𝘪'𝘮 𝘵𝘪𝘳𝘦𝘥 𝘰𝘧 𝘣𝘦𝘪𝘯𝘨 𝘤𝘢𝘳𝘦𝘧𝘶𝘭
!! tw :: qua c'è violenza grafica sisi !!
continua ⇘
Premo le ginocchia contro il petto.
Limito lo spazio del mio corpo ad un minuscolo quadratino sulla pelle scura del divano, appoggio il mento sulle gambe, stringo le caviglie con le mani, respiro piano, così piano che spero nemmeno si senta.
Mi faccio piccolo piccolo, invisibile, mi restringo più che posso, cerco di scomparire.
Trasparente, di fronte a te, ma solo per un attimo, solo per poter vagare in un luogo che conosco consapevole che poi tu me ne tirerai fuori. Insignificante, per poterti adorare come la misera creatura che sono, per poter percepire tutta la luce che mi dai quando mi degni anche solo del tuo sguardo.
Non ci credo, ancora, lo sai?
Non ci credo.
Mentre sono seduto a scuola, quando mia madre ride dal piano di sotto di casa, in ogni secondo tu non sia con me, non riesco a crederci.
Ma poi spremo forte le dita sulla mia spalla, dove la corona dei tuoi denti ha inciso un segno profondo, e la fitta di dolore rende i miei sogni ricordi, le mie speranze realtà, la mia devozione ricambiata.
Il mio cuore avvizzito batte del battito d'ali di un corvo mentre le immagini si espandono dentro la mia testa, inondano i pensieri e li annegano in quell'acqua scura e torbida che sei tu, prendono possesso di qualsiasi cosa ci sia.
Sento le mani sulla mia vita, sento il suono della tua voce, sento il peso del tuo corpo sul mio, il mio nome che riverbera nel tuo petto. Sento le labbra, le tue che aprono le mie, che s'impastano e si mescolano con me, sento il tuo sapore, sento il tuo respiro. Sento la voglia, il bisogno, l'istinto, sento tutto e sento tutto di te per tutto di me, e il petto mi pare scoppiare di un'euforia che non ho mai provato.
Visto dai tuoi occhi, individuato dalle tue pupille che si espandono fino a divorare l'ambra delle tue iridi, mi sento davvero qualcuno. Mi sento corporeo, mi sento reale, mi sento esistente in un posto dove non ero davvero certo di farlo. Incastrato nel minuscolo riflesso di me stesso che vedo quando ti guardo, mi pare tu m'abbia dato il permesso di vivere e di essere, di percepire, di sentire.
Prima c'era solo la rabbia.
La rabbia che è la coperta di ogni altra emozione, che è il nascondiglio, lo scudo del cuore, che t'impedisce di pensare o di provare qualsiasi cosa perché giudica e congela, tiene lontano il ragionamento e cristallizza la testa.
Ora il mio cuore conosce molto di più.
Conosce tutto.
Conosce il dolore dilaniante di vederti andare via, la disperazione di non sentirti, la desolazione di essere solo. Conosce l'ansia di non sapere se aprirai la porta e il sollievo di vederti dopo giorni di bramosia, conosce la paura di quello che potresti farmi e assieme l'eccitazione di volerlo sapere, conosce il desidero di averti con me, la pace di sapere che non te ne andrai.
Ti guardo qui, dal mio grigiore, dal mio nulla, e vedo nei miei stupidi occhi di diciassettenne che cerca l'amore come l'aria che respira, qualcuno che mi ha finalmente detto di sì.
Era una vita che aspettavo che succedesse.
Non so spiegare quanta devozione io provi ora che finalmente, è successo anche a me.
La mia mamma mi ha fatto amorfo.
Sotto le tue mani, però, ho il diritto di avere una forma anche io.
– Kenma? –
Mi scuoto dai miei pensieri piano, lentamente, la nebbia si dirada di fronte ai miei occhi e scendo lentamente nella realtà.
– Tutto bene, Kenma? –
– Sì, come mai lo chiedi? –
– Avevi lo sguardo perso nel vuoto. –
Sbatto le palpebre e lascio che il filtro che la mia testa m'ha messo di fronte cada, osservo la realtà per come è, non per come la stirano le mie speculazioni.
Kuro è di fronte a me, seduto su divano, la testa gettata indietro sullo schienale e le gambe un po' aperte perché il retro tocchi effettivamente il tessuto, è vestito di nero, come al solito, mi squadra con un'espressione indecifrabile.
– Stavo pensando. –
– A cosa? –
– A te. –
Uno degli angoli della sua bocca si solleva un po', le sopracciglia si avvicinano fra di loro a dimostrare interesse, se prima mi sentivo incorporeo, ora mi sento profondamente fisico.
– E a cosa esattamente di me stavi pensando, Kenma? –
– Stavo pensando a... –
Prima che faccia in tempo a rispondere vedo una delle sue mani spostarsi, tendersi dalla mia parte. Incantato dalle dita lunghe e dalle nocche piene di cicatrici perdo le parole e lascio che i miei polpastrelli s'incastrino coi suoi.
Mi tira verso di sé.
Mi sposta come se fossi vuoto, cavo, inconsistente, non dimostra fatica nel prendermi fra le braccia e fare di me quel che più gli piace. È forte, così forte, ed è tanto più grosso rispetto alle mie gambette sottili e ai miei polsi magri, mi fa sentire al sicuro, mi fa sentire completamente adombrato e al riparo.
Mi adagia sul suo grembo, tira su la testa per potermi guardare negli occhi, le sue mani tengono le mie, il contatto è delicato.
– Allora? A cosa stavi pensando? –
Riprendo il filo dei miei pensieri quando il mio corpo smette di urlare per la vicinanza.
Prendo fiato con calma.
– Stavo pensando che sono felice che tu sia qui con me. Che non ci speravo più, sai, che qualcuno s'interessasse a me, ma che alla fine mi è successo davvero. –
I suoi occhi sono affilati come lame anche quando è completamente in sé, ti seguono e ti inchiodano in un secondo, ti fanno sentire a nudo, scoperto.
Mi piace questa sensazione.
Mi dà l'idea di avere sempre qualcuno che mi guarda.
– Sei così tenero, Kenma. –
Scuoto il capo.
– Sono così fortunato, Kuro. –
A sentirmi contraddirlo, per un attimo rimane fermo, lascia che le parole affondino nella sua mente, poi probabilmente decide che gli piacciono, perché l'angolo della sua bocca che prima era appena appena un po' più in alto, ora si esibisce nella completezza minacciosa e affascinante del suo sorriso un po' storto.
– Fortunato? Tu credi di essere fortunato? –
– Non lo credo, lo so. Ne sono convinto. –
Piega appena la testa, vedo un barlume della sua lingua passare sulle labbra secche, la stretta sulle mie mani s'irrigidisce appena.
– E perché mai dovresti essere fortunato, Kenma? –
– Perché potresti avere chiunque e fra tutti hai scelto me. –
– Secondo te potrei avere chiunque? –
Annuisco piano.
Lui sorride di più, lascia che le dita scivolino fra le mie, mi esplora anche solo col movimento del suoi occhi.
– Ma non è di "chiunque" che stiamo parlando ora, vero? Non è tutta la gente che non ho scelto a farti sentire così, è qualcuno nello specifico. –
Abbasso lo sguardo per un attimo, le mie guance si scaldano, quando torno su e ricomincio a guadarlo l'imbarazzo fiorisce nel mio petto, assieme a questa strana soddisfazione di essere un libro aperto per lui.
– È vero, hai ragione. –
– Lo so che ho ragione. –
Lascia andare le mie mani e mi ritrovo a non sapere che farne, ma prima che possa cercare una risposta le sue dita si aprono sulle mie cosce magre e mi sento spostare ancora, a cavalcioni su di lui, ancora più vicino.
Il cuore inizia a battere più in fretta contro la cassa toracica.
– Allora, cos'è che ti fa sentire davvero fortunato, Kenma? –
Le punte dei nostri nasi si toccano.
L'elettricità sotto la mia pelle è quasi dolorosa.
– Che tu potessi avere lei e abbia comunque scelto me. –
– Lei chi? –
– La mamma. –
Dirlo è per me come stringere forte le dita su un livido. È dolore, perché mai smetterà di far male la consapevolezza che la mia vita è quel che è perché la mia creatrice ha creato una creatura che detesta, ma è anche piacevole, è anche terribilmente bello.
Kuro lo sa, che effetto mi fa rendermene conto.
Lo sa che parlare della mamma mi fa male ma mi fa anche una qualche malsana, disperata, impensabile forma di bene.
Forse l'ha capito quando gli ho chiesto di ripetermi come mai l'avesse lasciata mentre mi divorava sul divano qualche giorno fa.
O forse l'ha sempre saputo, perché è chiaro come il Sole che l'atto di vivere per me è strettamente intrecciato con quello di provocarle sofferenza.
Sento le sue mani risalire la mia schiena. Sfiorano i fianchi, la vita, una si ferma aperta sulla mia schiena, l'altra affonda fra i capelli e in un gesto che ora interpreto per davvero, me li scosta via dalla faccia.
– Detesto tutto di quella donna, lo sai. Tranne una cosa che mi è sempre piaciuta di lei, lo sai che tutto il resto non m'interessa. –
– Cosa? Cosa ti è sempre piaciuto di lei? –
Nota la mia insicurezza, Kuro, la mia foga, la mia curiosità. Nota il panico che così frettolosamente si è aperto dietro le mie iridi, e sorride, in un misto di crudeltà e dolcezza.
– Suo figlio. –
Prima che faccia in tempo a rilassarmi, sento le sue labbra raggiungere le mie, la sua mano spingermi contro di sé e il suo fiato mescolarsi al mio.
Mi lascio andare, mi sciolgo.
Le mie ginocchia tremano, le mie cosce si aprono di più verso di lui e mi abbandono completamente inerme a qualsiasi cosa voglia farmi.
Quello di tre giorni fa è stato il mio primo bacio.
Me l'ero immaginato, prima, credo sia normale alla mia età farlo, ma niente di quel che mi potevo essere prefigurato è alla fine stato simile alla realtà.
È stato...
Violento.
Credo che la parola sia "violento".
Credo che la parola di Kuro in generale, sia "violento".
Anche ora, lo è.
Sento le dita strette su di me, la presa serrata e d'acciaio che mi tiene fermo e mi manipola come preferisce, fa male, certo che fa male, ma un male piacevole che sa di qualcosa che ricorderò quando questo sarà finito.
Le sue labbra e le mie si muovono assieme, non ho bisogno di capire perché non ho bisogno di fare, lui fa, lui si muove, lui si mescola e io ricevo, perché questo è quel che devo fare e quello che voglio.
Non so se abbia baciato tutte le persone prima di me in questo modo.
Forse no.
Mia madre non me ne ha mai parlato, e sono sicuro che l'avrebbe fatto, perché è...
Violento.
Bacia come se volesse mangiarti, come se volesse averti e possederti e avere la perfetta consapevolezza di avere il completo controllo su di te, bacia come se fosse l'ultima cosa che fa e come se non riuscisse mai ad averne abbastanza, bacia come se ne avesse bisogno, e non un bisogno romantico, un bisogno turbolento.
Non ho termini di paragone, ma sono piuttosto sicuro che nient'altro possa essere così. Non i baci che si scambiano i miei compagni di classe, non quelli che le madri danno ai figli, nemmeno quelli che vedo in TV. Loro non sono così, non sono come te, non sono come noi.
Loro non lo sanno che cos'è questa cosa che abbiamo.
Loro non la possono capire.
È nostra, è solo nostra, e nessuno mai...
Si stacca dalle mie labbra che devo riprendere fiato a pieni polmoni. Sento il suo viso scendere sul mio, percepisco un'ombra dei suoi denti sulla mandibola, di nuovo sul collo, poi infila il naso nell'incavo della mia spalla e mi stringe forte con le mani, inspira.
Da quando ha smesso di controllarsi così strettamente come tentava di fare prima, certe volte Kuro più che accennare alla presenza di qualcosa di torbido dietro al suo modo di fare tranquillo, prende proprio le sembianze di quel che voleva nascondere. Sono pochi attimi, minuti, mai troppo perché credo ancora tenga stretto il guinzaglio, però...
Sembra non avere coscienza, sembra non avere intelletto, sembra spogliato di tutto quel che rende uomo un uomo e dotato soltanto di istinti.
Lui...
Sembra aver bisogno di sapere che sono qui e che gli appartengo e che niente esiste se non me e lui e quello che condividiamo. Inspira il mio odore e morde la mia pelle, marchia coi denti, con le mani, tocca e stringe, prende e non lascia andare.
Dovrei avere paura di questi momenti.
Dovrei averne perché so perfettamente che se dovesse andare un po' più in là, un po' più a fondo nella sua follia, potrebbe fare di me letteralmente quello che vuole.
Però Kuro non mi spaventa.
Qualsiasi cosa mi possa o voglia dare, io non temo di riceverla perché per quanto dolorosa possa essere, è comunque sua, mia, e di nessun altro.
Lascio che affondi i denti sul mio collo.
Il mio corpo si contrae, la mia testa cade indietro per lasciargli l'accesso più completo, la schiena s'inarca, qualcosa di caldo inizia ad attorcigliarsi fra le mie viscere.
Si sposta, infila le mani sotto la mia felpa, sento le dita afferrare e stringere la mia cassa toracica e so che se decidesse di farlo potrebbe far crollare le mie costole una dietro l'altra, le sue labbra si spostano, morde di nuovo, il metallo bollente fra le mie interiora mi strizza un verso arioso fuori dalle labbra, la sensazione è dolorosa e bellissima.
Che mi strappi via la carne dal corpo.
Che m'inghiotta, che mi divori.
Sarei perfetto se fossi parte di lui.
Senza, posso solo desiderare che mi voglia.
Apro di più le cosce.
Le sue mani mi spingono contro di sé.
Il calore si fa insopportabile.
Il dolore cresce, cresce, cresce, cresce e...
Il suo telefono squilla nella tasca dei suoi jeans.
In un secondo, come se la sanità mentale che lentamente stava evaporando dai nostri corpi immediatamente condensasse all'interno, sento la tensione volarmi via dal corpo e la mascella serrata su di me di Kuro si allenta, il dolore scompare, rimane soltanto il fiato corto.
Ci guardiamo un secondo negli occhi.
Le sue pupille si ritraggono.
Risponde al telefono mentre mi stringe al petto e muove affettuosamente i polpastrelli sul segno fresco che mi ha appena lasciato.
– Pronto? –
Non sento cosa arrivi dall'altra parte della cornetta.
– Mh-mh, quando? –
Sposto una tempia verso una delle sue spalle, cerco di far circolare aria nel mio organismo che prega di riprendersi, muovo piano le dita sulla sua maglietta per cercare appiglio, per calmare il battito del mio cuore.
– Stasera? Forse ho da fare, stasera. Non era domani? –
L'altra mano riemerge dalla mia felpa, il braccio nudo sembra scolpito nel marmo quando si adagia sul divano distrattamente, lo seguo con lo sguardo.
Ha una corona di spine tatuata sull'avambraccio, due bande scure sul bicipite, le lettere sulle dita e una miriade di cicatrici sulle mani. Le vene in rilievo rivelano la massa muscolare, il colore della sua pelle è caldo, non chiaro e lattiginoso come il mio.
È così bello, Kuro.
Così bello.
L'uomo più bello che io abbia mai visto, più di quelli nelle riviste, più di chiunque.
Chissà se lui pensa lo stesso di me.
Forse se mi curassi di più, forse...
– Ok, quindi stasera e non domani. Chi è che c'è oltre a me? –
Dovrei rubare qualcosa alla mamma. Un top, forse, magari addirittura un vestito. Gli piacerei se indossassi un vestito? Forse non gli piacerei, forse preferirebbe i pantaloni.
Magari l'intimo.
Non mi ha spogliato, tre giorni fa, ci siamo fermati prima.
Ma se mi spogliasse e mi trovasse con uno di quel completi che la mamma compra, allora che cosa potrebbe...
– Va bene, allora. Ci vediamo fra un paio d'ore. Sì, sì, ok. Ciao, a dopo. –
Chiude la telefonata che ho ancora gli occhi fissi sul suo braccio, la mente che vaga nell'armadio di mia madre. Mi riprendo in fretta, quando mi accorgo che non è più al cellulare, ma lascio aperta nella mia mente la questione.
– Lavoro? – chiedo.
– Già. Ho un incontro stasera, quello che doveva andare ha disdetto all'ultimo e l'allibratore ha chiesto a me se volevo prendere il suo posto. –
– Vai? –
Annuisce.
– Sì, preferisco. Il tipo che avrei dovuto picchiare domani l'ho picchiato almeno quattro volte negli ultimi sei mesi, le scommesse non sono più alte come all'inizio. –
Mi scorre col pollice sul collo, poi sulla guancia.
– Prima di andare ti riporto a casa. Se vuoi prima ti faccio la cena, però. –
Tiro dentro il petto il fiato per rispondere, ma mentre lo tiro fuori un pensiero mi si formula cosciente nella testa.
Io vorrei...
Mi rimetto su, lo guardo in faccia, sento i bordi delle mie labbra alzarsi appena.
– Non è che invece posso venire a vede... –
– No. –
La sua voce affetta la mia come una lama.
Perdo il sorriso.
– Perché no? –
– In che senso "perché no"? Kenma, è pericoloso. È un incontro illegale, per la miseria, non è esattamente popolato da bei soggetti. –
– Ma tu ci vai, perché io non posso... –
– Io sono un ex soldato addestrato alto due metri, Kenma, tu sei troppo giovane e troppo ingenuo e sarebbe come gettare una gazzella in mezzo ad una gabbia di leoni. Non è sicuro e tu non puoi venire. –
Sento le mie labbra contrarsi in un broncio, le sopracciglia aggrottarsi, volo con lo sguardo al muro dietro di lui. Di tutta risposta Kuro porta entrambe le mani sul mio viso, a spianare il mio disappunto con le dita sulla mia pelle.
– Non fare quella faccia, Kenma, lo sai che lo faccio per il tuo bene. Non posso rischiare che quelle persone ti facciano qualcosa, non posso proprio. –
– Mi dici sempre di no, però. –
– Non ti dico sempre di no, è che questa davvero non è una buona idea. –
– Le mie idee non lo sono mai. –
Lo sento respirare, il suo viso si avvicina al mio, mi bacia una guancia.
– Non fare così, dai. Non ti arrabbiare. –
– Non sono arrabbiato, sono solo un po' dispiaciuto. Mi dispiace sapere che non ti fidi di me abbastanza per... –
– No, no, non è che non mi fido di te. Non mi fido degli altri. Sono due cose diverse. –
Mi bacia di nuovo, più vicino alle labbra, poi prende entrambe le mie mani con le sue e le tira su, se le appoggia sulle spalle.
– Quella è brutta gente, Kenma, e io ho bisogno di sapere che sei al sicuro e non lo saresti là in mezzo a loro. Saresti circondato da persone che... –
– Che vogliono farmi quello che mi vuoi fare tu? Perché se questo è il problema, allora il pericolo lo corro anche stando qui con te. Non vedo quale sia la differenza se qualcun altro pensa a... –
Veloce, istantaneo, fulmineo, come ogni volta che accade e ogni volta che questa situazione si presenta. Lascia le mie mani, afferra una manciata dei miei capelli e tira, la voce si fa più bassa, più minacciosa, il suo corpo s'irrigidisce.
– Non vedi quale sia la differenza? Te la dico io, la cazzo di differenza. –
Ok, forse ho spinto dalla parte sbaglia...
– Io posso farlo e loro no. Io ho il diritto di guardarti e pensare qualsiasi cosa io pensi e loro non devono neanche girare la faccia dalla tua parte. Io sì, e nessun altro. Questa è la differenza. La sapevi il giorno che ti sei messo in ginocchio sullo zerbino di casa mia a pregarmi di volerti, Kenma. –
Vedo il suo sguardo scorrermi addosso, atterrare sul mio collo, deliziarsi della vista di segni sopra altri segni del suo inconfondibile passaggio.
Sorride.
Non è un sorriso gentile.
– Comportati bene e fa' quello che ti dico, per una volta. –
– Io faccio sempre quello che mi dici. –
La mia voce esce fuori in un filo insicuro, incerto. Non so con quale coraggio io parli, so soltanto che lo faccio.
– Io faccio sempre quello che mi dici, – ripeto – e sono sempre bravo. Non è vero? Non sono sempre bravo? –
Kuro annuisce, il suo sguardo cade di nuovo verso le mie labbra. Piega la testa di lato come fa quando mi bacia, ma rimane a pochi centimetri di distanza.
– E sarei al sicuro se venissi, perché sarei con te. Tu hai paura che qualcuno possa farmi qualcosa ma io no, perché so che se ci sei tu non può accadermi nulla di male. –
Annuisce di nuovo, più catturato dal mio viso che dalle mie parole, pare.
– Non voglio che mi lasci da solo a casa mia ad aspettare tutta la notte che tu mi scriva qualcosa. Non voglio che mi abbandoni là da solo. –
– Non voglio abbandona... –
– Io voglio stare con te. Sempre. Sempre con te, Kuro. Lo sai che sono davvero al sicuro solo quando siamo insieme. –
Respira, sento qualcosa di lui iniziare a spostarsi, forse persino a cedere.
Premo piano le labbra contro le sue.
– Ti prego, Kuro. Ti prego. –
– Kenma, ho già detto di... –
– Ti prego. Permettimi di stare con te, ti prego. Lo sai che nessuno si azzarderebbe a toccarmi se dicessi che sono con te, quindi ti prego, fallo per me. –
Lo bacio di nuovo, le parole che stava dicendo si confondono, forse s'impastano fra loro, i suoi occhi ormai sono incollati alle mie labbra, non si spostano di un millimetro.
– Se vuoi che mi rimetta in ginocchio per pregarti lo posso fare. Sai che lo farei. Sai che farei tutto quello che mi chiedi di fare. –
Espiro, e come espiro l'aria mi viene rubata perché Kuro è su di me, le sue mani lo sono, il suo corpo che mi avvolge.
Mi toglie il fiato.
È bisognoso, è quasi disperato, sembra volermi togliere le parole di bocca e lo fa, me le toglie. Mi lascia boccheggiante a guardarlo con le palpebre che sbattono e le guance rosse.
Passa un istante che sembra un secolo.
Poi sospira.
– Devi promettermi che mi stai vicino tutto il tempo, che non ti allontani e che fai esattamente quello che ti dico. Intesi? –
Dentro di me si accende una luce, fuori un sorriso, la consapevolezza di averlo convinto m'infradicia la testa.
Annuisco.
– Tutto quello che vuoi. –
Forse, però, e me ne rendo conto con una soddisfazione nuova, anche un po' di tutto quello che voglio io.
I dubbi iniziano a venirmi poi, più avanti, quando ho il viso coperto dal casco, la guancia premuta per come posso sulla schiena di Kuro, le mani chiuse sul suo addome. Iniziano a spuntar fuori come funghi mentre il paesaggio scorre attorno a noi, mentre il vento sferza contro quei minuscoli lembi di pelle che ho lasciato scoperti.
Più che dubbi, forse, paure.
È stata davvero la cosa giusta da fare?
Disobbedire, premere, chiedere, insistere, sono state le azioni che avrei dovuto compiere?
Non è che poi magari capisce che sono fastidioso e si stanca?
E se poi avesse ragione su questo posto? Se mi stesse portando al macello? Se succedesse qualcosa di brutto? Se mi cacciassi in qualche situazione pericolosa?
Mi stringo più forte contro Kuro.
Lo penso, quel che gli ho detto. Lo penso che non c'è posto più sicuro per me del suo fianco, di dovunque lui sia, ne sono convinto.
Però è anche vero che ho solo diciassette anni e che ho le braccia sottili come fuscelli e che magari qualcuno...
La moto rallenta, sposto il viso per guardare e la luce del semaforo rosso mi dice che ci stiamo per fermare ma non perché siamo arrivati.
Come tutte le volte che è già successo, quando ci fermiamo Kuro abbassa una gamba per reggerci entrambi, da quassù sembrano lunghe chilometri, poi lascia andare il manubrio e porta indietro la mano, verso di me. Mi strizza un polpaccio, passa le dita sopra il tessuto spesso dei jeans.
Qualche volta sembra che mi legga nella mente.
No, no, non c'è bisogno che mi agiti, c'è lui, con me, non sono da solo.
Non correrò alcun rischio.
Qualsiasi forma d'agitazione scompare al solo pensiero che sia lui a proteggermi.
Prendo un respiro e cerco di lasciar scendere le spalle, allungo una mano verso la sua, per un secondo ci sfioriamo le dita.
Poi il semaforo diventa verde, Kuro tira su la gamba, ripartiamo.
Oltre ai dubbi, annichiliti ma non ancora del tutto estirpati, c'è un altro fiore che scintilla nel giardino delle mie aspettative per la serata che mi attende.
È la curiosità.
Spasmodica, smisurata, senza limiti, una curiosità marcia e divorante di vedere cosa c'è in quel Kuro che non si trattiene, in quello che si diverte a fare del male, quello che non ha nemmeno una briciola di remora morale.
Ho spiato sotto alla maschera, ho sentito quel che diventa quando il controllo gli scivola via dalle mani, ma poterlo vedere nel suo elemento, immerso a capofitto nella giustificazione ad essere violento senza pensarci su, ancora no.
Dice che le persone che partecipano a questo tipo di eventi li frequentano perché non sono interessate alla sportività o alla correttezza o all'atletismo di chiunque si batta, ma perché vogliono vedere il sangue, sentire le ossa spezzarsi, lascia andare ogni forma di morale per scendere in quello stato animale dove combattere è dominazione dell'altro.
Credo di poter aderire a questa descrizione, in parte.
Credo di capire cosa intenda.
Lo voglio vedere, il sangue, voglio sentire le ossa e voglio lasciar andare ogni forma di morale. Voglio sapere che cosa si prova ad essere come lui, anche se per una frazione di secondo, anche se solo per un attimo. È liberatorio? È spaventoso?
Forse voglio solo conoscerti meglio, Kuro.
Forse...
Lei non ne ha mai parlato, di questo, del tuo lavoro. Non lo sapeva, non ne aveva idea, per lei era un segreto in cui non immischiarsi, non erano affari suoi. Me lo chiedeva, la mattina, col caffè in mano e i capelli spettinati, cosa credevo che facessi di lavoro, se potevo indovinare con lei.
Lei non ce l'hai mai portata, qui.
Lei non l'hai mai voluta tanto al punto da doverle dire perché volerla ti spaventava.
Anche questa consapevolezza, mi fa sentire al settimo cielo.
La mamma ti adorava e tu non la consideravi nemmeno degna di conoscerti, lei mi diceva com'eri con lo sguardo sognante e tu pensavi a tutt'altro. Racconti su racconti di cosa facessi a letto, racconti che ero costretto a sentire, ora piacevoli ricordi perché so che qualsiasi cosa facessi, qualsiasi movimento, tu volevi me con te, non lei, che era solo un diversivo per il tuo desiderio immorale.
Amo l'attenzione che mi dai.
Amo però anche quella che neghi a lei.
Mi stringo più forte, chiudo gli occhi.
Forse ho un po' paura di quel che vedrò. Forse ho un po' di ansia, un po' d'impazienza, un po' di curiosità.
So però che alla fine andrà tutto bene.
Lo farà perché ci sei tu.
Tu che rendi questo inferno perlomeno arredato come se fosse il purgatorio.
Quando arriviamo, una ventina di minuti dopo, un po' mi tremano le ginocchia mentre scendo dalla moto, un po' le mani mentre mi sfilo il casco e lo passo a Kuro perché lo rimetta a posto. Il posto non sembra molto diverso da una palestra da boxe e quando glielo faccio notare, mi sento rispondere che è esattamente quello che è. Non sapevo che fossero aperte anche di notte.
Intravedo un piccolo nugolo di persone, poi, concentrandomi di più, vicino all'ingresso principale. Nonostante non conosca nessuno mi tornano i dubbi, le paure, le speculazioni di Kuro e gli stringo forte la mano, mi appiccico contro di lui.
Entriamo dall'ingresso sul retro.
È una piccola porticina di legno a cui non avrei fatto minimamente caso se Kuro non me l'avesse fatta notare. L'apre per me e mi lascia passare, io non percorro più di qualche passo incerto prima che torni al mio fianco e mi guidi nel corridoio stretto e buio.
La prima persona che incontriamo aspetta a braccia incrociate di fronte ad un'altra porta, ed è un uomo più grande di Kuro, coi tatuaggi sulle braccia e i capelli corti.
M'intimidisco e mi schiaccio contro di lui mentre si salutano, pianto gli occhi per terra mentre si scambiano qualche battuta, mi faccio piccolo piccolo come a non voler essere neppure inquadrato dai suoi occhi.
Ovviamente, la mia fatica, è totalmente inutile.
Attiro l'attenzione come se avessi un riflettore puntato addosso.
– E il ragazzino? Chi è il ragazzino? – chiede l'uomo, dopo qualche secondo, gli occhi puntati su di me che cerco disperatamente di evitare.
Kuro mi avvolge con un braccio, mi tiene più vicino contro di sé.
– Un mio... ospite. –
– Un ospite? Tu non porti mai ospiti. –
Lo sento fare spallucce contro di me.
– Oggi invece sì. –
L'uomo mi squadra di nuovo, io non proferisco parola.
– Ma che è, tipo un tuo parente? –
Kuro ridacchia.
– No, no, non è mio parente. È un mio ospite e basta. –
La questione cade, quando lo sconosciuto si rende conto che più di tanto nessuno dei due ha intenzione di dirgli, quindi lo sentiamo sospirare, poi tira fuori un foglietto dalla tasca dei pantaloni, una penna, fa un cenno con la testa a Kuro che non capisco. Lui, però, che è abituato, capisce la richiesta e la soddisfa passandogli qualcosa che all'inizio non riconosco. Quando identifico cos'ha in mano, per un attimo m'irrigidisco.
Non ho mai visto così tanti soldi tutti assieme.
Sono arrotolati stretti e tenuti fermi da un elastico e suppongo a questo punto che l'uomo sia l'allibratore con cui qualche ora fa stava parlando al telefono, perché li prende, segna qualcosa, annuisce con la testa.
– Tu vuoi darmi qualcosa, ragazzino? –
– No, lui niente. – risponde Kuro per me. Si sporge piano dalla mia parte, mi sorride appena. – Già ti ho portato qui, ci manca solo che ti faccio scommettere. –
Rispondo con l'accenno di una risata.
– Ok, allora ci vediamo di là. È tutto pronto, meno ci metti a cambiarti meglio è. –
Annuisce, rimette il foglietto nella tasca assieme ai soldi e nel giro di qualche istante scompare verso la parte opposta rispetto a quella a cui siamo arrivati.
Kuro apre la porta su cui abbiamo trovato l'uomo appoggiato e di nuovo mi fa entrare, si guarda dietro le spalle e poi mi segue.
Ci ritroviamo da soli, in una stanza che pare tanto uno spogliatoio, vuota eccezion fatta per qualche panchina di metallo e le luci elettriche, con un grande lavandino contro una delle pareti e uno specchio inaspettatamente lucido sopra. Muovo qualche passo giusto per non rimanere sull'entrata, ma non sapendo che fare rimango a fissarmi attorno senza dire una parola.
Kuro invece, che è ben più rilassato nell'ambiente, molla il borsone della palestra che ha preso un attimo fa dalla moto per terra, si siede su una delle panchine e per un attimo getta la testa indietro, fissa il soffitto e respira.
I miei occhi gli cadono addosso. Quasi attirati dal suo magnetismo, assorbiti dalla sua presenza, li sento convergere piano verso di lui finché guardarlo non è l'unica azione che paio in grado di fare.
Respira. Non fa altro, respira.
Tiene gli occhi chiusi, il collo teso verso l'indietro, ha il viso rilassato.
Si sta calando in una parte? Sta facendo mente locale?
Forse sta soltanto aprendo qualche cancello dentro la sua testa, esplorando qualche area che di norma rimane nascosta.
Continuo a guardarlo.
Il suo petto si alza e si abbassa, allunga le gambe di fronte a sé come per stiracchiarle, pare completamente rilassato, quasi perso in se stesso.
Quando faccio un passo verso di lui, però, il modo in cui apre gli occhi e si gira verso di me è fulmineo e m'inchioda immobile.
Mi fermo.
Aspetto che mi guardi.
Aspetto che l'allarmismo nei suoi occhi si dissipi a lasciare un sentore più dolce, più delicato.
Quando parla, ha il tono paradossalmente scherzoso.
– Perché fai quella faccia? Sei in imbarazzo perché devo cambiarmi? –
Sento le guance scaldarmisi e scuoto la testa.
Lui ridacchia.
Fa per alzarsi un attimo dopo.
– Hai cambiato idea e hai deciso che non vuoi più vedermi picchiare uno sconosciuto? –
Raggiunge l'orlo dei pantaloni con le dita, slaccia la cintura, i primi bottoni dei jeans.
– No, non ho cambiato idea. –
– Vuoi veramente vedermi fare questa cosa? –
– Voglio, sì. –
Si sfila i pantaloni senza pensarci due volte.
Sento i miei occhi aprirsi e spalancarsi da soli, contro la mia stessa volontà.
Ha le cosce martoriate di cicatrici, le gambe sembrano ancora più lunghe, così, e i muscoli che s'intravedono sotto la pelle guizzano appena coi suoi movimenti.
Pesca fuori dal borsone un paio di pantaloni della tuta.
– Vieni là con me e vieni via di là con me, intesi? Dove ti metto stai, non fai neanche un passo. –
Annuisco.
Si mette i pantaloni.
– Sì. –
Si toglie la maglietta.
La mia bocca si fa arida.
– Non parlare con nessuno e se qualcuno parla con te non rispondere. –
– Sì. – ripeto, tutt'altro che intento ad ascoltarlo.
È intagliato, Kuro. Non è composto o formato, è intagliato. Le linee sono nette, efficienti, solide, le ombre scavano sull'addome, sulle spalle, sul petto, l'inchiostro tinge la pelle liscia. La luce lo immerge, si sposta su di lui, gli danza addosso, rivelando i solchi di muscoli di cui non conoscevo sinceramente l'esistenza.
Ha tanti tatuaggi, sul torso.
C'è una pantera su un fianco, coi denti affilati come rasoi in bella vista, e un angelo trafitto da una spada sulla parte bassa della schiena. C'è un fucile, una croce, immagini insanguinate di qualcuno che di certo non ricorda dolcezza e attenzione.
Fisso spudoratamente con gli occhi spalancati.
Kuro se ne accorge, mi sorride, mi chiede scusa quando si mette la maglietta.
Divento ancora più rosso, lui ridacchia.
Si risistema e tira indietro le spalle, si esamina le nocche dall'alto e mi si avvicina, io rimango immobile.
– Promettimi che starai attento. – chiede, poi.
Io annuisco.
– Lo prometto. –
Mi bacia.
Mi lascio baciare.
Pochi minuti dopo ho la mano stretta alla sua e guardo le sue spalle mentre mi trascina in un posto pieno di gente – molto più pieno di quanto credessi – verso il ring da boxe di una palestra che non conosco.
Faccio esattamente tutto quello che mi ha detto.
Non parlo con nessuno, non ricambio nessuna delle occhiate curiose che mi vengono rivolte, tengo la testa bassa, seguo i movimenti di Kuro e nient'altro. Mi faccio trascinare come se non avessi volontà né forza, solo articolazioni al servizio di qualcun altro.
Mi lascia andare quando arriviamo al bordo del ring, su uno dei quattro angoli, si guarda attorno e non so chi ci sia alle mie spalle ma qualcosa nei suoi occhi mi dice che nessuno di loro sarà un problema, poi mi fissa di nuovo, mi sorride di nuovo, mi rivolge una frazione di attenzione indisturbata.
Mi prende una guancia.
Io mi risveglio dal mio torpore e dalla mia obbedienza per rispondergli.
Sorrido il sorriso più dolce che posso.
– Così vicino è possibile che ti arrivi addosso un po' di sangue. Scusa in anticipo. – dice.
– Non c'è problema. – rispondo.
Si china.
Mi bacia la fronte.
– Non so se scusarmi in anticipo anche per quello che vedrai. –
– Non farlo, non c'è bisogno. Voglio vederlo, davvero. –
– Tu sei pazzo, Kenma. –
– Lo sai che lo sono. –
Di nuovo, mi bacia la fronte.
Poi si porta le mani al collo, dove giace il filo metallico delle piastrine militari. Le sfila dal suo capo, le infila sul mio, le nasconde sotto la felpa.
– Tienile tu, per buon auspicio. –
– Sicuro? –
– Sicuro. –
Vedo tumulto dall'altra parte del ring, mi sporgo per guardare ma Kuro me l'impedisce, mi tiene ferma la testa con le mani, mi costringe a guardarlo.
Si avvicina a me.
Qualcuno mormora qualcosa alle mie spalle, ma non lo sento.
Il mio naso e il suo si toccano.
– Se credi in Dio prega, Kenma. –
– Per cosa? Perché tu vinca? –
Le sue labbra sfiorano le mie.
– Perché non uccida nessuno. –
Mi bacia.
Mi sorride.
Come nulla fosse tira su una delle corde, s'infila sotto e si alza, lassù, in cima, a svettare su tutti gli altri, tutti noi, a guardarmi dall'alto dove deve stare, con quel suo modo di fare che mi fa sentire fortunato e mi fa sentire suddito, mi fa sentire insignificante e adorato assieme.
Le persone parlano.
Io non sento.
Rimango là, gli occhi fissi, la testa piegata indietro per guardare, il cuore che esplode d'euforia nel petto.
Amo quello che abbiamo, sai che lo amo, ma non lo amo nonostante i nostri problemi, lo amo proprio per quelli. Lo amo perché soffoca, perché avvita, perché toglie l'aria e la libertà, perché ossessiona.
Amo essere ossessionato da te.
Amo che tu mi desideri con tanta cattiveria.
Amo non essere nulla quando non mi guardi.
Amo guardarti dal basso e sapere che questo è il posto dove devo stare.
Mi fai sentire utile.
Mi fai sentire bello.
Mi fai sentire...
Qualcuno urla qualcosa.
Nel rifocalizzarsi del mio sguardo noto l'altra persona sul ring, della stazza di Kuro, che stringe una collanina d'oro con una croce nelle mani. Lo vedo avvicinarsi, lo vedo chinare la testa in segno di rispetto, li vedo guardarsi.
E poi non so descrivere cosa succeda.
Per un attimo sono solo arti intrecciati fra di loro. Il rumore di qualcosa che viene colpito, la folla che urla, il mio respiro che s'interrompe. Poi Kuro che si sposta, l'altro tipo che si sposta, braccia che fermano un pugno, nocche contro una spalla, nocche contro una guancia.
Non capisco nulla.
È tutto veloce ed è tutto concitato e il mio respiro è breve, è veloce, gli occhi non sanno dove fermarsi.
Il tipo sta indietreggiando e Kuro è più dalla sua parte, riconosco la mano quando si schianta sullo zigomo del malcapitato, è la stessa mano che stringeva le mie, che mi toccava poco fa.
Una striscia di sangue si fa strada sulla faccia dello sconosciuto.
Goccia a terra.
Il mio corpo si tende quando la vedo, qualcosa si accende, qualcosa si stringe.
Di più.
Ne voglio vedere...
Lo rifà, Kuro lo rifà, nocche contro la faccia, grugnito di dolore, rumore per niente promettente del colpo che va a segno.
Il sangue gli schizza addosso.
Mi si stringono le cosce.
Il tipo si scosta, non prende un altro colpo, lo prende Kuro, che però pare neppure sentirlo. Quando l'altro cerca di spingerlo indietro le dita di Kuro si stringono sulla sua spalla, lo tira verso di sé, lo scaraventa a terra. Lo vedo cercare di rialzarsi, ma non ci riesce, come se nemmeno fosse un essere umano quello a terra quanto più un oggetto, gli atterra un calcio su una tempia. Il sangue schizza di nuovo, questa volta dalla mia parte. L'ultima goccia è ad un centimetro da me.
Mi sento ribollire.
Ho caldo, fa caldo, è tutto bollente, è tutto insopportabile.
Voglio tirarmi via la pelle di dosso.
Voglio...
Kuro si china sul ragazzo a terra, quello respira, lo guarda, cerca di reagire ma non ne è in grado, lo fissa con odio senza poter farci molto. Dita che conosco si stringono attorno alla collana dell'altro, attorno alla croce.
Si gira verso di me.
– Hai pregato che non lo uccidessi, Kenma? –
Prendo un fiato che è un sussulto.
– Non credo in Dio. – rispondo.
Kuro mi sorride.
Quando sposta la testa vedo che i suoi occhi ora non sono più color dell'ambra.
Sono completamente neri.
Tira via la collana spezzandogliela addosso, ride a guardarlo dimenarsi nel tentativo di riprenderla, rimira la croce.
Poi la getta di lato, verso la folla.
– Neanche io. –
Gli cadono le ginocchia a terra.
Ai lati del corpo che si dibatte.
Lo tiene fermo a terra per una spalla.
Le nocche dell'altra mano si distendono, ruotano nell'aria, poi si chiudono.
Il sangue mi arriva in faccia.
Non so cosa sia a farmi impazzire, a far gocciolare via la sanità mentale dalle mie orecchie poco a poco.
Forse il rumore delle persone che gridano attorno a me.
Forse l'unica luce puntata su Kuro, il mio Kuro, che fa quel che sa fare meglio.
Forse la sua espressione, forse i suoi occhi scuriti dall'eccitazione, forse il sorriso maniacale sul viso, forse quel rumore così simile ad una risata.
Forse il sangue che mi arriva addosso.
So soltanto che non sono più in me.
Niente di quello che provo mi appartiene più.
È trascendentale, catartico, puro, è qualcosa che non avevo mai provato fino a questo punto, qualcosa che in modo così cieco e spudorato non conoscevo.
È eccitazione sessuale.
È passione.
È...
Kuro mi guarda.
Io gli sorrido e mi viene da ridere e rido perché ho la faccia piena di sangue e lo voglio così tanto, così tanto che non riesco a pensare ad altro e voglio che mi voglia e voglio tutto e lo voglio ora e...
– Ammazzalo. – formulo con le labbra, felice di una felicità completamente folle.
Ride.
– Vuoi che lo ammazzi? –
Annuisco.
– Ammazzalo, sì, ammazzalo. –
Kuro gli tira un pugno.
Il sangue mi atterra in una striscia sulla faccia.
Sorrido.
– Ancora? – chiede.
Annuisco di nuovo.
Lo rifà.
Ridiamo insieme.
C'è così tanto casino attorno a noi che non credo nessuno ci senta.
Appoggio le mani sul ring, giusto le punte delle dita, mi sporgo dalla sua parte per vedere meglio cosa c'è sotto tutto quel sangue, cosa sotto l'ammasso di carne informe che prima era una persona.
Il suo petto si alza e si abbassa ancora, non è morto.
Ma potrebbe esserlo.
Kuro potrebbe ucciderlo.
E potrebbe fargli male, così male, un male che non se ne andrebbe mai, che rimarrebbe sempre con lui. Un male permanente, che lo segnerebbe per tutta la vita.
Un male...
Un male che voglio anche io.
Che m'insegni col dolore che cosa significa l'eternità.
Che m'insegua ogni secondo.
Che non mi lasci.
Un male...
Allungo una mano verso di lui.
Kuro mi guarda.
– Ammazza anche me. – sento dire dalla mia stessa voce in una preghiera sottile, lagnosa, sussurrata.
Il suoi occhi si espandono ancora, ancora, ancora. Sono pozze su cui immergersi e su cui affogare, sono mare in tempesta che ti lascia morto sul fondale.
– Lo vuoi davvero? –
– Ammazzami, Kuro, ti prego. –
Si lecca le labbra.
Mi sorride.
Scende dal ring lasciandosi dietro il ricordo di un essere umano senza pensarci due volte, la folla urla, esulta per una vittoria schiacciante ma non pare importargli, non gli interessa.
Rido quando mi carica su in spalla.
Rido di gusto, di pancia, una di quelle risate che a me la vita ha sempre negato ma che ora mi godo a pieno.
Ride anche lui.
Mi porta via.
Prima che apra la porta della stanza dove prima si è cambiato lo guardo, lo adoro, lo amo con tutto l'ardore che possiedo.
Oh, Kuro.
Anche me.
Ammazzami.
Sappiamo entrambi che sono l'unico in grado di sopportare il dolore di essere amato da te.
continua ⇘
ok di nuovo in ritardissimo (oggi però per colpa delle autostrade italiane che invece di quattro ore mi hanno costretta a SETTE ORE di viaggio) ECCOCI TORNATI CON LA MALATTIA LA FOLLIA IL TOXIC AAAAA
niente vi chiedo se il capitolino vi è piaciuto
cosa ne pensate che so un pensiero felice
niente in realtà non ho nulla da dire perché è tardi ho sonno e vi ho fatto già aspettare abbastanza e nulla vi mando solo un bacio velocissimo ciao cuoricini alla prossima
mel :D
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top