New York
L'arcobaleno è molto più magico di quel che crediamo. Siamo riusciti a studiarlo, a capirne il meccanismo e perfino a riprodurlo. Ma non siamo mai riusciti, e forse mai riusciremo, a ricreare la bellezza e la maestosità dei suoi archi colorati che accendono il cielo grigio dopo una giornata di pioggia.
•••
«New York!» esclamò Mick, sorridendo. Usò le braccia per comporre un gesto scenico, come a dire «prego, dopo di te».
Io, però, non ero entusiasta quanto lui. Nonostante il mio compagno avesse risolto velocemente tutti i problemi economici e di spostamento verso la Grande Mela, e nonostante fossimo arrivati senza inconvenienti, io non ero affatto tranquillo. Non avevo avuto strani sogni. E forse era a causa di quello che mi trovavo in quello strano stato di agitazione, come se, avvicinandomi sempre di più alla meta, crescesse il pericolo.
«Ci sono mostri a New York?» chiesi, abbastanza teso nel volto.
L'entusiasmo di Mick fu smorzato un po', e, come al solito, il suo luminoso sorriso si trasformò, finendo con l'assumere una piega obliqua, felice e preoccupata al tempo stesso. Durante il tempo passato insieme avevo avuto modo di conoscerlo meglio: era un tipo simpatico, solare e curioso, anche se parecchio ingenuo. Mi ero convinto completamente che fosse una persona di cui potermi fidare.
«Ci sono. Ma ormai siamo quasi arrivati al Campo. Forse è meglio non cantare vittoria troppo presto» rispose, grattandosi la nuca.
Vidi un taxi libero a una decina di metri da me, e lo indicai a Mick.
«Aspetta, prima dobbiamo avvertire che stiamo arrivando» fu la sua risposta, involontariamente enigmatica.
«Come? Non hai detto che utilizzare apparecchi elettronici attira i mostri?»
Aggrottò leggermente la fronte.
«Quali apparecchi elettronici?»
Arrivò il mio turno di aggrottare la fronte.
«Come li chiamiamo? Non mi dirai che utilizzate gufi per posta o segnali di fumo.»
«Ovviamente.»
Di fronte alla mia faccia attonita, cominciò a ridere.
«Scherzavo, scherzavo. Iride consegnerà il nostro messaggio.»
Si comportava sempre nello stesso modo: diceva qualcosa a me incomprensibile senza spiegarla. Per sapere qualcosa da lui bisognava chiederglielo cento volte.
Stanco, non feci domande e lo seguii all'interno di un negozio di souvenir.
Rimasi all'entrata, e alcuni minuti dopo uscì. In un sacchetto, aveva un bicchiere trasparente, uno specchietto, e una bottiglietta d'acqua.
«Ora dobbiamo cercare un lucernario» commentò, allegro.
«A cosa ti serve?»
«Mi serve perché deve lanciare un fascio di luce verso il basso.»
«Una scala di metallo in stile grata potrebbe andare bene?»
«Se lascia passare la luce, sì.»
«Allora» conclusi «cerchiamo nei vicoli.»
Cercammo in alcuni vicoli, e dopo un po' riuscimmo nella nostra impresa: avevamo davanti una scala antincendio con i fori quadrati, da cui prenetravano raggi di sole chiari.
«Perfetto.»
Mick si mise sotto la scala, con il viso rivolto verso la parete. Tirò fuori il bicchiere e lo riempì d'acqua, per poi posarlo per terra. Prese in mano lo specchietto, attento a non farlo cadere per terra, e lo immerse con una particolare angolatura del piccolo recipiente.
Quando il fascio di luce colpì il vetro, sulla parete di fronte ad esso si rifletté un bellissimo arcobaleno dai colori sgargianti.
Mick batté le mani, felice, poi tirò fuori da una tasca dello zaino una moneta. Era più grande delle monete normali, e color oro, scintillante. La portò sopra la fronte con due mani, e per un folle istante pensai che l'avrebbe benedetta, come un'ostia.
«Oh dea, accetta la nostra offerta!»
Lanciò la moneta in aria. Quando toccò il suolo, invece di rimbalzarvi, scomparve, come se avesse attraversato il suolo, senza fare alcun rumore.
Sbarrai gli occhi mentre Mick diceva: «Collina Mezzosangue».
Pochi secondi dopo, nell'arcobaleno comparvero delle immagini, che mi lasciarono ancora più sconcertato: erano il campetto da pallavolo e la casa blu del mio sogno. Il Campo Mezzosangue.
Un uomo, girato di spalle, passò di lì - o meglio, passò davanti all'immagine - in quel momento.
«Chirone?» chiamò Mick.
La figura si girò, rivelando capelli ricci e neri e una camicia hawaiana parecchio tirata sui bottoni. Aveva sul viso un'espressione antipatica. Si avvicinò leggermente.
«Ti sembro forse un cavallo, satiro?»
«No, signore. Scusi, signore.»
Non avevo mai visto Mick in confusione, ma, di fronte a quell'uomo, sembrava incredibilmente agitato.
«C'è... c'è Chirone?» chiese con voce flebile, simile a un sussurro.
«Tu che dici?»
«Direi... di no.»
«Ti daranno un premio per l'intelligenza» commentò, roteando gli occhi verso il cielo.
In quel momento, l'uomo mi vide, e puntò i suoi occhi scuri nei miei. Non distolsi lo sguardo.
«E così, hai trovato il ragazzino... com'è che si chiamava? Gregory?»
«Mi chiamo Gabriel, signore.»
Mentre l'uomo era voltato verso di me, Mick sembrò prendere un po' di coraggio.
«Signor D, potrebbe riferire a Chirone che sto conducendo il mezzosangue al Campo e che siamo a New York?» disse, con lo sguardo puntato verso le scarpe.
«Ti pare che io abbia un caduceo? Dove dovrei averlo, nel...»
«Potrebbe, per favore, portare il nostro messaggio a Chirone? È importante» lo interruppi io, stanco di ascoltare le stupidaggini che uscivano dalla bocca dell'uomo.
Il poco sarcasmo defluì dal suo volto, lasciando una maschera dura.
«Porta rispetto, piccolo mezzosangue» replicò a denti stretti, con odio.
Detto questo se ne andò, senza che io potessi rivolgergli un cordiale «e se non volessi farlo?».
Il mio compagno sospirò, poi andò a rimuovere il recipiente e rimise tutto nel sacchetto.
«Fa attenzione a lui, Gabriel. È molto più potente di quanto credi» disse, dopo un po'.
«Perché? Spara raggi laser dai fiori della camicia?» chiesi in risposta, ironico.
L'espressione abbacchiata rimase a galleggiare sul suo volto.
«Potrebbe, se lo volesse.» Finì di rimettere a posto.
In quel momento, fece il suo ingresso nel vicolo un uomo sulla trentina con un'espressione cattiva dipinta negli occhi, neri come la pece. Una cicatrice curva gli solcava l'intera guancia destra. Rise in maniera malvagia, e il segno sul viso si deformò.
«Fuori gli zaini, ragazzi. E non provate a fare mosse strane, altrimenti...» esordì, rivelando un affilato coltello da caccia.
Fu fulmineo. Mick si lanciò contro l'uomo e, prima che quest'ultimo potesse fare solo un movimento, lo atterrò con una mossa di arti marziali. In pochi secondi, con un altro movimento, schiantò il rapinatore contro il muro. Il tipo cadde a terra, privo di sensi.
Quando mi ripresi dallo shock, il satiro mi stava già guidando fuori dal vicolo.
«Come...» balbettai.
«Non ho fatto mosse strane» mi anticipò «Solo arti marziali.» Sorrise al mio viso incredulo.
Tornammo in una via di New York baciata dal sole e piena di persone. Mick andò a battere delicatamente sulla spalla di una giovane donna.
«Mi scusi, in quel vicolo siamo stati attaccati da un rapinatore. Sarebbe così gentile da chiamare la polizia?» disse, indicando la stradina.
Poi corremmo via, e ci infilammo dentro un taxi, che ci portò fino a un'altra stazione ferroviaria.
Essendo ricercato da metà degli Stati Uniti, io e il mio compagno avevamo concordato sul cercare di far perdere le nostre tracce.
Una volta arrivati, salimmo sul nostro ultimo treno, che, nel giro di mezz'ora, ci fece arrivare a Long Island.
Da lì, prendemmo un taxi. Il conducente non fu né espansivo né di molte parole.
«Dove?»
«Farm Road 3141.»
Il tassista ci lasciò davanti a una collina, esattamente dove gli aveva detto Mick.
Nessun mostro - a meno che non si voglia considerare tale il rapinatore - ci aveva attaccato da quando avevo incontrato il satiro. Un po' di fortuna cominciava a girare.
Certo, sarebbe stato meglio averla mentre ero solo e in condizioni pietose, inseguito da mostri assassini ed esausto dal dolore, ma non si può chiedere tutto dalla vita.
I mostri che mi avevano inseguito avevano un nome: dracene. Eravamo anche riusciti a identificare anche quelli del mio sogno: i mastino neri erano Segugi Infernali dei Campi della Pena - comunemente chiamati Segugi Infernali per comodità - mentre i leoni con volti umani e code da scorpione erano risultati Manticore. Non che la cosa mi avesse rassicurato.
Mick non aveva voluto rivelarmi tutto, dicendomi che Chirone si sarebbe occupato di fare chiarezza su tutta la confusione che avevo in testa. Quando il satiro mi aveva detto di aspettare, per poco non gli avevo urlato contro. Insomma, già rischiavo di finire all'altro mondo senza preavviso, almeno mi avrebbe fatto piacere finirci con delle risposte. Ma il satiro era stato irremovibile.
Dopo essere scesi dal taxi ci incamminammo a piedi. Il mio compagno diceva che eravamo vicini. Poco tempo dopo, ci trovammo in cima a una collina.
Guardai Mick. La sua espressione narrava pura gioia, ogni suo singolo muscolo irradiava felicità.
Ci siamo.
«Siamo quasi arrivati, dobbiamo solo arrivare in fondo a questa collina.»
Da quanto era felice, si mise a correre.
Io, però, nelle mie condizioni dovetti accontentarmi di riuscire a non raggiungere la valle rotolando.
Per fortuna, mancava poco.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top