Specchi e racconti
Ci sarebbero ancora almeno un miliardo di cose che avrebbero il diritto di essere raccontate. Ma lo scopo di questo libro è un altro: aiutare tutti i semidei. Perché io non sono l'unico semidio in questo mondo, e questo libro ha come scopo di mettere in guardia tutti i mezzosangue e di cercare di renderli in grado di sopravvivere.
Per molti, questo libro sembrerà un romanzo come tanti altri, l'ennesimo libro fantasy da sistemare nella libreria, ma non lo sarà per quelli che riusciranno a leggere queste ultime pagine senza bisogno di tradurle. Forse non ve ne siete accorti, ma sappiate che quello che state leggendo è Greco Antico.
E se riuscite a leggerlo, allora siete semidei.
Se riuscite a leggerlo, allora avete bisogno di questo libro, e di tutti gli altri libri scritti da semidei.
Perché dovete sopravvivere.
Io sono un sopravvissuto. E, per quanto ho dovuto passare, posso dire di essere felice perché sono vivo.
Voglio darvi un consiglio, che probabilmente non sarà l'ultimo di questo libro: non stancatevi di vivere.
Mai.
La vostra vita ha un valore, che non dovete sottovalutare.
Spero che sopravviviate in questo terra, in questo mondo costituito da pericoli e rischi, che dovrete affrontare.
C'è un ultimo episodio che vorrei raccontare. Un ultimo pezzo della storia. Non so se potrà mai servirvi, ma credo che abbia il diritto di essere raccontato, forse più degli altri.
•••
Erano passate alcune settimane da quando ero arrivato al Campo. Avevo ormai provato tutto quello che c'era: parete di arrampicata con lava, tiro con l'arco, allenamenti di spada, partite di pallavolo all'ultimo sangue, discussione di progetti e teorie con i figli di Atena (miei fratelli)... Avevo addirittura giocato una partita a pinnacolo con il signor D (ovviamente perché non c'erano altri giocatori disponibili nei paraggi. Mi ero dovuto trattenere dal proporgli un barattoli di caramelle divine per ridurre l'acidità del tono di voce.)
Avevo ormai fatto diverse amicizie e la mia vita aveva finalmente preso una piega abbastanza positiva.
Ormai era notte. La cena era finita da un pezzo, e la maggior parte dei semidei era già rientrata nella propria casa. La luna splendeva alta nel cielo, circondata dalle stelle, che le facevano da corona intorno. Come al solito, il cielo era chiaro, senza nuvola alcuna.
Al contrario della maggior parte dei semidei, non avevo raggiunto la capanna 6, ovvero la residenza dei figli di Atena. Dopo aver passato un po' di tempo con i miei amici, ero andato a prendere un libro e avevo raggiunto la spiaggia. Gli astri avevano guidato il mio cammino.
La spiaggia era deserta.
Come prima cosa, tolsi le scarpe e i calzini, che piazzai da una parte insieme al libro, poi mi diressi verso il mare, fermandomi solo dopo che l'acqua fu arrivata a lambirmi le caviglie. Cercai le tasche dei jeans con le mani, per poi infilarcele dentro. Contemplai la luna, con il suo riflesso sfumato nelle onde.
Col buio, l'acqua non rispecchiava il mio riflesso, e ne fui contento: dovevo ancora abituarmi a quel ragazzino con i capelli biondi e gli occhi grigi tempestosi che mi guardava ogni volta allo specchio.
Chirone mi aveva spiegato che era stata tutta opera della Foschia, che in tutti questi anni aveva celato il mio vero volto. La domanda a cui, però, il centauro non era riuscito a rispondere, era il motivo per cui la Foschia lo aveva fatto, o meglio, per ordine di chi lo aveva fatto. Si trattava di una magia potente, che era riuscita a ingannare addirittura il millenario centauro addestratore di eroi. L'unica persona che conoscevo che non era stato giocato dalla Foschia era Blake, il barista de "La Pausa degli Dei". Era un mortale, ma aveva delle capacità che gli permettevano di vedere attraverso il denso velo di magia. Per questo, aveva commentato dicendo che avevo «degli occhi particolari»: aveva visto il grigio circondato dalla tempesta, e, dopo avermi riconosciuto, aveva avvertito il Campo Mezzosangue, che si era messo immediatamente sulle mie tracce.
Ancora non sapevo che avrei conosciuto ben presto l'artefice di tutto.
Chiusi gli occhi e mi persi nei miei pensieri per un po'. Poi mi riscossi e andai a prendere il libro.
La posizione migliore per leggere era appoggiare la schiena contro un piccolo masso levigato, che si trovava quasi al confine tra la sabbia e la terra, circondato da alcune erbacce. Era davvero piacevole leggere con il rumore della marea che si alzava e si abbassava ritmicamente, e con la luce della luna che illuminava le parole.
Ma, come tutti i semidei sanno, è proprio nei momenti di estrema calma che accade qualcosa.
Improvvisamente, sentii dei passi e una figura apparve alla mia destra.
Voltai la testa di scatto, e il mio sguardo focalizzò una donna molto bella di altezza media, con i capelli biondi legati in una coda alta. Non ero riuscito a distinguere il colore dei suoi occhi: la sconosciuta teneva lo sguardo dritto davanti a sé, osservando la luna e il suo riflesso, esattamente come avevo fatto io poco prima. Rimasi praticamente immobile a osservarla, aspettando che fosse lei a fare la prima mossa.
Quando mi guardò e i miei occhi incrociarono i suoi - di un colore grigio tempesta - sentii come una scarica elettrica dentro il corpo. Il colore dei suoi occhi era identico a quello del ragazzo che mi osservava ogni volta che mi specchiavo. Identico al mio.
Quella donna doveva essere una figlia di Atena... Eppure, non avevo mai visto un semidio adulto.
Nessuno dei due distolse lo sguardo, rimanemmo semplicemente a osservarci.
La sconosciuta era vestita in modo molto casual, jeans scuri e una felpa color porpora. Un abbigliamento molto normale. Eppure c'era qualcosa nel suo volto, nel suo portamento, nella fierezza dello sguardo, che mi fece pensare a qualcuno di superiore ad una persona normale, forse persino superiore a un mezzosangue.
Le sue iridi scintillavano di una fredda e razionale intelligenza, e il mio cervello fece uno collegamento strano, che esternai ad alta voce.
«Madre?»
La donna sorrise stringendo gli occhi.
«Complimenti per la deduzione, Gabriel.»
Spalancai gli occhi, un po' per il modo in cui mi aveva chiamato, visto che praticamente tutti i miei amici avevano cominciato a chiamarmi Gabi, e Chirone era uno dei pochi che ancora mi chiamava così. (Per quanto riguarda il signor D, sembrava che non riuscisse in alcun modo ad afferrare l'esatta composizione del mio nome, arrivando addirittura a chiamarmi Govrilo un paio di volte. In quelle occasioni mi ero dovuto trattenere dal consigliargli un divino trapianto di cellule grigie.)
Ma il vero motivo del mio stupore era, come potete ben immaginare, il fatto che mi trovassi di fronte a mia madre.
Io, che ero stato orfano per tutta la vita.
Balbettai qualcosa, che però si perse nell'aria non appena Atena cominciò a parlare.
«Immagino che tu ti stia chiedendo perché io sia qui. Te lo dirò, ma devi portare pazienza prima di domandarmi qualunque cosa. Cose importanti devono essere dette.»
Volevo dire qualcosa, anche solo una semplice frase che gli facesse capire davvero tutto quello che avevo dovuto vivere. Ma non lo feci e, al contrario, dissi delle parole di cui mi stupii profondamente.
«Tanto anche se lo volessi non potrei farlo: siete una dea, e io un semplice mortale. Non potrei permettermi, a meno di non avere intenzioni suicide, di parlarvi in un certo modo.»
Non mi ero fatto illusioni su come fosse mia madre, di certo non l'avevo idealizzata come miglior madre del mondo. Come avrei potuto, dopo una vita passata in un orfanotrofio?
Ma lei dovette capire ciò che pensavo.
«So cosa hai dovuto passare. Ti ho sempre guardato e controllato. E tra poco capirai perché.» Il modo in cui disse che mi aveva osservato, come se fossi un oggetto da studiare, mi fece irrigidire.
Le guance mi si imporporano di rabbia. Mi aveva guardato. Oh, che gioia! Peccato che non ci fosse stata nei momenti in cui avevo avuto bisogno di lei. Nei momenti in cui avevo rischiato la vita e nel momento in cui una persona aveva perso la propria per colpa mia.
Mi imposi di calmarmi.
La dea continuava a guardarmi, come per aspettare un incoraggiamento di cui ero certo non avesse bisogno. Nonostante ciò, feci un secco gesto col capo. Così lei cominciò a parlare.
«Innanzitutto, devo darti delle informazioni sulle tue origini. Su di te... E su tuo padre.»
Il mio cuore accelerò.
«Vedi, Gabriel, tuo padre era un fisico. Un uomo molto intelligente. Lo conobbi 12 anni fa, e ci innamorammo l'uno dell'altra. Lui sapeva che ero una dea, glielo avevo rivelato, ma a ripensarci adesso, aveva sottovalutato parecchio la questione. Forse, in fondo, non ci credeva davvero. D'altra parte, i fisici non vanno molto d'accordo con la religione.» Fece una pausa per schiarirsi la gola.
«Sai come nascono i miei figli, non è vero?»
«Sì.»
«Bene» commentò, per poi riprendere la storia «Passò del tempo, e nascesti tu. Pensavo che tuo padre sarebbe stato felice, ma purtroppo non fu così.»
Il suo viso assunse un'espressione dura e addolorata al tempo stesso, e io, quasi senza accorgermene, mi protesi verso di lei per ascoltare quella importante parte del racconto.
«Tuo padre era tanto intelligente quanto codardo, ma me ne resi conto troppo tardi, nonostante la mia intelligenza. Il cuore può inibire la ragione, a volte. Rifiutò di crescerti e disse che ti avrebbe abbandonato. Nelle sue vene scorreva la paura, oltre alla codardia. Come avrebbe potuto crescere il figlio di Atena, dea della sapienza? Per quanto mi dispiacque, dovetti portarti all'orfanotrofio, dove ti lasciai con un biglietto e con l'anello che ora porti al collo. Gli dei non possono crescere i propri figli mortali.»
Inspirai per parlare, ma mia madre mi anticipò.
«È morto in un incidente aereo tre anni fa.»
Ingoiai a fatica il sapore amaro del dolore e della tristezza.
La dea tornò a guardarmi negli occhi.
«Fin da quando sei nato, Gabriel, ho sempre pensato che tu fossi speciale, più forte degli altri, per questo ti ho nascosto a San Francisco, dove, come Chirone ti avrà sicuramente detto, è uno dei posti peggiori per un mezzosangue, e la Foschia è particolarmente potente. L'ho fatto perché dovevo proteggerti e poi metterti alla prova. Fino a quando non fossi stato pronto, ho fatto in modo che la Foschia nascondesse il tuo vero aspetto, e che la compagnia delle altre persone ti rendesse meno rintracciabile per i mostri. Mi dispiace per ciò che è accaduto al tuo amico, non era questa la fine che immaginavo, lui non c'entrava niente.»
«Quindi tutto, arrivare al Campo, combattere i mostri, seguire Mick, è stata tutta una prova per capire quanto sarei riuscito a sopravvivere?» chiesi, esplodendo in una risata roca e senza gioia.
«Una semplice prova della morte!»
«Non volevo la tua morte, non l'ho mai desiderata. In alcuni momenti hai ricevuto degli aiuti. Nonostante siano stati piccoli, ti hanno aiutato a sopravvivere. E ti posso assicurare, Gabriel Arbin, che se la tua morte fosse stata nei miei piani, in questo momento Caronte ti avrebbe già traghettato negli Inferi.»
Rabbrividii, scosso per aver sentito per la prima volta il mio cognome. Cercai nella mia memoria qualcosa che potesse coincidere con ciò che aveva detto mia madre.
«L'anello e il fatto che l'autobus mi avesse portato dalla parte giusta?» chiesi, con un sopracciglio inarcato.
«Sì. In parte, la fortuna è controllata dagli dei. E poi, ricordi i tuoi pensieri prima di entrare in quell'edificio diroccato? Ricordi quell'istinto irrefrenabile di entrare?»
«E quello sarebbe stato un aiuto? Ho dovuto bruciare un edificio per uscirne vivo!»
«Le cose non sono andate come previsto. Vedi, se tu fossi entrato in quell'edificio e non avessi fatto rumore, quasi sicuramente le dracene non ti avrebbero trovato. Anche se» disse sospirando «avrei dovuto prevedere un comportamento simile da parte tua. In fondo è stato un comportamento totalmente umano. Immagino di essere in parte colpevole della tua curiosità. A dogni modo, sei riuscito a sopravvivere.»
Fece un largo sorriso, il primo vero sorriso che esprimeva felicità e, cosa per me assai più rara, orgoglio.
Dopo tutta quella spiegazione, avevo pensato di voler fare un miliardo di domande, ma non fu così. Volevo farne solo una, per quanto temessi la risposta. La posi quasi come un'affermazione, anche se non era difficile cogliere la domanda racchiusa all'interno di essa.
«Quindi per mio padre sono stato un errore imperdonabile. Non sarei dovuto nascere.»
Mia madre non rispose subito. Si alzò e si mise alle mie spalle.
«Ti ho già detto che tuo padre era un idiota?»
Lo disse in un tono così sbrigativo, convinto e umano che non potei fare a meno di scoppiare a ridere, mentre lacrime calde mi sgorgavano dagli occhi, che erano così simili a quelli della dea da sembrare delle copie.
Dopo essermi asciugato il viso, mi voltai a guardarla. Entrambi avevamo un sorriso stampato sulle labbra, il dolore era solo un lontano ricordo.
«Non guardarmi mentre me ne vado, la morte potrebbe essere una fortuna in confronto a ciò che potrebbe succederti.»
Non ebbi molti problemi a crederci.
E così mi girai ancora una volta a osservare il mare e le sue onde, che bagnavano la sabbia chiara della spiaggia, tingendola di un colore infinitamente più scuro.
«Devo complimentarmi per la bella partita contro Chirone. Hai utilizzato alcune mosse molto astute, nonostante il tuo avversario fosse molto capace. Davvero una bella battaglia.»
«Grazie.» risposi, mentre un sorriso che lei non poteva vedere si apriva ancora una volta sul mio viso.
«Come ha già detto Chirone, ci dobbiamo aspettare grandi cose da te. Questa non sarà l'ultima volta che ci rivedremo, figlio mio» promise.
«E sopravvivi» aggiunse infine.
Una forte luce esplose dietro di me, non facendo alcun rumore. Durò pochi secondi, nei quali chiusi gli occhi e sussurrai solo due parole.
«Ave, madre.»
Pochi istanti dopo li riaprii e mi voltai verso il posto in cui prima si trovava la dea.
Ma lei non c'era più, pareva scomparsa, la sua esistenza stessa dispersa nei venti.
•••
Cari amici, questo era l'ultimo aneddoto che volevo raccontarvi. Come ho già detto, probabilmente non vi servirà, ma penso sia stato giusto aggiungerlo sia per completezza e per mettervi a conoscenza di tutti fatti, sia perché non potrei permettermi di scrivere un libro sulla mia storia omettendo la parte in cui appare mia madre, che, pur essendo particolarmente ragionevole, rimane una dea ed è, come tutti i suoi colleghi sull'Olimpo, incline all'ira.
Infine, vorrei darvi un ultimo consiglio, in seguito a tutto ciò che è successo e anche perché sono il figlio della dea della sapienza: ragionate sempre con la vostra testa. Non fidatevi troppo degli altri e cercate di valutare con obiettività le azioni delle persone.
Perché arriverà un giorno in cui vi pentirete di non aver riflettuto abbastanza, e in virtù di ciò fate in modo di avere meno rimpianti possibili.
Fate in modo di scrivere con le vostre mani il libro della vostra vita.
Siate gli artefici del vostro destino.
Gabriel
Angolo Autrice
E con questo, cala il sipario su una storia che è giunta al termine, la mia prima e unica storia, che mi ha dato molte più soddisfazioni di quante avrei potuto immaginare.
E per questo devo ringraziare voi, che avete letto questo libro.
Voi, che mi avete sempre sostenuto.
Voi, che mi avete sempre dato la forza di scrivere questa storia.
Siete voi che devo ringraziare.
E, senza ulteriori indugi, lo faccio.
GRAZIE
Dico davvero, questa storia non sarebbe finita senza di voi.
Grazie per tutti i voti, i commenti, le stelle e gli incoraggiamenti.
Ci sono tantissimi cose di cui mi devo scusare, ma penso di poter evitare, visto che è l'ultima volta che scrivo un capitolo di questa storia.
Adesso parliamo un po' dell'ultimo capitolo.
Innanzitutto, vi è piaciuto?
Spero di sì. Spero che la conclusione di questa lunga (fin troppo😂) storia vi abbia soddisfatto.
Per quanto riguarda una frase del capitolo, forse solo MartaMoro10 capirà a cosa mi sono ispirata.
Ad ogni modo, spero che possiate perdonarmi per tutto, così che io possa andare con tranquillità e animo sereno a premere quel pulsate che indicherà il 30 Giugno 2018 come la data di completamento di questa storia.
Sappiate che per me è stato un piacere scrivere questo libro, se così lo possiamo chiamare.
Vi saluto per l'ultima volta❤️
Per sempre vostra,
Ark
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