Passato - I giusti contatti

Berlino, settembre 1985

-Ehi, Dennis!

Interpellato, lo studente, che era seduto con espressione distratta su una delle panchine del cortile del Konstantin Gymnasium, trasalì leggermente. Era intento a ordinare alcuni appunti quando aveva riconosciuto la voce dall'intonazione bassa che l'aveva chiamato.

Anya non chiese il permesso per sederglisi accanto. Una volta sistematasi, prese a far ciondolare le gambe nel vuoto. Era alta circa un metro e sessantacinque, per cui dovette inclinarsi in avanti per ottenere quella posizione innaturale; sembrava una bambina su un'altalena, aveva un'aria rilassata e alienata.

-Ciao- mormorò lui. -Come mai qui? Non avevi una riunione con Celine in pausa pranzo?

-Ha chiesto un permesso e si è fatta venire a prendere. Influenza stagionale. In effetti ho notato che tirava su col naso di continuo a lezione. Ho anche avvisato Lin e William che forse è meglio rimandare la riunione... di nuovo.- Quelle ultime parole fuoriuscirono in un unico, accorato sospiro dalla bocca della diciottenne.

Dennis fece spallucce. Ilgiovedì prima, lui e William non erano riusciti a ottenere niente dal Die Welt come programmavano, dato che l'archivio era chiuso per le pulizie generali. Avevano dovuto attendere il martedì seguente per poter accedere a quelle polverose scartoffie e la cosa li aveva portati a rimandare la riunione. Un giorno dopo, Dennis era lì, con in mano un piccolo blocco note scribacchiato in maniera confusionaria e che aspettava solo un suo certosino restauro. Avrebbe voluto mostrarlo ad Anya due ore dopo, appena lei a la compagna avessero ultimato la presentazione del piano B cui lavoravano da quasi due settimane, e invece si trovava ancora senza alcuno schema ordinato. William si era preso quasi tutti gli appunti utili e si era offerto di sistemarli da solo, per cui a Dennis restava solo quel che aveva confusamente buttato giù a matita mentre il compagno di classe enunciava ad alta voce date e titoli di articoli.

Un materiale misero e vergognoso, sotto tutti i fronti. Eppure, non riuscì a resistere:

-S-senti... ho qualche nota scritta molto di fretta al giornale. William ha preso buona parte di quel che abbiamo trovato per riorganizzarlo bene, ma intanto...

Dennis Weber era contraddistinto da un livello tale di mania dell'ordine che, quando degli ospiti venivano a casa, faceva risplendere accuratamente le uniche due stanze che questi ultimi mai sarebbero stati interessati a visitare: la sua stanza e il ripostiglio adiacente. Non sopportava la minima idea che una persona che si trovava in un raggio d'azione sotto la sua influenza potesse coesistere con del disordine. Quel giorno, invece, pur di vedere la sua compagna sollevarsi e ricevere comunque novità sul progetto, aveva messo in bella vista quegli appunti indecenti.

La reazione di Anya, perlomeno, sembrava esserne valsa la pena. La ragazza tirò frettolosamente indietro i capelli rossi scompigliati dal vento per liberare il viso pallido e concedersi un'accurata lettura.

-Sono... Mucchi di date? Hai scritto con una matita molto fine, non vedo bene.

-Sì, erano alcuni possibili avvistamenti di Anton Markov secondo le testimonianze di qualche civile in varie zone europee. Ma come ti dicevo, William ha preso quasi tutto il materiale, perciò ho solo questo.

-Avete trovato notizie di avvistamenti?

-Già- si giustificò lui. -Mi spiace non ci fosse niente sui suoi progetti informatici. Purtroppo per rinvenire quelle informazioni e usarle dovremo cercare ancora. Magari altri giornali hanno qualcosa, o posso provare a fare un altro salto al Die Welt e cercare meglio.

-Oh, non preoccuparti- lo tranquillizzò la ragazza, guardandolo coi grandi occhi color ossidiana. -Immagino sia normale mentre si indaga su qualcuno di scomparso trovare perlopiù questa roba. Non avere fretta, non vorrei che tu e William trascuraste lo studio per questa storia.

-Eppure sembri felice di ogni piccolo progresso- notò Dennis, evadendo lo sguardo. Con la coda dell'occhio vide la compagna di classe annuire.

-A volte mi sorprendo ancora che abbiate accettato di realizzare questa mia idea assurda. Celine sembra interessata quanto me, ma voi tre... Ogni tanto sono dispiaciuta di avervi dato questa incombenza. Soprattutto a te. Ho visto quanto tu sia brillante, in questi mesi. Relegarti alle ricerche storiche per la mia inesperienza mi sembra un insulto.

Dennis avvertì un calore inusuale pervadergli ogni centimetro di pelle fino alla punta delle orecchie. Molte persone avevano lodato la sua carriera scolastica con aggettivi come "brillante", "sorprendente", "esemplare". Ma era sentire uno di essi provenire dalla bocca di Anya ad averlo quasi tramortito. Non si era mai scucita a tal punto, nemmeno nelle settimane in cui avevano iniziato a collaborare. Altra reazione non prevista, altro disagio. E soprattutto, non aveva idea di quale fosse una reazione appropriata.

-G-grazie... e ti dico io di non preoccuparti, stavolta. Se non avessi davvero voluto farlo l'avrei fatto presente fin dal primo giorno. Tutto sommato, per quanto il piano sia insolito, è comunque un approccio interessante e degno di essere esplorato.

Aveva mentito. Anche se ora era genuinamente curioso, all'inizio non voleva fare quelle ricerche, e non sarebbe riuscito a farlo presente; difatti, non ne aveva avuto la forza. Forza. Dennis usava con sé stesso quel termine perché temeva di realizzare che a mancare fosse stata piuttosto la volontà. Ammetterlo avrebbe significato confessarsi a sua volta che Anya avesse avuto un'influenza maggiore di quella che già le aveva attribuito quando si era fatto trascinare in quel progetto.

-"Approccio interessante e degno di essere esplorato"... parli come uno scienziato- lo prese in giro lei. Forse, interagendo con loro per più tempo aveva cominciato a provare di nuovo voglia di aprirsi dopo tutti i mesi passati dall'arrivo a Ovest.

-E' quello che vorrei fare nella vita- confessò lui. -Quindi... grazie? Perlomeno confermi che mi sono calato nella parte. E tu?

Quelle ultime due parole gli erano costate più fatica dell'intera conversazione fino a quel momento. Era la prima volta che provava a scoprire di più su Anya. Ma si disse che se non avesse cominciato a riguadagnare terreno, quella specie di sirena l'avrebbe avuto in pugno per chissà quali altre imprese, se era riuscita a trasformarlo in un profanatore di archivi di giornale.

La ragazza smise di ciondolare con le gambe, si raddrizzò e si girò maggiormente verso di lui.

-I numeri e i calcolatori mi sono sempre piaciuti, come avrai dedotto dal mio aver voluto partecipare al concorso di informatica. Però non ne ho idea. I premi ci garantirebbero borse di studio per più di una facoltà e io non ho nemmeno deciso quale sceglierei se dovessi vincerne una. Per ora non so cosa vorrei dalla mia vita. Forse, mi piace solo il pensiero di poter continuare a studiare senza nemmeno saper bene cosa.

Dennis inarcò un sopracciglio.

-Quindi non sai nemmeno se vorresti intraprendere gli studi di una delle facoltà coperte dal premio?

Anya guardò il cielo, su cui sembrava essere stato steso un sottile telo grigio, quel giorno. Aveva un'espressione pensosa.

-Non mi dispiacerebbero, ma ho anche altri interessi. Ho partecipato più che altro per ampliare la mia conoscenza. La borsa di studio per fortuna non mi servirebbe.

-Davvero?- Dennis avrebbe voluto tirarsi un cazzotto sulla boccaccia che aveva pronunciato quella parola in modo automatico, senza filtrarsi. Farsi gli affari della situazione economica degli altri era una delle cose più maleducate che ci fossero. Perché non si era controllato, diamine?

La ragazza dai capelli rossi, però, non sembrò infastidita dalla domanda e scosse la testa.

-Mia madre si è risposata poco dopo il nostro arrivo a Ovest. Ora lei ha un lavoro part-time, ma il suo nuovo marito guadagna bene e non ha figli. Contribuirebbe alle spese che potrei avere senza problemi, a quanto dice.

Per sviare il discorso dall'argomento finanziario, il giovane provò a balbettare una frase di circostanza.

-Sono contento siate riuscite a rifarvi una vita presto. Immagino siano stati mesi... anni... che sia stata una situazione movimentata.

Se potessi uscire dal mio corpo e picchiarmi lo farei seduta stante.

Forse doveva andarsene. No, doveva senza dubbio. Restare lì avrebbe solo cumulato una serie di figure di merda e commenti inopportuni. La sola cosa che gli aveva risparmiato di fargli schizzare a mille la pressione era che Anya non stesse battendo ciglio, come se fosse preparata a quella conversazione e l'avesse già vissuta altre volte.

-Immagino ti riferissi a come vivevo a Est- suggerì, con un sorrisetto. Dennis rimase muto, cosa che dovette interpretare come una conferma.
-Non sei il primo a essere curioso, tranquillo, non fare quella faccia. Comunque sia, in realtà ho avuto una vita normale... per gli standard oltre il muro, perlomeno. Il problema era proprio che tali standard fossero tremendi. Mia madre ha aspettato fossi abbastanza grande per mettermi di fronte a una scelta: rischiare la vita per la libertà di aspirare a qualcosa di meglio o restare lì. Sarebbe rimasta con me, ovviamente. Ma voleva che fossi padrona del mio destino e mi avrebbe accompagnata a prescindere dalla strada che avrei imboccato.

-Quindi sei stata tu a decidere di scappare?

-In altre parole, sì. Ma della fuga in sé si è occupata lei. Aveva dei contatti che ci hanno aiutate a oltrepassare il muro.

-Sono davvero contento che sia andato tutto per il meglio- ripeté Dennis. -Dico davvero. Hai compiuto una scelta coraggiosa pur di scappare da un'oppressione come quella.

Trovava ancor più misteriosa Anya dopo quella rivelazione, ma ora nella sua compagna c'era anche un che di ammirevole. Una ragazza che a soli sedici anni aveva deciso di rischiare la morte pur di non soccombere alla miseria e all'abbattimento di ogni individualità era senza dubbio dotata di una sensibilità e di uno spirito critico notevoli. Le storie aberranti che giungevano da Est rafforzarono in Dennis quella convinzione.

-Senti, Anya... hai impegni nel pomeriggio, dopo la scuola?- Chiese, alzandosi per avviarsi alla prima lezione del pomeriggio. Lei fece lo stesso.

-No. Perché lo chiedi?

-Io e Henri andremo a mangiare qualcosa insieme. Probabilmente ci sarà anche Lin. Se ti va, ci farebbe piacere se ti unissi a noi.

Quella mattina sarebbe stato restio a porgere quell'invito, ma dopo quello scambio di confidenze a Dennis parve il momento giusto per provare ad avviare con Anya una socializzazione degna di tale nome. Non lo faceva solo per saperne di più su di lei, adesso: sembrava finalmente che a sua volta la giovane avesse preso a rapportarsi con lui come un'adolescente normale.

-Volentieri- accettò lei con tono lieto.

***** ***** ***** ***** *****

Quando Henri Miller fuggì dalla gabbia grigia del ginnasio, in cui nelle scorse due ore si era consumata una tortura nota come "lezione pomeridiana di biologia applicata", tirava un forte vento che per poco non lo rispinse indietro, tra le grinfie dell'istituto.

Henri si irrigidì. Per fortuna non veniva da un allenamento di atletica, o avrebbe rischiato una bronchite a poche settimane dalle qualificazioni.
Si guardò intorno. Il cortile era popolato da pochi gruppetti di studenti, i pochi il cui orario li avesse trattenuti fino alla chiusura serale della scuola. Avrebbe dovuto incontrarsi con Dennis e gli altri, ma fu lieto di notare che nessuno dei compagni con cui programmava di cenare era ancora in vista. Sperava che le cose andassero esattamente così. La situazione gli diede l'opportunità di sgattaiolare fuori dal cancello del Konstantin Gymnasium e di svoltare a sinistra, percorrendone il perimetro cinto da mattoni rossicci.

La sua destinazione era un edificio di due piani costruito proprio a ridosso del muro che delineava il confine della scuola. Si trattava di una casa vecchia, probabilmente costruita prima della guerra, che si reggeva in piedi a testimoniare un lavoro ben eseguito, ma il cui aspetto estetico tradiva il passare del tempo. La facciata principale, un tempo rosata, ora era ingrigita dal fumo. Le persiane delle finestre, in legno, erano scrostate e in procinto di staccarsi a causa dei tarli, che avevano attaccato a pasteggiare anche sulla porta cui Henri bussò tre volte, ponendo tra un colpo e l'altro un intervallo di tre secondi.

Poco dopo aver toccato la porta per la terza volta, questa si aprì. L'inquilino dell'edificio non aveva chiesto chi fosse: quel bussare cadenzato era un segno distintivo concordato solo ed esclusivamente con Henri.
Dietro l'anta rovinata comparve il volto assonnato di un giovane poco più che ventenne. Aveva la barba leggermente incolta, bionda come i capelli. Lo studente notò che da quando si erano conosciuti erano diventati talmente lunghi che avrebbe potuto legarli. Occhiaie nerastre e ciglia lunghe segnavano il contorno di due sclere arrossate in mezzo a cui spuntavano iridi color cacao.

-Se non hai una bomba di caffeina oggi non sei il benvenuto- mugugnò sarcastico il ragazzo.

Oscar, questo era il suo nome, ovviamente non diceva sul serio. Lo fece entrare senza cerimonie nel minuscolo disimpegno dell'abitazione, se così si poteva definire.

Non si era mai curato di arredare la casa: aveva semplicemente attinto a ciò che vi si trovava già al momento in cui l'aveva occupata. L'occupazione, nemmeno a dirlo, era abusiva. Henri non sapeva nemmeno se lo stato tedesco fosse a conoscenza della presenza di quell'italiano spiantato che si era stabilito nel cuore della sua città più emblematica.
Quel che sapeva benissimo, però, era cosa combinasse Oscar a Berlino. Gettò un'occhiata prima al salotto, colmo di cavalletti, fotografie appena sviluppate e tele con schizzi tracciati sopra, poi alla porticina che si trovava nella stessa stanza. Quella porta era un passaggio diretto verso il vecchio capanno degli attrezzi da giardino, segno che un tempo l'intero stabile era servito come alloggio per quella figura e la sua famiglia. Negli anni Sessanta, con la ristrutturazione della scuola, tale sistemazione era stata abbandonata e il muro di cinta aveva finito per dividere a metà la proprietà. Henri lo trovava ironico e simbolico. Quel Paese, quale che fosse la superpotenza che lo proteggeva, sembrava non riuscire a far altro che accatastare mattoni per dividere la sua gente. Se però il muro principale serviva a difenderli dai comunisti, come si sosteneva, da chi dovesse difendersi il Konstantin Gymnasium aveva sempre avuto il dubbio.

Questo, perlomeno, finché non aveva colto in flagrante il giovane di fronte a lui che trafugava tubetti di tempera e matite da disegno professionale nel laboratorio di artistica.
Era quasi solo dalle risorse dell'istituto superiore che Oscar aveva attinto per costruire la sua piccola bottega. Sfruttando la giovane età e il passaggio mai bloccato, ogni tanto l'italiano si recava dentro il cortile con disinvoltura, spacciandosi per uno studente. Con la stessa scioltezza percorreva i corridoi fino a giungere ai laboratori di arte e fotografia, cui si premurava di alleggerire sempre l'inventario.

-Dimmi un po', come te la passi?- domandò.

Oscar era rientrato dalla minuscola cucina con due bicchieri colmi di succo verde.

-Tiro avanti, come al solito. Vuoi? - offrì porgendogli uno dei recipienti.

-Per ora no, magari tra poco. C'è odore di tempera o sbaglio? Stai lavorando a qualche progetto?

-Ho avuto un fugace momento di ispirazione, mettiamola così.

I "fugaci momenti di ispirazione" erano spesso occasioni per i suoi occhi di posarsi su un paio di tette o natiche ben sode, da quanto Henri aveva notato. Era un anno che conosceva il segreto di quello strano clandestino proveniente dal sud della Puglia. L'unica altra persona che ne fosse al corrente era Dennis, per il semplice motivo che a quel maledetto computer umano non si poteva nascondere il minimo dettaglio. Ci aveva messo due settimane ad accorgersi delle sue visitine saltuarie alla casa di Oscar e a confrontarlo. Non che a Dennis fregasse molto dei materiali da disegno, in verità. Difatti, non aveva ancora confidato a nessuno di Oscar e non sembrava intenzionato a farlo.

-Non so se voglio vedere il prodotto finito, visto il tuo ultimo capolavoro- lo prese in giro. -Comunque sia, per quanto ogni tanto mi vada di sincerarmi che tu sia ancora vivo, oggi sono venuto per farti una richiesta.

-Mi sembrava strano, in effetti, che non mi avessi portato nemmeno uno spuntino.

-Ti ricordo che non sono tuo padre e che mi pare tu abbia modo di tirare avanti. Se campassi solo con le cose che ti porto ogni tanto saresti già morto. Anche se sei pelle e ossa, in effetti, il dubbio mi viene.

-Sei solo invidioso perché per le tue preziose gare devi essere sempre a dieta per ottenere un meraviglioso fisico asciutto che a me è stato donato da Madre Natura - lo riprese l'altro, canzonatorio. - Comunque tranquillo, sai benissimo che ho qualche spicciolo per sostentarmi. I regalini della tua scuola sono solo un aiutino. Spara, dimmi cosa ti serve.

-Ho bisogno... che tu veda se puoi sfruttare i tuoi... contatti, chiamiamoli così. Mi servono delle informazioni particolari.

Oscar si fece serio. I "contatti" erano un argomento che Henri per primo evitava, di solito. Quel ragazzo era evidentemente scappato di casa per vivere la sua esperienza da artista maledetto, era vero, ma non l'aveva fatto per necessità, bensì per scelta. Rubare al ginnasio era uno stile di vita, più che un bisogno. Quali che fossero i suoi rapporti con la famiglia, quest'ultima non gli faceva mancare le risorse essenziali a sopravvivere. E soprattutto, non gli aveva fatto mancare una parolina di favore nei giusti ambienti perché nessuno lo cacciasse a calci dalla casa in cui viveva abusivamente e dall'intera Repubblica federale. Henri non gli aveva mai chiesto se provenisse da un nucleo familiare legato ad attività illecite associate in modo stereotipico al suo Paese, ma Oscar dal canto suo non si sforzava di nascondere che era lì per mano di qualcuno che aveva il potere di trascendere alcune barriere legali.

-È una cosa seria?- chiese il biondo.

-Sì e no. Non sono nei guai, tranquillo. Ma potrebbero aiutarmi... aiutarmi ad aiutare qualcuno.

-Non ti seguo.

-Ti ho già parlato di Lin.

-Ah, la ragazza che ti piace!- ricordò ridacchiando Oscar.

-Ma silenzio. Siamo amici e basta.

-Spero tu sia sincero almeno nella richiesta che devi farmi, per il tuo bene.

Henri incassò il colpo senza replicare, stavolta.

-Mettiamola così... Lin ha bisogno di una mano per un importante progetto che potrebbe garantirle una borsa di studio. Nel suo caso sarebbe essenziale per andare all'università. Il punto è che si sta sobbarcando troppo lavoro tra le gare di atletica e questo concorso. Perciò vorrei supportarla.

-E i miei contatti dove entrerebbero in gioco?

-Sarebbero utili visto ciò di cui si occupa per questa cosa. Stanno facendo ricerche su Anton Markov, lo scienziato sovietico scomparso. I suoi progetti di informatica gli servono per un concorso sui calcolatori.

-Eh? Ma chi è il matto che ha pensato a una trovata simile? Se non usassero discrezione potrebbero anche finire nei guai, visto cosa scatenò quella vicenda.

-Non dirlo a me, sono perfettamente d'accordo. Ma Lin ormai è coinvolta e ho pensato che se avessero prima le informazioni su Markov forse potrebbero ultimare in fretta il progetto e lavorare meno. Per questo sono venuto a chiederti aiuto. Puoi farlo?

Oscar tracannò il contenuto del suo bicchiere, si stiracchiò e prese a passeggiare con aria riflessiva per la stanza. Dopo un minuto di silenzio, si buttò a peso morto sulla poltrona di pelle ormai sfondata del salotto, dove Henri lo seguì in attesa della risposta.

-Fare una chiamata a casa per vedere cosa riescono a procurarmi da Lecce non mi costerebbe molto - dichiarò infine. -Inoltre, sai benissimo che sono in debito con te, potevi denunciarmi e darmi parecchie grane, ma sei una persona affidabile e di parola. Potrei quasi dire che sei il mio migliore amico!

Henri sorrise di sbieco. Magari era vero, ma lui, dal canto suo, non poteva nemmeno confessare quell'amicizia a qualcuno che non fosse Dennis. In ogni caso, anche Oscar, per quanto refrattario a ogni rispetto della legge, non gli pareva così deprecabile. C'erano cose peggiori a questo mondo che rubare qualche tubo di vernice e occupare un edificio già abbandonato.

-Ti ringrazio. Anche solo il tuo gesto significa molto.

-Ma figurati, questo e altro. - Oscar si alzò nuovamente e andò in cucina a riempire d'acqua il suo bicchiere. Ovviamente anche quello era una gentile concessione della scuola, al cui impianto idroelettrico era stato accuratamente allacciato quello della vecchia casa. Essendo tecnicamente l'immobile di proprietà del ginnasio, anche se ormai fuori dal suo perimetro, nessuno sembrava ancora essersi accorto di nulla. Finché non l'avessero venduto o abbattuto, Oscar avrebbe potuto continuare a vivere la sua meravigliosa vita da parassita. E quell'allaccio, in teoria, era la sola cosa legale in tutta la vicenda.
-Ehi, sicuro che non ne vuoi un po'?

Si riferiva al succo color clorofilla nel bicchiere. Henri fece spallucce e assaggiò, pregustando il sapore della mela verde.
Per poco non sputò il primo e unico sorso che bevve.

-Ah, ma che roba è?! È più acido di una maionese scaduta e ha questo retrogusto metallico che dà i brividi. Ci hai messo zucchero? E soprattutto che mele hai usato?

-Nessuna mela - dichiarò l'altro, ridendo. -È kiwi.

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