Capitolo 12
"Ci sei riuscita Sam! Hai saltato!"
Non faccio in tempo a rispondere che Abby si fionda su di me per abbracciarmi.
Sussulto leggermente per via di questo tipo di contatto ma ricambio.
L'abbraccio dura pochissimo perché improvvisamente lei si stacca per correre verso la nostra meta.
Dà un'ultima occhiata veloce ad uno dei suoi bizzarri post it e poi si dirige verso una specie di botola.
Non avevo a mai sentito di botole sui tetti.
"Ci siamo" sussurra entusiasta osservando quella strana botola di ferro
.
"Mh... ne sei sicura?"
Annuisce orgogliosa poi si abbassa per provare ad aprirla.
Si affaccia per alcuni minuti e io non riesco a vedere nulla perché il suo corpo mi nasconde la visuale sulla botola.
"Due metri."
"Come?"
"Saranno più o meno due metri, forza scendiamo!" Mi fa l'occhiolino e mi intima a scendere nella botola.
Mi calo lentamente e poi mi lascio cadere cercando di atterrare sulle punte dei piedi.
Sbatto le ginocchia e chiudo gli occhi per respingere il dolore.
Respiro profondamente e li riapro poco dopo.
Mi trovo in una stanza quadrata piccolissima ma molto graziosa.
Un'enorme finestra ricopre la parete di fronte a me.
I muri sono bianchi con numerosi schizzi colorati di varie dimensioni.
Faccio qualche passo e mi accorgo che il pavimento é ricoperto da uno strato di moquette azzurra.
Mi avvicino di più alla finestra e noto che essa si affaccia sul cortile interno del palazzo antico.
"Wow! É bellissimo..."
La voce sognate di Abby mi risveglia da uno stato di trans e riporto lo sguardo alla stanza.
C'è un enorme pouf rosso in un angolo.
Credo che possa contenere fino a 4 persone.
Non ne avevo mai visti di così grandi.
Accanto ci sono una lampada alta e una piccola libreria piena di libri.
Dall'altro lato della piccola stanza invece è posizionato un tavolino basso con una radio e un quaderno appoggiati sopra.
Vicino c'è anche una scala a pioli da utilizzare per raggiungere nuovamente il tetto.
Non sarebbe molto più comodo uscire dalla porta?
Mi volto di scatto per scannerizzare la stanza e noto l'assenza di una via di uscita.
Corro ad affacciarmi alla finestra per contare i piani del palazzo.
Tre.
Tre piani al di sotto di noi ma nessuna finestra alla nostra stessa altezza.
Guardo Abby mentre scruta attentamente la stanza.
"Abby..."
"Fantastico!"
Inizia a saltellare allegramente.
"Abby..."
"Non é bellissima? Ora capisco perché l'avevo chiamato PSS! Cosa ne pensi Sam? Ommioddio guarda quanti libri!!"
"Abby!"
"Si?!"
"Non ci sono porte!"
Si zittisce per alcuni secondi mentre inizia a guardarsi attorno ancora più freneticamente.
"Lo so." Risponde con semplicità.
Alza le spalle e poi riprende a parlare a vanvera.
"Abby..."
Non mi sente nemmeno e si butta rumorosamente sul pouf.
"É comodissimo! Vieni Sam!"
"Abby non ci sono porte, capisci?"
"Si, per questo c'è la scala."
"Ma non esistono stanze senza porte! Non é normale!"
Cerco di spiegare dando forse
troppa enfasi alla frase.
"Tranquilla Sam! Non é di nessuno questo posto."
"Come lo sai?"
"L'ho arredato io."
"Come scusa?"
"Si, vedi? Pouf, libreria, radio... questo é decisamente il mio stile."
Sorride serena e orgogliosa del suo lavoro.
"E le pareti?"
Alza le spalle per farmi capire che non é stata lei a dipingerle e poi si stende completamente sul pouf.
"Rilassati Sam! Sono venuta già qui un sacco di volte!"
Sospiro e mi dirigo verso di lei cercando di tranquillizzarmi.
Mi siedo sul pouf e inizio ad osservare gli schizzi sulle pareti della stanza.
Abby si avvicina in silenzio e appoggia la sua testa sulla mia spalla.
Questo posto ha qualcosa di magico e potente.
A Sophi sarebbe piaciuto molto.
Lei adorava gli spazi accoglienti e essenziali.
Lei adorava quasi tutto.
Era sempre felice ed entusiasta, anche quando le cose andavano male e non c'era modo per cambiarle.
Lei era viva e non sprecava neanche un secondo, diceva sempre che ogni minuto passato ad aspettare è un minuto perso per sempre.
La sto deludendo, da quando non c'è più i minuti che ho vissuto veramente si possono contare sulle dita della mano.
In fondo, però, è stata lei stessa a decidere di abbandonarmi.
Forse non le importava nulla di me, altrimenti mi avrebbe parlato dei suoi problemi e io l'avrei potuta aiutare.
Ma chi voglio prendere in giro?
È tutta colpa mia.
Mia e solo mia.
Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.
Avrei dovuto prestare più attenzione e smettere di dare tutto per scontato.
L'avrei potuta aiutare.
Avrei potuto evitare la sua morte.
Avrei potuto evitare tutta questa sofferenza.
Mi faccio schifo da sola.
Sono una vigliacca egoista.
Non ho abbastanza forza per smettere di piangermi addosso e andare avanti.
Fa troppo male ma non sono capace di combattere il dolore, posso solo accoglierlo e aspettare che passi.
"Sorridi Sam"
Cosa?
Chi ha parlato?
Sophi?
"Saaam, eddai fammi un bel sorriso!"
La voce di Abby mi risveglia da uno stato di trans e un lieve, impercettibile, fragile sorriso si apre la tre mie labbra.
La ragazza accanto a me sorride di rimando e per qualche strano motivo mi sento un po' meglio.
"Sam?"
Porto l'attenzione su di lei per incitarla a continuare.
"Mi aiuterai a ricordare?"
Ricordare cosa?
Non capisco.
Non capisco mai nulla di Abby.
Vorrei fare alcune domande ma mi limito ad annuire cercando di sembrare convincente.
Lei sembra rassicurata da questa risposta e si alza dal pouf per prendere la scala e uscire dalla botola.
~ 17.30 ~
Il fastidioso suono del citofono mi costringe ad alzarmi dalla scrivania e a smettere di scrivere.
Quando sono tornata a casa questa mattina un'improvvisa voglia di continuare il progetto sulle mie riflessioni mi ha convinta a riaccendere il pc e ho passato tutto il pomeriggio scrivendo per dare libero sfogo ai miei pensieri pericolosi.
"Chi è?"
Ho la voce un po' impastata a causa della stanchezza per essere stata 5 ore consecutive davanti ad un monitor.
"Sono Pet, ehm...puoi scendere un attimo."
La sua voce è incrinata e debole, non allega e forte come al solito.
"Ciao, ehm, sì certo arrivo subito."
Corro in camera e metto un paio di jeans e un maglione decente, poi prendo la borsetta e scendo.
Esco dal palazzo e lo vedo.
È appoggiato ad un muro e sembra abbastanza scosso.
Mi avvicino per attirare la sua attenzione.
"Ciao."
"Ciao"
"Che ci fai qui?"
"Scusa, io, ecco, avevo bisogno di parlare con qualcuno"
"Capisco"
No, non capisco.
Perché proprio io?
Ci conosciamo a malapena e non sono nemmeno brava a parlare e a consolare gli altri.
Uno strano silenzio carico di strazio e dolore aleggia per qualche minuto, poi mi decido a parlare.
"Scusa ma perché sei venuto proprio da me? Voglio dire, ci conosciamo da poco ma ormai avrai capito che i discorsi non sono il mio forte"
Alza le spalle e scuote la testa nervosamente.
Sembra confuso e non voglio infastidirlo con altre domande.
"Quindi, facciamo due passi?
Annuisco e inizio a camminare al suo fianco verso una meta imprecisata.
È la seconda volta che camminiamo vicini.
La prima è stata circa una settimana fa dopo quella orribile serata.
Io ero piegata dal dolore alla schiena e lui mi ha aiutata sostenendomi fino alla sua auto.
Un brivido mi percorre al ricordo di quella caduta sulle scale.
Cerco di distrarmi e senza accorgermene mi volto verso di lui.
Ha un'espressione concentrata e combattuta ma nel complesso il suo aspetto sembra rilassato come sempre.
Cammina con le mani in tasca e lo sguardo dritto di fronte a se.
I suoi occhi sembrano più intensi ogni volta che li guardo e non riesco a capire bene di che colore siano.
Non sono come il ghiaccio ma nemmeno come il mare, sono chiari ma luminosi e colorati.
Le numerose sfumature li fanno sembrare due zaffiri.
I muscoli sono leggermente contratti e la bocca è curvata in una sorriso che assomiglia più ad una smorfia, trasmettendo tutt'altro che sicurezza e allegria.
Sembra perso nei suoi pensieri.
Chissà di che cosa vuole parlare.
"So di essere bello ma non serve che mi fissi."
Con la coda dell'occhio riesco a scorgere un sorriso orgoglioso comparire sul suo viso molto più rilassato.
Arrossisco e porto lo sguardo sulla punta delle mie scarpe per nascondere l'imbarazzo.
"Non ti stavo fissando."
"Ah no?"
Mi volto di scatto verso di lui.
"No e dovresti montarti meno la testa"
"Ma io sono bello"
Alzo gli occhi al cielo e sbuffo sonoramente per esprimere il mio disappunto.
"La vuoi smettere?"
Fa un sorrisino sghembo che non riesco a decifrare e si passa la mano nei capelli scompigliati.
Ricomincio a guardare a terra leggermente imbarazzata per la piaga che ha preso il discorso.
Ovviamente penso anche io che sia abbastanza bello ma non glielo dirò mai.
Alza le spalle e si arrende sapendo che sarei disposta a continuare per ore pur di non dargli ragione.
Abbassa lo sguardo anche lui e ci ritroviamo entrambi a osservare i nostri passi coordinati e regolari.
Io indosso un paio di converse nere e lui delle scarpe da ginnastica blu scure.
Siamo vicini.
Molto vicini, ma non ci tocchiamo e lo spazio tra di noi è abbastanza da evitare scontri indesiderati.
Raggiungiamo la fine del marciapiede e decidiamo di attraversare la strada.
Come sempre faccio attenzione a camminare solo sulle strisce bianche e mi scappa un sorriso imbarazzato quando noto che anche lui fa lo stesso per non perdere il ritmo dei miei passi.
Lo sento ridacchiare e mi volto verso di lui infastidita.
Odio questo suo lato.
Non è vero.
Si che è vero, lo odio sicuramente, io non sopporto chiunque rida senza motivo.
Ma lui non è chiunque.
Si invece.
"Cosa c'è?"
"È che sei buffa quando ti imbarazzi."
Sbuffo sonoramente per esprimere la mia disapprovazione.
"Tranquilla, ho detto che sei buffa non brutta."
Ammicca e mi viene voglia di prendere a pugni la sua faccia da schiaffi.
La sua bellissima faccia da schiaffi vorrai dire.
No, non vorrei.
Sbuffo per la seconda volta in pochi secondi e aumento il passo.
Lui mi imita e continua a camminarmi a fianco.
"Perché fai così?"
"Così come?"
"Prima sei allegra e un attimo dopo sei triste, sei forte e sicura, poi timida e fragile. Come sei in realtà Sam?"
"È così importante?"
"Io...io credo di no ma mi sta facendo impazzire."
"È che nemmeno io lo so, capisci. A volte mi sembra di fare dei passi avanti ma poi mi accorgo che la meta si è allontanata ancora di più e che sono al punto di partenza. Persa nella tempesta."
"Allora permettimi di aiutarti a trovare l'uscita."
"Non puoi, non ci riusciresti."
"Forse. Però voglio."
"Non dovresti."
Smettiamo entrambi di parlare per un tempo interminabile e ci dirigiamo verso una panchina libera.
Ci sediamo vicini ma sempre a debita distanza.
"Non lo so."
Sussulto nel sentire la sua voce forte risuonare improvvisamente.
Di che cosa sta parlando ora?
Perché deve essere così complicato.
Forse perché anche io lo sono.
"Ne sentivo il bisogno e sono venuto, non so perché."
Rimango zitta e lo lascio proseguire.
"Prima sentivo di dover dire troppe cose e ora mi sembrano tutte inutili e superflue."
Non so cosa rispondere.
Lo capisco.
Anche io spesso mi sento così.
In questi così non c'è niente da dire.
Bisogna fare.
Cerco di avere un sorriso rassicurante e scorro più vicina a lui.
Ora le nostre spalle si toccano leggermente e le nostre mani si stringono.
È una stretta forte, rabbiosa, dolorosa, carica di risentimento da parte di entrambi.
Nessuno dei due lascia la presa perché sappiamo che in questo momento potrebbe essere fatale.
Rimaniamo così.
Per ore.
Lo sguardo fisso di fronte a noi e le mani strette fino a far male.
Sono calma nonostante senta sulla mia pelle tutta la frustrazione dietro a questo gesto disperato da parte di entrambi.
Sono calma perché ormai sono abituata a farmi cullare dal dolore e perché so che ormai anche lui è entrato nella tempesta ma non mi importa.
Non mi interessa perché, per qualche strano motivo, sento che forse, insieme, potremmo uscirne.
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