-18- Nel buio del sottosuolo

La notte era ormai fonda quando mi risvegliai colta dai brividi di freddo. Ad accogliermi, quando riaprii gli occhi, fu la luce splendente di un fuoco che mi ferì gli occhi. Scostai di dosso il mantello con cui Velkam mi aveva coperta e alzatami raccolsi giubbotto e pantaloni pettinando alla bell'e meglio i miei capelli con gli stessi artigli.
Quando fui rivestita di tutto punto la sensazione fastidiosa di freddo umido e pungente svanì. Gettai un'occhiata verso quel bagliore, cercando piano piano di abituare i miei occhi da asmodiana a quella luce bruciante e misi a fuoco la sagoma di Velkam seduto su un masso vicino al fuoco.
"Ehi", dissi poco convinta raggiungendolo e poggiandogli una mano guantata sulla spalla. Anche lui aveva indossato nuovamente la giubba di cuoio. Le braccia restavano scoperte a lasciare intravedere i bicipiti asciutti.
Quando percepì il mio tocco si voltò improvviso e mi rivolse un sorriso. "Ben svegliata", disse tornando a concentrare il suo sguardo sui tizzoncini ardenti.
Non risposi subito, ma presi posto accanto a lui accostando le mie mani al fuoco, per percepirne il calore.
"Ho pensato di aspettare che ti svegliassi. Finché è notte qui in questa zona neutrale e sperduta non ci dovrebbero essere problemi", disse inumidendosi le labbra mentre giocava con un bastoncino a spostare i tizzoni ardenti per ravvivare il fuoco.
La luce tenue della fiammella che cominciava a calare gli illuminò lo sguardo.
"Deve essere tardissimo", mormorai.
"No. In realtà avrai dormito solo un'ora o due, cosa che per me è stata impossibile per via..del freddo", ridacchiò. "Voi asmodiani avete una resistenza impressionante ai climi rigidi".
Corrugai la fronte. Sì, era vero. Ma ciò non ci rendeva meno umani degli elisiani. Eravamo un po' più resistenti forse: merito del territorio arido, freddo e deserto in cui ci trovavamo a sopravvivere.
Il canto delle cicale era insistente e una brezza leggera scuoteva le folte chiome degli alberi circostanti. Il rumore della cascata era continuo, crosciante e allo stesso tempo rilassante.
"A che pensi?", gli domandai sempre sottovoce. Velkam era assorto nei suoi pensieri e questo mi aveva dato da pensare che potesse esserci qualcosa che non andava.
"A niente in realtà", disse lui tranquillo mentre attendeva che il fuoco si estinguesse.
"Non si può non pensare a niente, elisiano. Non prendermi in giro. Il solo fatto che tu pensi di non pensare a niente è già un pensiero", lo fulminai con un'occhiata che suscitò in Velkam una risata divertita.
"Sai che questa è una battuta vecchissima, vero?", mi chiese con cipiglio furbo accarezzandosi il mento con due dita.
"Dunque?", insistetti sollevando un sopracciglio.
"Stavo riflettendo sulla maledizione del tuo amico e mi chiedevo... qual è il luogo più pregno di maledizioni, ad Atreia?".
Scossi il capo confusa. Davvero Velkam stava pensando a Dahnael?
"Ehm... non saprei... pensi che il fatto che Dhan sia stato colpito nei pressi della dimora del drago non c'entri nulla con chi ha lanciato la maledizione?".
Velkam annuì. "Io penso... che la chiave di lettura di questa vicenda è un'altra. Ben più grande di un problema che riguarda un singolo Daeva, che sia asmodiano o elisiano".
Ancora non capivo. Sfregai le mani al freddo del fuoco ormai estinto. Di esso non rimanevano che pochi tizzoni ardenti. Il viso di Velkam adesso era illuminato dalla fievole luce della luna.
"Stai dicendo che potrebbe esserci qualcosa di più grande?".
L'elisiano annuì ancora. "E' da un po' che ci stiamo occupando di questo problema con la mia legione. Hai mai sentito parlare della maledizione di Adma?".
La mia espressione di sorpresa non fece che suscitare in lui una maggiore risolutezza.
"Il castello di Adma... ma è pieno di zombie e di.. morti", arricciai il naso in un brivido.
"Attorno a quella fortezza non c'è che morte e putrefazione", continuò Velkam.
"Metà Brushtonin, ad Asmodae, è stata colpita dalla sua maledizione", continuai.
"E non vi siete mai chiesti il motivo?". Era tornato in lui, seppure involontario, un tono malcelato di arroganza nella voce.
"Beh, ci hanno sempre parlato di una contaminazione. Adma rimase chiusa, nonostante gli abitanti avessero cercato di rifuggiarvisi. Era quella l'unica speranza di salvezza per coloro che avevano cercato di sfuggire a quella maledizione che aveva messo in ginocchio la metà dell'isola ma...", mi interruppi.
"Ma probabilmente è proprio al suo interno che si nasconde la causa della contaminazione. Ed è proprio lì il responsabile di queste maledizioni". Si scostò nervosamente il ciuffo dagli occhi. "Riflettici Selhen, nessuno è mai riuscito ad addentrarsi in quella fortezza. Noi stessi siamo alla ricerca di un passaggio che ci faccia arrivare al suo interno".
Annuii riconoscendo la ragione in ogni sua parola. E se fosse stata veramente quella la chiave di lettura della vicenda di Dhanael? E se fossero stati colpiti altri Daeva da quell'orribile maledizione?
"Credo che domani andrò a fare un salto a Brushtonin. Voglio quantomeno chiedere informazioni a Surt. Il luogotenente del posto".
Velkam voltò lo sguardo verso di me, per la prima volta da quando mi ero seduta accanto a lui. "Non hai intenzione di metterti nei guai, vero? Sai che non potrò essere a Brushtonin a salvarti la vita, asmodiana".
"Voglio solo saperne un po' di più, tutto qui". Mi morsi il labbro imbarazzata distogliendo i miei occhi dai suoi.
L'angolo delle labbra del cacciatore si sollevò in un sorriso ambiguo che mi mise vagamente in difficoltà.
"Qualunque cosa dovessi scoprire. Fammelo presente", disse infine con tono paziente.
Annuii. "D'accordo", dissi in un sospiro. Percepii la sua mano calda sfiorare la mia e stringerla trasferendo in essa un po' del suo calore.
Fu istintivo per me appoggiare il capo sulla sua spalla e a quel gesto potei sentire il braccio di Velkam passare ai miei fianchi e stringermi maggiormente a sè.

Notte fonda. Era ancora buio quando io e Velkam ci lasciammo. Avevamo cancellato ogni traccia del nostro passaggio da quelle parti e furtivamente eravamo arrivati all'uscita della zona neutrale. Con un veloce bacio ci eravamo separati ripromettendoci che ci saremmo rivisti l'indomani a Sarpan per aggiornarci sulle novità scoperte, se mai ce ne fossero state.
Avevo pensato di tornare a casa a riposare ma quell'ora di sonno non aveva fatto altro che acuire i miei sensi e causarmi la solita insonnia notturna. Mentre camminavo sulla strada di ritorno per la fortezza di Ruhn, guardinga e attenta a non lasciarmi cogliere impreparata da qualche elisiano, incontrai un asmodiano intento a fare silenziosamente strage di Zaion dagli artigli affilati. Sembrava che fossero divenuti ormai troppi nei dintorni della fortezza.
Passai avanti un po' più tranquilla. Inizialmente avevo temuto che potesse essere un nemico.
Il Katalam era sprofondato nel silenzio e nella quiete. Nessun cozzare di armi, nessun urlo di battaglia, nessuno schiamazzo aleggiava per le sue strade deserte.
Muoversi di notte, per noi asmodiani, era di gran lunga più agevole che farlo di giorno.
Col sorgere del sole sembrava che i nemici si moltiplicassero a dismisura. Compiere le missioni in certi casi era impossibile.
Un'idea mi balenò per un attimo nella mente.
E se fossi scesa nel sottosuolo del Katalam a raccogliere adesso dell'ID? Era un ottimo modo per scambiarlo per delle monete antiche e farlo con la pace e il favore della notte sembrava un'ottima idea.
Era di notte che ogni elisiano dormiva, così sarebbe stato più semplice raccogliere dell'ID dai klaw della miniera. E più ID riuscivo a procurarmi maggiore per me sarebbe stata la ricompensa in monete antiche.
Valutai con me stessa che era assolutamente una trovata geniale e così, giunta al teletrasporto del Katalam pagai per il viaggio fino a Pandarung.
Era così strano trovarsi nel cantiere deserto di Pandarung di notte. Tutto riposava, perfino lo shugo che stava a guardia dell'accesso del sottosuolo ronfava beato.
Mi schiarii la voce cercando di attirare la sua attenzione.
"Scusi".
Lo shughino balzò sull'attenti, i suoi occhietti acquosi erano spaesati. Puntò lo sguardo su di me e assunse un'aria interrogativa.
Senza ribattere depositai 60.000 kinah sul suo tavolino e feci ingresso nell'ascensore che mi avrebbe condotto migliaia di metri sotto terra.
Quando arrivai le luci soffuse del sottosuolo e il silenzio mi ricordarono che effettivamente era notte fonda. Gli shugo addetti alla vendita di oggetti e viveri sonnecchiavano tutti. Ognuno al loro bancone. Alcuni altri avevano dipinta sul viso un'espressione annoiata nell'attesa di qualche possibile visitatore notturno. Notai in un angolo del grande atrio un elisiano. Era accucciato, come in meditazione, in attesa di chissà chi.
Purtroppo per me, il fatto che fosse notte non mi difendeva totalmente dagli elisiani. Poteva sempre esserci qualcuno che aveva pensato la mia stessa cosa e si fosse trovato a raccogliere ID nel medesimo posto.
Preoccupata a quel pensiero e sperando mentalmente di non imbattermi in nessun nemico offensivo, mi avviai verso le scale che conducevano nel vero sottosuolo. Quello fatto di piante selvatiche e ruderi.
L'ambiente brulicava di guardie balaur e mostri di ogni tipo. Viverne aggressive, dalla forme di grandi pipistrelli, svolazzavano per tutto il grande ingresso, minacciose.
A passo felpato e con i revolver sguainati mi mossi sicura verso la prima miniera di ID.
Ero già stata parecchie volte nel sottosuolo. Poche volte da sola, era vero, ma di notte il peggio che poteva capitare era imbattermi in qualche sparuto elisiano solitario che poteva essere messo più facilmente fuori combattimento.
Passando alla larga dalle viverne oscure che schiamazzavano all'ingresso della miniera mi inerpicai per la salita fino a raggiungere una strada sterrata ai bordi della quale cresceva una rigogliosa vegetazione sotterranea. Percorsi l'ambiente oscuro e silenzioso con lo sguardo e caricai i revolver alla ricerca di quello che mi interessava.
Un movimento di chele e zampette agili catturò la mia attenzione e con la mia acuta vista asmodiana lo notai all'istante: un klaw lavoratore intento a scavare nel terreno. Allungai il braccio destro chiudendo un occhio per prendere meglio la mira, poi sparai il primo colpo.
La pallottola d'etere scalfì appena il duro guscio dell'esserino che nello stesso momento in cui si vide attaccare mi si rivoltò contro. Lo vidi venire verso di me minaccioso ma ero già pronta a sparare una raffica di proiettili con entrambi i revolver. Il piccolo crostaceo si riversò sul dorso zampettando in un ultimo rantolo e quando fui sicura che fosse completamente morto mi chinai a raccogliere da lui la pietra di Idium pietrificato che conteneva.
Continuai così per una buona mezz'ora. Nell'intenzione di scovare più klaw possibili e di sparar loro contro fino ad ucciderli. Avevo riempito già buona parte della bisaccia quando un rumore un po' diverso da quello dei miei revolver risvegliò i miei sensi allerta.
Con le pistole sfavillanti e luminose tra le mani rimasi sull'attenti. I miei occhi rossi e accesi dalla furia del combattimento percorsero il posto buio.
Potevo riuscire a mettere a fuoco qualsiasi cosa. Perfino il più piccolo klaw che trafficava tra la sterpaglia. Le mie orecchie coglievano i flebili suoni dei loro versi e delle loro zampette. Ma quel rumore che avevo percepito non lo aveva causato un klaw.
Un altro scoppio, più forte. Poi un rumore di passi metallici, come di un enorme mostro di metallo che passo dopo passo veniva nella mia direzione. Evocai Daff con un fischio e la mia wuff mi comparve accanto.
"Che succede, Daff?", mormorai arretrando.
Studiai gli atteggiamenti della wuff, sembrava nervosa, eppure non abbaiava. Che ci fosse un elisiano da quelle parti?
Il cuore mi balzò in petto a quel pensiero. Sarei riuscita a battermi con un elisiano da sola?
Deglutii nervosamente indecisa sul da farsi. Filarsela nella zona neutrale del sottosuolo o rischiare ancora?
Stavo ancora indugiando quando il rumore di tonfi metallici mi sorprese ancora, questa volta più vicino.
Non ebbi neanche il tempo di fare un dietro front veloce, che dall'angolo del viale una palla infuocata andò a investire in pieno un klaw che si incendiò morendo sul colpo.
A quanto pareva qualcun altro aveva avuto la mia stessa idea. E quel qualcun altro era proprio un elisiano.
Lo vidi, un tecnico dell'etere a bordo del suo mecha. I robottoni metallici di ultima generazione che i Daeva ingegneri avevano progettato.
Non avevo idea di come si manovrasse un aggeggio diabolico come quello. Io ero un tiratore scelto, vestivo in pelle e mi servivo solo della mia agilità per combattere. Quei mostri invece erano giganteschi.
Due manone enormi si erano sporte a raccogliere il cadavere del klaw poi la macchina si voltò nella mia direzione. Vidi un enorme cannone puntarsi contro di me che in quel momento dovevo avere un aspetto inerme e sconcertato.
Scorsi da lontano l'elisiano che dentro quell'enorme mostro di latta gestiva i comandi, ma l'unica cosa che riuscii a fare, mentre Daff abbaiava come una forsennata, fu darmela a gambe per istinto di sopravvivenza.
In una corsa a rotta di collo percorsi la strada a ritroso e imboccai un altro sentiero del sottosuolo per tentare di seminarlo. Ma il mecha era sempre alle mie costole.
Mi accorsi che più correvo più il mio passo rallentava per la stanchezza. La distanza tra noi si accorciava rapidamente.
Mi ritrovai quasi addosso ad uno zombie soffocato, nella folle corsa, il quale, aggressivo mi si rivoltò contro strappandomi la pelle del braccio con un unghiata. Digrignai i denti soffocando un urlo di dolore, il petto mi faceva male per la corsa.
Che altro potevo fare se non fermarmi e combatterlo? L'uscita era ormai troppo distante e quell'elisiano sembrava deciso a volermi ammazzare.
Con un dolore lancinante ai polmoni per la folle corsa mi costrinsi a cambiare direzione coi revolver sguainati. I miei occhi accesi mirarono il bestione che mi veniva incontro.
Se volevo fermare quella macchina infernale dovevo mirare a chi la guidava.
Sperai che l'elisiano non avesse un'armatura tanto resistente, e con quel pensiero sparai. Un rumore di lamiera ammaccata mi fece capire che avevo mancato il colpo.
"Dannazione!", imprecai ricaricando il revolver mentre arretravo. Il braccio del mecha era diventato un cannone che si preparava ad un colpo ben più grosso del mio.
Mi preparai ad evitarlo e nell'attimo in cui sparò con un urlo scartai da una parte crollando a terra rovinosamente.
Faticai a rimettermi in piedi, mi faceva male tutto il fianco destro su cui mi ero buttata. E proprio mentre cercavo con le mani i revolver che nello schianto mi erano caduti sentii gli striduli passi del mecha sempre più vicini. Quella figura immensa mi sovrastava e l'elisiano che la comandava, lo scorsi nitidamente, aveva sul volto un ghigno di soddisfazione.
Ero spacciata. Ogni via di fuga sbarrata dalle vecchie mura di quell'antico passaggio sotterraneo. Incastrata in un angolo tra il mecha e la parete mi strinsi nelle spalle preparandomi mentalmente a quello che sarebbe accaduto da un momento all'altro.
Ma proprio nel momento in cui il braccio possente del mecha si muoveva nella mia direzione con un inquietante rumore meccanico, un'enorme palla di cannone lo colpì in pieno, frantumandolo.
Ci fu uno schianto. L'elisiano distratto da quell'improvviso attacco voltò il mecha nella direzione di chi aveva sparato.
Mi aspettai di vedere, dietro quell'enorme cannone bianco, un asmodiano qualunque, capitato da quelle parti per caso, ma spalancai le labbra dalla sorpresa quando mi accorsi di chi si trattava.
"Araziel", mormorai. Sì, non c'era dubbio, era lui. Magari un po' cambiato. Un po' diverso da come me lo ricordavo, eppure era lui. I suoi capelli rosso acceso erano raccolti da un coprifronte che gli copriva l'occhio destro. Nell'unico occhio visibile, segnato da una cicatrice, traspariva una tale risolutezza che mi sentii ad un tratto al sicuro. Come ai vecchi tempi.
Imbracciava un cannone cristallino ancora fumante per il colpo inferto al mecha. Questo, dal canto suo aveva perso completamente l'interesse nei miei confronti per rivolgere l'attenzione contro il nuovo tiratore.
Vidi Araziel, avvolto in una ricca armatura rosso e oro affermata da pesanti cinghie di cuoio, caricare un altro potente colpo con il cannone ad etere.
Una nuova palla incandescente si infranse sul busto del mecha facendolo oscillare pericolosamente e ammaccandone la superficie, poi con sveltezza vidi il tiratore portare alle spalle il cannone ad etere per afferrare, approfittando dell'indugio dell'elisiano, le pistole.
Il mecha aveva vacillato solo per qualche secondo, poi aveva sparato una veloce raffica di proiettili tanto fitta che dovetti chinarmi su me stessa per evitarla.
Araziel intanto era balzato su una colonna spezzata, poco vicina a lui, e adesso studiava dall'alto l'avversario.
Non disse una parola mentre con un balzo preciso atterrò di fronte al mecha sparando una serie di colpi che mancarono l'obbiettivo. Il robot era robusto e impenetrabile ai proiettili. Quello a cui Araz doveva mirare era l'elisiano che lo comandava.
E fu proprio quello a cui il giovane Daeva sembrò puntare, sfruttando le vecchie colonne e i muri diroccati per sparare da posizioni sopraelevate, ma mancando ogni volta, per un pelo, il proprio bersaglio.
Alla fine lo vidi atterrare sui pesanti stivali in cuoio e con decisione lanciarsi in una corsa, per sfruttare il moncherino del robottone ed issarsi fino alla spalla del mostro di latta.
Un ghigno vittorioso gli si dipinse in volto mentre col pesante revolver sparò una serie di colpi ben calibrati all'elisiano che vi si trovava all'interno.
L'enorme rumore di lamiera che si infrangeva contro il sentiero acciottolato mi fece capire che la macchina non era comandata più da nessuno. Araziel si lasciò cadere, prima dello schianto, atterrando con un tonfo preciso proprio di fronte a me.
Rimanendomi accovacciato davanti, con una mano avanti a sè a sorreggersi, sollevò il proprio capo per incontrare il mio sguardo.
Degli schizzi di sangue, che supposi fosse quello dell'elisiano, gli imbrattavano il vestito di ottima fattura. Quando si mosse udii il rumore delle robuste cinghie di cuoio. Soffermai il mio sguardo sul suo volto, notando che una nuova cicatrice gli segnava la fronte e che le treccine rosse che prima aveva tenuto alla nuca adesso erano state sciolte. I capelli, trattenuti dal coprifronte, ricadevano ribelli sulla sua fronte. Il suo sguardo era fiero, ora più che mai. Il suo viso risoluto era un po' più maturo di un tempo e sembrava che molte cose fossero cambiate dall'ultima volta che ci eravamo visti.
Contenendo l'affanno che quella battaglia gli aveva causato si inumidì le labbra secche prima di parlare e regolarizzò il respiro.
"Allora Selhen...", disse con aria saccente trapassandomi con lo sguardo, "quando imparerai a non cacciarti nei guai?".

[Rieccomi qui col nuovo capito. Sì lo so, la nostra Selhen è la solita DID (donzella in difficoltà) e adesso spunta anche un nuovo salvatore, questa volta asmodiano. E il caso di Adma?
Direi che mi sono complicata la vita da sola. Voi intanto leggete e commentate! Baci, Sele]

Ecco a voi l'aspetto di un mecha:

E un klaw saccheggiatore:

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