Reminiscenze - Uno sguardo sull'ombra

Eton, marzo 1953

La luce quel giorno era particolarmente strana. In un inusuale connubio, un sole caldo e forte si trovava a contendersi il cielo con una coltre di nuvole piuttosto compatta, scura e minacciosa, che già nelle ore precedenti l'alba aveva tentato di assaltare la città di Eton con una perturbazione violenta. La pioggia si era arrestata poco prima che il buio si dileguasse, ma le nuvole erano rimaste, e ora cozzavano con la calda luce della stella, ormai poco oltre lo zenit, creando un contrasto tra la sfumatura aranciata di quest'ultima e il plumbeo che gli stereotipi del continente attribuivano non a torto ai paesaggi dell'intera Gran Bretagna.

Era sotto questo scontro di caldo e freddo che Ilyan Davtyan correva a perdifiato, sfrecciando nel cortile dell'antica scuola col riso sulle labbra e la costante paura di scivolare sull'erba bagnata e ruzzolarvi, sporcando la divisa e soprattutto l'odiosissimo Eton collar, attirandosi le ire dei supervisori del dormitorio e dei docenti che avrebbe affrontato nel pomeriggio.

Non era il caso, proprio quel giorno, di rovinare l'atmosfera perfetta che un eccellente voto nell'esame più difficile dell'intero anno -probabilmente, temeva quella prova di algebra più degli esami finali che, in qualche mese, l'avrebbero condotto al diploma- gli aveva riservato. Proprio pieno del brio derivante dall'esito del test Ilyan e il suo migliore amico, Sebastian Bowels, stavano sfrecciando come meteore in direzione del refettorio, dove si sarebbero come sempre contesi una porzione in più di dolce, quella che gli avrebbe lasciato con piacere Louis Singer, cugino per parte di madre del giovane Ilyan, cui era invisa ogni cosa avesse un vago sapore zuccherato.

Louis lo trovarono seduto compostamente su una panchina nei dintorni della cappella dell'istituto. Non era raro trovare il ragazzo, coetaneo di Ilyan ma di carattere ben più chiuso, intento a leggere un libro o un quotidiano nei pressi dell'edificio di culto, ove era il primo ad arrivare e l'ultimo a uscire per le funzioni del fine settimana.

-Se continuate a scapicollarvi così finirete a rotolare per terra, e non sarà un bello spettacolo- li riprese senza nemmeno schiodare gli occhi dal giornale che stava leggendo quel lunedì.

- Non c'è pericolo che possa farmi paura oggi, cugino - replicò ansimante Ilyan, sedendosi stanco accanto a lui sulla panchina. Sebastian lo imitò. -Quel dannatissimo Russell mi ha dato il massimo dei voti, la mia media è salva e anche il mio collo!

Sebastian rise ed espresse la medesima gioia. Ilyan aveva una sola macchia su un curriculum eccellente, e quella macchia era perennemente causata da Arnold Russell, temuto docente di algebra e geometria, che sembrava aver preso il ragazzo dai ribelli riccioli scuri in profonda antipatia. Quanto a Sebastian Bowels, che arrancava in più d'una materia, non erano i sentimenti del professore il problema, ma dopo averlo spedito a ripetizioni a ritmi serrati per tutte le vacanze invernali, anche i suoi genitori sarebbero stati lieti di quella notizia.

-Sarà, ma perlomeno evitate di far chiasso se volete correre attorno a me- li liquidò di nuovo Louis.

-E dai, diamine, potresti almeno mostrare un po' di contentezza, per una volta che vinco la mia più grossa difficoltà- si lamentò Ilyan.

I capelli biondi del cugino, talmente sottili e delicati da sembrare che gli fossero stati dipinti addosso col più fine dei pennelli da un artista rinascimentale, ondeggiarono a una lieve brezza di fine inverno. Louis aveva un cappotto, ma non avrebbe rabbrividito comunque: era algido, impassibile e il freddo non l'aveva mai turbato.

-Sto cercando di documentarmi su ciò che accade nel mondo, se non l'hai notato, e sono già indietro di una settimana, quindi vorrei evitare altri ritardi...

Ilyan sbuffò, lasciando il cugino all'attività senza altre insistenze e richiamando Sebastian per andare in refettorio.
Mentre andavano via, notò il volto di Louis incupirsi mentre prendeva il secondo quotidiano dalla pila ordinatamente posta nella cartella.
Scrollò le spalle e si disse che avrebbe scoperto il perché quella sera, dopo le lezioni, quando gli avrebbe prestato i giornali. 

La giornata trascorse in fretta e le ultime lezioni, prive di verifiche o interrogazioni, sembrarono volare per il giovane studioso. Al rientro al proprio alloggio, Ilyan si sistemò comodamente su una delle poltrone della sala comune, in attesa del cugino, beandosi del tepore del caminetto di fronte a sé. Per una strana ma fortunata coincidenza -non era stata fatta alcuna richiesta in tal senso e Ilyan non era nemmeno certo che fosse possibile farne una- i due parenti erano entrambi stati assegnati alla Keate House, dove risiedevano come Oppidans, studenti che versavano rette complete pur di ricevere un'istruzione a Eton. Per fortuna il denaro non mancava in casa Davtyan, il cui capofamiglia ci aveva sempre tenuto a garantire ai propri eredi la miglior istruzione. Se glielo avessero permesso, il professor Daron avrebbe spedito a Eton perfino la sua unica figlia femmina. Ma non essendo concesso l'ingresso a Eton ad alcuna donna, Lori, sorella minore di Ilyan, aveva dovuto "accontentarsi" di una prestigiosa istituzione femminile nel Kent.

Nella sala comune, Louis non tardò a entrare con l'aria di chi fremeva di discutere in maniera accesa e impegnata con qualcuno di sveglio. Lui, così posato e impassibile, pareva quella sera una molla sul punto di scattare. Si sistemò accanto al cugino, sottobraccio aveva tutti e sette i quotidiani. A giudicare dall'aspetto spiegazzato e rovinato delle estremità delle pagine, non erano stati risparmiati dalla pioggia, che finalmente, verso le cinque, aveva avuto la meglio sul sole.

-Ehi, me li presti, quindi?- chiese Ilyan alludendo ai giornali.

-Non indovinerai mai cosa ho letto, cugino- replicò Louis. Gli occhi azzurro pallido, ereditati dal padre, riflettevano in modo febbricitante la fiamma del caminetto.

-Beh, di certo no, se fai ancora il misterioso e non me li dai. Su, allungami il primo.

Aida, madre di Louis e sorella di quella di Ilyan, ogni settimana impacchettava sette quotidiani da spedire a Eton in modo che figlio e nipote potessero tenersi sempre informati sulla vita fuori dalle mura della prestigiosa scuola. Non che i due studenti non potessero usufruire della radio, soprattutto in sala comune, ma le pagine di un giornale erano sempre disponibili, potevano godersele in silenzio e tornare a consultarle se necessario. Inoltre, non di rado la radio veniva monopolizzata da altri compagni, compagni che spesso avevano molta meno voglia di parlare di politica internazionale di quanta ne avessero loro. O forse, si diceva a volte, semplicemente era tanto preso dalla politica da spaventare perfino chi aveva un genuino interesse, atterrendo possibili interlocutori con la foga con cui si documentava e ne discuteva. Ad ogni modo, la dannata prova di matematica dello scorso venerdì l'aveva costretto a murarsi vivo in biblioteca, non badando a niente se non a equazioni e funzioni, per cui, con suo gran dispiacere, aveva perso diversi giorni di cronaca.

La sola pecca del sistema messo in atto da sua zia, inoltre, era che per sapere cosa era successo in un dato giorno a Ilyan e Louis toccasse attendere l'inizio della settimana successiva. Per queste ragioni, era la sera di lunedì undici marzo 1953, quando il giovane Davtyan apprese i dettagli della morte di Iosif Stalin nella dacia di Kuntsevo. In meno di un secondo, facendo scorrere i profondi occhi neri sulle righe d'inchiostro, con cui condividevano il colore, capì lo stato d'animo del cugino.

-Il mondo sarà difficilmente lo stesso- mormorò a mezza voce.

-Tu che pensi? - domandò Louis. -Cosa accadrà ora?

Ilyan socchiuse le palpebre. Avvertiva le lingue delle fiammelle, sempre più esili, proiettargli sul volto lievi ondate di calore. Per quanto fossero diversi, lui e Louis avevano lo stesso sangue, le stesse origini e, sebbene Aida avesse sposato qualcuno fuori dalla loro comunità di origine, avevano ricevuto lo stesso livello di educazione. Erano abituati a quelle congetture fin da quando avevano appreso abbastanza nozioni storiche da ricollegare il passato remoto agli ultimi orrori di quello che fino a otto anni fa era stato il presente. Per certi versi era quasi un gioco cui avevano iniziato a giocare quando bambini non lo erano più da un pezzo.

-Una massa di avvoltoi si sta probabilmente già contendendo il suo scranno. "Papà Stalin" si sarà fatto venerare e magari parte dei cittadini ci sarà anche caduta, ma non dubito che chi gli stava davvero vicino non aspettasse altro che questo momento per provare a occuparne il posto. 

-Sono d'accordo con te, cugino. Ma mi chiedo chi la spunterà.

-Bisognerà attendere qualche settimana, forse anche mesi per scoprirlo. Non credo che puntare su qualcuno adesso sia saggio né vantaggioso. Inoltre, ci arrivano solo alcune notizie dall'Unione Sovietica. 

-Accedere alla stampa del luogo sarebbe di certo un grande aiuto - sospirò lo studente dai capelli biondi.

Ma Ilyan, per quanto avesse appreso con un precettore un russo abbastanza fluente, non aveva, naturalmente, accesso a quei giornali. Trascorse quindi le settimane che lo separavano dalle vacanze pasquali in fermento, cercando nelle pagine di quelli cui aveva accesso ogni scampolo che potesse dargli notizie più concrete sul destino del governo russo.

Tornare nella casa di Londra, per il ragazzo, fu un sollievo immenso quell'anno. Finalmente, oltre al riposo, avrebbe cercato di ottenere anche delle informazioni. Non appena ebbe sistemato i bagagli, corse trepidante nello studio del padre, laddove Daron Davtyan, dopo essere tornato a casa con lui dalla stazione di King's Cross, stava probabilmente preparando le prossime lezioni per la fine del semestre. L'uomo, i cui capelli sale e pepe erano spesso per Ilyan una sorta di inquietante premonizione sul proprio futuro, aveva la fronte corrugata su un libro di storia naturale.

-Papà, spero di non disturbare- mormorò a mo' di scusa dopo aver bussato e mosso leggermente l'anta della porta per far capolino nella sala dalle pareti tappezzate di tomi.

-Non disturbi mai, Ilyan, ma entra, per l'amor del cielo. Hai ancora il vizio di dondolare sulla soglia delle stanze?

Lo studente obbedì e si sedette sulla sedia di fronte al genitore.

-Sono venuto a chiederti cosa pensi delle ultime novità. O meglio, non sono proprio le "ultime", ma sai com'è, in collegio ho poco modo di...

-Ho capito a cosa ti riferisci. 

-Hai qualche altro dettaglio?

Con quella domanda, Ilyan aveva rivelato lo scopo tacito di quella visita. Perché, se amava parlare con suo padre di attualità, conversare con il professore aveva anche un altro risvolto, per lui. Da molto, ormai, anche senza rivelarlo esplicitamente, Daron aveva smesso di nascondere al figlio che la comunità di cui facevano parte - una comunità orgogliosa della storia che vantava, essendo arrivata in Inghilterra quattro secoli prima ed essendo divenuta negli anni piena di membri di spicco della società- non si limitava a crogiolarsi nel proprio prestigio.

Decenni prima, quando Daron stesso non era che un ragazzino, anch'egli in procinto di frequentare Eton, una catastrofe aveva lacerato l'Europa, la quale aveva trascinato con sé ogni territorio assoggettato ai suoi Stati. In quegli stessi anni, a Est, il sangue di Daron, di Ilyan, di Lori, di Aida e di tutti i loro familiari aveva gridato aiuto, un grido rimasto inascoltato da molti e che aveva riecheggiato nelle orecchie della famiglia come e peggio di quelli causati dal primo conflitto mondiale. Fin da quegli anni, chiunque aveva potuto mettere il lustro e il denaro accumulati in decenni l'aveva fatto. Altri, oltre alle risorse economiche, avevano cercato di dare un contributo più concreto a quella causa. Non di rado, negli anni passati, chi poteva aveva tentato di insinuarsi nei dedali della politica per dare a quest'ultima una certa direzione. Le famiglie armene più prestigiose d'Inghilterra avevano effettuato numerosi tentativi in tal senso, cercando di scampare a un ripetersi di quelle tragedie.

Avevano fallito, ma non erano stati i soli, e probabilmente, visto che erano riusciti a interfacciarsi solo con esponenti della politica locale, i membri di quelle famiglie erano giustificati più di quanto lo fosse la poco compianta Società delle Nazioni. La frammentazione fra Occidente e Russia, oltretutto, non aveva aiutato la causa. La guerra aveva imperversato nuovamente in Europa, e Ilyan ringraziava di averne pochi ricordi e di essere stato appena un bambino all'epoca. Ma in quel contesto, il fatto che il blocco sovietico e gli Stati Uniti e i loro alleati fossero stati costretti a interagire per un fine comune aveva dato anche ad altri l'occasione di entrare in contatto fra loro.

Dalle ceneri della guerra, aveva preso vita qualcosa di buono, per una volta. E così, l'insieme di preziosi contatti umani generatasi nel corso del conflitto contro il nazifascismo non si era estinto con la fine delle ostilità, anzi: proprio per evitarne di altre, si era costruita finalmente una rete più solida ed estesa che lavorasse a quello scopo.
Daron era uno dei principali membri di tale rete, ovviamente, con la massima discrezione. Ma le informazioni, se si facevano le cose per bene, sapevano viaggiare molto discretamente. E così, con quelle allusioni, Ilyan si permise di chiedere col massimo garbo se il professore di storia naturale avesse qualche dato che poteva essere comunicato solo in forma orale, e se volesse condividerlo con suo figlio.

-Come al solito non perdi tempo- affermò quasi divertito l'uomo.

-Sento che le cose stanno per cambiare e non so se questo presentimento sia buono o meno.

-Il mondo è una massa in perenne mutamento, Ilyan, le cose cambiano di continuo. Devi imparare ad abituartici, per quanto non lo apprezzi.

Ilyan strinse i pugni sul pantalone. Suo padre aveva ragione, ma in quel momento gli riusciva poco di raggiungere quell'obiettivo.

-Comunque sia, sei perspicace, come sempre. Uno dei più feroci membri del governo, Berija, pare stia cercando di prendere il posto di Stalin. Non un santo, stando a quanto so.

-Credi riuscirà in questo intento?

-Lo chiedo a te.

Il ragazzo rifletté. Al padre piaceva spiegargli le cose, ma al tempo stesso stimolava in lui il dubbio e la riflessione critica con quelle frequenti domande. Non l'aveva mai deluso e non voleva cominciare adesso. Ricordò la conversazione con Louis.

-E' presto per dirlo. I giochi di potere richiedono più tempo. Ma se perfino tu sai che non ha un'ottima reputazione, non so quanto gli permetteranno di restare al potere in patria.

Daron annuì. Sembrava soddisfatto della risposta.

-Attendere è tutto ciò che possiamo fare per ora. Ma apprezzo il tuo spirito di osservazione e la tua capacità di comprendere quanto peso certi eventi abbiano sulla Storia. 

-Spero... spero davvero di poterlo mettere al servizio delle persone.- Era la prima volta che Ilyan formulava quel pensiero a voce alta. Ci aveva messo tanto a trovare il coraggio di comunicare al padre, con quelle poche parole, un unico desiderio: quello di accettarlo, di permettergli di aiutarlo proprio a preservare quella Storia, passata, presente e futura, di cui il loro popolo era stato parte per così a lungo e di cui ogni altro popolo meritava di far parte.

Daron squadrò il figlio con sguardo riflessivo. Il giovane pregò che gli accordasse quella richiesta.

-Anche tu dovrai attendere, Ilyan- sentenziò tuttavia. -Sono certo che ci sarà tempo per questo e che maturare ti permetterà di riuscire al meglio nei tuoi propositi.

Ilyan attese, e quell'attesa lo dilaniò come poche. Stava attendendo quando, nell'estate di quell'anno, si diplomò da Eton e dovette finalmente partire per prestare servizio militare obbligatorio per i successivi anni e scelse di non rimandare l'eventualità, posticipando quindi l'ingresso all'università. Stava attendendo quando, nelle caserme, addestrandosi e imparando più che poteva con la speranza di mettere al servizio della pace e non della guerra le sue capacità, Lavrentij Berija fu deposto e successivamente ucciso in circostanze poco chiare, permettendo l'ascesa al potere di Nikita Kruscev. 

Stava ancora attendendo, teso come una corda sospesa fra le estremità di un crepaccio, quando tre anni dopo, un umido novembre,gli USA adoperarono il possesso di armi atomiche come deterrente per qualsiasi intervento sovietico nell'area di Suez e quando pochi giorni dopo Kruscev gridò in un discorso pubblico al blocco occidentale il suo celeberrimo "Vi seppelliremo!" e gli ufficiali di tredici Paesi abbandonarono indignati la stanza. 

In quel turbinio di eventi, col riecheggiare di quella frase la prospettiva delle minacce nucleari che si estendeva come un'ombra al sole calante, Ilyan seppe finalmente che aveva finito di aspettare. 

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