Passato - Dobbiamo parlare

Berlino, ottobre 1985

Dennis Weber rientrò alla propria abitazione nel quartiere Templehof appesantito, non solo a livello digestivo -chiunque dicesse che la cucina italiana era leggera e salutare non aveva mai conosciuto Oscar e la sua micidiale pasta- ma soprattutto psicologicamente.
Quel che aveva appreso nella casa occupata dal clandestino mediterraneo non era da poco, e avrebbe dovuto studiare bene tutti i documenti affidatigli da Henri prima di poter anche solo pensare di aprire la busta che Oscar gli aveva consegnato, in cui si trovava il vero nome della persona che si era firmata su "Comete del nostro secolo" come Ruth Hoffmann e decidere come mettersi in contatto con essa. Aveva deciso di prendere quel sacchetto blu senza tuttavia guardare i fogli che si celavano al suo interno, annunciando a Henri che prima avrebbe preferito sapere come muoversi e cosa dire agli altri.

Pensava di essere solo in casa, a giudicare dalle luci spente nell'androne, ma mentre si toglieva le scarpe notò con la coda dell'occhio che qualcuno era in cucina. Sperò fosse sua madre... e sperò invano.

-Ciao, Dennis.- Hans Weber era intento a rimestare con un cucchiaio di legno una sbobba verdognola in una pentola sul fornello acceso. 
-La mamma aveva le prove generali stasera. Hai già cenato?

Dennis avvertì un moto di nausea a ricordare le tagliatelle gorgonzola, funghi e pesto di olive nere propinategli dal peggior stereotipo dell'italiano mai conosciuto in vita sua, ma affermò semplicemente di essere sazio. Hans fece spallucce. Dal giorno del suo incidente allo Zoo era taciturno, sembrava quasi evitare le conversazioni per qualche motivo.

-Dove sei andato a cena?

-Ero con Henri e... altri compagni di scuola- mentì per evitare di dover rivelare la presenza di un parassita nei confini del ginnasio.

-Capisco. E' un po' che non sentivo nominare Henri, in effetti... da quando ti sei messo a lavorare su quel progetto.

-Lui era impegnato con le selezioni di stasera. Le ha passate. 

-E' anche qualche settimana che non sento Axel, ora che ci penso- proseguì distrattamente Hans spegnendo il fuoco e versando in una ciotola quella che pareva zuppa di broccoli e verza, una sbobba per nulla invitante dall'odore alcalino e sulfureo. L'uomo si mise a mangiarne qualche cucchiaiata. - Mmm... forse manca qualcosa.

-Sale, burro, pepe...- elencò con disappunto e quasi con sarcasmo il ragazzo.

-Già.- Hans rispose con serietà e quasi senza prestargli attenzione.

-Papà... tutto bene?- domandò finalmente Dennis, perplesso di fronte al comportamento del genitore, che appariva pallido e anche smagrito. Il padre lo guardò negli occhi, prendendo qualche secondo prima di confessare:

-Sono solo stati giorni molto concitati. E in cui mi sono... preoccupato molto, Dennis. Vederti uscire per andare in un parco e tornare dall'ospedale col naso mezzo rotto è stato un bel colpo.

-Mi spiace avervi spaventati. Ma sarebbe potuto accadere a chiunque.

-Questo è vero... ma ultimamente mi stai dando tutte le preoccupazioni che non mi hai dato in diciassette anni. Non parlo solo di questa brutta vicenda, anche sapere che volevi dedicarti a determinate ricerche è stato una sorpresa. 

-Ti riferisci ad Anton Markov? Ti avevo detto che si trattava solo di qualche documento per prendere spunti dai suoi lavori, puoi star tranquillo.

Hans smise per un secondo di rigirare il cucchiaio dentro la minestra nel tentativo di raffreddarla. Emise un lieve sospiro. 

-Comunque parliamo di informazioni confidenziali su un uomo ricercato in mezza Europa, perfino dai suoi vecchi "compagni". Se sono stati divulgati al pubblico pochi dati c'è un motivo. Fare ricerche per andare oltre quel che è stato reso noto è un rischio, Dennis. Non mi hai nemmeno detto cosa hai trovato col mio tesserino al Die Welt come mi avevi promesso.

-Oh... beh, in realtà non ci ho ricavato granché. O perlomeno, potrei dirtelo con certezza se ricordassi. Ero con William e gli appunti su quelle ricerche li ha conservati tutti lui. Poi il resto del materiale ce l'hanno rubato, come ti ho detto. -Omise candidamente che le fonti più importanti che avessero mai raccolto fossero accanto alla sua sedia e che, in effetti, le avesse ottenute per vie poco legali.

-William?

-Il ragazzo arrivato quest'anno, te l'avevo accennato. 

-Ah... non ricordavo. Ho tenuto a mente solo il nome di due ragazze, la figlia di Astarte e quella proveniente da Est. In effetti era anche questo a non piacermi. Non vorrei che, essendo arrivata da lì, vi avesse messo in testa strane idee. Se non erro hai detto che la proposta di lavorare ai progetti di Markov era sua.

Dennis si impose rigore per evitare di rendere il padre ancor più sospettoso.

-L'idea è stata di Anya, ma non vuol dire che ci abbia chiesto cose pericolose. Semplicemente, aveva una curiosità che dove è nata non è riuscita a soddisfare e ha pensato che magari con questo concorso avrebbe potuto unire utile e dilettevole. Prima di iniziare a lavorarci ne abbiamo discusso tutti valutando pro e contro.

Hans Weber parve rinunciare totalmente al proposito di cibarsi e posò la ciotola sul lavello, ancora piena per metà. 

-Ti chiedo di perdonarmi se comunque ho qualche dubbio. Sarà che non conosco bene questa ragazza. 

Dennis avrebbe voluto obiettare che non conoscesse minimamente nemmeno William e Lin, che era in un'altra sezione, ma tacque, presagendo che il padre stesse per dire altro.

-Magari qualche volta potresti invitare lei e i tuoi amici qui, anche in modo che io veda da me quel che combinate. Che ne dici?

Dennis sospirò, fissando la busta ricevuta da Oscar. Sicuramente, se tutto fosse andato secondo i piani, l'uomo avrebbe avuto ragione ad allarmarsi, visto come si prospettavano le loro prossime operazioni. Per cui, forse sarebbe stato meglio rincuorarlo finché tutto si riduceva ancora a chiacchierate generiche e messa in condivisione di appunti reperiti nei giorni precedenti. 

-Va bene, glielo proporrò.

-Mi fa piacere, sarei più tranquillo. Se volessi invitare lei o gli altri anche solo a studiare qui non ci sarebbero problemi.

-Sicuro. Ora però dovrei andare, papà, per assistere alle selezioni di Henri ho dimenticato di sistemare alcune cose per una ricerca da consegnare domani.

Hans Weber annuì mentre guardava con desolazione la pila di taglieri, pentole e mestoli adoperati per produrre una ciotola di zuppa e ora giacenti nel lavello. Dennis approfittò per andare in camera sua. Gettò la busta di Oscar sul letto e posò a terra lo zaino. Da quest'ultimo estrasse quanto aveva ricevuto da Henri: gli articoli di giornale presi dalla biblioteca di suo padre, professore di storia presso un ateneo privato.

Anton Markov, nelle fotografie in bianco e nero ritagliate da giornali il cui titolo era a volte impossibile da scoprire, diede finalmente contorni più definiti alla memoria vaga che la mente di bambino di Dennis aveva conservato. L'uomo, apparentemente alto e di costituzione poco allenata, incline al sovrappeso, sembrava avere circa quarant'anni. Occhialetti di vetro spesso figuravano davanti agli occhi di un colore lattiginoso che l'inchiostro aveva tradotto in un grigio chiaro e innaturale. I capelli, anch'essi grigiastri sulla carta, avrebbero potuto essere biondi. 

Dennis si concesse qualche secondo per studiare l'immagine di colui che aveva infestato le sue ultime settimane e per pensare ad Anya, a cosa potesse spingerla a cercare spasmodicamente tutto quel che poteva su quell'individuo. Poi, mise da parte le emozioni per ragionare nel modo a lui più congeniale: quello da scienziato. E la mente razionale, assetata di informazioni, scoprì, forse ne bramava quanto la sua compagna dai capelli rossi. 

Spense la luce. La stanza non rimase buia a lungo, tuttavia. Un bagliore azzurrato si scontrò col volto pallido del ragazzo, che fissò come ipnotizzato ciò che da quattro anni era la sua più grande gioia: il Commodore 64, computer di recente immissione sul mercato che i genitori gli avevano regalato all'inizio del ginnasio. Capendone poco, non avevano mai compreso cosa Dennis avesse scaricato sull'apparecchio. Forse era meglio così. 

I programmi di ricerca installati dallo studente sul computer, frutto di un'accurata ibridazione tra software a disposizione degli utenti e modifiche poco ortodosse da lui apportate, non erano mai stati messi all'opera come avrebbero meritato, non avendo Dennis altro da dargli in pasto se non noiosi e scontati argomenti scolastici. Al massimo, finora, gli avevano abbreviato qualche ricerca lasciandogli più tempo per altre materie.

Dennis aveva atteso giorni di avere materiale a sufficienza per i suoi piccolini, come li chiamava affettuosamente con Henri. Finalmente, dopo il sequestro degli appunti di William e il furto ancor più letterale subito a Bahnhof Zoo, proprio l'amico d'infanzia gli aveva dato qualcosa che valesse la pena gettare nelle loro grinfie.

E finalmente, forse, anche lui avrebbe cominciato a fare la sua in quel gioco di ombre che era la ricerca su Anton Markov. In quel momento, Anya c'entrava poco. Quando si sedeva alla tastiera e accendeva le sue creature, Dennis lavorava per sé stesso, per la sua soddisfazione personale. 

Se quei programmi avessero funzionato, forse avrebbe potuto ancora considerarsi degno di studiare in una facoltà di informatica come sognava.

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Campanella, frastuono di studenti ansiosi di andarsene a casa, saluti del docente di turno: suoni cui Lin era abituata e che percepiva passivamente, mentre in silenzio si preparava senza lasciare sul banco nemmeno un residuo di gomma per cancellare. Al contrario di buona parte dei compagni, sarebbe rimasta ancora. I muscoli le bruciavano per gli ultimi allenamenti prima delle selezioni femminili in programma la settimana successiva, ma proprio adesso non poteva arrancare. Dopo la prova avrebbe potuto rallentare per qualche settimana, si ripeteva in continuazione, non prima. Si apprestò a raggiungere la pista di atletica, ma quel giorno ci fu una spiacevole novità.

-Zeit, un momento.

A parlare, ancora seduta in cattedra, era stata Fraulein Jansen, la docente di lingua latina che aveva tenuto l'ultima lezione del giovedì della sezione B. Nella sua aula, decorata con citazioni di autori dell'antica Roma appese alle pareti e una libreria di opere con il testo originale a fronte, era rimasta solo la giovane di origini taiwanesi. 

-Mi dica, professoressa, ma avrei gli allenamenti col professor Nielsen...- mormorò lasciando trasparire la propria fretta.

-E' proprio di questo che volevo parlarti. - L'insegnante, che aveva poco più di trent'anni e forse comprendeva ancora lo stress che vivevano i ginnasiali, si alzò. Era una donna vitale, a differenza della sua materia, che a Lin era sempre parsa fredda e senza fascino; capelli rossicci e mossi le ondeggiavano sulla schiena.
-La scuola è iniziata da appena un mese, ma abbiamo notato comunque un calo di attenzione da parte tua e le verifiche sono sotto la media.

-Ne ho svolte solo tre- fece notare la ragazza.

-Ed eccetto quella di fisica le altre sono poco sopra la sufficienza- non si smosse la docente. -Capisco che questo sia il tuo ultimo anno, quindi non ti serve una media altissima per mantenere la borsa di cui benefici per il ginnasio, ma mi piacerebbe tu avessi comunque la possibilità di concentrarti sullo studio come si deve. Sarebbe un peccato sprecare le tue capacità. C'entra il tempo, immagino- concluse la donna, costringendo Lin ad annuire. - Ma se non troverai modo di ristabilire le priorità, temo che il tuo voto di uscita da questa scuola non sarà quel che ci aspettiamo.

Il problema è assicurarmi di poter continuare a studiare dopo, avrebbe voluto dire la studentessa.

-Volevo solo avvisarti dei timori miei e dei miei colleghi- dichiarò poi Fraulein Jansen. -Incluso il professor Nielsen. In caso tu non riesca a conciliare la scuola, gli allenamenti e il progetto cui stai partecipando... magari il corpo docente pensava a come agevolarti. Troppe attività extra-curriculari non fanno bene a nessuno.

Lin squadrò la giovane professoressa dalla capigliatura ramata come se avesse avuto di fronte un poliziotto venuto ad arrestarla, intuendo subito dove volesse andare a parare.

-Professoressa, sono tutti impegni necessari per me- protestò quasi raggelata.

-So che per entrare in buone università potrebbero esserlo, ma allo stesso tempo la scuola deve tutelarsi. Il programma a supporto dell'integrazione degli immigrati di seconda generazione è un azzardo, a volte si rischia di accogliere studenti che abbassino i punteggi e le medie dell'istituto. Nel caso di un ginnasio privato come questo, la presidenza non ama correre tale rischio, soprattutto visto che nel tuo caso il problema non si è posto finché non hai cominciato a sovraccaricarti di attività. Magari l'atletica ti affatica troppo fisicamente...

-Quella è la mia passione. - Lin si morse il labbro per aver parlato a voce troppo alta.

-Allora si tratta del concorso sui calcolatori? - provò di nuovo l'insegnante.

-Un'altra cosa cui tengo. Vorrei studiare informatica o matematica. La prego, professoressa, mi assicurerò che non serva ripetere questa conversazione, ma le chiedo di dirlo agli altri insegnanti. 

La signorina Jansen sospirò e la fissò con gli occhi verdognoli e indagatori. Dopo qualche secondo, mosse le gambe accavallate sotto la cattedra e si alzò.

-Come ti dicevo volevo solo avvisarti, ma confido che manterrai la parola. Sarebbe brutto anche per noi vederti sprecare un buon percorso scolastico proprio all'ultimo. Puoi andare, a domani.

Lin salutò a malapena la docente mentre abbandonava l'aula. Assurdo: in quei giorni non sembrava andargliene bene una. Prima s'era vista ritirare la tessera della biblioteca comunale vicino casa sua per aver "smarrito" il libro strappato ad Anya a Bahnhof Zoo, perdendo una fonte utile di materiali di studio, e ora veniva minacciata di essere estromessa dalla squadra di atletica o dal concorso?
Se qualcuno lassù ce l'aveva con lei, doveva serbare parecchio rancore.

La giovane taiwanese percorse i corridoi dalle pareti candide del Konstantin come una furia. L'agitazione aveva preso il posto della stanchezza, e sperava che l'adrenalina non sarebbe venuta meno nel mezzo della pratica in pista. Forse un caffè le avrebbe fatto bene. Ripensò a quando, settimane prima, era quasi svenuta davanti a Henri. Si era impegnata perché ciò non si ripetesse anche per non preoccuparlo. L'amicizia con quel ragazzo, che comprendeva perfettamente lo stress cui la sottoponevano le gare e che sembrava così disponibile e gentile, per Lin era preziosa.

In sala ristoro, però, quella volta trovò un'altra alunna della sezione C, e non quella che gradiva di più.

-Buonasera, Lin- salutò cordiale Celine Astarte, seduta al tavolino con in mano un bicchiere di tè.

-Buonasera..."Buona" non direi... - farfugliò lei, forse a voce un po' troppo alta.

-Successo qualcosa? Non ti vedo da quel giorno al parco, e poi c'è stato quell'orribile incidente con Dennis. Non so nemmeno quando ci riuniremo ancora. 

Lin inserì le monete nella macchinetta e selezionò il solito caffè. Non aveva voglia di parlare con Celine, da come si era comportata nella divisione dei lavori la considerava una principessa incapace di lavorare in un gruppo senza esserne il capo assoluto. Ma la francese aveva probabilmente voglia di chiacchierare:

-Sai, speravo proprio di incontrarti un giorno o l'altro. I ragazzi e Anya dopotutto sono nella mia classe, ma mi chiedevo come stessi. So che in questo periodo sei parecchio impegnata anche con lo sport.

-Grazie della preoccupazione- mormorò secca la mora mentre un bip le comunicò di ritirare la bevanda. Dopo averla presa si girò verso Celine.
-Ma non serve, me la cavo. E poi, come hai detto, abbiamo rallentato un po' le attività, anche se mi dispiace.

-In verità, Lin, lo dico perché ti ammiro- disse la studentessa dagli occhi grigio perla. Lei aggrottò un sopracciglio. -Sì, non fare quella faccia. Non faccio sport, perciò sapere che unisci al progetto quest'altro impegno è encomiabile per me. Inoltre l'ultima volta avevi portato ottimo materiale, non credo sia per colpa tua che procediamo a rilento... anzi.

Era ufficiale, per quanto le costasse ammetterlo, Celine aveva catturato la sua curiosità e si era guadagnata cinque minuti del suo tempo a discapito dell'allenamento... forse perché Lin sperava di aver capito dove la bionda stesse dirigendo la conversazione. Si sedette di fronte a lei e sorseggiò il caffè zuccherato.

-Intendi parlare di qualcun altro?

-Ti considero intelligente, non voglio girarci intorno.

-Quindi suppongo tu ti riferisca a William.

-Indovinato. O "ben dedotto", se vogliamo riconoscerti i giusti meriti escludendo la fortuna. Comunque, sì: William e il suo atteggiamento di negligenza mi danno fastidio tanto in classe quanto nei lavori sul progetto.

-Henri mi diceva che in classe sembra uno studente normale- mormorò Lin, dubbiosa. Celine sorrise:

-Henri e io siamo in classe insieme dalle medie, tende sempre a vedere il buono nelle cose per evitare problemi. 

Lin avrebbe voluto rispondere, ma effettivamente realizzò di avere poche informazioni. Nelle ultime settimane aveva fatto amicizia con Anya, ma di William non avevano parlato. Lasciò proseguire Celine:

-Anche a lezione William è poco partecipe, se qualche volta è preparato pare quasi che quelle cose le abbia apprese fuori dall'ambiente scolastico. Non ho idea se, avendo vissuto all'estero come dice, sia ripetente. Non che importi: nessuno l'ha obbligato a partecipare e vorrei che non perdesse tempo e ci mettesse l'impegno di noialtri.

-Hai ragione, ma... parli come se si dedicasse a tutt'altro.

-Perché credo lo faccia. Abbiamo praticamente le stesse materie e usciamo sempre alla stessa ora. Ogni giorno, oggi incluso, invece di andar via si dirige verso la zona nord della scuola. A volte lo fa anche a pranzo.

-L'ala dei laboratori? Non ricordavo fosse in un club come disegno, scienze o fotografia.

-Posso confermarlo perché di quello di fotografia faccio parte io stessa e so chi frequenta gli altri. Non ho idea di che passatempi abbia, ma pensare che spende ore lì e lascia te e Dennis a fare tutto il lavoro mi fa ribollire il sangue. Non so nemmeno se le fonti in inglese che diceva di voler tradurre esistano davvero. A volte sembra che dell'informatica non gliene importi niente.

Lin tacque. Forse per la prima volta, pareva che avesse trovato un punto d'intesa con l'altezzosa Celine, e non poteva darle torto: lei per prima dubitava di William. In qualsiasi modo perdesse tempo, rischiava di mettere a repentaglio la possibilità di una borsa di studio per tutti e cinque e lei non intendeva permetterglielo. 
Usò comunque cautela nel rispondere:

-Hai ragione, temo che il discorso dell'altro giorno non sia bastato. Sarà il caso di ripeterlo con più chiarezza. Ora devo andare, Celine. Spero ci vedremo presto per lavorare al progetto.

-Lo spero anch'io. Ti precedo, immagino tu abbia un allenamento, perciò buon pomeriggio!

La francese buttò il suo bicchiere nel cestino e se ne andò. Lin attese qualche secondo prima di terminare il caffè e imitarla. Quando fu sul ciglio della sala ristoro, per un istante, invece di dirigere il capo verso l'uscita e recarsi subito al campo sportivo, fissò il corridoio alla sua destra... quello che portava all'ala settentrionale. 

Fu solo per un secondo. Dopodiché, si diresse all'allenamento.

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Mitte.

Anya Schrader non si era mai abituata a definire quel quartiere elegante nel cuore della piovosa Berlino Ovest "casa". Non si era abituata nemmeno all'idea di aver oltrepassato la barriera di pietra che la divideva dalla sua vecchia dimora con la consapevolezza di non poterla attraversare mai più.

A dir la verità, c'erano talmente cose cui Anya non era abituata che la ragazza aveva iniziato a sospettare di essere lei il problema, di avere poco spirito di adattamento. Poi, però, ripensando a tutto quel che aveva vissuto, si diceva che magari non valesse la pena essere così dura con sé stessa.

Ci pensò anche quella sera, mentre riponeva con fare distratto le chiavi di casa nella ciotola in vetro smerigliato sul mobiletto dell'ingresso, apprestandosi a raggiungere la sua camera.

-Prima o poi ti ho detto che romperai quell'oggetto- la riprese paziente ma decisa una voce femminile proveniente dal salotto.

Anya si diresse verso quella stanza, quella che aveva da sempre detestato maggiormente nell'abitazione a due piani. Era arredata con orrendo gusto, antiquata nel mobilio di ciliegio -vecchio e pretenzioso nelle intarsiature rovinate delle librerie- quanto nella tappezzeria color beige, stinta e che nessuno, in un moto di nostalgia ostinata, accennava a sostituire con qualcosa di più freddo o quantomeno vitale. Su una delle poltrone in velluto, scolorito anch'esso e che un tempo forse era stato color rosa antico, sedeva Eva Schrader.

-Ciao, mamma- salutò la studentessa, ignorando il rimprovero di poco prima.

-Guarda che non puoi fare orecchie da mercante per sempre. Dovresti trattare meglio le cose in questa casa, senza essere irrispettosa.

-Friedrich avrebbe il pretesto per rinnovare l'arredamento solo se quello vecchio si rompesse- puntualizzò scherzosamente lei.

-Anya...

-Va bene, va bene- si arrese seccata la giovane.

Eva si alzò dalla poltrona, dove era intenta a leggere un quotidiano con accanto una tazza di caffè sul tavolino.

-Dove te ne sei andata, comunque? Ti aspettavo per le cinque.

Anya guardò l'orologio a pendolo alla parete, anch'esso colmo di intarsiature a forma di foglie sulla parte lignea. Segnava le sette e mezza. Era tornata a piedi; Thomas, l'autista, la accompagnava solo la mattina.

-Vuoi saperlo tu o lui?

-Anya!- la richiamò per la seconda volta la madre con tono concitato, guardandosi intorno.

Friedrich Schrader, che aveva sposato Eva poco dopo il loro arrivo a Berlino Ovest, non sembrava nei paraggi, ma una delle due cameriere, Berta e Marie, avrebbe comunque potuto sentirle.

-Ho cenato da Lin- spiegò quindi senza fare altre storie. A seconda della reazione, avrebbe saputo se a fare quella domanda fosse sua madre o se dietro quella voglia di sapere fosse l'uomo che aveva fornito loro un nuovo cognome

-Mi fa piacere tu ti stia facendo un'amica...- Quella era una risposta che veniva da Eva. – Però dovrei chiederti se Lin sia l'unica con cui stai interagendo o se ci siano novità.

Eccola, la presenza mal celata di Friedrich Schrader: un'ombra che velava lo sguardo sul volto pallido di sua madre, che la manovrava come le corde di una marionetta. La cosa più insopportabile era che Eva ne fosse consapevole e che, pur sapendolo, non poteva farci niente. Era l'unico motivo che la spingesse a non esplodere a quegli interrogatori quasi quotidiani.

-Se vuole sapere di Dennis, puoi dirgli che sì, ci sono novità.

-Tesoro- mormorò Eva, avvicinandosi e provando a sfiorarle un braccio. Anya si ritrasse. – Anche io vorrei saperlo. Per quanto le ragioni siano diverse, porre un punto a questa storia forse darebbe pace almeno a me... perlomeno in parte..

La giovane dai capelli rossi si distanziò dalla madre e fissò il pavimento, furente.

-Quali sono, quindi, queste novità? - proseguì la donna.

-Mi ha invitata a casa sua a studiare, sabato pomeriggio. Non ho ancora capito se voglia estendere l'invito ad altri o saremmo soli.

-E' un'ottima notizia, ti sta dando confidenza- constatò Eva, tornando alla poltrona. -Però ti chiedo di stare attenta. Sicuramente se ha parlato a casa del lavoro che svolgete non sarai passata inosservata.

-Questo lo so. Non preoccuparti. Posso andare in camera ora?

-Va bene. Ah, Anya...- la fermò mentre si voltava. – Friedrich ha detto che sarebbe meglio che Thomas venisse a prenderti quando torni dopo le riunioni relative al concorso di informatica. Dopo quel furto, è meglio usare più prudenza. Non sono l'unica a cui è parso strano.

"Di' a Friedrich di ficcarsi la sua prudenza nel culo", le sarebbe piaciuto replicare per il gusto di insultarlo. Ma come aveva imparato a fare negli anni, mantenne un fare freddo e pacato.

-Va bene. Vi avviserò quando ci riuniremo. A dopo.

Anya abbandonò il salotto e corse per le scale, raggiungendo l'unica area dell'abitazione che le fosse gradita. La sua camera era vuota quando si era trasferita in quella casa, per cui le era stata lasciata libertà di arredarla come preferiva. Aveva scelto colori moderni, quasi tutti i mobili erano di legno o metallo nero e aveva lasciato bianche le pareti per dare un gradevole contrasto. Niente carta da parati: vicino alla scrivania poteva comodamente appendere appunti e schemi col nastro adesivo prima di una verifica senza temere di strappare nulla. Quella stanza era il suo rifugio, seppur dentro una prigione.

Si sedette alla scrivania prendendo dallo zaino -sostituto della sua amata tracolla- tutti i libri della giornata e posandoli sul tavolo. Matematica, fisica, inglese, tedesco, latino. Giornata pesante. Pensò a cosa portare a casa di Dennis e ricordò il momento in cui lui, con la solita aria impacciata, le aveva proposto di studiare assieme.

Le scappò un sorriso che fu spento da un'ondata di amarezza. Quel ragazzo era come lei, in fondo: tentava di studiarla. Se n'era accorta dal primo istante perché anche Anya, fin da piccola, aveva imparato ad analizzare ogni minuscolo dettaglio di chi aveva di fronte nel tentativo di rendere il mondo più prevedibile. Ma per quanto potesse studiare chi aveva intorno, non aveva avuto le informazioni per comprendere il quadro generale della situazione, tutto ciò che gli stava attorno. Del mare di merda che lo circondava, Dennis Weber non sapeva niente ed era la cosa migliore. Rischiare di trascinarlo a fondo la faceva star male. Sebbene fossero simili nei modi di relazionarsi agli altri, Dennis aveva ancora una sorta di innocenza, di ingenuità, che Anya aveva perduto oltre un decennio prima. Gli augurò di conservarla il più a lungo possibile.

Si recò alla finestra, altra cosa che adorava della stanza. Dava sulla strada principale, un tripudio di luci, persone e rumore. Era una bella vista, soprattutto in inverno, quando la neve copriva il grosso viale e dava l'impressione di averlo congelato nel tempo. Forse era una forma di nostalgia inconscia.

Fissò anche quella sera lo stradone.

Anya Schrader non si era mai abituata a definire quel quartiere elegante nel cuore della piovosa Berlino Ovest "casa". Non si era abituata all'accento che aveva assunto sua madre, al dover parlare obbligatoriamente un'altra lingua anche in casa, al suo nuovo e ricco carceriere, alle attenzioni di una persona stramba e buona come Dennis.

Soprattutto, non si era abituata a sentirsi chiamare Anya Schrader.

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Passare inosservati era una questione di eleganza e delicatezza: bisognava mescolarsi appena appena alla massa, per poi sapersene distaccare senza che venisse avvertita la propria mancanza nell'atto. Eleganza, delicatezza, leggiadria. Tutte qualità che un ventiduenne di un metro e ottanta forse non possedeva come una ballerina di danza classica, rifletté William mentre sgattaiolava via dal resto della classe, diretta in sala mensa. Ma in quei sei anni, aveva imparato come comportarsi e a compensare con un'unica, fondamentale dote: la discrezione.

Un passo qua, un movimento là, un saluto generico a qualcuno dei compagni perché percepissero che era ancora tra loro, e poi, la fuga. Soprattutto, mentre si allontanava, si premurò di osservare i tre ginnasiali della sezione B che gli interessavano maggiormente. Avrebbe dovuto trovare il modo di tenere d'occhio anche la quarta del gruppo, ma proprio a quello stava lavorando, si ripeté per farsi forza, diretto al laboratorio di artistica.

Una volta dentro, si chiuse subito la porta alle spalle. Silenzio, il silenzio era vitale. Nessuno si recava nelle aule dei laboratori se non durante rare lezioni mattutine e dopo l'orario curriculare, ossia tre ore dopo la pausa pranzo. Ma qualcuno nei corridoi poteva sempre essere presente, e la prova erano i passi che aveva udito alle sue spalle mentre si districava dal resto della classe.

Ad ogni modo, non sarebbe rimasto lì a lungo. Aveva solo bisogno di prendere qualcosa che era stato costretto a nascondere in quel luogo dall'aria pregna di tempera e pittura a olio tre giorni prima, quando la sua discrezione non era bastata a proteggerlo dal rischio di essere colto nel sacco con materiali rubati alla presidenza del Konstantin Gymnasium.

William aveva dovuto precipitarsi in quell'aula dopo aver quasi fatto scoprire a un inserviente la sua presenza nell'archivio adiacente all'ufficio della preside, Adeline Zimmermann. Un errore assolutamente incauto, non pensare che un uomo delle pulizie avrebbe potuto trattenersi oltre il normale orario. Un rischio enorme, quel che era seguito. 
Sfruttando la velocità e il fatto di non essere stato visto in maniera definita, aveva approfittato di un momento di distrazione del bidello per precipitarsi giù per le scale. Uscire con il metodo che di solito adottava, ossia passare per i sotterranei la cui planimetria gli era stata fornita da Hans Weber alla sua iscrizione a scuola, era fuori discussione senza essersi accertato di aver seminato quell'uomo. Perlopiù, si era accorto tardi che il lavoro non era completo: uno dei dossier che aveva sottratto gli era caduto nella fuga. 

Aveva nascosto i restanti dietro la lavagna dell'aula di artistica, appesa alla parete, per rimetterli a posto nell'eventualità in cui qualcuno si fosse accorto di qualcosa prima del previsto e avesse dovuto calmare le acque. Li ritrovò lì, piegati alla stessa maniera in cui li aveva lasciati. William tirò un sospiro di sollievo. Li posò sulla cattedra e li osservò. 

Dennis Weber, uno dei geni della scuola, bravo in tutto fuorché lingue straniere e carente in ginnastica. Su di lui in realtà aveva tutto quel che bisognava sapere. Il vero motivo per cui aveva rubato il suo fascicolo era per uno scrupolo preventivo. Sapeva perfettamente che altri avrebbero provato a fare altrettanto se non l'avesse portato via lui, e sperava che non vi avessero attinto prima del suo arrivo.

Anya Schrader. In quel caso, la vicenda era un po' più complicata. Hans avrebbe saputo cosa fare di quella cartella, più sottile, a indicare che la giovane dai capelli color fiamma si era iscritta al ginnasio più tardi rispetto agli altri.

William scacciò qualche gocciolina di sudore, dovuta all'ansia, dalla fronte, quasi frustandola con una mano. Rilesse i dati principali sui fascicoli, osservò le foto dei giovani studenti in esse contenute. Il terzo era ancora chiuso. Doveva assolutamente recuperare il quarto, ma non aveva idea di quando farlo. Intrufolarsi nella scuola di notte era impossibile, poiché tutte le porte venivano chiuse a chiave e quella della presidenza era blindata. Un passe-par-tout sarebbe stato comodo, ma il minimo segno di effrazione avrebbe spinto la scuola a coinvolgere le forze dell'ordine, e non poteva rischiare che l'istituto si accorgesse così presto di quali cartelle erano state rubate dall'archivio. 

L'unica soluzione sarebbe stata usare più cautela e provare a evitare assolutamente incontri fortuiti con il bidello mentre la scuola era ancora aperta, o pochi minuti dopo l'orario di chiusura, prima che le stanze venissero chiuse a chiave. La quarta cartella era troppo importante per non consegnarla ad Hans. In uno di quei plichi di fogli, escluso quello di Dennis, si trovava la chiave al loro enigma: scoprire chi avesse potuto ordire il furto che li aveva coinvolti a Bahnhof Zoo. Non si sarebbe sorpreso se Anya avesse orchestrato la vicenda per poi farsi consegnare i documenti dai due eroinomani e tenerseli definitivamente, spacciandoli per perduti. Ma non poteva lasciarsi attrarre dalla pista apparentemente più facile.

C'erano altre due persone in gruppo con loro, e William stesso era la prova vivente che non tutti in quella combriccola dovevano per forza essere là per amore dell'informatica e dei calcolatori. Posò la mano sul terzo fascicolo. Stava per aprirlo, quando una voce glaciale lo pietrificò sul posto.

-Che diamine ci fai qui a quest'ora?

Lin Zeit era sulla porta della stanza. Non vi restò per molto, tuttavia. Come una furia, marciò verso il giovane e fu attirata da quel che William aveva disposto sulla cattedra per un semplice controllo. Lo sguardo esterrefatto che si materializzò negli occhi sottili e scuri fu abbastanza eloquente, ma William, dopo aver pregato con tutto sé stesso che non aprisse l'unica cartella chiusa, constatò amaramente che il cielo aveva voluto fargli scontare tutti i peccati commessi fino a quel giorno. Lin, infatti, voltò con gesto secco la copertina del fascicolo, rivelandone il contenuto.

-Che cazzo significa tutto questo, William? E perché hai i miei documenti e quelli di Dennis e Anya?

-Lin, ascolta, posso...

-Puoi spiegare, lo credo bene. Devi farlo. E ti assicuro che non me ne andrò da qua finché non lo avrai fatto nel migliore dei modi e non mi avrai detto perché tu avessi le nostre cartelle, che cosa tu stia facendo e cosa tu voglia davvero da questa scuola, perché solo un cieco non si renderebbe conto che del concorso cui partecipiamo non ti importa niente. E per tua sfortuna, io ci vedo benissimo.

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