Capitolo 1 pt 1
UN SOGNO PARTICOLARMENTE VIVIDO
Mi ritrovai nel mezzo di un talmente lungo da non riuscirne a scorgere le due estremità. Le pareti di nuda roccia erano illuminate solamente dal raggio di luce bianca proveniente dalla mia torcia elettrica.
Ero confusa, non riuscivo a ricordare nulla.
Nulla eccetto il mio nome e il fatto che dovevo portare a termine la mia missione, trovare un oggetto, non ricordavo altro, né cosa fosse né il motivo per cui dovevo cercarlo.
Ero impaziente di agire, quindi decisi di incamminarmi.
Non sapevo quale direzione prendere, ammesso che ce ne fosse una giusta, ma, ad un certo punto, sentii una leggera brezza accarezzarmi il collo e scompigliarmi i capelli facendo svolazzare la gonna della mia camicia da notte a righe. Camicia da notte? Cosa ci facevo nel mezzo di un corridoio buio e sconosciuto in camicia da notte?
Pensando da qualche parte ci doveva essere un'apertura dalla quale il vento era arrivato, decisi di avviarmi in quella direzione, nella speranza di trovare un'uscita.
Da qualche minuto, però, avvertivo questa sensazione come se qualcuno mi stesse seguendo, che mi innervosiva. Mentre camminavo continuavo a voltarmi ma non vedevo mai nessuno. Era davvero fastidioso.
Guidata dall'ansia, mi misi a correre.
Cercai delle distrazioni per tranquillizzarmi e iniziai a pensare.
Cosa stavo cercando? Non ne avevo la minima idea e quindi perché era così importante riuscire a trovarlo?
Non ebbi neanche il tempo di rifletterci su che ritornai subito con i piedi per terra o dovrei dire con la faccia per terra: ero appena inciampata.
Mentre mi rialzavo constatai di essermi sbucciata i palmi delle mani. Bruciavano davvero molto, ma, purtroppo, non potevo fermarmi se non volevo che qualsiasi cosa mi stesse seguendo mi raggiungesse.
Per l'ennesima volta mi voltai a controllare e scorsi, come un guizzo, due fessure che brillavano di un intensa luce blu, fu solo una frazione di secondo e pensai che fosse stata un'allucinazione dettata dallo sforzo che stavo facendo, ma riuscì comunque a spaventarmi.
Accelerai, e, quando pensavo sarei crollata intravidi uno spiraglio di luce, la fine del tunnel.
Da dietro di me udii un rantolo lungo e profondo.
Ormai le mie gambe stavano per cedere, ma il pensiero di quell'essere che mi seguiva mi dava la forza di continuare a correre. La luce continuava ad ingrandirsi, c'ero quasi.
Un ultimo sforzo, pensai.
Stavo per soccombere alla stanchezza, il cuore mi batteva all'impazzata, i palmi delle mani erano tutti sudati e insanguinati, avevo il respiro mozzato e sentivo il fiato, della creatura sul collo.
La luce aveva raggiunto le dimensioni di una porta, era solo a pochi metri di distanza, e sapevo che una volta superata sarei stata al sicuro.
Ma ormai, la creatura, mi aveva raggiunto. Non avevo il coraggio di voltarmi, lo sentivo, sentivo la sua presenza a pochi centimetri dietro di me.
C'erano solo due metri di distanza tra me e la salvezza. La mano della creatura mi sfiorò l'orlo della gonna, ma io, non so come, usai le mie ultime forze e feci uno sprint finale.
Solo più un metro.
Con orrore constatai che la mia via d'uscita si stava pian piano richiudendo e, a quel punto, saltai.
La porta si richiuse con un tonfo alle mie spalle e sentì l'urlo frustrato della creatura. Mi gettai sul pavimento di marmo per riprendere fiato.
Dopo un paio di minuti i miei occhi, che erano stati immersi nella quasi completa oscurità per diverso tempo, si abituarono alla luce.
Mi trovavo in una sala lunga e stretta, le pareti erano completamente ricoperte da enormi affreschi di mappe e il soffitto era anch'esso decorato con molti dipinti. Ogni tanto qualche finestrella sbucava in mezzo a tutti quei colori.
Un signore si avvicinò a me e mi disse qualcosa in una lingua che non capii e mi aiutò a rialzarmi. Ringraziai con un cenno del capo.
Intorno a me era pieno di turisti con il naso all'insù e la bocca spalancata.
Un gruppo mi spintonò e io andai a finire per terra, di nuovo. Per poco non sbattei la testa contro un piedistallo di marmo. Mentre mi rialzavo sentii come un sibilo, un sussurro che sovrastava il brusio delle centinaia di persone nella stanza. Non riuscivo a distinguere le parole ma capii la direzione da cui proveniva. Le mie gambe iniziarono a muoversi da sole come sapessero dove andare. I suoni erano tutti attutiti. Ero come in uno stato di trance. Mentre camminavo lentamente, sfioravo con le dita i piedistalli, su alcuni erano poggiati dei busti e su altri delle anfore. Poi, quando ne raggiunsi uno con sopra un pugnale capii di avere trovato quello che stavo cercando.
Il pugnale aveva la lama ricurva sulla quale la luce creava dei piccoli arcobaleni. Sembrava nuovo, non aveva nessun segno di usura o di ruggine. Ero consapevole del fatto che nei musei è proibito toccare gli oggetti esposti, ma quel pugnale mi attirava come una calamita con il ferro.
Senza alcun preavviso e senza che io ne avessi il controllo, le mie mani gli si avvicinarono e lo afferrarono. Non appena lo toccai scattò l'allarme di sicurezza ma io quasi non lo sentivo, ero troppo presa dalla contemplazione della lama. Quando la mia pelle era entrata in contatto con il pugnale avevo sentito una lieve scossa percorrermi il braccio, come quando, dopo aver tolto un maglione di lana tocchi un'altra persona, raggiungere il mio petto e stabilirsi lì. Piano piano era diventato un qualcosa di più, una sensazione, magnifica ed elettrizzante ma allo stesso tempo terrificante, una sensazione di potere come se fossi stata in grado di governare il mondo, un'emozione che non avevo mai provato prima.
Ovviamente appena l'allarme era scattato erano arrivate le guardie. Erano in due, uno sembrava uno scimpanzé, le spalle larghe e la testa piccola, mentre l'altro era alto e allampanato con degli occhi a palla che sembravano uscire dalle orbite, entrambi con un l'auricolare all'orecchio.
Sembravano un duo comico: "il Gigante e il Palo". Il Gigante borbottò qualcosa in quella strana lingua e poi, vedendo che non capivo, parlò in inglese:
«Ragazzina! Cosa credi di fare? È proibito toccare i reperti nei musei, lo sai?» fece puntandomi un dito contro in fare minaccioso.
«Mettilo immediatamente giù o saremo costretti a chiamare i tuoi genitori» gli fece eco il Palo. Senza rispondere mi misi a correre.
Avevo una missione da portare a termine, dovevo riuscire a scappare con il pugnale. Vedendo che non intendevo fermarmi mi corsero incontro.
Facendo una deviazione all'ultimo secondo, e buttando in terra un signore lì vicino, seminai il Gigante che era stato bloccato dalla folla, mentre il secondo, quello magro, riuscì a sgusciare via da quella marmaglia di curiosi che erano subito accorsi a vedere cosa stesse succedendo. Passai per diverse sale e corridoi, attraversai il giardino e arrivai all'uscita. Proprio mentre stavo sorpassando una signora, che appena mi vide urlò, sentii una voce gridare il mio nome. Subito pensai fosse quella del custode che mi intimava di fermarmi, ma lui non conosceva il mio nome.
Mi aveva quasi raggiunta, quando altre due guardie sbucarono da dietro l'angolo. Ero circondata. A quel punto sentii una nuova scossa percorrermi il braccio e la mia vista, in un qualche strano modo, si fece più acuta. E anche il mio udito.
Entrando nel negozio di souvenir notai che le cassiere erano tutte impegnate, almeno loro non mi avrebbero inseguito. Passai tra le sbarre antitaccheggio e arrivai in un altro giardino. L'unica via d'uscita era la porta delle mura che, però, si stava già chiudendo. Probabilmente dovevano averlo fatto per fermarmi. Rimaneva solo uno spazio minuscolo in cui sarei potuta passare solo se fossi arrivata in quel momento.
Corsi come avevo fatto nel corridoio ma sta volta andai più veloce come se il pugnale mi rendesse più agile, più... più tutto. Potenziava tutte le mie abilità.
Senza neanche rendermene conto mi ritrovai dall'altra parte della porte. Wow! Avevo appena percorso circa trenta metri in neanche un secondo...
Mi voltai e notai che tutte le guardie si guardavano attorno spaesate chiedendosi dove fossi finita. Mi allontanai dalle mura e attraversai la strada. Mi voltai e capii dove mi trovavo. Avevo visto quel paesaggio almeno un milione di volte nelle foto del matrimonio dei miei genitori, ero a Roma.
"Christine!" ancora quella voce, non veniva da una direzione in particolare, sembrava come dispersa nell'aria. "Christine! Christine!" provai in vano a tapparmi le orecchie come potesse servire a qualcosa. Alla fine mi sedetti sul marcia piede, mi stava per scoppiare la testa. "Christine!" il mondo cominciò a girare, vidi tutto sfuocato e le figure delle persone intorno a me distorcersi.
Poi tutto sparì, solo io e il buio, ero tornata nel corridoio di prima. Il pavimento cedette e io iniziai a cadere nel vuoto urlando.
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