2. Into

30 aprile...

«Ho detto, che diavolo ci fai nella mia macchina?»
Un'ombra avanza nella mia direzione, con lentezza. Nell'oscurità non riesco a distinguere i suoi lineamenti, ma sono certa che i suoi occhi siano fissi su di me.

«Non posso crederci» la sua risata sprezzante mi colpisce come uno schiaffo «Sei un'altra di quelle fanatiche, vero? Complimenti, hai superato ogni limite. Stavi cercando cosa? Un souvenir?»
Mi punta il dito contro con una teatralità che, in circostanze diverse, troverei ridicola.
«Aspetta, di che parli?» balbetto, mentre cerco di capire cosa stia succedendo «Io... io non so nemmeno chi sei!»
Vorrei sprofondare nella macchina che, tra l'altro, non è mia. 

Lui si avvicina ancora, chinandosi su di me con aria minacciosa. «Tsk! Come se ci credessi.»
D'istinto indietreggio e il mio gomito colpisce qualcosa di duro. Il suono metallico rimbomba nel silenzio del box.
«Perché questo... questo coso è qui?» sbotto, indicando il cambio manuale a occhi sgranati.
Lui si ferma, incredulo. «Coso? Questo coso?» ripete, sottolineando la parola come fosse una bestemmia. «È un cambio manuale, genio. Dove pensavi che fosse?»

I suoi occhi mi inchiodano nell'abitacolo. Mi fissa come se fossi pazza e, per un istante, mi chiedo se io non lo sia davvero.
Tutto è sbagliato. Il box è troppo vecchio, troppo spartano. L'odore di carburante è più intenso del solito, sembra quasi che qualcuno abbia versato un intero barile nella stanza! Persino la macchina pare un pezzo da museo.

La mia mente è nel caos più totale. Prima sogno l'incidente, poi mi risveglio in un posto in cui non ricordo di essermi addormentata... niente ha senso! Forse sto ancora sognando?
Una nausea improvvisa mi travolge e mi sfugge un gemito.
«Oh no, non provarci nemmeno» la sua mano si muove veloce, tappandomi la bocca. È calda e ruvida, impregnata dell'olezzo di carburante.
Così è anche peggio!

«Non osare vomitare nella mia macchina» mi intima. Ma il suo odore è troppo intenso e devo sforzarmi per ingoiare la bile.
D'impulso lo lecco e lui sobbalza indietro, asciugandosi la mano sulla tuta con un'espressione disgustata. «Ma che schifo! Sei completamente fuori di testa!»
«E tu sei un maledetto maniaco!»
Colgo l'attimo di distrazione per sganciare il volante con un gesto rapido e scivolare fuori dall'abitacolo, per poi tentare di svignarmela.
Lui però è più rapido e mi afferra il polso prima che possa fare un singolo un passo.

«Dove credi di andare? Non ho finito con te» la sua voce è tagliente come un rasoio. «Sono stufo di voi fan invadenti. Cos'è, pensavi di raschiare un po' del mio sudore dal sedile per conservarlo in un barattolo? Pervertita».
Mi blocco un momento, incredula, prima di riprendere a strattonare il braccio. «Ma cosa stai farneticando, psicopatico. Mio padre ti farà licenziare!»
Ma chi si crede di essere, questo?
Con tutta la forza che ho, lo spingo contro la macchina. Lui barcolla, sorpreso, e io ne approfitto per scappare.

Fuori, l'aria è fredda e il circuito è avvolto nell'oscurità più nera. Non è rimasto nessuno.
Niente luci, niente rumore. Solo la luna getta una luce pallida sui porticati deserti.
Corro. Il suono dei miei passi rimbomba nel silenzio, mentre il cuore mi martella nel petto.
Ho bisogno di pensare, di respirare, di capire cosa diavolo sta succedendo.

«Dove sta correndo, mademoiselle
La voce mi blocca sul posto. È allegra e frizzante, quasi divertita. Ma anche incredibilmente familiare.
Appoggiato contro un muro c'è un uomo, il volto appena illuminato dalla brace della sigaretta che tiene tra le dita.
Il sottile odore di tabacco bruciato si mescola a quello del carburante che impregna i box e a uno più leggero, che conosco bene.
Mi scruta con un'espressione curiosa, ma rilassata, come se nulla al mondo potesse scuoterlo.

«Frost!» esclamo, lasciandomi andare a un'ondata di sollievo. Finalmente qualcuno di cui mi posso fidare, un volto amico in questo caos incomprensibile.
Gli corro incontro, pronta ad abbracciarlo.
Ma quando mi avvicino abbastanza da distinguerne il volto, sento la terra mancarmi sotto ai piedi.
Non riesco a credere ai miei occhi: devo avere le allucinazioni! Non può essere lui.
Il viso che mi guarda è quello di Frost, ma è... sbagliato. La mascella è più marcata e sbarbata, cosa inusuale. I capelli sono folti e dorati, senza neanche una striatura di cenere. Niente rughe intorno agli occhi, niente segni del tempo sul suo volto. Sembra una versione giovane dell'uomo che conosco. È come avere davanti una delle sue foto storiche, che ho guardato e riguardato nei giornali, ma con colori più vividi e, beh, in quattro dimensioni.

Rimango paralizzata. O sto sognando, oppure... Com'è possibile? Frost non ha figli!
Lui pare accorgersi della mia confusione e solleva un sopracciglio «Che c'è? Non mi dirai che ora fai la timida, eh? Di solito le ragazze come te si lanciano tra le mie braccia.»
Le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo.
«Ragazze... come me?» balbetto.
La versione giovane di zio Frost scrolla la testa, soffiando un filo di fumo dalla bocca che mi investe e mi fa tossire.
Sta fumando qui?! Ma è impazzito?
È pericoloso fumare nel circuito. Anzi, è vietato, e dovrebbe saperlo bene.

«Sei una fan, , n'est-ce pas? Dimmi, jolie mademoiselle, hai già una mia foto da firmare o vuoi che te ne dia una io?»
Il nomignolo familiare rotola fuori dalle sue labbra, ma è l'unica parte di quella frase ad avere un senso, per me.
«Ma che stai dicendo?» rispondo, sentendo il mio tono alzarsi di un'ottava. «Non sono una fan. E tu... Perché sei identico a Frost?»
Lui inclina la testa di lato con un cipiglio divertito. «Beh, perché lo sono. Alexìs Frost, l'unico e il solo».
Sto sognando. Sì, è chiaro. Oppure mi stanno facendo uno scherzo, e non è divertente.
Mi guardo attorno, ma no, siamo solo io e lui.

Lo studio meglio, sempre più confusa, e l'occhio mi cade sui particolari della sua tuta. Non è come quella che indosso io. Non è quella della scuderia McQueen Rc. O meglio, sì, ma una versione che sembra antica quanto papà. È pesante, grossolana. La stoffa è spessa e l'imbottitura nelle spalle e sul petto sembra essere lì più per decorazione che per protezione. E poi quel logo cucito sul fronte... Non riesco a credere ai miei occhi. Una marca di sigarette come sponsor?

«Tu... perché indossi una tuta?» chiedo, confusa.
«Perché sono un pilota, jolie» risponde con nonchalance. Come se fosse la cosa più naturale del mondo e io sia l'unica a non averlo ancora capito. «Però potrei farti la stessa domanda. Perché tu ne indossi una?» mi indica con la mano che regge la sigaretta, la cenere svolazza a terra mentre un sorrisetto danza sulle sue labbra. «È un modo singolare per attirare la mia attenzione.»
«Sono... sono una pilota» sussurro, incredula del doverglielo spiegare.
«Ma certo, jolie. Sei la promessa della Formula 1!» ridacchia. «I ragazzi ti hanno mandata per farmi uno scherzo?» borbotta poi, tornando per un momento serio. Il suo viso pare però incapace di mantenersi accigliato e, con un nuovo sorriso, aggiunge «Sei comunque gradita, bocconcino, credimi.»

«Tutto ciò non è divertente» sbotto, stringendomi le braccia attorno al corpo, come se questo fosse l'unico modo per non crollare a pezzi lì, sull'asfalto. «Forse sto sognando? Sì, deve essere così»
Lui scoppia a ridere, spegnendo la sigaretta con la punta dello stivaletto. «No, jolie. È proprio vero. Sono io, in carne e ossa. Se vuoi assicurartene posso darti un bacio. Se stai sognando, ti sveglierai come una splendida principessa. Altrimenti...»
Mi fissa con un sorriso malizioso, ma quando vede che il mio viso diventa sempre più pallido, la sua espressione cambia.
«Ehi, scherzavo. Respira, mademoiselle. Sembri sul punto di svenire. Da quant'è che non mangi? Forse hai un calo di pressione? Carenza di liquidi?»

Scuoto la testa, incapace di rispondere.
«Penso dovresti...» lo vedo lanciare uno sguardo alle mie spalle, nella direzione da cui stavo correndo.
Che il maniaco sia uscito per inseguirmi?
Non voglio controllare.
È tutto così assurdo, tutto così... irreale.
Dove sono? Cosa mi sta succedendo?
Se è un sogno, voglio svegliarmi.
«Ascolta, jolie, sto andando a mangiare proprio adesso. Ti va di farmi compagnia? La Motorhome della nostra scuderia è a due passi da qui e servono un'ottima cioccolata calda» mi chiede, la sua voce sembra più morbida adesso, gentile.

Tentenno. Non so se sia un bene seguirlo.
Ma cos'altro potrei fare, qui, da sola? Magari lui può aiutarmi, può trovare una spiegazione ragionevole o darmi le risposte che cerco.
D'impulso, prendo la mia decisione.
«Va bene, sì. Fammi strada.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top