4. Pónos
TW!
(Accenni ad aborto, - non del protagonista - morte di un personaggio. Possibile spoiler della terza stagione!)
🥀
«Ciao! Ehy, piccolino!»
Nell'entrare in casa, il calore confortevole dei termosifoni mi avvolse. Sospirai di sollievo, porgendo a Chifuyu il sacchetto che tenevo nella mano.
«Sio!»
Il bambino mi saltò addosso ancor prima che potessi sfilarmi il cappotto. Sentii le sue piccole manine stringermi le gambe, cercando di arrampicarsi per arrivarmi in braccio. Per un attimo, nel percepire le sue mani sulle pancia, mi pietrificai, impaurito.
Fu Sanzu a salvarmi dalla situazione.
«Ehy, piccolo Baji. Vieni a salutare anche zio Haru!»
Batté le mani, richiamando giocosamente l'attenzione del bambino e quello, sorridendo furbo, accorse. Mi lasciò il ventre e immediatamente, le mie mani corsero a stringerlo, come per assicurarmi che il piccolo fosse ancora lì, che non fosse scappato. Peccato, che anche a Chifuyu non fosse passato inosservato il mio gesto. Mi morsi il labbro, consapevole che quel segreto si era appena sciolto come zucchero, sotto lo sguardo azzurro dell'altro omega.
«Chifuyu…» provai a dire, ma lui mi interruppe.
«Sanzu, vai pure di là con il festeggiato» esclamò, sorridendo in direzione del figlio. Anch'io mi volsi a guardare. Haruchiyo stava tenendo in braccio il piccolo Mei, tutto ghignante, con il cappellino di buon compleanno in testa. Mi sfuggì un malinconico sorriso. «Io e Seishu ti raggiungiamo tra un po'.»
«Ma…»
Haruchiyo mi gettò un'occhiata preoccupata, cercando il mio consenso. Stranamente, negli ultimi tempi, stava particolarmente attento a quello che volevo e quello che avrebbe potuto darmi fastidio. Mi teneva per mano in mezzo alla strada, mi rimboccava le coperte, mi spostava i capelli dal viso se stavo guardando la tv e avevo le mani al coperto.
Temevo che fosse per quello che era avvenuto qualche giorno prima, quando ero scoppiato a piangere in doccia e lui aveva dovuto finirmi di lavare e mettere a letto. Non avevo spiccato parola quando dopo due ore che ero sotto la doccia, lui aveva iniziato a bussare e vedendo che non rispondevo né accennavo ad uscire, alla fine aveva aperto. Mi aveva trovato seduto sul pianale della doccia, tremante, con le mani rosse e gli occhi vuoti.
Dovevo averlo spaventato molto, perché aveva preso a tremare anche lui mentre mi aiutava e mi sistemava.
«Va tutto bene, Haru. Vi raggiungo.»
Gli sorrisi.
Non avevo motivo di trattenerlo, aveva già fatto così tanto, - molto più di quanto un amico fosse tenuto a fare - ma non accennava a stancarsi di me. Lui non si rassicurò, ma andò comunque in salotto.
Solo dopo che fummo certi ci avesse lasciati soli, Chifuyu mi prese per mano e mi condusse in bagno, dove probabilmente avremmo avuto più privacy.
«Che succede? Perché non ce l'hai detto?» mi chiese, con un cipiglio corrucciato in volto.
«Chifuyu…» cercai le parole giuste, ma lui continuò.
«Aspetti un bambino? E di chi è? Di Sanzu? Davvero… io non sono uno stronzo, Seishu, né voglio esserlo, ma lui è un ex tossicodipendente, non credo che questo possa fargli bene e che le responsabilità che ne deriveranno saranno troppe e probabilmente lui-»
«Chifuyu!» lo interruppi, con un piccolo sospiro. Lui si immobilizzò, come se si stesse rendendo conto di quello che aveva detto. Non mi pesava però, non avevo mai fatto caso ai commenti degli altri e sapevo che Chifuyu era solo preoccupato per me. «Sto bene. Io e… il bambino. E no, prima che ti venga una sincope, non è Haru il padre.»
«Haru? Chi diavolo è Sanzu per te, Seishu?» mormorò Chifuyu, gli occhi sbarrati.
Mi morsi il labbro, mi era sfuggito. A casa, a lavoro, al telefono, chiamavo così Haruchiyo, solo “Haru”. Mi ero preso quella confidenza e a Sanzu non sembrava affatto dar fastidio, perciò avevo continuato. Però, chiamarlo così davanti agli altri, sembrava terribilmente troppo.
Come se fossimo intimi.
«Un amico, che vuoi che sia, 'Fuyu?»
«Non chiamarmi così solo perché vuoi far sembrare il nomignolo che hai dato a lui, normale!»
«Ma è la verità! Io e Haru- Sanzu, siamo amici e basta.»
«Seishu…»
Il viso di Chifuyu si fece più serio, una ruga di concentrazione gli increspò la liscia fronte.
«Ho affrontato tre gravidanze, credi che non sappia cosa si prova? I tuoi occhi brillano, ma non… non puoi legarti a lui… Sanzu, Haruchiyo, ha segreti, tanti segreti e non li dice a nessuno. Fidarsi di lui è come lanciarsi nell'oceano e pregare che passerà qualche nave a salvarti. Capisci cosa sto cercando di dirti?»
Mi prese le mani tra le sue, gli occhi fissi nei miei, luccicarono. Sul suo viso parve esserci una scia di malinconia, come se sapesse bene cosa stava dicendo.
«Io… lo so questo.» biascicai. «Ma ti sto dicendo, e tu non mi ascolti, che non è di Sanzu questo bambino. Lui… lui sta solo cercando di aiutarmi, mi aiuta ad andare avanti, a non stare solo.»
«Dov'è il padre del bambino, Seishu?»
La sua domanda mi prese in contropiede. Non mi aspettavo una richiesta così diretta, perciò, ci misi un po' a rispondere. Istintivamente, la mano mi scivolò sulla pancia. Il ventre, ben nascosto dalla felpa oversize, cresceva ancora. Ormai, ero a sette mesi e provare ad occultare quello che avevo, pareva sempre più dispregiativo nei confronti del bambino.
«Seishu… voglio solo aiutarti. Mi dispiace, non voglio che tu ti senta oppresso da me. Sono tuo amico, sono… sono solo preoccupato per te.» mormorò, con tono dolce. Non c'era menzogna negli occhi di Chifuyu e lo capii dal modo in cui mi sorrideva.
Sospirai. Il peso che avevo sul petto pareva volermi uccidere.
«Sono al settimo mese.»
«Settimo? Dio Santo… hai fatto le ecografie?»
Annuii.
Mi ci aveva accompagnato Sanzu, mi aveva tenuto la mano, mi aveva asciugato le lacrime quando fuori dall'ambulatorio avevo avuto delle crisi così forti da far voltare la gente. Sanzu era buono con me, ma quando uscivo dall'ufficio della ginecologa, volevo, speravo, desideravo, che ci fosse Koko lì con me. Il padre di mio figlio, l'uomo che nonostante tutto il male che mi aveva fatto, volevo al mio fianco.
«È tutto apposto. Il bambino sta bene, prendo ottimo peso, riceve abbastanza nutrienti. Il medico dice che probabilmente sarà una femmina.»
Chifuyu mi rivolse un piccolo sorriso. Allungò esitante una mano, in prossimità della mia pancia e capii all'istante.
«Posso?» mi domandò, dolcemente.
«Sì.»
Gli presi la mano tra la mia e gliela avvicinai al mio ventre. Il bambino scalciava già. Ogni volta, sentivo il suo piedino battere contro il mio addome e la vescica pareva farsi più stretta.
Percepivo una strana sensazione quando si muoveva, come se mille bollicine mi frizzassero nella pancia. Intravidi il sorriso radioso che piegò le labbra di Chifuyu. Non aveva avuto delle gravidanze facili, il mio amico. Aveva avuto tre aborti spontanei, all'inizio, non riuscivano ad avere nulla. Ricordo che Chifuyu sembrava mostrarsi sempre forte in pubblico, ma Baji si diceva sempre più preoccupato delle volte in cui in piena notte, lo trovava in bagno, seduto sul water, con gli occhi rossi a fissare il bastoncino negativo.
Quando erano riusciti ad avere Mei, Chifuyu aveva iniziato a stare un po' meglio. Poi però, prima degli altri due, aveva avuto altri aborti, altre perdite, altri dolori. Avevo sempre pensato che avere un bambino fosse una cosa scontata, a volte, una costrizione quasi, ma ogni volta la storia di Baji e Chifuyu, mi faceva venire la pelle d'oca.
«Seishu… chi è il padre?»
«Chifuyu…»
Aprii le labbra.
Non volevo più mentire, non volevo più essere solo, non volevo essere incompreso. Volevo solo un po' d'amore, un consiglio, un abbraccio. Da chi prima di me ci era passato, tante e tante volte. Chifuyu avrebbe potuto aiutarmi, ne ero certo, eppure, le parole mi restarono intrappolate in gola. La porta si aprì e il rumore ci fece sobbalzare.
Chifuyu ritrasse velocemente la mano, io volsi lo sguardo in direzione dell'intruso.
Nel vederlo, il cuore smise di battere. Il respiro si congelò sulla mia stessa bocca, le mani mi tremarono.
«Scusate… torno dopo.»
Non riuscii a realizzare di averlo visto ancora. Lì, dopo più di un mese, sempre impeccabile, sempre perfetto. Non era a lui che cresceva la pancia e uscivano le smagliature, deformandola, non era lui che aveva la pelle più secca, le nausee fino a notte fonda, la vescica che scoppiava ogni due minuti. Lui mi era solo venuto dentro, nessuno sforzo, il minimo.
Improvvisamente, una rabbia nuova e distruttiva, mi aveva invaso. Diedi la colpa agli ormoni e distolsi lo sguardo; Koko con i suoi ciuffi neri inchiostro mi faceva innervosire.
«Tanto avevamo fatto.» sancii, senza guardarlo.
«No, è ok, scusami torno dopo, tanto non è urgente.»
«Ho detto che abbiamo fatto. Vai pure.»
Il mio tono adirato sorprese anche me. Non so perché gli risposi in quel modo, ma in quel momento, il solo sentire le sue scuse, le sue stupidissime scuse, mi irritò. La mano di Chifuyu si pose sul mio avambraccio. Sollevai lo sguardo e incontrai il suo. Sembrava chiedere se andasse tutto bene, ma non lo ascoltai.
«Scusate.» biascicai solo, poi li sorpassai entrambi.
Avevo una strana ansia attaccata addosso, e la voglia matta di fumare. Non che prima della gravidanza lo facessi, le uniche “sigarette” che mi concedeva erano quelle dopo il sesso con Koko, quelle che riempivano la stanza di fumo denso e facevano sembrare il soffitto una navicella. Attraversai il corridoio in punta di piedi, il vociare della sala arrivava fin lì, li ignorai, così come ignorai le risa dei bambini e quelle degli altri invitati, spensierati. Arrivai al balcone della cucina e uscii fuori.
Avrei dovuto prendere un cappotto, perché non appena l'aria gelida investì il mio corpo, quello si tese. Decisi di non farci caso mentre allungavo la mano in direzione del cestino delle mollette per stendere il bucato e giù, nel fondo, trovai il pacchetto di Winston di Baji. Sapevo che le nascondeva lì, lo avevo visto farlo varie volte, specie quando Chifuyu lo sgridava per il suo vizio. Non voleva che fumasse davanti ai bambini, perciò lui le nascondeva e ogni tanto si toglieva lo sfizio.
Ne sfilai una, la tenni tra indice e medio e utilizzai l'accendino accanto per accenderla.
Poi, me la portai alla bocca.
Non avrei dovuto farlo, il bambino che cresceva nel mio ventre si aspettava che fossi io il responsabile per lui e la sua salute, ma in quel momento, non ero affatto lucido, né tantomeno responsabile.
«Scusami amore, è che tuo padre è un coglione.» farfugliai al mio ventre.
Presi una boccata più decisa, assaporando il gusto amarognolo della nicotina sulla lingua. Cacciai un piccolo sospiro, i muscoli iniziarono a rilassarsi. Feci per riavvicinarmi il filtro alle labbra, ma improvvisamente, qualcuno me lo strappò di mano.
«Ma cosa…»
Mi volsi in direzione dello sconosciuto e ancora, il mio cuore balzò in gola come se fosse stato su una pentola e qualcuno lo avesse scosso.
Hajime, con addosso la sua bella giacca firmata, mi osservava, con la mia sigaretta accanto alle labbra e un cipiglio neutro in volto.
«Non dovresti fumare.» mi fece notare. Inarcai un sopracciglio, guardandolo male. «Non nelle condizioni in cui sei.»
Improvvisamente mi volsi in sua direzione e preso da una smania rabbiosa, lo guardai male.
«E tu che cazzo ne vuoi sapere delle condizioni in cui sono?»
Koko incassò il colpo senza ribattere. Lo vidi abbassare il capo, quasi come se la mia più che una considerazione fosse stata una sentenza di colpa.
Non tornai a scrutarlo. Mi voltai e osservai il panorama della città quasi addormentata.
Quando poi, Koko parlò, lo percepii a pena, come se stesse ponderato apposta la voce per paura che qualcuno potesse sentirlo e sgridarlo per ciò che stava osando dire.
«Io… so di aver sbagliato con te, Inui. Non credo affatto di essere nel giusto, ho fatto tante cazzate nel corso degli anni, ti ho fatto del male. Ma capiscimi, io… noi, avevamo appena perso Akane e dopo… dopo il suo incidente, nulla pareva essere lo stesso.» mormorò, poi stette zitto. Vedendo che però, io non accennavo a parlare, continuò. «Ho fatto le mie scelte sbagliate, lo so. Non ti ho mai dato nulla, non ti ho mai fatto sentire speciale, non ti ho mai chiesto nient'altro se non il sesso, ma puoi biasimarmi, Seishu? Sai anche tu che amavo Akane.»
Chiusi gli occhi, le mani aggrappate alla ringhiera e il freddo che iniziava a serpeggiarmi lungo le ossa.
«Non usare il passato.» lo corressi.
«Cosa?»
«Non usare il passato quando parli di lei. Non è amavi, è ami. O sbaglio?»
«Seishu…»
«Seishu un cazzo!»
Tornai a guardarlo. Il suo volto era una maschera di pietra, anche se, negli spiragli che le mie risposte secche avevano rotto, riuscivo a scorgere il suo dolore. Però, quella sera non mi bastava, volevo di più, volevo vederlo stare male e fargli male tanto quanto lui ne aveva fatto a me.
«Tu non hai mai smesso di amare Akane. Perfino al suo funerale, quando tutti piangevano, quando io piangevo» mi battei gli indici sul petto, gli occhi che si facevano lucidi e le mani tremanti. «Mentre io piangevo, tu invece di consolarmi, te ne stavi seduto in un angolo, a guardare. Sei arrivato gli ultimi cinque minuti, ubriaco perso, barcollavi. Ed io, io ti ho dovuto portare a casa, spalla a spalla, mentre piangevi e biascicavi che la amavi, la amavi da morire e che-»
Non riuscii a finire la frase. La mia voce si ruppe in un singhiozzo. Un gemito alto e frastagliato che distrusse le barriere che mi ero imposto.
Hajime provò ad avvicinarsi, lo vidi, tra le lacrime, allungare le braccia in mia direzione, ma non gli permisi di toccarmi. Mi ritrassi, schifato.
Le parole che avevo ancora in gola, continuavano a risuonare nella mia testa.
Che avresti preferito che fossi morto io al posto di lei.
«Seishu… tesoro mio, per favore…»
«Non chiamarmi così! Non sono mai stato il tuo tesoro!»
«Seishu, non dire così…»
«E cosa dovrei dire? Eh? Che cosa Hajime? Dimmelo, ed io come la brava puttana che sono stato, lo ripeterò. Tanto soddisfarti in una o due cose fa lo stesso, no? Sono stato così bravo da ritrovarmi in questa situazione, pensa tu!» esclamai, con un ghigno nervoso.
«Seishu!»
Il suo tono mi riportò alla realtà. Lo guardai ancora, con gli occhi vitrei e arrossati, sia dal freddo che dalle lacrime, e un po' morii. Io lo amavo quell'uomo, lo amavo così tanto che mi ero ridotto in quello stato pietoso solo per lui.
«Seishu, non piangere, ti prego.» sussurrò, ignorò i miei tentativi di schivarlo e mi si accostò lo stesso. Il suo profumo aromatico arrivò dritto alle mie narici. Lo respirai ostinatamente, socchiudendo gli occhi, malinconico.
Non mi chiese il permesso.
Mi strinse a sé con un braccio, come era solito fare quando voleva consolarmi ma non sapeva come fare, come faceva quando dopo il sesso mi vedeva piangere e voleva farmi smettere. Non ho mai capito il perché, ma quando piangevo, Koko non smetteva di trovare un modo per farmi smettere. All'inizio pensavo che fosse perché non sopportava il mio pianto, i singhiozzi, la sofferenza, poi avevo iniziato a pensare che fosse per qualcosa in più.
Non sapevo cosa, ma forse era così.
Singhiozzai sulla sua spalla, stringendo il tessuto liscio della sua camicia contro i pugni, strattonandolo più vicino a me; come se con quella presa avrei potuto evitare che mi lasciasse per sempre.
La mano che teneva la cicca, si mosse. Spense la sigaretta e la lanciò giù, evitai di fargli notare che era inquinamento e che era un cafone. Dimenticai di essere arrabbiato con lui quando mi respirò vicino ai capelli e fece passare la mano libera sul mio ventre. Al contrario di quello che mi ero aspettato, il mio corpo, il mio omega, non si oppose a lui. Lo voleva.
Voleva il padre del mio bambino.
«Allora… a quanti mesi sei?» mi sussurrò, il tono dolce, quello che usava quando avevo la febbre e lui mi sfiorava la fronte per sentirmi la temperatura.
«S-sette.»
La sua mano, nonostante fosse immobile, era attraversata da piccoli fremiti.
«Sai già se è un maschio o una…»
«Femmina.» mormorai, la voce stanca. «È una femmina.»
«Oh.»
Nel percepire quella piccola inclinazione nel suo tono, sollevai lo sguardo.
«Dicevi di aver sempre voluto una figlia femmina.» mi sfuggì dalle labbra prima ancora che potessi rifletterci.
Lo vidi sbarrare gli occhi, poi aggrottarli e cercare di captare quello che avevo appena spifferato.
«Cosa? Che intendi dire, Seishu?»
Sorrisi. Tristemente perché nonostante tutto, restava quel ragazzo ottuso che teneva più al denaro che alle persone. Più alla carne che ai sentimenti e certe cose, non le afferrava mai.
Neppure se gliele sbattevano in faccia.
«Nulla, scusa.»
«Seishu…»
Mi prese per mano. Il suo palmo era gelido come se qualcuno lo avesse costretto a tenere in mano un cubetto di ghiaccio fino a farlo sciogliere. Ci guardammo, con gli occhi affamati, con i cuori furiosi e per un po', non ci fu più nessun altro. Né l'odio, né il dolore, né gli altri nostri amici.
Solo noi, la terrazza, il freddo. E desiderai così tanto, salire sulle punte, sbilanciarmi in avanti e baciare Hajime sulle labbra.
«Ho lasciato Alicia, la sera stessa in cui ti ho visto con Sanzu.» mi disse, serio.
«E perché?»
Non rispose mai alla mia domanda. A interrompere quel frangente di anime, fu Haruchiyo. Lo vidi spuntare attraverso la porta finestra e immediatamente mi separai da Hajime. Quando gli lasciai andare la mano, lui emise un gemito di fastidio.
«Seishu, sei qui.» mormorò, raggiungendoci. Non guardò neppure Koko.
Nel vedermi, i suoi occhi si sbarrarono e si fece più vicino a me. Mi passò una mano sulla guancia e il suo calore mi fece tremare.
«Seishu ma sei congelato! Aspetta…» iniziò a sfilarsi la giacca, stava per mettermela sulle spalle quando Koko lo precedette. Mi tirò accanto a sé con una piccola presa e mi pose la sua giacca sulle spalle.
Il suo profumo parve avvolgermi più del cottone.
«È ok. Ci penso io a lui.» asserì, una nota dispregiativo nel rivolgersi a Sanzu.
Haruchiyo, le mani sospese a mezz'aria, lo scrutò con uno strano cipiglio. Per un po', credetti che gli avrebbe alzato le mani, che lo avrebbe provocato e deriso, ma Sanzu non fece nulla. Si voltò in mia direzione, sorrise e mi chiese:
«Ti va di rientrare, tesoro? Stiamo per spegnere le candeline.»
Ed io, avrei tanto voluto avere abbastanza coraggio da sbattere la verità in faccia a Koko e mostrargli il mio cuore lacerato, ma non ne avevo. Non ero mai stato coraggioso, così ricambiai il sorriso di Haruchiyo e mi mossi. Mi allontanai da Koko, scelsi la sicurezza e il calore che le mani di Sanzu mi avrebbero dato.
«Certo.»
Haruchiyo mi prese per mano. Ci voltammo e lui aprì la porta finestra. Mentre rientravamo, mi girai a guardare Hajime. Mi osservava come si osserva qualcosa di irraggiungibile.
Come si osserva qualcosa di odiato, o amato. Troppo.
🥀
Spazio autrice:
Piccoli frangenti. Devo dire che non sono abituata a scrivere capitoli così brevi e quindi, li sento un po' incompleti, ma penso vada bene così. Fare troppo a volte blocca del tutto e se Inui può insegnarci qualcosa, è proprio di fare "un po' per volta", perciò, ecco qui! Che ne pensate?
Vi aspetto nei commenti❤️
-Lilla
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top