Giorno uno


Caro Diario...

Non so come dirtelo. È così difficile anche per me parlarne, ma se non lo scrivo o non ne parlo con qualcuno (il che è escluso!), credo che impazzirò.

Oggi... oh diamine! Non riesco proprio a pensarci senza piangere. La zia Molly mi ha messa su un treno notturno senza nemmeno darmi il tempo di metabolizzare quello che era successo. Forse potrei partire dall'inizio della giornata. Si. Magari mi verrà più semplice.

Vediamo... questa mattina mi sono svegliata... oh Dio come mi suona strano scrivere questa mattina! Mi sembra sia la vita di un'altra persona, oppure una cosa accaduta troppo tempo fa. Non sembrano passate così poche ore.

Comunque...questa mattina mi sono svegliata col mio solito buon umore.

Quando ho aperto gli occhi, il sole entrava prepotentemente dalla finestra aperta, le tendine rosa pallido sventolavano allegramente nella brezza fresca.

Era un chiaro segno che mia madre era entrata, aveva aperto la finestra e le imposte e poi era uscita. Mi conosce bene la mia mamma...mi conosceva scusami. È così difficile...immagino avrai già capito. Comunque, sapeva bene che la luce del giorno mi avrebbe fatta svegliare. Mi misi a sedere, stirando i miei muscoli rilassati dal sonno.

L'aria iniziava a rinfrescarsi, segno evidente che l'estate era finita.

«Nadja! La colazione!»

Sapevo che mia madre come ogni mattina, mi aveva preparato la colazione. Mi rimproverava ogni giorno, perché ormai ero quasi un'adulta e non potevo continuare a farmi preparare la colazione da lei.

Oh, capisci caro diario? La drammaticità anche solo di scrivere questi ricordi? Non potrò più dirle che continuavo a non farmela da sola perchè era molto più bello che fosse lei a farmela. Una coccola. Avrei dovuto dirglielo invece di prenderla in giro e farle le linguacce.

Ad ogni modo, come avrai capito, è stata una giornata come tante, i soliti battibecchi, tutto solito! L'unica cosa diversa di tutta quella giornata, era che i miei dovevano andare ad una riunione non ho capito bene di cosa. Forse non ho prestato troppa attenzione quando me lo hanno detto. Magari ero distratta come al solito.

L'unica cosa che so, è che avevo la scuola quella mattina. O meglio, dovevo vedermi com Agata (ricordi Agata?), e saremmo andate insieme a chiedere il programma delle lezioni del nuovo anno. Il College. Tutto doveva essere perfetto!

La giornata fu perfetta! I miei mi hanno fatta scendere dalla macchina proprio di fronte al college, Agata mi aspettava, vestita sempre in modo impeccabile. Mi fece sorridere. Quella sarebbe stata una giornata lunghissima, ma lei non aveva rinunciato ai tacchi.

La sua scusa? Puoi ben immaginarla!

«Nadja scherzi? Siamo al college non al liceo! E se incontrassi l'amore della mia vita mentre parlo con un professore? Devo accertarmi che la prima immagine che avrà di me sia perfetta!»

Aveva scandito la parola come solo lei sa fare.

Ma, a fine giornata, ferme in caffetteria, lei era stremata. Ovviamente non persi l'occasione di deriderla su quanto le mie scarpe basse fossero comode. Lei guardò i miei stivaletti bassi e si sentì subito meglio.

Una volta rientrata a casa, mi aspettavo di sentire già il profumo della cena riempire tutto il salone. Invece mi trovai di fronte una casa buia e vuota.
Il telefono squillava incessantemente. Lasciai a terra le buste e mi precipitai a rispondere.

Se solo avessi saputo cosa mi aspettava, sarei fuggita da quella chiamata! Ma era inevitabile, giusto?
La zia Molly provava a chiamare da tutto il pomeriggio. Quando aveva iniziato a parlare, non capivo il senso delle sue parole.

Perché zia Molly doveva chiamarmi? Perché voleva proprio me e non mia madre o mio padre? Non è davvero mia zia. È un'anziana signora che conosciamo da sempre, abita dall'altra parte della strada e per rispetto i miei mi hanno detto di chiamarla zia. Certo, con me lo è stata davvero. La nonna che non ho mai avuto, anzi.

Però non mi era chiaro perché volesse me! La sua voce al telefono era frenetica e parlava velocemente, ed io faticavo a mettere insieme i pezzi.
Qualcuno l'aveva chiamata perché lei risultava essere tra i numeri da chiamare per le emergenze. Ancora la mia testa non capiva.

Chiedevo continuamente di che tipo di emergenze, chi l'aveva chiamata, perché i miei non avevano chiamato me.

Poi ha iniziato a dire cose strane. Che ci sarebbe stata. Che non sarei stata da sola. Che potevo trasferirmi da lei, che la stanza di sua figlia potevo prenderla io.

Ma perché? Io avevo la mia stanza. La mia casa. I miei genitori.

Quando rimasi in silenzio, cercando di cucire da sola tutti i pezzi della conversazione senza impazzire, lei disse quello che non avrebbe dovuto dire.

«Cara...ma...non ti hanno detto ancora niente?»

Non so cosa avvenne dopo. Le ultime parole che distinsi furono "aspettami" ma per cosa?

Quello che so, è che le mie emozioni uscirono fuori dal mio corpo, troppo grandi per poterle contenere, e si trasformarono in una vera bomba. Le fiamme mi circondarono, guizzavano in tutte le direzioni, mentre il legno della casa si spezzava e si accartocciava su se stesso. Ero stata io?

Poi l'esplosione che distrusse tutto, riducendo la mia casa in un cumulo di macerie. L'unica parete intatta, fu quella su cui era montato il telefono. Anche se la cornetta penzolava dalle mie mani mezza annerita, col filo sciolto dal calore.

Non so dirti per quanto tempo sono rimasta così. Sentivo le sirene dei pompieri, il vociare delle persone che si erano accalcate per vedere il macabro spettacolo. Ma erano suoni irreali, per me che ero totalmente distaccata dalla realtà.

Le fiamme erano alte, ma io ero protetta da una specie di bolla in cui non accadeva nulla.

Nemmeno quando sentii una mano afferrarmi il polso e trascinarmi via riuscii a riprendermi.

Dopo realizzai che era la zia Molly e che era entrata evitando le fiamme. O meglio, scusami non ho reso bene l'idea, lei scacciava le fiamme con la mano! Letteralmente!

Così uscimmo di lì e appena fuori, lei mi prese per le spalle e cercò di squotermi. Io ero come imbambolata, ma in quel momento tornai alla realtà. La casa bruciava, era come se lo vedessi in quel momento.

La sua voce mi arrivava ovattata, distante, ma capii benissimo.

Parlava di poteri. Mi chiedeva da quanto si erano manifestati, se era la prima volta. Ma io non riuscivo a rispondere. Quando capì che non riuscivo a reagire, mi girò il volto prima a destra e poi a sinistra, controllando dietro le mie orecchie. Non trovando quello che stava cercando, mi prese i polsi, rigirando anche quelli alla ricerca di qualcosa. Ma niente.

Poi mi trascinò direttamente a casa sua. Ed io la lasciai fare. Cosa potevo dire? In che modo potevo oppormi? E sai in quel momento a cosa riusciva a pensare la mia testa? Che avevo appena fatto shopping, e le buste che avevo portato con me stavano bruciando col resto della casa... con ogni cosa che avevo.

Lo shock. Il momento in cui il cervello umano cerca di proteggersi pensando a qualsiasi cosa tranne che alla sola cosa importante in quel momento. Ero orfana. I miei genitori non c'erano più.

Tutto quello che accadde dopo, nella sala da pranzo della zia Molly, fu estremamente veloce e violento. Lei non si fermava un secondo, si spostava da un cassetto all'altro, poi uno sportello e un armadio, la credenza, la cucina. E intanto parlava. Di cose assurde!

Ed io cercavo di prendere tutte quelle parole, fermarle, analizzarle e poi collocarle al giusto posto nella mia testa. Solo che un posto non avrebbero dovuto averlo.

Strega.

Congrega.

Magia.

Arti da imparare.

Adozione.

Abbandono.

Morte.

Scuola di magia.

Mi lasciai cadere sulla poltrona alle mie spalle, evitando di ascoltare ulteriormente. Sarei dovuta scappare! Chiamare Agata, chiederle di ospitarmi, smaltire il dolore per la perdita ed andare avanti.

Invece zia Molly era già preparata, come se avesse sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato. Una valigia con alcuni vestiti della mia taglia dentro, scarpe nuove, soldi. Tutto adatto ad una ragazza di appena diciotto anni. Certo, lo sapeva per forza. É una strega anche lei.

Devo lasciarti un attimo. Sono arrivata a destinazione, appena sono in camera ti do la buonanotte.

Eccomi di nuovo qui. Scusami, è stato tutto così strano! Non credo di riuscire a dormire dopo tutto quello che ho visto sta sera! Non dovrei sorprendermi dopo tutto no? Insomma, ho distrutto la mia casa con i miei poteri (che sensazione pronunciare questa parola!), di cosa dovrei stupirmi?

C'era una ragazza alla stazione. Credo debba avere la mia stessa età, non lo so, non ho pensato di chiederglielo. Ma mi stava aspettando e sapeva benissimo chi fossi. Mi ha chiamata "l'incendiaria". Perché? Ok, le notizie viaggiano in fretta, ma perché darmi un appellativo del genere? Non è che mi sia piaciuto e se dovessi riprovarci, non saprei rifarlo.

In ogni caso, si è presentata, Sarah è il suo nome e mi ha dato il benvenuto tra il Popolo Oscuro. Che significa? Il nome non promette nulla di buono! Ma la cosa più strana di tutte è stata l'entrata al campus.

La stazione era una normalissima stazione dei treni. Infatti siamo uscite, abbiamo percorso non so quanta strada a piedi, tra piccole stradine di città, fin dentro nel cuore della zona storica.

Ad un certo punto siamo entrate in un parco. Volevo quasi tornare indietro, le ho detto che era una pazza e lei mi ha riso in faccia. Potrai tranquillamente immaginare la mia espressione.
Mi ha praticamente trascinata con la forza, fino al centro di alcuni alberi in cui si ergeva una fontana. Piccola ma graziosa. Era in marmo nero, al centro c'era una statua che raffigurava un Angelo con le mani giunte in una preghiera silenziosa, e le ali spalancate.

Quando la vidi salire sul bordo la presi per pazza. Per un attimo ho creduto che fosse uno di quegli scherzi che gli alunni più anziani facevano a quelli più giovani. Ma non avevo molta scelta, lei mi guardava e aspettava che io la imitassi.

Poi mi prese la mano dicendomi «tu non hai la chiave non passeresti!». Mi sentivo totalmente spaesata! Però continuai ugualmente a fare quello che mi chiedeva. Quando si spinse per saltare, io feci lo stesso. Nella mano libera tenevo la borsa, ma provai comunque a portarla al mio naso, chiudendo gli occhi. Per una frazione di secondo pensai al mio telefonino in tasca, l'avrei perso.

Fin quando non mi sono ritrovata asciutta e stesa su un prato finemente curato. Davanti a me c'era una delle costruzioni più grandi e belle che io avessi mai visto. Completamente in marmo bianco, con statue ovunque e fiori di ogni genere che circondavano la recinzione.

Vedessi il Palazzo. È imponente, anche alla luce fioca della Luna sembra brillare di una strana opalescenza.
Sono rimasta sdraiata al suolo a fissarlo per alcuni secondi, fin quando Sarah non mi ha fatta alzare.

E poi eccomi qui. Arrivata nella mia stanza da letto. Ho una compagna di stanza credo, ma il suo letto è completamente intatto e lei non è in camera. Che cosa dovrei fare? Aspettarla sveglia? Sarebbe scortese se mi mettessi subito a letto? O devo aspettare che sia lei a dirmi dove mettere le mie cose per non invadere i suoi spazi?

Non so, ma io ho sonno caro Diario. Aspetterò ancora cinque minuti, dopo di che andrò a farmi la doccia e mi metterò a letto. Le mie cose possono aspettare fino a domani, non ho lezioni di alcun tipo, credo mi abbiano dato una settimana per il lutto e per ambientarmi. Almeno così ha detto Sarah. Che ero la sua chiave per le vacanze anticipate. A quanto pare ha il compito di farmi conoscere la scuola. O quel che sia.

Buonanotte mio fidato amico.


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