Passato - Pronti, partenza, via.

Berlino, ottobre 1985

Una sottile nebbia si stava già condensando in brina sul prato che riempiva lo spazio al centro della pista sportiva, quando gli otto ragazzi candidati alle selezioni per le gare provinciali di mezza stagione presero posto in attesa del fischio di inizio.

Henri Miller, assegnato al posto uno, fu l'ultimo ad allinearsi alla fila di partecipanti della squadra di atletica maschile del Konstantin Gymnasium. Cercò di mantenere un'aria più naturale possibile mentre si preparava al via. Non era la gara a preoccuparlo: sapeva di essersi mantenuto costante con l'alimentazione e la pratica sportiva. Il suo fisico era leggermente stanco per via delle ore sottratte al sonno e dedicate all'operazione segreta che stava conducendo con la complicità di Dennis. Ma soprattutto, era nervoso per due motivi: il primo era che, per quanto passare o meno le selezioni dovesse essere solo motivo di soddisfazione personale, un fallimento nell'unico ambito in cui aveva talento avrebbe dato a suo padre ulteriori spunti per lamentarsi della sua carriera accademica. La seconda ragione, in realtà, era un dubbio. Non voleva nemmeno sapere se essa fosse presente quel giorno, per cui si costrinse a evitare ogni contatto visivo con gli spalti che circondavano il lato destro della pista, anche di sfuggita.

Gustav Nielsen, che aveva scelto di gestire le selezioni personalmente, diede fiato al proprio fischietto. Nel silenzio più totale, la gara iniziò.

Henri scattò in avanti senza neanche programmare l'azione, come tante volte si era allenato a fare nel tempo. Competeva nei duecento metri fin dagli undici anni. Quel giorno avrebbe dovuto essere una passeggiata tornare a casa con la vittoria in tasca, se si fosse solo trattato di una singola corsa. Invece, Nielsen aveva scelto di sottoporli a tre giri di fila. Nei primi due, avrebbe eliminato una coppia di atleti ciascuno, restringendo a quattro i candidati per i due posti che il ginnasio aveva a disposizione per la gara. I primi quattro ragazzi sarebbero stati eliminati solo sulla base dell'ordine di arrivo; per l'ultima gara, invece, l'allenatore avrebbe selezionato i vincitori sulla base dei tempi. Henri trovava quel metodo estremamente scomodo. Per quanto Nielsen fosse un buon allenatore, quando si trattava di scegliere quali studenti portare in gara era molto, troppo fantasioso. E quella volta era incappato nell'errore di privilegiare la resistenza invece della velocità, quando avrebbe dovuto scegliere i corridori per i duecento metri. Il terzo round li avrebbe trovati tutti più stanchi e per lui, un velocista, significava rischiare un tempo peggiore rispetto ai suoi standard.

Ad ogni modo, come si aspettava, superò le prime fasi. Con la fronte madida di sudore, corse alla cassetta d'acqua lasciata a disposizione dalla scuola, afferrando una bottiglia. Vicino alla tribuna, udì i brusii concitati degli spettatori e un paio di fischi. Mentre beveva restò con lo sguardo basso senza curarsene. Un'occhiata agli spalti, un fugace momento di realizzazione per accorgersi che lei fosse lì, e tutta la calma che era riuscito a mantenere fino a quel momento sarebbe andata a farsi friggere. 
Un secondo fischio giunse alle sue orecchie. Henri si chiese quale fan sfegatata fosse presente fra il pubblico per provocare quel fracasso. Almeno su quello era certo di poter stare tranquillo. Anche se lei fosse venuta a vederlo, si sarebbe comportata con la sua solita compostezza, senza attirare l'attenzione.

Con quel pensiero fece per tornare verso la pista, quando un dolore acuto e improvviso alla testa lo portò a emettere un urlo strozzato. Qualcosa l'aveva colpito nella parte posteriore del cranio. E quel qualcosa, che con tutta probabilità era stato lanciato dagli spalti, era una lattina di alluminio che ora giaceva nel prato imperlato di rugiada notturna. Henri raccolse l'oggetto, furente. Il suo umore non mutò in positivo quando lesse la scritta contenuta sul contenitore verdognolo, un mosaico di ideogrammi di un alfabeto asiatico indefinito, con accanto un frutto stilizzato di cui nemmeno un critico d'arte avrebbe saputo decifrare l'identità. Si grattò la testa nel punto in cui la bibita l'aveva quasi tramortito, assalito da un misto di dubbio, terrore e stordimento. Lei si sarebbe comportata con posatezza e non avrebbe mai voluto dare nell'occhio... giusto?

-Miller, la pausa è finita!- gli gridò Gustav Nielsen, facendogli cenno di raggiungere gli altri in pista. Con una smorfia infastidita, Henri gettò di nuovo la lattina nel prato e fece quanto gli era stato detto. Prese posto accanto agli ultimi tre studenti rimasti, pregando che l'ultimo incidente non gli recasse così tanto fastidio da inficiare ulteriormente la sua resa. Considerando la reazione alle emicranie di sua madre, che doveva restare l'intero giorno a letto, forse era il caso di pregare che la genetica con lui si rivelasse clemente.

Nielsen diede per la terza e ultima volta il via. Henri avvertì in fretta la fatica dei precedenti sforzi spandersi lungo il corpo, con i muscoli delle gambe che accusavano già un certo fastidio. Furono i pensieri sovrapposti di suo padre e di chi probabilmente lo stava osservando a spingerlo a superare i limiti del proprio fisico, non pensando al bruciore che avrebbe provato l'indomani. Quando terminò i tre scatti avanti e indietro previsti, era arrivato all'arrivo quasi a parimerito con altri due compagni. Che il quarto di loro, Erik Olsen, non sarebbe probabilmente passato, lo capirono dal fatto che il giovane del primo anno li raggiunse con uno scarto di almeno cinque secondi. Il dubbio rimaneva, però, tra gli altri tre partecipanti.

Nielsen si recò nel gabbiotto adiacente agli spogliatoi coi suoi assistenti, che avevano tenuto ciascuno il tempo di uno studente. Dopo un'attesa che parve eterna, il quarantenne allenatore della squadra di atletica pronunciò il verdetto con l'ausilio di un microfono, in modo che tutti potessero sentire.

-Anzitutto mi congratulo con tutti per essere giunti a questo punto, e sia chiaro: non essere selezionati oggi non significa essere esclusi da tutto il resto delle competizioni che fronteggeremo nell'anno. Per quanto riguarda le gare provinciali, però, mi congratulo doppiamente con due di voi, coloro che dovranno tenere alto l'onore del ginnasio. Schulz, Miller... mi aspetto grande impegno da voi!

Un piccolo scroscio di applausi investì gli atleti dagli spalti, accompagnato da qualche esultazione e un altro fischio solitario. Henri, però, perseverò nel suo obiettivo di non fissare la tribuna per l'ennesima volta. Solo dopo essersi cambiato e reso presentabile, forse, ne avrebbe avuto coraggio.

Dopo aver fatto una breve doccia e indossato abiti puliti, il giovane prese il proprio borsone, uscì dagli spogliatoi e, finalmente, si arrischiò a puntare gli occhi scuri in direzione del pubblico. Tra la folla scorse sua madre, che per una volta aveva sfidato mal di testa e indisposizioni varie per assistere alla sua gara; c'era anche Dennis, che era stato Henri stesso a invitare, per via di quel che avrebbero dovuto fare dopo la gara. Il giovane vagò con lo sguardo per un po'; non scorgendola, inizialmente dubitò fosse venuta, e quasi sperò fosse così, tale era la forza dell'imbarazzo e del cuore che gli martellava in petto, ma poi, infine, la scorse in alto. Accanto a Anya, nella zona più buia e meno distinguibile degli spalti, Lin gli stava dedicando un caldo, meraviglioso sorriso. 

-Sono davvero fiera di te, Henri- lo distrasse Lavinia Miller, andandogli vicino e abbracciandolo brevemente. - Sono sicura che anche tuo padre lo sarà. Purtroppo aveva una conferenza importante e ha dovuto perdersi questo tuo traguardo.

-Grazie, mamma- fu tutto quel che riuscì a dire Henri, che era certo che il padre tutt'al più sarebbe stato placato da quel riconoscimento, quasi come un drago in attesa di prede, ma che non si sarebbe contentato finché non vi avesse affiancato una media più alta.

-Gliene parleremo con calma questa sera- continuò la donna. -Ma credo vorrai passare del tempo con i tuoi amici, ho già intravisto Dennis. 

-Sì, ecco, in effetti... volevo dirti che non so se riuscirò a essere a casa per cena o se tarderò di circa un'ora. Spero che per te e papà non sia un problema.

Henri guardò la madre, da cui aveva ereditato i folti capelli castani e il naso romano, dritto e corto, come faceva quando a cinque anni le chiedeva complicità per nascondere una marachella. Non che ve ne fosse bisogno, ma non voleva irritare il padre assentandosi proprio quando l'uomo avrebbe gradito conversare con lui, quindi avere l'intercessione della donna gli sarebbe convenuto.

-Non lo è, ma sai che tuo padre vorrebbe che Manfred ti riportasse a casa, soprattutto la sera. Dacci almeno un orario e dimmi dove possa trovarti.

-Tra due ore davanti al cancello della scuola andrebbe benissimo.

Le labbra di Lavinia si incresparono in un sorrisetto. La donna gli scompigliò i capelli e acconsentì, dopodiché si allontanò dal campo sportivo, lasciandolo finalmente libero.

-Henri! Sei stato davvero bravo. -Il ragazzo si voltò di scatto e si immobilizzò come un uno stoccafisso alla vista della sua compagna di origini asiatiche.

-Lin... sono contento tu sia venuta. Non... non hai mica... da quanto sei qui?- Henri d'istinto portò una mano alla testa per grattare il capo come faceva quando era nervoso, ma il dolore del bernoccolo che stava spuntando glielo impedì. Se proprio Lin, abituata ad attraversare mezza Berlino da sola in tram e autobus, avesse sentito la conversazione di poco prima... avrebbe preferito uccidersi piuttosto che pensarci.

-Sono venuta con Anya, l'ho lasciata giusto adesso sugli spalti a scambiare due parole con Dennis. E non fare quella faccia sorpresa: secondo te mi sarei persa le tue selezioni?

-Ovviamente no, bisogna guardare e imparare. - In qualsiasi altra occasione, l'avesse rivolta a un altro conoscente, quella battutina gli sarebbe risultata naturale. Invece, soprattutto nelle ultime settimane, Henri si scopriva sempre più teso in presenza di Lin, sebbene ogni secondo in compagnia della ragazza fosse per lui fra i più preziosi. 

-Senti chi parla! Ti ricordo che i miei tempi sono come i tuoi e sono una ragazza, signorino.

-Ma io devo ricordarti che spesso trascuri il riposo, signorina... quindi osservare i frutti di uno stile di vita più sano ti farà bene. Stai facendo attenzione a dormire abbastanza?- le chiese, stavolta animato da genuino interesse.

-Diciamo che in questi giorni è complicato, visto che le selezioni femminili sono esattamente tra una settimana. E soprattutto... immagino tu sappia che abbiamo avuto un rallentamento nei lavori per il concorso.

Henri annuì, sapendo a cosa alludesse Lin. Diversi gradoni più in alto, scorse il viso di Dennis, posizionato di profilo. La macchia violacea che l'aggressione subita a Bahnhof Zoo gli aveva lasciato in regalo era ancora visibile sul naso e Anya adesso utilizzava un comune zaino, più difficile da strappare a qualcuno rispetto a una tracolla. 

-Vi hanno rubato materiali importanti?- Il ragazzo si riferiva a quel che, stando a quanto gli aveva accennato il compagno di classe, era contenuto nella borsa della ragazza proveniente da Berlino Est: appunti portati proprio dall'altro lato del muro che, a detta di Dennis, erano più dettagliati sui progetti di Anton Markov rispetto a quelli da loro reperiti nella zona occidentale.

-Il taccuino di Anya non è una grossa perdita, ha solo riassunto qualcosa da fonti che conserva a casa. Il mio problema sarà il libro che le avevo prestato. La biblioteca mi penalizzerà sicuramente per non averlo restituito.

-Uh?- In verità, Henri si era fatto dire da Dennis ogni singolo dettaglio che l'amico ricordasse su quel testo.

-Magari te lo racconto in un altro momento- sviò il discorso l'asiatica. -Adesso ero venuta a complimentarmi con te per aver passato le selezioni.

-Aspetta- la interruppe però lui, temendo già la sua reazione per quello che stava per dire. -Siccome mi sembra che siate un po' in difficoltà... sicura che la mia proposta di darti una mano non ti interessi? Ora ho tempo libero, dico davvero, sarebbe un piacere.

Da stanca ma spensierata, Henri vide immediatamente la ragazza irrigidirsi e mettersi sulla difensiva, assumendo un'espressione seria.

-Henri, non amo ripetere le cose. Ti ho già detto una volta che ti ringrazio ma che è fuori questione. Non riuscirei a sentirmi corretta e soprattutto sarebbe da incapaci e irresponsabili. Ho già chi mi dà questi problemi all'interno del gruppo, per favore, non mettertici anche tu.

-Che intendi?- L'atleta aveva incassato a fatica la risposta, che l'aveva spinto ad arretrare sia metaforicamente che fisicamente, dal momento che il senso di disagio a quel secco rifiuto l'aveva fatto arretrare di due passi. Per quel motivo, aveva scelto la via di fuga più facile: cambiare argomento sperando che Lin prendesse la divagazione per accettazione indiscussa della sua volontà. 

-Parlo di William.- A quanto pareva la strategia aveva funzionato. La risposta, però, era inaspettata e ne suscitò realmente l'interesse stavolta.

-Crea problemi nel gruppo?

Henri aveva dovuto fare un lavoro di autoconvincimento durato giorni per giungere all'ovvia conclusione di non poter riversare il suo odio su William Engels solo perché gli aveva soffiato il posto nella squadra del concorso. L'opera non era del tutto andata a buon fine, ma si stava sforzando di scendere a patti con la realtà; sentire che il nuovo studente non apportava contributi al lavoro di gruppo, anzi, lo ostacolava, non poté che irritarlo e ricordargli ulteriormente quanto una maggior prontezza da parte sua avrebbe evitato la cosa.

-Non so come spiegarlo.-Lin sospirò e fece spallucce. -E' una sensazione strana. Non credo sia stupido o incapace. Al contrario, mi dava l'impressione di una persona sveglia e ne sono ancora convinta in un certo senso. Eppure non mi fido di lui. Al progetto non sta lavorando praticamente per nulla, si limita a fare presenza e non capisco il perché, nonostante il fatto che senza di lui, allo Zoo, ce la saremmo vista brutta. Non so come possa essere così negligente verso questo impegno e al contempo così interessato alle nostre ricerche. Perlomeno Anya si dà da fare col progetto di riserva, anche se ha interesse verso il nostro lavoro.

-Vedo che state facendo amicizia- notò a quel proposito lui. -Non so se temere per la rituale pausa caffè delle undici.

-Sto scoprendo che è davvero una tipa in gamba e mi piace passare del tempo con lei- spiegò l'asiatica con un sorriso. -Ma non cambierei la pausa caffè per niente al mondo, non temere.

Henri non le avrebbe mai confessato, naturalmente, che anche dietro quella frase pronunciata con ironia si celava un certo grado di paura, il timore di perdere anche solo qualche minuto con lei. Da tempo oramai si era reso conto che per quanto sapesse che non sarebbe riuscito a parlargliene -temeva troppo una reazione negativa- spendere quei momenti in sua compagnia era una delle poche cose che gli procurassero davvero felicità.

-Comunque sia, William non sembra un idiota- tornò al discorso precedente, quasi temendo di esplorare l'argomento cui lui stesso aveva accennato. -Certo, in matematica non sarà una cima, a giudicare dai suoi voti, ma per il resto sembra impegnarsi. Probabilmente deve solo capire come lavorare in gruppo e basta parlarci. 

-Magari. L'abbiamo già fatto e...

-Lin, Henri!

A interrompere il dialogo fu Anya, che saltò con l'agilità e la grazia di una fata in direzione dei due, balzando da un gradone all'altro mentre, dietro di lei, un impacciato Dennis la seguiva intento a non restare indietro senza allo stesso tempo rompersi l'osso del collo. Notando l'impossibilità della cosa, con uno sbuffo il biondino si rassegnò a correre lungo i piccoli gradini che percorrevano la parte centrale della tribuna.

-Congratulazioni, Henri- disse la giovane dai capelli rossi. -Lin non esagerava nel dire che hai stoffa.

Henri provò la sensazione di due accendini accesi puntati sulle guance a quell'allusione. Fu grato di essere in penombra e che fosse già buio.

-G-grazie...-balbettò tentando di mantenere la compostezza che, a quanto dicevano i compagni, attraeva molte loro coetanee. 

-Cavoli, certo che corri, tu!- si lamentò col fiatone Dennis, prendendo finalmente posto accanto ad Anya.

-Ecco, parlavamo proprio di gente che ha stoffa per l'atletica- scherzò quella. 

-Dopo tutti i favori che mi chiedi hai anche il coraggio di prenderti gioco di me- borbottò acidamente lui tra un rantolo e l'altro. Henri ne osservò meglio il viso, ancora invaso da una macchia violacea che si espandeva dal naso come i tentacoli di una piovra. Perlomeno si era sgonfiato e i medici si erano detti ottimisti sul fatto che il setto non fosse stato deviato, ma quella chiazza color prugna avrebbe contraddistinto il secchione di classe ancora per un po' e naturalmente in molti si erano fatti domande sulla scusa del "sono caduto dalle scale" propinata in giro.

-Suvvia, Dennis, in fondo far notare dove possiamo migliorare è ciò che fanno gli amici-osservò divertita Lin.

-Mi piacerebbe sapere da quando voi due avete cominciato a fare comunella... 

Le due ridacchiarono quasi simultaneamente. Henri aveva saputo da Lin del momento di panico vissuto da Anya all'ospedale universitario, per cui, pur non conoscendola bene, fu contento di vedere che aveva iniziato ad aprirsi con la taiwanese. Lin poteva far bene anche a qualcuno che non fosse lui, a quanto pareva. Era difficile non sentirsi a proprio agio in sua compagnia, in effetti. E fintanto che avesse continuato a potersi godere qualche momento in sua presenza, avrebbe accettato di accontentarsi.

-Beh, ragazze, mi ha fatto piacere vedervi, ma ora temo di dovervi rubare il nostro amico- annunciò Dennis gettando a Henri un'occhiata d'intesa.

-Oh, nessun problema. Ceneremo insieme questa sera, quindi stavamo per andarcene- replicò Anya. -Ci vediamo domani!

La giovane nata a Berlino Est salutò i ragazzi con quelle semplici parole. Lin, invece, dopo un cenno generico si soffermò con gli occhi sottili e vispi su Henri.

-Ancora congratulazioni. E non dimenticare, hai promesso di monitorarmi in pista, quindi ci vediamo domani pomeriggio!

Henri annuì, vedendo le studentesse andar via verso il cancello del campo sportivo.

-Sbaglio o è la stessa Anya a cui l'anno scorso si dovevano cavar le parole di bocca con le pinze?- disse poi.

-Non ho capito se le servisse solo una spinta e qualche stimolo per cominciare a socializzare, sinceramente- rispose dubbioso l'amico. -Ma sono contento che stia cominciando ad aprirsi un po', per quanto mi abbia preoccupato sapere che all'ospedale ha avuto bisogno di allontanarsi per il nervosismo dopo che ci hanno assaliti. Magari un'amicizia femminile è proprio quel che le ci vuol...

Nello spiazzo ormai quasi del tutto deserto ai piedi delle tribune, un rumore di mani che battevano violentemente e cadenzatamente l'una contro l'altra sovrastò la voce di Dennis. I due giovani si voltarono verso la fonte del suono, individuandola in un giovane alto e slanciato, i cui riccioli biondi ondeggiavano ribelli sulla spinta del venticello autunnale.

-Complimenti, campione- affermò Oscar con un tono stranamente sarcastico. -Raramente essere ignorato da un uomo mi ferisce come quando mi succede con una ragazza.

Dal gradone accanto a lui riprese poi in mano un oggetto... un oggetto la cui sola vista bastò a pietrificare Henri.

-No... non è possibile, mi rifiuto di crederci- esalò incredulo, mentre l'italiano prendeva un sorso da una lattina verde... una lattina identica a quella che aveva provocato a Henri un pulsante bernoccolo in testa.

-Che c'è? - replicò Oscar dopo aver bevuto. -Dico davvero, non convido facilmente il mio cibo, men che meno la bevanda delle meraviglie di Cecco, piena di vitamine per affrontare con sprint la giornata. A proposito, maledetto ingrato, se mi dicessi dove hai messo l'altra almeno la recupererei, visto l'apprezzamento che hai mostrato.

-Deficiente, hai rischiato di uccidermi- lo insultò Henri. -E dove sia non ne ho alcuna idea, me ne sono disfatto prima di farmi squalificare e sospendere per averla rilanciata con violenza verso chiunque me l'avesse tirata.

-Cecco?- si intromise invece incerto Dennis, con un sopracciglio aggrottato, avvicinandosi alla lattina per osservarla. -Questa roba viene da un negozio italiano?

-Cecco, Cheng Gong, che vuoi che sia. Tanto il suo nome in questo Paese non lo azzecca comunque nessuno. Vende prodotti cinesi sulla Kantstraße. A proposito, tu devi essere il genio del male di cui mi parlava questo traditore, quello che conosce il mio piccolo segreto.

-"Genio" mi lusinga, sicuro non del male... sono Dennis- si presentò il ginnasiale tendendo una mano al pugliese. 

-Oscar.- Era la prima volta che i due si incontravano di persona. Fino a quel momento era toccato a Henri raccontare a ciascuno dell'altro, ma da quando aveva deciso di richiedere la collaborazione di entrambi per aiutare il gruppo di Dennis a ritrovare qualche dato in più su Anton Markov, era divenuto evidente che discutere della faccenda tutti insieme fosse la soluzione più pratica. 

-Direi che a questo punto ci conviene andare a casa mia e berci qualcosa mentre ci facciamo una chiacchierata, che dite?- propose l'aspirante artista.

Henri non avrebbe voluto essere nella mente del certosino e ordinato Dennis quando questi avesse visto il museo degli orrori in cui Oscar conduceva la sua esistenza fatta di cibo spazzatura e utilizzo di acqua ed elettricità a spese della Repubblica Federale.
E in effetti lo spettacolo che si parò loro davanti nella vecchia dimora del custode scolastico non fu diverso dal solito. Nell'ingresso, Henri notò una serie di scatoloni il cui contenuto, buste di patatine di dubbia provenienza e lattine di alluminio colorato, quasi fuoriusciva dalle quattro pareti di cartone. 
Nella piccola saletta antistante alla cucina vi erano un altro paio di scatole, queste sigillate da dello scotch, e una busta di plastica blu scuro in bella vista sul tavolino.

-Chiedo scusa per il disordine, non ho avuto modo di sistemare le provviste, Cecco mi ha riservato un trattamento di favore per aver risolto alcuni suoi problemini- spiegò Oscar facendoli accomodare, mentre Henri si chiedeva in che modo "Cecco" potesse essersi servito dello scapestrato e soprattutto quanti articoli del codice penale fossero stati violati nell'atto.

-Figurati... capita a tutti.- Come stesse toccando una scoria radioattiva, Dennis spazzò con la mano la sedia che si era scelto, facendo cadere numerose briciole di sconosciuta provenienza sul già lercio pavimento. 

-Insomma- esordì Henri, prendendo anche lui posto mentre il loro ospite si recava a prendere qualcosa da bere. -Anzitutto ringrazio entrambi per essere venuti stasera, credevo che fare il punto tutti insieme fosse d'obbligo. Dennis, ti avevo già parlato di Oscar, e ti avevo accennato della mia intenzione di darti una mano con le ricerche di storia per il concorso. Nel farlo non ho solo attinto all'archivio di mio padre, in cui ho trovato qualcosa di interessante, ma ho anche chiesto a lui di provare a cercare qualcosa per conto suo.

Il ragazzo era volontariamente rimasto vago in quell'introduzione. Non aveva bisogno di specificare in che modo Oscar si sarebbe attivato, né Dennis era così ingenuo da non intuirlo da solo. Apprezzava particolarmente la sua capacità di dedurre le cose con il minimo quantitativo di informazioni... quasi come un calcolatore, in effetti.

-Magari ti suggerirei di cominciare dicendoci cosa hai trovato tu, Henri- disse Oscar tornando dalla cucina con tre bicchieri. Almeno per quella volta, constatò con un sospiro di sollievo il castano, aveva deciso di riempirli con della semplice acqua. -A proposito, come va quel naso? Mi era stato detto che oltre ad aver subito un furto tu eri uscito dallo Zoo piuttosto malconcio.

-Una decina di giorni e spero torni al suo colore naturale- si limitò a dire il biondino. -Ma grazie di aver chiesto. Comunque approvo la tua proposta, ma proprio a questo proposito volevo chiedere a Henri... sei sicuro di voler davvero tenere Lin all'oscuro di questa storia?

Henri, nella penombra della stanza, illuminata solo da qualche residuo di luce di un lampione in lontananza, fissò la parete di fronte a sé, focalizzando lo sguardo su un vaso dal lungo collo di vetro lavorato. Fu fissando il contenitore, sbeccato in cima, che rispose:

-Assolutamente sì. Ho provato in tutti i modi a far sì che accettasse un aiuto e ripetermi ancora la farebbe infuriare. Non oso pensare quindi a cosa farebbe se mi scoprisse.

-Certo che te la sei scelta complicata- commentò allusivo Oscar, beccandosi in tutta risposta un'occhiata di fuoco da parte di Henri. Un rumore soffocato gli rivelò che Dennis stava ridacchiando.

-Piantatela- decretò lapidario. - E per tornare a noi, Dennis, ti ho portato quel che ho trovato. 

Dallo zaino che aveva con sé, l'atleta estrasse una cartellina rossa tenuta chiusa da un elastico. La mise sul tavolo. Nel corso delle ricerche nell'archivio di Herr Professor Axel Miller, in particolare nella scatola dei documenti e degli articoli di giornale rinvenuta nel cassetto del padre, Henri aveva reperito circa una decina di articoli di giornale. Erano il contenuto della cartella, che il suo amico d'infanzia aprì con metodicità, spargendo sul tavolo i ritagli di carta e chiedendo di accendere la luce. Non appena la lampadina che pendeva sulle loro teste rese rese possibile osservarli, Dennis studiò i fogli.

-Alcuni di questi non sono in tedesco- notò con disappunto.

-Lo so, ma ho pensato che magari ti sarebbero bastati quelli che invece lo erano, e che in caso di necessità un vocabolario avrebbe potuto risolvere la cosa. -Henri conosceva la totale mancanza di predisposizione di Dennis per le lingue straniere, ad eccezione del francese, ma di sicuro non parlava quella in cui erano scritti quegli articoli, al punto da non saperne identificare nemmeno l'alfabeto; per quel motivo, aveva ritenuto che sarebbero stati comunque più utili nelle mani del compagno di classe, visto il suo bisogno di documentarsi sul soggetto citato negli articoli.

-Fammi un po' vedere- mormorò assorto Oscar, afferrando uno dei ritagli. -Cirillico. Hai una probabilità del novanta per cento che sia russo.

-Sei bravo con le lingue- notò quasi affascinato Henri.

-Sono d'accordo, anche il tuo tedesco è eccellente per uno che ha vissuto qui relativamente poco- aggiunse Dennis.

-Studi umanistici da autodidatta e amore per arte e letteratura, inevitabile destino di un artista dannato- rispose teatrale l'italiano, chinando all'indietro la schiena e portando una mano alla fronte con gesto volutamente drammatico. -La lingua, poi, è un talento che va allenato.

-E dire che per qualche secondo avevo valutato di considerarti intelligente- ribatté il castano.

-Beh, in ogni caso ti ringrazio, Henri, ma spero di riuscire a cavarmela con le fonti in tedesco. Mmm... qui pare si tratti di avvistamenti da parte di testimoni e interviste a scienziati che avevano interagito con Markov. Gli avvistamenti mi sarebbero utili se avessi ancora il libro trovato da Lin, in quel caso potrei studiare se coincidono...

-Beh, allora forse apprezzerai ancor di più questa sorpresa. -Henri frugò nuovamente nello zaino per tirarne fuori una familiare lettura dalla copertina nera e il titolo stampato a caratteri dorati e lucidi, che fu accolto da Dennis con gli occhi spalancati.

-Non ci credo, Lin mi ha raccontato di averlo cercato praticamente in ogni libreria della città senza successo! Come hai fatto?

- L'ultima ristampa è stata anni fa e non credo abbiano vendute molte copie, ma una di queste è finita nello studio di mio padre. Era tra i libri accatastati in un angolo in attesa di decidere se disfarsene o meno, per cui quando avrai finito puoi darlo a Lin e fare in modo che risolva i problemi con la biblioteca.

-Ti ringrazio davvero, questo è un aiuto incredibile. Anche Anya ne sarà felicissima, aveva chiesto a Lin di poter avere il libro per un paio di giorni prima che ce lo rubassero.

-Io sarò anche pronto ad architettare piani contorti per aiutare Lin, ma tu non scherzi, ti sei ridotto a un archivista solo perché te l'ha chiesto lei- notò divertito Henri.

-Era la ragazza coi capelli rossi? Devo dire, avete buon gusto entrambi a livello fisico, ma vi piacciono particolari- sentenziò Oscar atteggiandosi come un uomo saggio e vissuto.

-Per la seconda volta, piantala- gli ordinò Henri.

-Ma chi, Anya? - scattò invece Dennis. -No, non hai capito nulla, non è come pensi. Semplicemente la ritengo una persona interessante. Del resto, visto il suo passato mi sembra una conseguenza naturale. E quando mi ha chiesto una mano... la curiosità intellettuale ha avuto la meglio.

Oscar sorrise e lo scrutò come fosse un bambino che tentava di raggirare il genitore, ma fece spallucce.

-Ognuno si racconta le cose come preferisce, suppongo. -Dopo quel commento, però, lo straniero assunse improvvisamente un'espressione seria e afferrò la busta sul tavolo.
-Scherzi a parte, a proposito di questo libro, credo sia il momento di svelare anche io la mia mano di carte. E vi prego di starmi a sentire.

Oscar si sedette in modo da avere Henri alla propria destra e Dennis a sinistra, dopodiché guardò entrambi negli occhi, prima di tornare al sacchetto blu.

-Henri, quando mi hai chiesto di fare qualche telefonata ti avevo avvisato che la pista che stavi battendo poteva non essere sicura. Dennis, ti conosco da nemmeno un'ora, ma mi sembri abbastanza sveglio e sono certo lo sappia anche tu. -  Il biondo tornò a guardare Henri. -Mi avevi detto che volevi che tentassi di scoprire di più su Anton Markov, settimane fa, e su quello sto ancora lavorando, ma forse mi hanno detto che potrei avere qualche notizia entro la fine del mese. Intanto, però, quando mi hai raccontato dell'intenzione dei tuoi amici di trovare l'autrice di questo libro, ho provato a esserti utile. Mi avevi detto che la donna era una professoressa di nome Ruth Hoffmann.

-Il nome è esatto. Ma cosa hai scoperto?- domandò Dennis.

-E' proprio per quel che vi dirò che voglio facciate attenzione. Cercando Hoffmann all'inizio non stavo avendo risultati. La cosa vi farà capire facilmente che la situazione non è così pulita come dovrebbe essere, dal momento che, a detta di Henri, questa donna lavorava in ambiente accademico e contattarla avrebbe dovuto essere facilissimo. 

Se Henri aveva solo una vaga idea di dove andasse a parare Oscar, Dennis sembrava invece già pienamente consapevole di cosa l'altro avrebbe detto:

-Penso di aver intuito cosa intendi, e la cosa non mi piace. Stai dicendo che Ruth Hoffmann è un nome fittizio?

-Tieni fede alla genialità che ti attribuisce il tuo amico. Bingo: una docente universitaria con questo nome non è mai esistita.

-E chi ha scritto questo dannato libro, allora?- domandò Henri, la cui testa cominciava a dolere non solo a causa della lattina che gli era stata tirata addosso. Quella serata stava prendendo una piega imprevista e a tratti inquietante, che iniziava a fargli temere che forse avesse tentato di scavare un po' troppo a fondo per trovare le tracce di qualcuno che avrebbe dovuto restare disperso.

-Posso dirvelo- rispose atono Oscar. -Ho reperito anche quel nome. Le informazioni sono in questa busta. Ma volevo proprio mettervi in guardia. Il fatto che io sia dovuto ricorrere a determinate conoscenze per scoprire queste cose non è un buon segno. Quel che ho saputo, l'ho appreso tramite vie non lecite e che per chi non le conosce possono essere pericolose. Non so quanto vi convenga esplorare questa strada. Qui non si tratterebbe di risse e ladri da poco conto appostati in una stazione.

Quell'ultima affermazione era stata pronunciata dall'italiano mentre guardava Dennis di sottecchi, quasi a studiarne la reazione.

-Allora? Se sceglierete di avere le informazioni che ho scoperto tenterò di aiutarvi come posso, ma vi avviso, non è roba per ragazzini delle superiori e non so quanto vi convenga rischiare per un progetto scolastico. Volete davvero farlo?

Henri poggiò i gomiti sul tavolo e giunse le mani, poggiandole poi contro la fronte. Da uno spiraglio di visuale rimasto libero, scrutò anche lui l'amico di vecchia data. Avevano condiviso innumerevoli esperienze, fin dall'infanzia, e paradossalmente, era abbastanza sicuro che gli avrebbe scoperto negli occhi proprio il bagliore folle che vi riluceva in quel momento. Sapeva, in un certo senso, che Oscar forse aveva fatto male i calcoli nel preoccuparsi di lui: Dennis era animato da un genio instancabile, una forza che non si sarebbe fermata finché non avesse scoperto quel che doveva. Che la motivazione fosse fare un favore ad Anya, scoprire di Markov o, come sospettava, scoprire di Anya stessa, non importava.

Era Henri l'incognita, e il giovane notò senza sorpresa che anche Dennis lo stava fissando per lo stesso motivo. E nelle iridi chiare dello studente modello era leggibile una domanda ben evidente. "Io ho le idee chiare fin da quando ho scelto di mettere piede in questa topaia", sembravano dire, "tu, Henri, quanto lontano sei disposto a spingerti per Lin?".

Non aveva mai ammesso con Dennis quel che provava verso Lin; ammetterlo a sé stesso era già stato complicato. Ma Dennis, come aveva già constatato, necessitava di pochissimi dati per arrivare alla verità. Forse lo apprezzava proprio perché lui, così taciturno, con l'altro aveva bisogno di parlare poco per farsi capire. Quella volta non faceva eccezione. Ed Henri ebbe da sé stesso la risposta in breve tempo e la comunicò con un'occhiata.

-Siamo sicuri- disse quindi Dennis. -Fuori il nome di questa persona.

Negli anni a venire i due si sarebbero interrogati spesso su come sarebbero andate le loro vite se avessero dimostrato meno spavalderia quella sera. Nemmeno le capacità di analisi di Dennis avrebbero saputo prevederlo. Tutto ciò che restò loro fu la consapevolezza di aver deviato il loro percorso e quello di un intero continente senza possibilità di voltarsi indietro.

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