Capitolo 14 - la strada giusta

Il rumore del metallo sulla ceramica ritma stancamente il silenzio della sala deserta.
Saranno le undici passate, ed io sono qui, seduto ad un tavolino sepolto nel centro della città eterna, a cenare con una donna che non sa cosa dirmi, e provando a ricreare quella stessa magia che mi ha fatto perdere la ragione in un hotel di Berlino.
Lei solleva gli occhi ogni tanto, mi guarda un istante, mi sorride, poi torna a mangiare i suoi maltagliati in silenzio.
Dalla porta della cucina osservo di sottecchi il personale del ristorante che cerca di guadagnarsi un posto in prima fila per lo strano spettacolo.
Mi porto la forchetta alla bocca, lasciando che la scioglievolezza di una patata al rosmarino mi conquisti la lingua. Afferro il bicchiere di vino, ne do una generosa sorsata. Poi lo appoggio sul tavolo.
Mi costringo a guardarla negli occhi.
Lei sorride, ancora. Fa un respiro profondo, sembra che stia cercando il coraggio di dirmi di andarmene, e io mi sento ad ogni minuto più idiota.

-    «Sono contenta che tu sia venuto!»

È solo un sussurro che le esce dalle labbra, eppure sembra farmi conquistare nuovamente la forza di affrontare questa situazione assurda.

-    «Emma... non so, forse sono stato inopportuno ma...»

-    «Lascia perdere il concetto di inopportuno, io non so se lo sia o meno. So solo che speravo che tu lo facessi...»

Sento il respiro che fatica a risalirmi la gola, e un'assurda felicità farsi largo tra le costole.
Le sorrido, poi alzo il bicchiere che poco fa ho abbandonato sulla tovaglia, lo avvicino al suo, che tiene stretto tra le dita.

-    «Allora... alle mosse avventate!»

Lei ride, poi fa tintinnare il cristallo contro il mio calice, prima di dare una lunga sorsata dello strabiliante Pinot nero dal sapore corposo che mi offerto questa sera.

-    «Come va con la Berliner?
Ti ho visto su YouTube, il concerto per l'apertura della stagione sinfonica di due giorni fa. La nona non aveva mai vibrato così...»

-    «Non eri una che non ascoltava musica classica?»

Lei arrossisce impercettibilmente, abbassa gli occhi sui pochi avanzi dei maltagliati, poi li rialza, li fissa nei miei.

-    «Questa volta era diverso...»

Sorrido, sorride anche lei.
Un attimo di silenzio nel quale non so dove far saettare lo sguardo.
Poi mi riscuoto. Devo dire qualcosa.

-    «Mi accompagneresti in una passeggiata notturna per Roma? A quest'ora persino uno come me potrebbe riuscire a camminare tranquillo, senza schivare folle di fans esaltati...»

Le tendo una mano oltre il tavolo.
Lei la afferra, me la stringe per un attimo, allargando il sorriso.

-    «Mi segua Maestro, questa sera dirigo io!»

Si alza dalla sedia, inforca la giacca nell'appendiabiti, mentre mi passa il cappotto, l'unico rimasto appeso, oltre al suo curioso soprabito, sulle stampelle ben disposte nella nicchia all'ingresso.

Il buio di Roma ci inghiotte, in quella penombra spettrale che solo luoghi che possono vantare millenni di storia sanno regalare.
Costeggiamo piazza della Rotonda, inforchiamo via del Pantheon, poi via del pozzo delle Cornacchie.
Sempre in silenzio. Lanciandoci un sorriso fatto con gli occhi di tanto in tanto.
Camminiamo piano, uno accanto all'altra, zigzagando per le vie, senza una meta precisa e senza altro scopo oltre a quello di godere di un'assurda presenza reciproca.
Improvvisamente la magnificenza di San Luigi dei Francesi mi trafigge lo sguardo, rimettendo a posto l'ordine delle cose, permettendomi di sentirmi piccolo e inutile, davanti alla sua ineguagliabile bellezza eterna, dentro cui sonnecchiano stancamente i Caravaggio dai toni scuri e dalle ombre indissolubili.
Via del Salvatore ci saluta in fretta, ci spinge in corso del Rinascimento, piazza delle cinque Lune, poi piazza di Tor Sanguinia.
Roma è seducente questa notte.
Beffarda e puttana come solo lei sa essere, ci ammalia nelle sue spire protette dal tempo e dallo smog.
Ancora qualche passo veloce su via Zanardelli, e poi in fondo, quasi come se fosse un miraggio, Ponte Umberto I fa da scenografia al Palazzaccio, illuminato dai fari al neon e dalla luce pallida della luna.

-    «Sai che lo chiamano ponte degli inglesi?»

La voce di Emma si insinua tra lo scrosciare sordo del Tevere.
Le rivolgo uno sguardo interdetto.

-    «Lo vedi? Il senso di marcia è alternato, nel modo folle che avete di guidare voi in Inghilterra...»

Osservo le corsie deserte, in cui solo una sbiadita segnaletica stradale mi permette di dare un senso alle sue parole. Mi lascio scappare una risata.
Lei afferra il mio braccio, mi trascina sul marciapiede a picco sul fiume, dove alberi centenari perdono le foglie sull'asfalto malconcio.
Due ragazzi abbracciati si baciano seduti sul parapetto. Ci rivolgono uno sguardo distratto, poi tornano ad osservare le stelle specchiarsi nell'acqua torbida, stringendosi le mani.
Un uomo cammina qualche passo dietro di noi, tiene la testa bassa, cercando di sopravvivere alle crepe che le radici degli alberi hanno inflitto al terreno.
Avverto Emma rabbrividire sotto il soprabito sformato e, come guidato dai fili di un burattinaio esperto, le lascio scivolare il braccio intorno alle spalle.
Il calore del suo corpo mi fa sentire per un attimo in pace con il mondo.
Intuisco i passi dell'uomo avvicinarsi lentamente, sembra zoppicare.
Il Tevere gorgoglia, qualche clacson in lontananza fa da eco ad una serata inaspettata.
Di colpo Emma si lascia scappare un movimento brusco.
L'uomo ci supera, cammina velocemente adesso.
Lei si paralizza, si libera dal mio abbraccio, si massaggia la spalla.
Poi sgrana gli occhi, si guarda la mano che poco fa le ricadeva lungo il fianco.
Tiene il pugno stretto, dalle dita fa capolino un pezzo di carta color crema.
Mi rivolge un'occhiata in bilico tra la sorpresa e la paura.

-    «Cosa succede, Emma? Ti ha fatto male?»

Lei apre la bocca, prova a parlare. Poi apre anche la mano, osserva il suo bottino non richiesto.

-    «Io... io non lo so!»

Afferra il piccolo foglio spiegazzato, lo apre con le dita tremanti.
Una grafia inclinata, leggermente incerta, si accende alle luce fioca dei lampioni.
Lascio scivolare gli occhi sulla frase in italiano di cui stento a capire il significato.

Sei sulla strada giusta!
Renato

Cerco i suoi occhi in mezzo alla penombra, li trovo a trafiggermi, pieni di incertezza e malessere.

-    «Rientriamo Robert, io... io non mi sento tranquilla qui!»

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