Passato - Nuovi legami e vecchie conoscenze

Berlino, settembre 1985

Nei corridoi del pronto soccorso dell'ospedale universitario Charité c'era un viavai concitato di infermieri e medici, intenti a tentare di rimettere in sesto persone coinvolte in ogni tipo di incidenti. La domenica mattina era sempre un momento complicato, in cui si riversavano nello sfortunato reparto decine di persone vittime di confusione e trambusto del sabato sera, perlopiù a causa di troppo alcol o di risse finite male. 

Nessuno dei due casi era quello che aveva condotto nella stanza numero sette uno studente mingherlino di circa diciotto anni, che si ritrovava ora nell'abitacolo in compagnia di un urgentista e di due infermiere, da circa mezz'ora. I ragazzi non avevano nemmeno dovuto specificarlo, parlando per Dennis, che faticava a muovere il viso: l'infermiera che aveva compilato le carte di ingresso al pronto soccorso aveva compreso da sola che il giovane non poteva essersi messo nei guai bevendo o che avesse iniziato lui le ostilità, visto come era ridotto.

Lo stesso non era valso, però, per i poliziotti stazionati nel reparto in caso ci fosse il bisogno di registrare denunce. In sala d'attesa, Lin osservò il corpo robusto di William darle le spalle, mentre spiegava a due agenti in divisa come erano andate le cose e tentava di dare una descrizione dei due tossicodipendenti che li avevano aggrediti poco prima alla stazione di Charlottenburg. 
Li fissò con sguardo vuoto e privo di ogni interesse: naturalmente, quegli uomini non avrebbero fatto niente per punire i loro aggressori. Di quegli individui ce n'erano migliaia, infestavano i sottopassi, le stazioni, i binari, le discoteche, vagavano come scarafaggi fastidiosi in ogni angolo potessero mettere piede, mossi solo dalla voglia di comprare una nuova dose. E ovviamente, senza riuscire a trovarli, non avrebbero nemmeno recuperato la borsa di Anya, che sedeva accanto a Lin su una delle sedie in metallo, con aria altrettanto assorta. 

La giovane taiwanese sospirò. Si sentiva in colpa per quanto accaduto. Non aveva assistito a tutta la scena: era appena uscita dalla stazione ferroviaria, dopo aver perso un treno e deciso di spostarsi in tram, con una coincidenza più conveniente, quando aveva scorto Dennis e Anya con le spalle al muro, minacciati da un uomo emaciato e dall'aspetto pronto a tutto pur di ottenere quel che voleva. Quando William si era precipitato fra i tre cercando di porre fine alla situazione e un altro eroinomane era giunto sul posto e si era intromesso, Lin aveva capito a cosa anelavano. Dopo aver dato una ginocchiata sul volto a Dennis, i due avevano approfittato del momento di confusione per buttare a terra la ragazza dai capelli rossi e strapparle con forza la tracolla dal braccio, scappando subito dopo. 

Dove fossero andati, i liceali non avrebbero saputo dirlo. Si erano concentrati su Dennis, il cui viso era gonfio, con tinte violacee e graffi in corrispondenza del naso, che solitamente aveva una forma sottile e ora spiccava in mezzo al volto dai lineamenti delicati. Per accertarsi che la situazione non fosse grave, Lin aveva guidato tutti al primo ospedale che le fosse venuto in mente, quello universitario della Charité, la cui fermata era sulla linea tramviaria che avrebbe preso per tornare a casa e che sarebbe stato raggiungibile in pochi minuti da Charlottenburg.
Era il minimo che potesse fare, e comunque non era abbastanza. Il peso di quella consapevolezza le causava una stretta allo stomaco. Se avesse insistito per andarsene per conto suo, forse arrivando alla stazione da sola non avrebbe dato nell'occhio. Sicuramente, non avrebbe spinto Dennis e Anya ad aspettare all'esterno, esponendoli al rischio.

-Non la finivano più- si lamentò a mezza voce William, raggiungendo le ragazze e sedendosi vicino ad Anya. 

-Che ti hanno chiesto?- domandò Lin.

-Volevano una descrizione dei due bastardi che hanno picchiato Dennis e mi hanno anche chiesto che aspetto avesse la borsa rubata. Hanno il mio contatto in caso la trovassero.

-Ovviamente non accadrà mai- commentò disillusa la giovane.

-Ne sono consapevole- concordò il ragazzo dai capelli neri. - Ma era la prassi. Sapete nulla di Dennis?

-E' ancora con i medici. Non ci hanno detto niente. Tu, piuttosto?

Lin puntò gli occhi castani verso il braccio di William. Sul lato esterno della mano sinistra un bendaggio ben stretto copriva la ferita che si era provocato cadendo a terra nel tentativo di fermare gli eroinomani mentre fuggivano con la tracolla di Anya. 

-Hanno detto che disinfettarla una o due volte al giorno basterà. Non servono punti, è un piccolo taglio. Il grosso del fastidio è a causa della sbucciatura che mi sono fatto cadendo in scivolata sulla pietra ruvida.

-Sei fortunato a esserne uscito con una semplice sbucciatura- affermò seria la ragazza. -Uno di quei tizi aveva un coltello. 

Lin povava sentimenti contrastanti verso quanto avvenuto circa due ore prima. Da un lato, William aveva fatto il possibile per evitare che i loro compagni venissero feriti. Dall'altro, una voce picchiettava alla soglia della sua testa ripetendole che se lui non avesse insistito per farle da accompagnatore verso i binari, come lei avrebbe preferito, forse le cose sarebbero andate diversamente.

La mattina era stata un punto di svolta per lei nel prendere coscienza di una cosa: non si fidava di quel ragazzo. Non che non lo ritenesse una brava persona: aveva percepito in quelle settimane che quello non fosse il caso di William. Tuttavia, le sembrava cristallino che fosse inaffidabile. Sia il suo contributo praticamente nullo nel progetto di informatica che il suo atteggiamento in stazione la convincevano di ciò. Per quanto le buone intenzioni - farsi mandare altro materiale e insistere per accompagnarla al treno- potessero indicare una personalità disponibile, l'esito non era buono in nessuno dei due casi. William sembrava intenzionato a fare di testa sua inseguendo un bene maggiore, anche se a fare le spese di ciò erano gli altri, seguendo l'istinto e la propria impulsività. Forse, se un giorno avesse realizzato di dover scendere a compromessi e accettare la volontà di chi gli stava intorno, sarebbe potuto migliorare.

-Siete gli amici di Weber, della stanza sette?- A parlare era stata un'anziana infermiera sui sessant'anni, che si affaccendava ad andare e venire dalla sala d'attesa con novità per gli accompagnatori dei malati. I capelli ingrigiti erano raccolti in una crocchia malfatta, la divisa era ridotta in un modo che indicava che la professionista veniva da almeno un turno extra svolto di seguito al proprio.

-Siamo noi- confermò Lin.

-Se volete potete entrare- annunciò allora bonariamente la donna. -Abbiamo intenzione di farlo uscire a breve, ci serve solo il tempo di compilare i referti e le prescrizioni mediche.

Lin non se lo fece ripetere due volte e scattò in piedi, seguita da William. Notò subito, però, che Anya era ancora seduta al suo posto, lo sguardo vitreo.

-Ehi- chiamò incerta la studentessa. -Non vuoi vedere come sta Dennis?

A quelle parole l'altra si alzò lentamente e la seguì, i capelli color fiamma che ondeggiavano a ogni passo, dando al suo volto bianco, in contrasto, un'aria ancor più pallida e spettrale.

-Anya, ti senti bene?- bisbigliò Lin andando vicino alla compagna. -Vuoi che chiami un medico anche per te? Ti sei fatta male senza dircelo per caso?

-No.- Il rifiuto della giovane fu perentorio e glaciale, intriso d'ansia.

-Non hai un bell'aspetto- fece notare Lin, preoccupata. -E' da quando siamo in cortile che non hai detto una parola.

-Ho detto di no. - Furono le ultime parole che le insistenze della taiwanese riuscirono a cavarle di bocca.

Arrendendosi, Lin andò dietro a William, ormai quasi giunto alla stanza dove Dennis era stato tenuto in osservazione. Quando l'infermiera abbassò la maniglia della porta, fu la prima ad entrare.

L'ambiente della camera, dalle pareti un tempo bianche, ora leggermente ingiallite, era asettico. Oltre a un letto le cui coperte erano state a malapena smosse, vi erano solo un tavolino in metallo dotato di ruote, sul quale erano posate una decina di confezioni e flaconi di medicinali e qualche garza, e uno sgabello.

Su quest'ultimo sedeva Dennis, il viso inclinato in alto, rivolto a un uomo in camice bianco che stava tamponando il naso con dell'ovatta imbevuta di un liquido color ruggine. Il giovane ginnasiale aveva l'aria provata. Osservandolo meglio, con più calma e lucidità, Lin si accorse che il volto dalla carnagione chiara era tempestato di piccoli graffietti di cui non si era resa conto nel viaggio in tram. Oltre al naso, inoltre, sembrava che l'urto della ginocchiata non avesse risparmiato neanche il labbro superiore del ragazzo, che adesso sporgeva a causa della tumefazione ed era spaccato nel mezzo. Piccoli rimasugli di sangue secco, mal puliti, erano incrostati nello spazio fra le narici e la bocca. 

Il medico, un uomo intorno ai quarant'anni, totalmente calvo e anche lui, come l'infermiera, con l'aria di chi aveva effettuato uno straordinario di troppo, si accorse di loro. Salutando distrattamente, prese poi a rivolgersi agli studenti senza fissare nessuno di loro in particolare.

- Giacché ci siamo dirò ai tuoi amici le stesse cose che ho raccomandato a te. Cerca di tenere del ghiaccio sul naso, il più possibile, e di dormire supino per un po'. Il paracetamolo dovrebbe aiutare contro il dolore. Tieni d'occhio eventuali fastidi quando respiri: non mi sembra che il setto si sia deviato, ma potremo saperlo definitivamente solo in qualche giorno. E soprattutto...- Il sanitario rivolse a tutti uno sguardo colmo di rimprovero e preoccupazione al tempo stesso. - Se non si tratta di un'emergenza vitale, state alla larga dalla Bahnhof Zoo e dai suoi dintorni. Dei ragazzi come voi non mi sembrano i tipi che vanno volontariamente a infilarsi in mezzo a guai con quella gentaglia. Vi sto dando un consiglio che darei ai miei stessi figli.

William annuì frettolosamente, come se si aspettasse quel discorso e non vedesse l'ora di poter saltare i convenevoli. 

-Come stai, Dennis?- domandò poi.

Il biondo ebbe probabilmente il riflesso di fare una smorfia di disappunto arricciando il naso, ma il dolore doveva avergli rammentato in che condizioni fosse, poiché riuscì solo a strizzare gli occhi e corrugare la fronte.

-Non ricordo di aver mai provato una simile sofferenza fisica in vita mia- mugugnò. - Ma sto bene, tutto sommato poteva andarci peggio. 

-Sono d'accordo. A proposito, devo davvero ringraziarti. Ho notato il coltellino tascabile che uno dei tizi che ci hanno aggredito aveva intenzione di puntarmi contro, buttandoti addosso a lui mi hai probabilmente evitato un enorme rischio- ammise William.

-Figurati, ho agito di riflesso. Vedo però che nemmeno tu sei uscito proprio indenne dalla rissa- constatò Dennis, adocchiando il braccio del moro.

-E' un graffio, niente di più. Me lo sono fatto cadendo. Quelli cui è andata peggio siete stati probabilmente tu e la borsa di Anya- tentò di ironizzare lui.

-La borsa? Cosa è successo?

-Mentre eri a terra, uno dei tossicodipendenti si è lanciato verso Anya, spingendola e strappandole la tracolla. Alla fine, purtroppo, hanno anche avuto quel che volevano- commentò acidamente William, massaggiandosi l'arto fasciato.

Dennis si sporse come ad osservare l'area dietro di loro.

-Dov'è Anya?- domandò.

A quella domanda, Lin si voltò di scatto, scoprendo che il piccolo spazio alle sue spalle, dove credeva si trovasse la sua compagna di scuola, era in realtà vuoto. La porta di ingresso alla stanza in cui erano, che credeva chiusa, era in realtà semiaperta.

-Vado a cercarla- dichiarò.

-Se vuoi vengo con te- si offrì Dennis, massaggiandosi una tempia.

-No, aspetta che il medico compili tutti i documenti necessari e riposa. Tranquillo, me la sbrigo io.

Lin abbandonò i due ragazzi e tornò in corridoio, guardandosi frettolosamente intorno. Nel reparto non c'era traccia della sua compagna dai capelli color fuoco. Considerato l'atteggiamento che Anya aveva assunto da quando avevano varcato la soglia dell'edificio, non ne fu sorpresa, e il suo intuito le suggerì rapidamente dove cercare. Facendosi strada, attenta a non urtare pazienti e infermieri in procinto di trasportare carrelli con le terapie, giunse in fretta all'uscita del pronto soccorso.

L'area antistante era un cortiletto con una modesta area verde, un prato semplice e che richiedesse poche cure. Sull'erba, in procinto di perdere il verde vivido che la contraddistingueva in estate, vi erano due panche di marmo grigio. Su una di esse, spaccata al centro, sedeva Anya. Gli occhi scuri, che avevano ancora l'apparenza di essere privi di ogni forma di vitalità, ora puntavano ai fili d'erba ingialliti. La ragazza sembrava ancora più vulnerabile ed esile di quanto il fisico magrolino non la facesse già apparire; non muoveva un solo muscolo, a stento era visibile il movimento della gabbia toracica in contemporanea con i flebili respiri. La sola cosa che si muoveva leggermente era il labbro inferiore, tremante, che recava i segni di qualche spellatura, come se l'avesse mordicchiato.

-Anya.

Lin non ricevette risposta. Lo stato in cui versava la compagna la allarmò ancora di più. Sembrava quasi che non fosse cosciente, pur rimanendo sveglia. La giovane si sedette con cautela sulla panchina, attenta a non sfiorarla. Temeva che un contatto avrebbe potuto peggiorare la situazione, ma al tempo stesso non sapeva bene come comportarsi.  Aveva avuto rare esperienze con situazioni di quel tipo e mai da sola. 

-Non devi per forza parlarne... ma dimmi se c'è qualcosa se posso fare per te, anche solo annuendo o scuotendo la testa. 

Anya mostrò finalmente una reazione, facendo un cenno affermativo.

-Stai male? Vuoi che chiami un medico?

A quella domanda, la studentessa proveniente da Est rispose invece con una secca negazione. 
Lin pensò a come fare in modo che Anya si spiegasse senza costringerla a parlare troppo. 

-Intanto, cerca di fare dei respiri profondi- suggerì. In quel momento di confusione fu l'unica raccomandazione che ricordava di aver sentito dare in una situazione analoga, una volta, agli allenamenti. L'altra ascoltò di buon grado il consiglio. Per circa un minuto, Lin la osservò regolarizzare il respiro e recuperare un po' di colore in viso, senza una parola.

-Scusa- mormorò all'improvviso, quando lei meno se l'aspettava. -Io detesto gli ospedali. Fin da quando ero bambina ho sempre odiato doverci mettere piede. E vedere Dennis in quelle condizioni... per un attimo la mia testa ha iniziato a pensare senza sosta, senza che riuscissi a fermarla, e non sono riuscita a controllare...

-Anya, non devi giustificarti- la interruppe Lin, riuscendo finalmente a guardarla negli occhi. La giovane li spalancò, probabilmente sorpresa da quell'accettazione della strana reazione che aveva avuto. 

Lin aveva deciso che non avrebbe cercato di indagare oltre, se Anya non avesse voluto rivelarle i motivi dietro quel che era successo. Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto esserci una ragione più seria dell semplice spavento, qualcosa che gettava le radici nel passato che la ginnasiale aveva avuto al di là del muro, dove Dio solo sapeva quel che aveva potuto passare. 

- Dennis se la caverà con qualche giorno sotto antidolorifici, William ha la pelle dura. Quindi voglio assicurarmi che stia bene anche tu.

Una stretta improvvisa cinse il corpo dell'asiatica, che si irrigidì a quel contatto repentino. Anya aveva il fiato corto e sembrava aggrapparsi alla giacca di Lin come se fosse il suo ultimo appiglio prima di precipitare da una scogliera. Dopo un primo momento di esitazione, si rassegnò quasi con sollievo alla cosa, sperando che quell'abbraccio servisse a dare all'altra un po' di serenità. Sollevò un braccio per cingere anche lei la compagna di scuola. In quel gesto, voleva comunicare con tutta sé stessa un messaggio: quale che fosse il problema, non l'avrebbe lasciata sola.
Negli anni seguenti, Lin avrebbe trovato molte volte modo di tenere fede a quella promessa. Non si sarebbe mai tirata indietro, fino all'ultimo, investendo tutto quel che aveva in quel proposito.

***** ***** ***** ***** *****

Tirava vento, quel martedì sera, un vento che era un vero e proprio biglietto da visita per l'inizio ufficiale dell'autunno, che aveva tardato anche troppo la sua venuta, quell'anno. L'estate si era prolungata fin troppo nella metropoli spaccata dalla barriera di pietra, si mormorava nelle chiacchiere di circostanza.
Cazzate, avrebbe invece gridato William in pubblica piazza. Per quel che lo riguardava, per quanto sopportasse il freddo, avrebbero potuto comodamente esserci venticinque gradi per tutto l'anno.

Sopportare e apprezzare erano due cose ben diverse, e dopo gli ultimi due anni spesi nella città natale di sua madre, in Inghilterra, poteva dire di avere piene della nebbia e del freddo umido le palle e qualsiasi altra cavità anatomica disponibile. 
Tornare a Berlino Ovest, in quel senso, avrebbe potuto essere una boccata di sollievo, se non fosse stato per le ragioni che l'avevano costretto a salire sull'aereo e atterrare nell'enclave tedesca da cui proveniva suo padre, natovi quando non vi erano mucchi di mattoni e cemento e la città si beava di chiamarsi semplicemente Berlino.

In un certo senso, perché William si fosse scelto il proprio lavoro era un mistero per tutti, per lui in primis. Forse, lo considerava proprio l'eredità paterna, di quell'uomo che aveva avuto occasione di vedere solo sporadicamente da bambino, ma che gli era sempre stato dipinto da Gabi, sua madre, come un eroe. Johann. Era sempre stato chiamato così, quando si parlava di lui in famiglia, ma William aveva scoperto col tempo di non potersi fidare di nessun dettaglio che veniva rivelato sulla vita del padre. Nemmeno il nome, quindi, era un'informazione sulla cui verità poteva avere certezze. 
Ripercorrendo il giorno in cui, compiuti sedici anni, si era seduto in cucina e aveva detto a Gabi di voler intraprendere la stessa strada di quell'uomo, con il quale il massimo contatto era stato qualche fine settimana o scampagnata lontana da occhi indiscreti, non avrebbe saputo trovare un'unica motivazione a quel gesto. Sigmund Freud avrebbe azzardato che l'assenza di una solida figura paterna potesse essere alla base di quella smania di riuscire, paradossalmente, proprio nel mestiere che gli aveva strappato quella presenza, rendendola fatua e incostante. Ma Freud era morto, e William dubitava esistesse una mente tanto acuta da riuscire a scavare nella sua e tirare fuori le radici dei suoi problemi, ad ogni modo. 

E così, si ritrovava a spendere una fredda e uggiosa sera non a casa a cucinarsi una cena decente, ma nella maledetta Friedrichstraße, rasentando proprio il muro che aveva reso la città famosa in tutta il mondo e stringendosi nella giacca troppo leggera che aveva avuto la malaugurata idea di indossare quella mattina, per la propria consueta giornata al Konstantin Gymnasium. 

Piccole gocce di pioggia cominciarono a sferzare il viso del ragazzo, che con un'imprecazione si strofinò una mano sulla guancia. Al percepire la ruvida ricrescita della barba, imprecò una seconda volta, più marcatamente. L'aveva rasa solo tre giorni fa e avrebbe dovuto di nuovo affidarsi alla lametta. Oltre a rimetterci la quotidianità, quelle settimane di lavoro gli stavano procurando anche un accenno di irritazione della pelle.

All'intensificarsi della pioggia , William si rifugiò sotto il piccolo cornicione del chiosco di un edicolante. Per non limitarsi ad approfittare del riparo, sfogliò svogliatamente le prime pagine dei giornali. Magari ne avrebbe anche comprato uno, si disse. Dopotutto, dubitva che avrebbe studiato una volta tornato a casa dopo la riunione che aveva in programma in pochi minuti. Stava riprendendo a chiedersi chi diavolo glielo facesse fare e a sospirare qualche lamentela, quando scorrendo l'indice sui vari titoli degli articoli del Berliner Zeitung un dettaglio gli fece raggelare il sangue.

Come a rallentatore, i muscoli tesi, William estrasse il quotidiano dal ripiano in cui era impilato insieme a tutte le altre testate e da cui lo aveva solo sommariamente sollevato in modo da poter sbirciare i contenuti. Quel che aveva visto si trovava più o meno a tre quarti del giornale, in corrispondenza di una sezione tanto tetra quanto desolante. Da diversi anni non era raro che i quotidiani dell'enclave dedicassero uno spazio apposito ad annunciare i ritrovamenti dei corpi di persone cadute nella spirale della droga e ritrovate morte di overdose. Figuravano scatti ottenuti dopo il ritrovamento, che ritraevano i volti ad occhi chiusi, paralizzati dal sonno che si erano loro stessi procurati per sfuggire all'astinenza e alla realtà che li circondava. William non avrebbe mai capito cosa potesse spingere una persona a intraprendere quel percorso verso l'inferno, ma in quel momento non fu l'amarezza di vedere due vite spezzate a lasciarlo sbigottito. Proprio in mezzo alle foto del giorno, scorse i volti di due uomini di circa trent'anni, immobilizzati eternamente nelle loro fotografie in bianco e nero.

Era passato troppo poco per dimenticarsi di quelle facce, che solo due giorni prima l'avevano guardato in cagnesco intimandogli di stare indietro per lasciargli derubare i suoi compagni. Lo spicciolo necrologio dei fantasmi dello Zoo recitava "Walter Schmitt" e "Dominic Fuller".
Il nome del primo, Walter, fu l'ennesima conferma non necessaria per William.
Domenica, due eroinomani avevano assaltato un gruppo di liceali indifesi in attesa fuori da una stazione che non frequentavano abitualmente. Subito dopo aver messo fuori combattimento Dennis, avevano proceduto a puntare a un solo oggetto: la borsa di Anya. Borsa in cui, stando a quanto William era stato molto attento a ricordare, si trovavano un testo che poteva celare indizi sul destino di Anton Markov e gli appunti che Anya aveva preso sul materiale portato da Est. 
Quegli uomini avevano dichiarato di volere soldi sia da lei che da Dennis, ma quando avevano potuto approfittare della confusione, sembravano avere chiaro in mente quale fosse l'unica cosa da prendere. Non poteva essere un caso, così come a William non sembrava assolutamente accidentale che nell'arco delle successive quarantotto ore fossero stati trovati morti. 

Lo starnazzare a ripetizione di un clacson richiamò la sua attenzione facendolo sussultare. Dall'altro lato della Friedrichstraße, con dietro il panorama desolante del muro, l'auto che aspettava era finalmente arrivata. Ancora scosso e desideroso di vederci chiaro, William corse verso la vettura col giornale sottobraccio.

-Ehi, ragazzo!- vociò rabbioso l'edicolante dall'interno del chiosco. -Paga quel che hai preso, e alla svelta!

Il giovane estrasse una banconota dal taschino della giacca e la lanciò dietro di sé con gesto un po' troppo teatrale, mentre correva verso l'automobile. Quanto valeva, cinque marchi? Dieci, forse. Non ricordava in quel momento, l'aveva ricevuta come resto al supermercato. Poco importava, comunque.
Il mezzo di trasporto lo attendeva parcheggiato in modo che davanti a lui vi fosse il finestrino dell'autista. Il vetro si abbassò, rivelando il profilo dell'uomo che l'aveva convocato in fretta e furia a Berlino Ovest settimane prima, visibilmente nervoso e serio. I capelli color cenere sembravano essere stati pettinati di fretta e furia e con poca voglia di mantenere le apparenze, e lo stesso valeva per il completo da lavoro, presentante segni che facevano presagire non fosse stato stirato.

-Devo chiederti di fare una sosta prima di discutere di quel che mi avevi accennato- disse.

-Intanto sali- lo incitò Hans Weber. -Una multa, in mezzo a tutto quel che sto affrontando, vorrei proprio evitarla.

William obbedì e sgattaiolò dal lato del passeggero, riparandosi dalla pioggia col braccio che non reggeva il giornale che aveva pagato a peso d'oro.

-Spero che la tua sosta sia urgente, perché sai in che situazione ci troviamo e potrebbe trovarsi anche mio figlio.

-Riguarda proprio questo, se vuoi saperlo. Devo fare una capatina in una stazione di polizia. C'è una certa tracolla del cui ritrovamento avrei dovuto essere avvisato, una che conteneva dati su un uomo di nostra conoscenza. E siccome chi ce l'ha rubata è stato trovato stecchito, vorrei sapere se la polizia abbia convenientemente scordato di avvertirmi... o se qualcun altro l'abbia portata via prima ancora che potessero vederla.





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