Capitolo 15
“Sono inutile”
“Shh”
Soffia dolcemente e riesco a sentire il suo respiro sul collo.
Mi stringe forte per cercare di calmarmi ma le lacrime continuano a scendere sempre più pesanti e mi annebbiano la vista.
“Non ce la faccio Pet”
La mia voce è flebile e straziata e le mie mani tremano incontrollate.
“Certo che ce fai”
Il suo tono è calmo, rassicurante, ma ormai sento di essermi allontanata troppo e di non poter più uscire da questa maledetta tempesta.
“Non più”
Mi ricompongo.
Devo smettere di lamentarmi di qualcosa che ho provocato da sola.
Sospiro profondamente e asciugo le poche lacrime rimaste.
Sciolgo con freddezza l’abbraccio e mi alzo in piedi senza parlare o guardare Peter.
Mi sciacquo la faccia per eliminare quel fastidioso effetto appiccicaticcio che si crea dopo un pianto.
Nessuno deve sapere che soffro, tantomeno Beth.
Nessuno deve essere coinvolto nel mio dolore.
E’ solo colpa mia e soltanto io devo essere punita.
Me lo merito per essere diventata una persona orribile.
Osservo distrattamente la mia immagine riflessa nello specchio e porto una ciocca di capelli dietro all’orecchio, poi sospiro ed esco dal bagno.
Mi dirigo alla mia postazione precedente per passare tranquillamente il resto della serata.
Per un po’ sento la presenza di Peter dietro di me, poi qualcuno lo chiama e io ne approfitto per seminarlo.
In questo momento voglio solo stare sola e non pensare a nulla e non so esattamente quanto durerà questa situazione.
Probabilmente per sempre.
Mi risiedo e resto immobile a osservare tutto e niente.
Ormai la serata dovrebbe essere quasi finita ma di fronte a me vedo ancora molta gente che si diverte.
C’è anche Beth che si avvicina e mi parla.
Sembra di fretta ma non riesco a concentrarmi sulle parole.
Improvvisamente è diventato tutto troppo opprimente e futile.
“Sam! Ci sei?”
“Come?”
“Ti ho chiesto se non ti dispiace…”
“Cosa?”
“Thomas non si sente bene e dovrei accompagnarlo a casa”
“Tranquilla, troverò un passaggio”
La rassicuro ma in questo momento non sto provando assolutamente nulla.
Forse dovrei essere preoccupata perché la mia unica amica dentro a questo schifo di posto se ne sta andando senza di me e casa mia è dall’altra parte della città ma la verità è che non mi interessa.
“Grazie Sam! Ci sentiamo domani.”
Mi saluta con un cenno della mano e se ne va facendosi largo tra la folla.
Sospiro e decido di andare a prendere un drink.
Non so di preciso cosa ci sia nel bicchiere ma nemmeno questo mi interessa per cui ingurgito il liquido amaro tutto d’un fiato.
E’ forte.
Molto forte.
Mi viene immediatamente mal di testa e decido di bere un po’ d’acqua.
Non capisco ciò che mi succede attorno quindi prendo il primo bicchiere che vedo e lo bevo come se fosse la soluzione a tutti i miei problemi.
Ha un gusto strano però, diverso da ciò che mi aspettavo.
Non sono in ottime condizioni ma riesco subito a capire che non si tratta di acqua.
E’ ancora più amaro del precedente.
Devo andare a sciacquarmi la faccia.
Mi alzo in piedi ma un improvviso giramento di testa mi fa barcollare pericolosamente.
Metto una mano sulla fronte e cerco di raggiungere i servizi igienici il prima possibile.
Apro subito il rubinetto al massimo e, con le mani a conchiglia, verso più volte l’acqua gelata sul mio viso.
Mi chiedo come sia possibile che nessuno abbia notato le mie pessime condizioni.
Osservo per la terza volta la mia immagine allo specchio e vedo un volto diverso da entrambi i precedenti.
Questa volta non è disperato né freddo, questa volta è distrutto e stanco.
Ritorno in sala e per cercare di trovare un passaggio il prima possibile.
Vedo un gruppo di ragazzi in lontananza, sembrano a posto, forse potrei chiedere a loro.
Attraverso la stanza barcollando leggermente e ricevendo continue spinte e gomitate dalla folla.
Mi guardo intorno ma non vedo più nessuno di quei ragazzi.
La musica ad alto volume sembra rimbombare all’infinito nel mio cervello.
I piedi mi fanno terribilmente male e sento la gola bruciare.
Basta, non ce la faccio più.
Mi sdraio a terra e chiudo gli occhi per cercare di alleviare il mal di testa.
Nessuno si accorge di me per un po’, poi sento una voce indistinta chiamare il mio nome.
Qualcuno mi sta scuotendo le braccia per cercare di ridestarmi ma sono troppo sfinita per rialzarmi o semplicemente per aprire gli occhi.
Improvvisamente sento due braccia che mi sollevano e mi trasportano fuori dal locale.
Finalmente qualcuno mi sta portando via.
“Perché mi stai rapendo?”
La mia voce è cantilenante e fastidiosa probabilmente a causa dell’alcool.
Eppure non mi sembra di essere ubriaca.
Sono solo stanca e stufa.
Stufa di queste feste, del mal di testa e di questa vita schifosa.
Sento una leggera risata e dopo un po’ la risposta, che fatico a realizzare.
“Non ti sto rapendo Sam, cerca di tornare in te”
Il motore si accende e la macchina parte.
“Chi sei?”
Sbuffa e poi parla esasperato.
“Sono Peter, chi vuoi che sia?”
“Peter?”
“Si, ti sto portando via dalla festa”
“Ah…emh…ecco io non mi sento molto bene"
“Si, l’ho notato quando ti ho vista sdraiata per terra”
Sembra quasi deluso dal mio comportamento.
So che avrei dovuto almeno dire qualcosa prima di andarmene dal bagno ma in quel momento ero come svuotata completamente, non avevo voglia e non mi importava di nulla.
Sono stata una merda.
Tanto per cambiare.
Mi ha trovata in bagno in preda ad una crisi e mi ha aiutata, mi ha abbracciata e io non l’ho nemmeno ringraziato.
“Emh… grazie, ecco, insomma, per prima…io…”
“Tranquilla, tutti ogni tanto hanno bisogno di aiuto”
“Ma non tutti meritano di essere aiutati…”
Lo sento sospirare prima di biascicare qualcosa di incomprensibile.
Appoggio la testa al finestrino e cerco di riposare ma il dolore me lo impedisce.
“Eccoci!”
Peter scende dalla macchina e io lo seguo leggermente confusa e dubbiosa.
Siamo accanto al parco vicino a casa mia, quello in cui spesso mi reco per pensare e in cui quella sera ho incontrato Abby.
“Perché siamo qui?”
Sbuffo esasperata e stanca.
“Per fare una cosa”
Sorride e ritorna il ragazzo rilassato e allegro di sempre.
“Sono stanca Peter, non mi vanno i tuoi stupidi giochi ora”
Mi rendo conto di essere stata leggermente scortese, dopotutto lui cerca solo di farmi divertire, ma in questo momento l’unica cosa che potrebbe risollevarmi il morale è il mio letto morbido e accogliente.
Lui però non sembra offeso, come se non gli importasse cosa penso di lui.
“Non sono stupidi e poi questo non è un gioco, quindi vieni e fidati di me per una volta”
Sbuffo e decido di seguirlo nel parco.
Si siede su un prato e inizia a parlare.
“Allora, questo gioco funziona così…”
“Hai detto che non è un gioco….”
Sospiro e mi siedo ormai rassegnata.
“Non ti preoccupare, prometto che sarà veloce è indolore”
Rido leggermente alla sua affermazione ma cerco di non darlo a vedere.
“Fai come me”
Lui si stende, chiude gli occhi e resta in silenzio.
Lo osservo per alcuni minuti e mi chiedo come faccia a essere sempre così calmo e a suo agio in ogni situazione.
Da quando l’ho incontrato per la prima volta raramente l’ho visto teso e, anche in quelle occasioni, non mi è mai sembrato perso o inconsapevole.
Forse dovrei chiedergli qual è il suo segreto.
Continuo a guardare il suo viso perfettamente rilassato.
E’ immobile, sembra quasi una statua.
Gli occhi sono chiusi, la bocca leggermente curvata all’insù in un mezzo sorriso e alcune ciocche di capelli ribelli ricadono disordinatamente sulla sua fronte liscia.
Faccio un respiro profondo e poi lo imito leggermente curiosa.
Attendo le sue prossime indicazioni ma non dice assolutamente nulla.
Fa leggermente freddo ma in questo momento sembra tutto troppo perfetto e pacifico per essere rovinato da qualche grado mancante.
Cerco di non pensare a nulla e, grazie al silenzio della notte, riesco a sentire chiaramente i nostri respiri.
Sono entrambi calmi ma non coordinati.
Trattengo il fiato per alcuni minuti per cercare di sincronizzarli ma Peter mi imita facendo fallire miseramente il mio piano.
Sbuffo per la sua stupidità e aprendo leggermente gli occhi riesco a vedere un bellissimo sorriso farsi largo nel suo viso.
Senza accorgermene sorrido di rimando e chiudo gli occhi per bearmi di questo momento così rilassante.
Riprovo a sincronizzare i nostri respiri e questa volta Peter non mi ostacola.
Restiamo entrambi in silenzio e mi sento a mio agio perché io amo il silenzio.
Un silenzio vale più di mille parole.
Io e Peter siamo stati insieme un po' di volte ma raramente abbiamo parlato a lungo.
Apro gli occhi per osservare il cielo ma noto tristemente che non ci sono stelle questa notte.
Libero la mente da ogni pensiero e cerco di dimenticare questa orribile serata.
Mi lascio cullare dal debole fruscio del vento e dai nostri respiri e mi sento a casa.
Poi Peter parla e quella piccola, flebile frase portata immediatamente via dal vento rimane impressa come inchiostro nella mia mente.
Non dico e non faccio assolutamente nulla.
Non sono sicura che Peter abbia veramente parlato eppure quelle parole sono vivide e chiare nella mia mente.
“Non andartene Sam, non fare come tutti gli altri, tu sei diversa”
Cosa avrà voluto dire?
Chi intende per tutti gli altri e perché crede che io sia diversa?
Forse perché lo sono.
Si, sono una ragazza sola che si sente talmente persa da non riuscire più a interagire con il mondo, come se non appartenesse a questa realtà ma, in qualche modo, fosse rimasta intrappolata.
Il dolore è diventato un peso troppo grande da sostenere, talmente grande da avermi inghiottito completamente e aver distrutto ogni possibile via d’uscita da questa tempesta infinita.
Talmente grande da avermi convinto che l’unica soluzione è lasciarsi sopraffare da esso e vivere passivamente come se fossi già morta da un pezzo.
E forse è proprio così.
Eppure non riesco a sentirmi triste anche solo per un attimo.
Chiudo gli occhi e sospiro rumorosamente, tutto questo silenzio mi piace e mi irrita allo stesso tempo.
Riesco finalmente a rilassarmi completamente ma i numerosi pensieri che mi tormentano mi impediscono di addormentarmi.
E quanto vorrei dormire qui, su un prato accogliente, cullata dal dolce fruscio del vento e vicino a qualcuno.
Non posso dire che Peter sia mio amico, dopotutto ci conosciamo da poco e di lui non so quasi nulla, ma ultimamente è stato l’unico ad aiutarmi realmente, anche se fatico ad ammetterlo, gli sono veramente grata per questo.
Apro gli occhi e mi volto per osservare ancora la sua figura.
E’ steso completamente a terra e appoggia la testa sulle mani, posizionate sotto la nuca.
Nel suo viso riesco ad interpretare un’espressione completamente rilassata e credo che stia dormendo.
Cerco di addormentarmi anche io ma improvvisamente la sua voce, come un miraggio, rompe lo strano silenzio che si era creato, quasi non avesse mai pronunciato la frase di prima.
“Perché?”
Non aggiunge altro ma sa benissimo che ho capito a cosa si riferisce.
Il pianto nel bagno, durante quella dannata festa.
Io però non posso parlargli di Sophi, non voglio che anche lui inizi a guardarmi con occhi diversi.
Osservo attentamente il cielo indecisa su cosa rispondere, poi faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi per alcuni secondi e mi preparo a parlare:
“A volte mi capita di pensare che ciascuno è imprigionato in una gabbia”
Faccio una breve pausa ma non mi interrompe.
“Questa può essere grande o piccola, piena di cose belle o di disgrazie, ma alla fine, prima o poi, il destino di tutti è quello di restare all’interno della propria gabbia. E da lì non si può uscire, ci si può allontanare dalle sbarre ma mai superarle veramente”
“Ti capisco sai, anche io lo credevo”
“E poi?”
“Poi ho capito che è vero, le gabbie sono senza uscita, ma si possono intersecare e, con l’aiuto di qualcuno, forse anche distruggere”
Cala nuovamente il silenzio per alcuni minuti.
“Pet?”
Si volta verso di me per intimarmi di continuare a parlare e i miei occhi cinerei incontrano i suoi.
Volevo dire numerose cose, forse troppe, ma in questo momento non riesco ad essere sincera fino in fondo.
Forse, per una volta, devo solo lasciarmi un po' andare e fingere, per quanto possibile, che la vera me sia ancora persa da qualche parte in attesa di uscire dalla tempesta.
“Non ti devo dire niente ma la vista della tua spalla sinistra non è il massimo”
“Questo lo dici tu, la mia spalla sinistra è fantastica, ci sono ragazze che pagherebbero per poterla osservare attentamente”
“Ah si, e dimmi, dove sono tutte quelle ragazze adesso?”
Forse sto esagerando ma in questo momento non voglio più pensare a niente.
“Mi pare chiaro, ci stanno osservando da lontano. Pensa quanto sei fortunata, oggi ti ho permesso di osservare la mia bellissima spalla gratuitamente”
Roteo teatralmente gli occhi per la sua stupidità e aggiungo ironicamente “Che onore!”
“Ingrata”
Sbuffa e si gira rumorosamente dal lato opposto, dandomi la schiena.
So benissimo che non è veramente arrabbiato per una sciocchezza simile ma decido di dargli corda ugualmente.
“Egocentrico”
Mi volto anche io e chiudo gli occhi per assaporare meglio la serenità del momento.
“Preferisco questa vista, per me puoi restare così finché vuoi”
Con la coda nell’occhio riesco a scorgere il suo viso nuovamente voltato verso di me e il suo sguardo sul mio corpo.
Non riesco a credere che l’abbia detto veramente.
Mi giro di scatto indispettita e lo fulmino con lo sguardo.
“Prova a dire un’altra volta una cosa simile e non vedrai più neanche la mia faccia”
Lui scoppia a ridere convulsamente e io sbuffando rivolgo lo sguardo verso il cielo.
Odio quando si comporta così.
No, non è vero.
Si che è vero, è palese che in realtà ti piaccia questo suo lato giocoso.
No, è palese è io debba smettere di pensare.
Cerco di concentrarmi sulla volta celeste e noto la presenza di una piccolo bagliore che in precedenza non avevo visto.
“Guarda Pet, una stella!”
“Esprimi un desiderio”
“Non è una stella cometa, idiota”
Il mio tono risulta leggermente acido ma lui sa che sto solo scherzando.
In risposta alza le spalle e aggiunge semplicemente:
“Fai finta che lo sia”
Senza volerlo sorrido e mi giro verso di lui.
Anche lui sta sorridendo e ciò rende la situazione decisamente imbarazzante.
Chiudo gli occhi e penso a qualcosa di bello, poi mi volto verso quella stella solitaria ed esprimo un desiderio.
Restiamo ancora un po’ in silenzio poi Peter propone di tornare a casa.
Mi alzo leggermente affaticata e stanca per via della sbornia e poi mi dirigo lentamente verso casa.
Dopo pochi secondi Peter mi raggiunge correndo.
“Aspetta, ti accompagno”
“Peter vai a casa, hai già fatto fin troppo”
Lui ignora il mio ordine e mi affianca senza dire nulla.
Camminiamo uno di fianco all'altro, senza toccarci e senza parlare.
“Sono arrivata, grazie di tutto!”
Lo saluto un cenno della mano ed entro nel palazzo.
“Aspetta!”
Mi immobilizzo.
Cosa vuole ancora?
Sono esausta e al momento l'unica cosa che desidero è poter dormire nel mio letto comodo e famigliare.
“Non mi hai detto cosa hai desiderato..."
Abbozzo un sorriso e decido, per una volta, di essere sincera.
“Ho desiderato di trovare qualcuno disposto a condividere parte della sua gabbia con me”
Sorride anche lui, probabilmente stupito dalla mia risposta, poi indietreggia e si volta salutandomi definitivamente.
“Buona notte Sam”
“Buona notte Peter”
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top