Capitolo 14
"Sam! Forza vieni a ballare!"
L'incoraggiamento di Beth mi riporta alla realtà.
"Mh"
"Eddai Sam, per una volta..."
"E va bene ma solo due canzoni"
Beth esulta vittoriosa e mi trascina in una massa di persone sconosciute e sudate che cercano di muoversi a ritmo fallendo miseramente.
Provo a lasciarmi andare.
Ci provo davvero.
Fingo di divertirmi per qualche canzone e poi rimango immobile.
Osservo le persone attorno a me.
C'è un motivo se odio ballare.
Mi sento ancora più goffa di quanto già non sia normalmente.
Mi sento in colpa a divertirmi ballando mentre Sophi che adorava così tanto la musica non può più farlo.
E mi sento infinitamente stupida e persa perché a distanza di mesi ancora non sono riuscita ad andare avanti.
Forse però il problema è che non voglio veramente andare avanti.
No.
Io non voglio andare avanti.
Io vorrei tornare indietro per salvarla.
"Forza Sam! Scateniamoci!"
Beth urla per coinvolgermi ma io mi sento come un'erbaccia in un campo di fiori, un'erbaccia talmente insignificante da non essere nemmeno estirpata.
Lo spazio è talmente ridotto da rendere impossibile ogni movimento che non sia ondeggiare a ritmo.
A tratti vengo urtata dalle braccia appiccicose delle persone che mi circondano.
Mi volto e osservo Beth mentre cerca con lo sguardo qualcuno.
Probabilmente il tipo di cui mi ha parlato in macchina.
Ad un certo punto alza un braccio e fa un cenno di saluto con la mano.
Un ragazzo alto con i capelli scuri si avvicina a noi.
"Thomas, lei è Samanta, una mia cara amica"
Il nuovo arrivato mi porge cordialmente la mano.
"Piacere" ricambio il saluto cercano di non sembrare scontrosa.
Stringe la mia mano con entusiasmo, decisamente troppo per i miei gusti.
Devi andarmene.
Non voglio fare il terzo incomodo e soprattutto voglio che Beth abbia qualche possibilità con Thomas.
"Ehm, io vado a bere, ci vediamo dopo"
Mi dirigo verso una zona più appartata e meno affollata.
Ci sono soltanto alcune ragazze annoiate che digitano freneticamente sulla tastiera del loro smartphone e alcune coppiette tutt'altro che attente a ciò che le circonda.
Trovo una sedia libera e decido di riposarmi un po'.
Muovo gli alluci e noto che mi fanno leggermente male i piedi a causa delle scarpe strette.
Chiudo per alcuni secondi gli occhi.
Sono esausta senza aver fatto nulla di particolarmente faticoso.
Da questa postazione riesco a vedere praticamente tutto il locale.
Non è moto grande ma gli spazi sono ben distribuiti.
Ci sono vari tavolini colorati spostati a lato della stanza per l'occasione e un bancone con alcuni sgabelli.
Le pareti sono completamente bianche, in netto contrasto con i colori accesi dell'arredamento, e sono piene di poster, dischi e decorazioni particolari.
C'è anche una piccola zona con dei divanetti e una televisione.
Sbuffo sonoramente.
Voglio tornare a casa.
Perché ho accettato di venire?
È tutta colpa mia.
Ogni volta passo la serata ad annoiarmi in un angolo e ogni volta ci ricasco e non riesco a dire di no a Beth.
L'unica cosa da fare è osservare le persone e immaginare delle storie.
Il problema è che ormai nemmeno le storie mi interessano più.
Le persone sono tutte uguali e vuote.
Raramente gli atteggiamenti e la vita di qualcuno mi colpisce veramente.
La verità è che, anche se a volte ci si sente speciali o unici, siamo tutti uguali e insignificanti.
Potremmo anche essere particolari e diversi ma sicuramente, da qualche parte del mondo, ci sarà qualcuno esattamente come noi.
Con le nostre stesse passioni e incertezze.
Con gli stessi sogni e le stesse idee.
Mi rendo conto che questa sia una visione forse troppo pessimistica persino per me ma mi basta osservare per un attimo le persone in questa sala per convincermi ancora di più.
Sembrano tutti così divertiti e concentrati.
C'è chi chiacchera tra una nota e l'altra e chi invece impiega tutte le sue forze nel ballo.
Chissà dove sono i compagni di Beth.
Vago con lo sguardo per cercare dei volti a me noti.
Trovo Jack e Charlotte accoccolati su un divanetto, probabilmente intenti a parlare o a scambiarsi parole dolci.
Sembrano volersi veramente bene ma non sono abbastanza esperta in amore per capirli fino in fondo.
Nella mia vita non ho mai amato veramente.
Il mio primo ragazzo era un tipo smilzo e allegro, aveva una gran voglia di vivere e lo trovavo simpatico.
Non ricordo esattamente come ci mettemmo insieme, so solo che gli piacevo e che lui piaceva a me.
Mi sentivo bene quando ero con lui ma, dopo alcuni mesi, scoprii che in realtà tenevo a lui più come ad un amico e che i sentimenti che provavo non erano così forti come pensavo.
Ci siamo lasciati e non ci siamo più rivisti.
Avevo 15 anni ma ciò non mi turbò particolarmente.
Non mi manca, nemmeno mi ricordo più i dettagli del suo viso, che un tempo conoscevo perfettamente.
Due anni dopo conobbi un altro ragazzo.
Si chiamava Luke ed era veramente bello.
Frequentavamo la stessa scuola e ci vedevamo spesso.
Per mesi continuò a provarci con me e, alla fine, mi lasciai andare e decisi di cedere ai suoi complimenti e alle sue battutine.
Odiavo alcuni aspetti del suo carattere ma era bello e mi faceva ridere.
Mi diceva che ero bellissima e che non riusciva a pensare ad altro ma un giorno, mentre passeggiavo con Beth, l'ho vidi mentre baciava un'altra.
Ci lasciammo e, anche questa volta, non ci rimasi male più di tanto.
Piansi un po' e rifiutai di andare a scuola per alcuni giorni per paura di vederlo, poi capii che era inevitabile, lui era uno dei più carini della scuola e io una ragazza qualunque.
Smisi di piangere e di rattristarmi ogni volta che lo vedevo e iniziai ad odiare.
Odiavo lui per avermi tradita e me stessa perché non ero alla sua altezza.
Odiai per qualche mese, poi decisi che non meritava il mio odio e andai avanti.
Non mi colpì più nessuno.
Le successive relazioni furono brevi e ancora più inutili delle prime.
Vorrei tanto sapere cosa si prova ad amare veramente qualcuno e ad essere amati veramente da qualcuno.
Vorrei sapere cosa provano Jack e Charlotte e cosa vuol dire amare.
Il mio sguardo continua a vagare per la sala alla ricerca dei compagni di Beth.
Riesco a vedere Michael mentre ordina un cocktail e decido di raggiungerlo per bere qualcosa.
"Sam!"
"Ciao Michael"
"Festa da sballo eh?"
"Già, hai per caso visto Beth o gli altri?"
"Mi sembra di aver visto Beth con un tipo poco fa, Jack e Charlotte dovrebbero essere sui divani e Peter e Teresa prima erano laggiù."
Istintivamente mi volto nella direzione indicata da Michael.
Teresa è accoccolata tra le braccia di Peter, che fissa un punto imprecisato della sala.
Vorrei anche sapere cosa si prova ad amare qualcuno che non ricambia e ad essere amati da qualcuno che non si ama.
Vorrei sapere cosa provano Teresa e Peter.
Quest'ultimo porta il suo sguardo su di me e io mi volto di scatto.
Non voglio che sappia che li stavo guardando e non voglio che riaccada ciò che è successo prima.
Mi giro di nuovo verso Michael e cerco di iniziare una conversazione.
"Come vi siete conosciuti tu e Peter?"
Michael scoppia a ridere poi inizia a raccontare.
"Ci siamo incontrati una volta in un parco e non ci siamo più allontanati, era come se ci fossimo sempre conosciuti.
Avevamo 6 anni.
Lui stava andando da solo su un'altalena e io stavo giocando a palla con alcuni miei amici.
Quando l'ho visto mi è sembrato così triste che mi sono sentito in dovere di andare da lui.
Così ho fatto e ho scoperto che dietro a quel facciano triste c'era un simpaticone.
E tu, come hai conosciuto Beth?"
"Eravamo vicine di casa e sin da piccole passavamo molto tempo insieme.
Con il tempo ci siamo un po' allontanate ma abbiamo frequentato lo stesso liceo e siamo tornate grandi amiche.
È sempre stata molto importante per me e la mia famiglia."
Cerco di non sembrare turbata ma in realtà non amo parlare del mio passato.
"Se non mi sbaglio abiti qui da sola, deve essere dura abitare lontano dalla propria famiglia?"
Sento un groppo in gola e fatico a realizzare la domanda.
La mia famiglia non esiste più.
Mia sorella è morta, mio padre ci ha abbandonate, mia madre è sola e io sono troppo codarda per tornare a casa e troppo fragile per riprendere a vivere e a frequentare l'università come lei vorrebbe.
"Già"
Ti prego Michael, non continuare.
"Fortunatamente i miei abitano qua vicino, così riesco a vederli spesso.
Adoro la mia famiglia ma a volte mi fanno un po' arrabbiare.
Meno male che c'è mio fratello Paul.
Lui è la mia ancora, non riuscirei a sopravvivere un giorno senza di lui.
E tu, hai fratelli o sorelle?"
No, non più.
Se n'è andata 8 mesi fa e si è portata via anche la mia vita.
Dannazione!
Avrei preferito che fosse stata una sorella orribile, una di quelle che odi profondamente e che non riesci in nessun modo ad amare.
Avrei preferito che fosse morta a causa di un incidente e non per sua volontà.
Avrei preferito che mi avesse spiegato ciò che la turbava o che almeno mi avesse detto di voler morire.
Ho provato tante volte a dimenticare.
Non è servito a niente.
Il suo ricordo è sempre più vivo dentro di me, che invece sto morendo lentamente.
Ho cercato troppo a lungo di modificare l'immagine che ho di lei per renderla più sgradevole e facilmente sostituibile.
L'unico effetto ottenuto è stato rimpiangere il suo fantastico animo e sentirmi un schifo per averle mancato di rispetto.
Sento le lacrime che spingono potenti per cercare di uscire.
Un giramento di testa mi fa quasi barcollare.
Devo andare in bagno.
Subito.
"Si ma non ci vediamo mai."
Abbasso lo sguardo per nascondere il dolore.
"Ah, capisco"
"Scusa Michael, devo proprio andare ora, ci vediamo dopo"
Pronuncio le ultime parole con voce debole e poi corro ai servizi igienici con le lacrime agli occhi.
Fortunatamente non c'è nessuno, sono tutti impegnati a ballare le canzoni migliori della serata.
Mi sciacquo la faccia cercando di non rovinare il trucco e osservo il mio riflesso allo specchio.
Vedo una ragazza debole, stanca di tutto e del niente che monotonizza le sue giornate.
Stufa della costante sensazione di vuoto a cui ormai è inesorabilmente diventata dipendente.
Scoppio a piangere fragorosamente.
Osservo il mio viso mentre viene cambiato e distrutto dalle lacrime che iniziano a scendere sempre più veloci trasportando il nero del trucco sulle guance.
Il mio petto sale e scende velocemente e le mie mani iniziano a tremare.
Con un gesto rabbioso sciolgo lo chignon e getto l'elastico a terra.
I cappelli si appiccicano alla fronte sudata e ricadono disordinatamente sulle spalle.
Smetto di singhiozzare e avvicino la faccia allo specchio.
Osservo attentamente ogni minimo particolare dei miei occhi.
Sono grigio cenere con qualche sfumatura più chiara e più scura.
Al loro interno non riesco a scorgere nulla che non sia dolore e disperazione.
Vedo una ragazza sola e circondata da una tempesta senza fine che nessuno è in grado di domare.
Urlo per cercare di espellere tutta la rabbia che mi sta logorando.
Urlo per alcuni minuti interminabili ma nessuno mi sente a causa della musica ad alto volume.
Mi siedo a terra in un angolo della stanza, appoggio la schiena al muro e metto le mani tra i capelli chiari.
Non sarebbe dovuta andare così.
Io l'avrei dovuta capire.
Sarei dovuta andare da lei e avrei dovuto chiederle cosa non andava.
L'avrei consolata e aiutata e poi le avrei portato una tazza di quel té che amava tanto.
Le avrei regalato una nuova macchina fotografica, per renderla felice e poi le avrei dato delle buone motivazioni per continuare a vivere.
Non mi sarei arresa, ne sono certa.
Stringo forte i capelli e inizio a tremare.
Quanto vorrei morire qui.
Adesso.
Nel bagno di questo locale insulso ad una festa di cui non mi interessa nulla.
Mi accascio a terra e inizio a piangere silenziosamente.
Lacrime calde e dense scendono lentamente dai mei occhi stanchi, attraversano le mie guance ormai distrutte e cadono a terra.
Il mio respiro pian piano si regolarizza e il mio corpo smette di tremare.
Resto così per alcuni minuti.
Sdraiata sul pavimento freddo e appallottolata su me stessa.
Chiudo gli occhi e non penso assolutamente a nulla.
Sono vuota.
Ora e per sempre.
Sento la musica ma mi appare estremamente lontana.
Sento anche il rumore di una porta che si apre ma non ho la forza di alzarmi.
Non mi interessa se penseranno che sto male o che sono pazza.
Mi fa male la testa.
Spero che chiunque sia appena entrato sia abbastanza egoista da lasciarmi stare o abbastanza brillo da non accorgersi di me.
Non sento più nulla per alcuni minuti.
"Sam.."
La voce è spezzata e scossa ma riesco comunque a capire che si tratta di Peter.
Deglutisco con fatica ma non mi muovo.
Una mano calda tocca delicatamente la mia nuca e poi infila lentamente le dita tra i miei capelli scompigliati.
"Io mi odio Pet"
È un sussurro doloroso e flebile, quasi etereo e inesistente, ma allo stesso tempo potente e carico di disprezzo.
"Io no e nemmeno tu dovresti"
La sua voce appare calma e controllata come al solito ma so che è solo un'apparenza.
L'ho capito da come ha toccato la mia nuca.
Era incerto, come se avesse paura.
Paura di me e di come avrei potuto reagire o forse semplicemente paura di ferirmi, come se fossi una bambola di porcellana, come se anche una piccola cosa fuori posto potesse uccidermi.
E forse in questo momento mi sento esattamente così.
Sospiro e trovo la forza di alzarmi per mettermi seduta come prima.
Lo trovo inginocchiato di fronte a me mentre mi osserva con uno sguardo indecifrabile.
Sembra triste, preoccupato, forse spaventato.
Scoppio a piangere per la terza volta e mi sento estremamente stupida e debole.
Questa volta però non sono sola.
Peter mi stringe a se e inizia ad accarezzarmi lentamente la schiena per farmi capire che c'è e non se ne andrà.
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