Addio
Il più grande difetto dell'umanità, che non siamo mai riusciti a correggere, è che non ci accorgiamo del vero valore di una cosa fino a quando non la perdiamo.
•••
Dopo aver rimesso a posto il violino e aver riportato al prete libretti e fogli, mi incamminai verso l'uscita.
Poco prima di lanciarmi nelle strade di San Francisco, mi feci il segno cattolico per eccellenza: quattro tocchi con le dita della mano destra a indicare una croce invisibile. Ormai era diventato un gesto abituale, una specie di rito che il mio corpo eseguiva anche senza un mio ordine.
Spalancai il portone e imboccai la strada, diretto verso l'orfanotrofio.
Notai che, mentre eravamo nella chiesa, il tempo era un po' peggiorato: il sole non illuminava tutto come prima e c'erano diverse nuvole che minacciavano una pioggia imminente. Il piccolo rosone, non più colpito dai raggi luminosi, appariva spento, con colori sbiaditi.
Ti prego, fa che non piova! Preferirei tornare con calma invece di dover correre cercando di ripararmi dalla pioggia!
Sorrisi ripensando alla battuta sulla corsa di stamani.
Mentre camminavo mi misi a giocare con l'anello che portavo al collo. Lo facevo sempre. Era un buon modo per distrarsi.
Svoltai nella strada che avevo percorso durante l'andata. Questa volta era quasi deserta. Evidentemente, il cambiamento di tempo aveva fatto tornare molte persone in casa. In effetti, cominciava a fare quasi freddo, e si era alzato un venticello gelido.
Ad un certo punto, sentii un grido. Non un grido forte, ma uno debole, nonostante sembrasse molto vicino. Anzi, era vicino. Era un grido maschile e sembrava la voce di un bambino, o almeno non quella di un adulto.
Con un sussulto, cercai di capire da dove provenisse quell'urlo e cominciai a guardarmi freneticamente intorno, alla ricerca di qualcosa di strano. Non notai niente, ma pochi minuti dopo sentii di nuovo quel grido. Un gelo improvviso invase il mio corpo e mi sentii rizzare i capelli. Con una sorta di muto stupore mi resi conto di chi fosse stato a urlare.
Michael.
Con gli occhi ormai fuori dalle orbite per l'agitazione, mi guardai intorno per cercare un aiuto di qualunque genere, ma, con mio orrendo stupore, mi resi conto che nessuna delle persone vicino a me sembrava essersi accorta di niente.
Quella volta ero riuscito a capire da che parte provenisse il suono, ma questo non mi calmò affatto. Cominciai a correre per cercare di raggiungerlo in qualche modo, pur non sapendo davvero dove stessi andando e nemmeno cosa avrei potuto fare. Man mano che mi avvicinavo al luogo, cominciai a sentire un altro suono, sempre più insistente e penetrante, come una specie di sibilo. Come il verso di un serpente.
Ma quel suono non aveva senso, non poteva essere collegato a Michael, probabilmente era solo il vento che mi stava giocando un brutto tiro, sfruttando i miei nervi tesi e la mia immaginazione rivolta al peggio. O no?
Poco dopo mi fermai vicino a un vicolo, che sapevo per certo essere cieco, e appoggiai la schiena alla parete di colore ocra di una casa abbandonata da anni.
Intorno a me aleggiava un'aria pesante, un misto di tensione e paura.
Dalla posizione in cui mi trovavo, riuscivo quasi a vedere cosa stava succedendo. Ancora un paio di centimetri verso sinistra e sarei riuscito a vedere la scena perfettamente. Mi spostai lentamente, attento a non fare alcun rumore, trattenendo il respiro.
La scena che mi si parò davanti mi fece gelare il sangue.
Il mio migliore amico era lì, in piedi, e qualcuno o qualcosa stava cercando di soffocarlo. Il suo corpo era rialzato da terra di una decina di centimetri e potevo vedere chiaramente ogni suo singolo muscolo contratto fino alla spasimo, nel tentativo di lottare contro l'aggressore.
Trasalii rendendomi conto che quella cosa non era umana. Dalla vita in su poteva anche sembrarlo, ma dalla vita in giù... era un serpente grigio. Due enormi code grigie da rettile si trovavano nel punto in cui avrebbero dovuto trovarsi le gambe.
Come se il quadro non fosse grottesco a sufficienza, in alcuni momenti sembravano esserci le code e in altri delle gambe umane, anche se in quegli istanti l'immagine tremolava, come a non voler apparire reale.
Pensai di essere impazzito. Una cosa del genere non poteva esistere. Forse stavo sognando, e in quel caso tra poco mi sarei svegliato, madido di sudore, nel mio letto. Eppure l'istinto mi diceva che quello non era un sogno e che io non stavo impazzendo, per quanto sembrasse impossibile. Il che voleva dire solo che quella cosa era vera.
Impiegai un po' di tempo a riprendermi dallo shock e dalla paura. Quando mi ripresi notai che Michael era terrorizzato, paralizzato dalla paura, e continuava a gridare «Cosa sta succedendo?!», «Cosa diamine sei?!» e un sacco di altre cose di quel genere.
Il sibilo era fortissimo e ci misi un po' a capire che stava parlando. Quella cosa poteva parlare. Michael ammutolì poco a poco, un po' perché non aveva più fiato nei polmoni e un po' perché si era reso conto delle parole del serpente.
La sua voce era tagliente come la carta vetrata, e mi fece accapponare la pelle.
«Dimmi dove ssssi trova» disse la cosa.
«D-dove si trova che cosa?» fu la risposta soffocata di Michael, ormai giunto al limite della sopportazione fisica.
«Lui.»
«Lui chi?»
«Il mezzossssangue. Il tuo amico.»
Michael era confuso. E lo ero anche io.
Poco dopo, però, spalancò gli occhi, che gli si accesero di un barlume di comprensione e terrore.
«Dimmelo» sibilò la creatura.
Il mio migliore amico strinse le labbra e non rispose.
«Dimmelo o ti ucciderò!»
Michael voltò la testa di lato e fu in quel momento che i nostri sguardi si incrociarono. Ci fissammo per pochi, interminabili secondi.
Iridi verdi dentro iridi marroni, terrore dentro terrore. In quel momento tutta la sua paura si riversò su di me, insieme ad un messaggio forte e chiaro.
Scappa.
Al tempo stesso, però, supplicava aiuto.
Volevo aiutarlo, avrei fatto qualunque cosa per aiutarlo. Stavo per lanciarmi contro il mostro, tutto il mio corpo era pronto a farlo, le mie emozioni presero il sopravvento. Ma un attimo prima di lanciarmi contro il nemico mi bloccai. Fu il mio cervello a impormelo. Non ero abbastanza forte per battere quel mostro, non ce l'avrei mai fatta, saremmo morti entrambi.
Mi maledissi immediatamente per quel pensiero. Da una parte il mio corpo mi gridava con tutte le sue forze di lanciarmi contro il nemico, dall'altra il mio cervello mi imponeva di fermarmi, facendomi presente che non sarei mai riuscito nel mio intento, e che tutti i miei sforzi sarebbero stati vani, come quelli di una foglia che vuole opporsi alla furia devastante del vento in tempesta.
I nostri sguardi si divisero, e quell'attimo ebbe fine.
Probabilmente, arrivato a quel punto, Michael sentiva la morte a un passo da lui. Prendere la vita con una dose di sarcasmo e orgoglio era sempre stato alla base del suo comportamento. E, così mi piace pensare, decise di dare fine alla sua esistenza seguendo il suo stile di vita fino in fondo.
«No.»
Quella semplice parola congelò quell'istante, e lo fece dilatare a lungo. Il mondo sembrò farsi totalmente silenzioso, riuscivo a sentire l'elettricità che scorreva nell'aria e il battito accelerato del mio cuore.
«Muori, allora.»
Tutto andò in pezzi, crollò come un castello di carte. Il mostro lo soffocò, e una parte di me si spense con lui.
Michael smise di dimenarsi, e i suoi occhi vitrei rivelarono con ineluttabile certezza che la sua anima si era ricongiunta a quelle delle persone che erano morte prima di lui.
Mi ritrassi nuovamente dietro al muro, tremante.
Michael Aust era morto. E io non lo avevo impedito, non ci avevo neanche provato.
Mi ero rifiutato di rischiare la mia inutile vita per salvare una persona che si era sacrificata per me, per salvare il mio migliore amico. Non avevo avuto il coraggio di aiutarlo.
Era colpa mia se lui era morto.
Un senso di disperazione si insinuò dentro di me, e mi resi conto che non ero solo io ad essere in pericolo, ma lo erano tutte le persone che mi stavano vicine. Quella cosa stava cercando me.
In uno slancio di rabbia mista a sensi di colpa, giurai a me stesso che nessuno sarebbe più morto a causa mia.
E se ciò avrebbe comportato
dei sacrifici, delle privazioni e del dolore, li avrei sopportati senza esitare.
Trassi un respiro silenzioso e grave e mi gettai a rotta di collo tra le strade di quella città che era sempre stata accogliente e benevola, e che in quel momento appariva, al contrario, insidiosa piena di pericoli.
Il cuore mi martellava nel petto.
Non aveva mai fatto così male.
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