che anche voi ne siate al corrente.» A quel punto lo guardò. Restò in silenzio e lasciò a Rupert la possibilità di aggrottare le sopracciglia a dovere.
«Che tipo di voci?»
«Calunnie, temo: nessuna donna preferirebbe dimenticare il marito per farsi una simile nomea quando quest'uomo è tanto caro e intelligente, nonché rispettato e rispettabile.»
«Volete forse dirmi qualcosa su mia moglie, Till?» Accennò l'interpellato, restringendo di poco lo sguardo e fissandolo come se, in effetti, fosse lui la causa di quelle voci. Ma non voleva dubitare della sua amicizia, non dopo quello che aveva fatto per metterlo in una posizione privilegiata rispetto ad altri suoi coetanei.
«Eccetto questo?» Si mostrò pensieroso, cercando di riflettere con una data espressione allibita. «Che ha una bella collana di perle e che, se non erro, è la stessa che le avete regalato per l'anniversario.»
«Sì, è quella» confermò Rupert, restando fisso a osservarlo. «Come fate a ricordarla così bene?»
«Avete chiesto consiglio a me per l'acquisto» volle specificare. Scosse la testa e dissipò così i dubbi di Rupert.
Perso in uno strano tira e molla d'incertezze e certezze, questi borbottò solo uno: «Già...»
«Devo suonare altro?» Chiese Till, restandosene seduto dinanzi al pianoforte.
«No, va bene così» soffiò. Scosse appena il capo per confermare che non lo stava accusando di nulla e abbandonò definitivamente il tarlo del dubbio.
Till si tranquillizzò, certo che di lì in avanti avrebbero continuato a parlare di tutto e niente – come sempre, dopo tutto – fino a lasciarsi alle spalle il discorso di Klara e perfino le allusioni sulla sua condotta.
Till Zeigler si svegliò di soprassalto. Il cuore in gola e il respiro corto, mozzato. Era come se una strana sensazione avesse assunto le sembianze di un virus e si fosse estesa a macchia d'olio su una tovaglia pulita che, in quel caso, era la sua cassa toracica. Così si guardò attorno, cercò un senso di realtà, un nesso con Buchenwald. Lo trovò subito e fu certo di potersi rilassare. Dapprima sospirò, poi grugnì appena e si passò una mano sul volto sudato. Cercò di regolarizzare il respiro, di non sembrare un pesce fuor d'acqua, di considerare il fatto che fossero trascorsi molti giorni da quando aveva sognato Klara e Rupert. La verità era che non aveva la benché minima voglia di rimuginare sopra la famiglia Haas, no davvero, perché proprio in quel momento si sentiva di poter dire: Ho ottenuto ciò che desideravo sin dal principio, perciò adesso sparite! Sparite! A suo dire, in fondo, quella coppia indecente sarebbe dovuta restare lì, nel cassetto dei ricordi malandati, senza prendersi la briga di saltare fuori all'improvviso e nei momenti meno opportuni. Così schioccò la lingua in un moto di fastidio, non sapendo se ringraziare o maledire il fatto che Lawrence Anderson fosse assente. Perché se così non fosse stato, se si fosse presentato nella sua stanza come nella sera successiva al suo arrivo a Buchenwald, avrebbe potuto dare in escandescenza e con una facilità disarmante! Chissà come si trovò a rimuginare sul fatto che detestasse essere osservato da quella sottospecie di malato di mente non in lista per lo sterminio. E si umettò le labbra, digrignò i denti, serrò i pugni sulle lenzuola. Cercò di non pensare alla sera prima, tuttavia non ci riuscì e quella sensazione si fece di nuovo viva: desiderio di morte – sì, voleva proprio vederlo morto! Eppure sapeva che avrebbe dovuto placare quella pulsione in qualsiasi altro modo: per quanto fosse folle, dopotutto, quel Lawrence Anderson era pur sempre un'SS cara al Comandante Koch. E rendendosene conto non poté fare a meno di grugnire ancora, come una bestia afflitta.
Nella testa, le note della Sonata in B flat di Wagner.
Schioccò la lingua, esageratamente coinvolto dalla sensazione di onnipotenza che aveva provato quel giorno. E gli tornò addirittura in mente la ragazza che aveva tormentato nell'edificio speciale poche ore prima. Proprio per questo, con il suo pensiero fisso, si alzò dal letto per sistemarsi alla svelta. Ma non aveva intenzione di dedicarsi alla ronda, no davvero, quantomeno non senza prima aver alimentato la sua tanto incredibile quanto improvvisa voglia di predominare.
Ancora le note della Sonata in B flat, poi il pensiero di Buchnwald senza la disdicevole e inquietante presenza di Lawrence Anderson.
Gli occhi di Till brillarono di una luce sinistra e, quando raggiunse lo specchio del bagno, si animarono ulteriormente. Lui osservò il proprio riflesso, rimase fisso sui propri lineamenti, sulle pupille dilatate, eccitate, e poi si rinfrescò il viso. Gli tornarono alla mente le parole che per anni lo avevano assillato e che adesso parevano più che concrete: «Adesso posso fare ciò che voglio...» Le soffiò piano. Sentì l'acqua scorrere tra le dita, lungo gli zigomi, le guance e il mento. Tornò a guardarsi e ghignò, quasi ridacchiò tra sé e sé. «Till Zeigler può avere ciò che desidera» disse. E distolse lo sguardo dal proprio riflesso, tornò a sciacquarsi la faccia, trattenne a stento una risata sadica dietro le labbra tese. Aveva come la sensazione che quell'idea potesse instillarsi meglio tra un neurone e l'altro con il semplice ausilio dell'acqua fredda che portava via il sudore dalla fronte bollente.
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