4.1 Buongiorno Jolie

1 maggio, 1994

Mi sollevo di scatto nel buio. Un urlo silenzioso mi stringe il petto. La mia fronte è fradicia, le coperte sono zuppe. L'eco dello schianto mi ribalza nelle orecchie, fresco di ricordi.
La puzza di bruciato, lo stridio del metallo che si accartoccia sul mio corpo, il tremore nelle mie ossa... mi sembra di essere ancora dentro la macchina.

La tuta si è incollata al mio corpo come una seconda pelle e puzzo da far schifo. Ma sto bene. Sono nel mio letto, all'interno della motorhome.
«Ho proprio bisogno di una doccia» grugnisco, mentre mi sfilo la tuta e la abbandono sul pavimento.
Stacco la maglia ignifuga dalla pelle sudata e la aggiungo al fagotto per terra, poi i calzini, abbasso la spallina del reggiseno...

La porta si spalanca di scatto e la luce mi acceca all'improvviso.
«Buongiorno, jolie. Dovevi essere davvero stanca, hai dormito tutta la no... oh»  il giovane Frost è sulla soglia, immobile, la bocca appena schiusa. «Beh, questa sì che è una sorpresa» sogghigna, squadrandomi dall'alto al basso.
Mi riprendo in un attimo e afferro la prima cosa che trovo, un oggetto qualsiasi, senza neanche sapere cosa sia, per poi lanciarglielo dritto in faccia.
Il clangore metallico della sveglia risuona assieme al mio urlo, urtandogli il volto e infine cadendo a terra.
«Esci subito da qui!» il mio viso è in fiamme, non so dire se per rabbia o imbarazzo, forse entrambe le cose.

«Okay, messaggio ricevuto. Ti lascio sola.»
Quando Frost richiude la porta, senza aggiungere una parola, la realtà mi colpisce come un pugno.
Sono ancora qui. Non me ne sono mai andata.
Non è stato un sogno. Ma come è possibile?
Mi massaggio le tempie mentre le ipotesi più assurde iniziano a frullarmi per la testa.
E se ieri mi fossi andata davvero a schiantare in gara? E se ora fossi morta e tutto questo fosse frutto della mia mente?
O magari sono in coma...
«Isabeau, tutto bene?» mi chiede il ragazzo dall'altro lato della porta.

Sbuffo, senza rispondergli.
Non ho ancora capito cosa mi stia succedendo, o perché mi stia succedendo. Ma rivoglio la mia vita.
Se sono in coma devo trovare il modo di svegliarmi e, forse, Frost potrebbe essere la chiave dell'enigma. Persino tornare sul luogo in cui mi sono svegliata ieri può essermi utile, anche se potrebbe significare rincontrare quel maniaco.
Ma sono le mie uniche opzioni al momento.

Frugo nel suo armadio e rubo i suoi indumenti. La tuta mi sta enorme. È tanto grande che devo sembrare ridicola, con le maniche rimboccate e le gambe arrotolate, ma sempre meglio che indossare la mia.
La doccia, invece, dovrà aspettare.

«L'ho presa in prestito. Spero non ti dia fastidio»
Indico la tuta a Frost, una volta uscita, per poi scendere i gradini con attenzione, impacciata.
Mi chiedo come i piloti riescano a guidare con questo abbigliamento ingombrante.
«Oh, no jolie, tu puoi fare tutto quello che vuoi, per quanto mi riguarda» tra le mani regge due tazze di caffè fumante e me ne passa una.
«Grazie» dico, tra i sensi di colpa «E scusami, per la sveglia...»
Lui si massaggia lo zigomo violaceo e tenta un sorriso un po' sbilenco, ma ci scommetto che gli fa un male cane.
«Un po' me lo sono meritato, avrei dovuto bussare» sogghigna «Certo che hai un bel caratterino.»

È ancora mattino presto quando ci addentriamo nei paddock, ma i tecnici sono già all'opera.
«Oggi è un grande giorno, jolie. Ti ho riservato un posto in prima fila per assistere alla disfatta di Seneca» sghignazza mentre camminiamo affiancati «spero non ti dispiaccia.»
«Seneca da Rocha?» scandisco ogni lettera con attenzione, incredula.
Seneca è morto. Non può trattarsi di lui.
«Oui, lui-même. Ho intenzione di prendermi una bella rivincita, questa volta.»

«Frost» mi blocco, la voce che diventa all'improvviso seria, il respiro smorzato «ma di che diavolo stai parlando?»
Lui mi guarda con aria stranita, per un attimo sembra perplesso. «Parlo del grand prix di oggi pomeriggio, perché?»

Il gelo mi attraversa. Se questo Frost ha ventinove anni, vuol dire che mi trovo nel 1994 in questo momento e se questo è il Grand Prix di San Marino allora...
«Oh Merda!» mi sfugge.
Se siamo nel 1994, allora oggi è quel giorno.
Come ho fatto a non pensarci prima?
Non è il giovane Frost la chiave, ma Seneca!

Non aspetto una sua risposta, comincio solo a correre.
Le gente mi guarda, ma io non vedo nessuno, io penso solo a lui.
Seneca è qui. È ancora vivo. E se davvero non sono pazza, tantomeno morta, e questo è un tentativo della mia mente per farmi svegliare, ecco cosa devo fare.

Frost mi grida di aspettare, ma il tempo scorre troppo veloce e io non posso fermarmi a spiegare, devo impedire la morte del mio idolo.
Forse il modo migliore è trovare il capo meccanico e avvertirlo del problema al pistone dello sterzo, so che è questo che causerà l'incidente. Se riescono a controllarlo, possono sistemarlo. Non è troppo tardi.

«Jolie» ansima Frost alle mie spalle «Non puoi correre in giro così!»
Ignoro le sue proteste e cerco con lo sguardo qualcuno che abbia l'aria di un responsabile.
Ma non conosco nessuna di queste facce. Tutto sembra caotico, disorganizzato. Nessuno si muove seguendo uno schema sensato e le tute dei tecnici non riportano alcuna indicazione del loro ruolo.

«Caralho! Ancora tu? Come hai fatto a entrare qui?» una voce familiare mi fa voltare.
Lo riconosco subito. E come potrei non farlo quando per anni ho ammirato ogni foto sua sulla quale riuscivo a mettere le mani. Ho studiato il suo stile di guida nel dettaglio, sino a farlo diventare il mio. Ho ritagliato e conservato ogni articolo che parlava di lui, incollandoli sul mio diario. Perfino la mia camera era tappezzata di suoi poster.
Seneca. La Leggenda della Formula 1.

Lo fisso e sono a malapena in grado di respirare.
I suoi occhi ambrati, sottili e taglienti, sembrano quasi accusarmi mentre mi scrutano con disprezzo.
Le sopracciglia, scure e folte, sono aggrottate in un'espressione torva e feroce. E la sua bocca perfetta, color ciliegia, che tante volte ho fantasticato di baciare, è ora piegata in una smorfia distorta.
Seneca da Rocha, sì, proprio lui, mi guarda con la stessa ostilità con la quale si fissa un insetto dentro il proprio casco.
Anzi, mi correggo: ad un insetto avrebbe rivolto uno sguardo più accogliente.

Il suo sguardo gelido scivola poi alle mie spalle.
«Ma certo, era ovvio che ci fossi tu di mezzo, Frost» ride, con un sprezzo tale da farmi venire i brividi.
Non lo avevo mai visto comportarsi così.
Nelle interviste è sempre solare, divertente, al massimo un po' sarcastico. E non solo, c'è di peggio: questa voce... assomiglia a quella del maniaco di ieri sera. Ma non può essere lui quello stronzo. La mia mente sta facendo scherzi stupidi.

«Bonjour, Seneca. Ti sei svegliato con la luna storta questa mattina?» lo pungola Frost, con un tono che irriterebbe perfino a me.
«Frost, devi smetterla di portare le tue fan nei box. Soprattutto quelle fuori di testa»
Frost alza gli occhi al cielo, palesemente annoiato, ma Seneca continua. «Che poi, da quando te la fai con le bambine?» gli chiede, la bocca piegata in un sorrisetto cattivo.
Io rimango immobile, nel mezzo del conflitto, boccheggiando come una stupida.
Questo non è il Seneca che conosco io, che ho sempre ammirato e venerato.
Sembra un'altra persona. Un estraneo! Perché la mia mente sta proiettando un'immagine del genere?

Frost gli sorride con aria spocchiosa. «Non hai di meglio da fare, da Rocha? Se non erro ieri non hai partecipato alle qualifiche. Ti conviene iniziare a prepararti o rischi di perdere la pole» poi lo sorpassa con una spallata, proseguendo verso la monovolume che lo aspetta, già calda e pronta.

Seneca lo segue con lo sguardo, i pugni stretti lungo fianchi, poi mi lancia un'ultima occhiata carica di veleno «Vattene» sibila, prima di girarsi e incamminarsi verso la sua di vettura.
Ma non può andarsene. Se oggi gareggia, Seneca non ne uscirà vivo. E se Seneca muore potrei non risvegliarmi mai più.

«Aspetta» lo seguo con il cuore a mille, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a voltarsi verso di me «Non puoi correre, Seneca!»
«Ascolta, ragazzina: non so chi tu sia, o cosa tu voglia da me. Ma devi lasciarmi in pace, o ti faccio sbattere fuori» ringhia, strappando il braccio dalla mia presa.
«Non capisci!» alzo la voce e sento gli occhi inumidirsi «Se corri ora, per te è la fine.»

Il silenzio cala per un attimo tra di noi. Seneca mi guarda come se mi fosse spuntata una seconda testa. Frost, alle sue spalle, ha il volante tra le mani, mentre i tecnici controllano che le cinture di sicurezza siano fissate.
Gli altoparlanti annunciano l'apertura della pista.
Non ho più tempo.

... Continua ...

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