Prologo

"E s'egli imìta
la nostra oscurità, chi ci contende
lo imitar la sua luce?"

John Milton

Inferno.

   L'odore acre di bruciato e carne in decomposizione infettava ogni angolo, ricopriva il prestigio delle decorazioni in oro. Riusciva persino a rendere incolore lo sfavillio del trono.

Taon stava passando come suo solito per la sala dei ricevimenti. Mirava inespressivo gli arazzi coperti di fuliggine e i loro soggetti: teste mutilate, ali spezzate e scene di tempi andati perduti. Solcava con le piccole fessure dei suoi occhi ogni centimetro di quelle mura grottesche. Massi impilati gli uni sugli altri, decisamente di pessimo gusto.

Eppure, pensò che rigettassero la stessa impressione che avvertiva quando stava al cospetto del suo padrone.
Erano pareti massicce, quindi forti e indistruttibili, ma mancavano loro le dovute cure. Erano abbandonate, illuminate scarsamente da alcune fiaccole morenti.

Molte volte si era chiesto il perché di quella poca attenzione. Perché mai nel castello doveva esserci l'eco dei suoi passi? Il richiamo di un principe, abbandonato ai dubbi di una banale crescita umana li accompagnava perennemente.

Taon sospirò e rinforzò la presa sui suoi codici. Li teneva saldamente con un braccio nel mentre che cercava la sua penna tra il tessuto della sua lunga veste. Si morse il labbro concentrato e deglutì rammentando gli ultimi pensieri del suo sovrano. Lui trascriveva i suoi tormenti, le sue memorie. Conosceva ogni cosa di quella mente distrutta dal rimorso, meglio di quanto riusciva a fare con se stesso.

Arrivò giusto ad un passo dal portone quando questo, improvvisamente, si aprì. Allora Taon si fece da parte. Un gemito gli sfuggì dalle labbra, spontaneo come la sua sorpresa. Poco dopo si ricompose, tornando apatico e contrasse la mascella. Infine adocchiò la piccola presenza che si era intrufolata nella sala. Un bambino che portava ancora con sé un briciolo di fanciullezza. Un'innocenza rara fra le fiamme dell'inferno.

Osservò in silenzio il principe trascinare a fatica le sue ali. Sembravano prendere il sopravvento, crescere più di quanto facesse il suo corpo. Taon restò in disparte, nell'ombra della sua esistenza. Hereweald invece si gettò sul pavimento afferrando una piccola palla di fuliggine mentre un'altra volava, rimbalzandogli in testa.

Lo sguardo dello spirito si addolcì. Notò il profilo spensierato del bambino e le fossette agli angoli della bocca. Tuttavia quel sentimento svanì rapidamente. Taon trovò la sua penna, la estrasse dagli abiti e se la rigirò fra le mani, sporcandole di un tipo di inchiostro che conosceva bene. Dovette deglutire per accantonare l'incertezza e scansare Hereweald, ma non ci riuscì del tutto.

Il bambino lo vide e gli corse in contro agguantandogli l'orlo della veste. I suoi occhi lo ipnotizzarono e per un attimo si stupì della somiglianza che avevano con quelli umani. Nel suo aspetto l'unica nota stonata erano le enormi ali, inesperte per il volo e ancora troppo pesanti per la sua volontà.

Perché mio padre non mi permette di uscire? Tu lo sai?

   L'uomo dischiuse le labbra senza emettere alcun suono. Sentiva la bocca arida, la gola rovente. Poco dopo venne salvato dal richiamo del suo sovrano. Quindi spinse Hereweald lontano e corse lungo i corridoi portandosi i codici al petto. Salì di livello e perse il respiro sulle ripide gradinate dell'ala est del palazzo.

Taon! — inciampò poi nei suoi stessi piedi prima di giungere a destinazione. — Miserabile servo, quanto ci hai messo! Avanti, siediti.

   Lo spirito non fece in tempo a chiedere il permesso che Lucifer lo gettò all'interno della sua stanza e richiuse bruscamente la porta. Gli mostrò la solita sedia e giocò ad attizzare il fuoco in un angolo. Voleva riprodurre un tipico camino umano, ma il suo tentativo risultò vano. La stessa fiamma bruciava senza essere alimentata da alcun combustibile.

Taon seguì il consiglio datogli. Dopodiché passò le mani sul tessuto ruvido della sua veste purpurea. Aspettò che Lucifer prendesse posto di fronte a lui e nel mentre mirò la camera. Era essenziale, priva di finestre. Nessuno sfarzo né mobile che potesse accontentare un vizio. Erano presenti un armadio di ferro, un tavolo, due sedie imbottite scarsamente e un letto dalle lenzuola grigie, strappate e polverose.

Successivamente si concesse di parlare, il sovrano prendeva tempo fissando il fuoco ai suoi piedi.

Il principe...

   Improvvisamente Lucifer ringhiò e gettò le fiamme verso il soffitto. Si valse di un rapido gesto per farle sbattere contro il lampadario, farlo tintinnare e accendere. Allora il servitore vide meglio la sua espressione, i lineamenti distorti dal patimento. Le ali erano tese, completamente aperte e aveva lo sguardo dorato.

Cosa? Eh? — Taon notò anche le occhiaie del sovrano e tacque. Non poteva fare altro che abbassare il capo. — Meglio lasciarlo solo. Ha di nuovo ficcato il naso in cose che non lo riguardano?

   Lo spirito si morse la lingua, ma il suo buon senso prevalse sul timore e sulla sottomissione.

Ha chiesto perché non gli permettete di uscire. Sapete che sbircia il regno dalle finestrelle delle torri? — Lucifer annuì lentamente e richiuse le ali. — Padrone, credo che lui debba sapere. Voi dovete parlargli, ora che i suoi dubbi non sono pericolosi. Più tempo perdete, maggiore sarà il danno.

   Ci fu un lungo momento in cui Lucifer lo fissò attonito. Dopodiché rise amaramente facendo gonfiare il petto. Indossava una camicia scura e larga, i pantaloni erano eleganti, ma pieni di pieghe a causa dell'incuria. Persino il suo aspetto mostrava la sua pena. Il volto era perfetto, ma le braccia erano coperte di cicatrici e pustole; la pelle era scura e marcia.

Ti ho creato proprio bene...

   Taon replicò nuovamente. Capì però che sarebbe servito a poco, se non a far solo irritare il suo superiore.

Taon, questi non sono affari che ti riguardano! Tu sei il mio scrivano. — Lucifer si accomodò e strinse i braccioli imbottiti della sedia. — Io parlo, tu scrivi. — l'altro alzò un dito per insistere, ma fu respinto bruscamente. — Io ordino, tu esegui!

   Il loro rapporto era sempre stato lo stesso. Taon sperava di poter consigliare  il suo padrone e non solo capirlo in silenzio. Assieme alla vita aveva ricevuto in dono una spiccata razionalità. Peccato per il suo animo facile da intimorire.

Sì, maestà.

   Abbassò nuovamente il capo e preparò il materiale per scrivere.

Adesso svelto, prendi dei fogli nuovi. Ho bisogno di liberare la mente.

   Lo scrivano obbedì. Poggiò due dei suoi codici sul pavimento e si apprestò ad aprire il terzo rimastogli fra le mani. Le pagine erano bianche. Le strappò e passò all'inchiostro. Estrasse una boccetta dalla sua veste e la mise sopra al piccolo tavolo di fronte a lui. L'attimo seguente Lucifer aveva già cominciato a parlare.

Descrisse dettagliatamente la stessa scena che Taon aveva modo di scrivere da tempo. Lui che correva, spintonava i suoi servitori e le sue guardie; il senso di angoscia provato in quegli attimi e poi il vuoto. Lucifer spiegò di come il nulla avesse inghiottito ogni sua percezione; di come, di fronte al corpo di Edith, il tempo lo avesse deriso.
La sua carica non era servita a niente.

Bruciali.

   Lo spirito segnò l'ultimo punto e sospirò. Nella sua espressione c'era del rammarico e molto rimprovero. Mirò per qualche secondo la carta pregna di inchiostro vivo e lucido. Le parole che aveva appena scritto scivolavano le une sulle altre e parevano sussurrargli la disperazione di quelle confessioni.

Maestà, forse dovreste lasciarvi alle spalle tutto questo...

Ho detto di bruciarli, dannazione! — sbraitò improvvisamente l'altro. — Nemmeno il fuoco lenisce il dolore. Non si può sostituire un tormento ad un altro, ma solo aggiungere pena...

   Lucifer si era tirato in piedi e aveva portato le mani sul volto, disperato.

Pensò che fosse una fortuna per lui aver modellato una creatura esclusivamente per vederlo in quello stato. Doveva essere sicuro che qualcuno conoscesse il suo stato d'animo, anche se ciò lo faceva sentire debole e ancora più inutile.

La mia carica non serve a niente... —sussurrò. — Ci sarà sempre qualcosa di più grande, qualcosa di più potente... Il destino, forse. — parve pensarci seriamente, passandosi una mano sul volto. — Sì, è lui il vero Diavolo della vita.

   Dopodiché portò il suo sguardo su Taon. Lo trafisse severo e, ingoiando la vergogna, gli si scagliò contro. Bruciò lui stesso il foglio.

Se non sei in grado di eseguire i miei comandi mi chiedo cosa tu ci faccia in questo dannato palazzo! — fu addosso al servo, buttò i suoi codici a terra e lo strattonò fin fuori dalla sua stanza. — Sparisci! Il tuo lavoro è diventato inutile.

   Quella fu l'ultima volta che lo spirito si interessò ai pensieri di Lucifer. Sicuramente perché questo si era stufato dei suoi servigi e, forse, si era accorto di aver sbagliato a crearlo. Taon non reagì a quel comportamento. Non avrebbe mai potuto farlo.

Fece un lungo sospiro, raccolse la sua roba e, lentamente, si diresse all'ingresso del palazzo. Là incontrò le poche guardie che sorvegliavano l'entrata. Salutò cordialmente i due mostri guardandoli dal basso verso l'alto, schivando con cautela le loro squame e passando sotto all'arco del portone.

Entrando nel cuore delle terre infernali dimenticò in fretta l'ansia e la tensione che aveva provato. Le mani che avevano tremato nell'imprimere parole e segni della rude lingua dei demoni. Stava per raggiungere il fiume di anime che passava sotto al castello quando le nubi dell'alto soffitto crearono un'insolita anomalia. Dopo aver lampeggiato e mostrato qualche saetta si spaccarono permettendo a tre figure di cadere e scontrarsi con l'atmosfera dell'inferno.

Riconobbe il bagliore delle loro ali e il candore delle loro vesti.

Angeli...

   Taon corse in loro soccorso, incuriosito. Si tenne lontano, abbastanza da non essere visto, dietro a un gruppo di grandi massi. Alle spalle aveva l'imponenza del palazzo.

Sbirciò gli angeli sbalordito e osservò meravigliato il loro abbigliamento. Erano privi di armi, ma petto e braccia erano circondati da una spessa armatura scintillante che stringeva le lunghe vesti bianche.

   Dei soldati... Pensò nel mentre che loro si agitavano e ringhiavano frustrati.

— Mikael! Tu sia dannato!

   Urlò il primo, quello più muscoloso e alto. Aveva i capelli cortissimi, ma non ci furono dubbi sul loro colore: chiari come i raggi del sole.

— Sereth, calmati, richiamerai i demoni.

   Taon si spostò un poco, il giusto per poter osservare meglio colui che aveva parlato. Il secondo angelo aveva un corpo meno statuario, lunghi capelli ramati, legati in una coda e il naso storto.
Oltre al loro aspetto, lo spirito stava studiando attentamente l'insolito idioma.

— Calmarmi? Ormai siamo dei rinnegati, mentre quel meschino si prende la gloria! Abbiamo le mani sporche di sangue! Maledizione, sangue dei nostri stessi figli... — la voce di Sereth era alterata. Taon aggrottò le sopracciglia interessato. — E non parlare di demoni! Lo diventeremo presto anche noi.

— Hai sentito le sue ragioni. I nostri figli sono stati i primi a schierarsi con i demoni. — fu poi il turno del terzo. Lui si alzò scuotendo il tessuto dell'abito e rimuovendo quanto possibile il terriccio. — I primi a spezzare l'equilibrio...

   Ancora una volta gli occhi di Taon luccicarono, carichi di curiosità. Si sporse in avanti osservando meglio il terzo angelo. Portava i capelli stretti in un'alta coda, il taglio degli occhi era simile al suo e la pelle scura.

— Che possano bruciare anche loro!

   Sereth scattò di lato e batté un piede sul suolo arido. Dopodiché fece per togliersi l'armatura, ma nel farlo la sua espressione mutò. Era sofferente.
Strinse i denti.

— S-Sereth... Attento al metallo celeste!

   I suoi compagni lo aiutarono a liberarsi e poi fecero lo stesso con le proprie armature. Si tolsero la corazza dal petto e le protezione sulle braccia. Taon notò solo allora che quel metallo li stava ustionando, si ribellava al loro volere e ai loro nuovi sentimenti: rabbia e vendetta.

Lui si stava reggendo con gli avambracci e sentiva la roccia graffiargli la pelle. Tuttavia continuò a sporgersi finché gli mancò l'equilibrio.

— Chi va là?

   Lo spirito imprecò sottovoce e si portò nuovamente in piedi, alzando le braccia.

Non attaccate! Non sono un demone, solo sono solo uno spirito, un servitore.

— Un servitore di Lucifer!

   Taon si fece avanti e poté così vedere i tre angeli, posti in semicerchio e pronti per attaccarlo. Deglutì abbassando le braccia, cercando la sua penna e qualche foglio. Infine si sforzò per emulare la loro lingua.

— Vi vedo particolarmente provati... — pronunciò tenendo d'occhio le reazioni dei tre. — E non mi riferisco alla caduta. Le vostre ali sono intatte...

   Anche se macchiate di sangue. Avrebbe voluto aggiungere, ma tacque. Osservò uno ad uno i nuovi arrivati e comprese subito che loro non sarebbero sopravvissuti alla caduta. In pochi riuscivano a integrarsi, solo quelli più caparbi. Loro, invece, avevano già cominciato a disfarsi e la presenza delle loro armature li stava consumando.

— Cosa avete fatto di tanto grave?
Gli angeli non rinnegano i loro fratelli da secoli.

   Un vento arido gli sferzò il volto, ma non lo fece desistere. Mostrò le carte e la penna completamente assuefatto dal desiderio di scrivere la loro storia. Avrebbe creato qualcosa di diverso, qualcosa che Lucifer non avrebbe bruciato, ma elogiato. Lui avrebbe riconosciuto la sua utilità.

— Noi saremo gli ultimi. — Taon annuì incuriosito e un poco preoccupato. — Non ha più senso dividere il male dal bene. Nel Castello nel Cielo vivono peccatori proprio come qua, negli Inferi.

— Cosa fai?

   Lo spirito si sedette fra la polvere e lo sporco del suolo e si preparò per trascrivere le loro parole. Avvertiva le mani tremare di piacere.

— Il mio compito è scrivere i pensieri, i tormenti, quelli che torturano peggio delle fiamme... — enunciò sicuro, i fogli poggiati sulle sue gambe. — Raccontate e io mi assicurerò che le vostre voci non siano zittite.

   I tre angeli si guardarono per un secondo. Dopodiché Sereth si fece avanti spavaldo.

— Dovranno pagare, come lo stiamo facendo noi.

   Enunciò seguito dal fratello dalla carnagione più scura.

— Sarebbe stato meglio proseguire il nostro viaggio nel cosmo...

   Taon vide Sereth osservare il compagno con odio e farglisi vicino. Stavano dialogando fra loro, offrendo allo scrivano preziose informazioni.

— Tutti loro hanno peccato, dalle grazie agli umani al...

   Il compagno gli tappò la bocca, ma Sereth si scostò bruscamente volgendosi verso Taon che lo spronava a continuare.

— Al Peccatum Caeleste.

Angolo autrice:

Come state?
Vi dò nuovamente il benvenuto in questa avventura!

Prima di ogni altra cosa volevo ringraziarvi davvero di cuore per essere arrivati fino a questo punto e aver avuto pazienza ^^

Vi avviso che non so ogni quanto aggiornerò, forse una volta a settimana, forse ogni due... Dipende dallo studio e altri impegni. Fighters deve ancora essere revisionata, ma d'altronde ho trovato altri buchi ed errori in The Original Sin, quindi finché non arriverò alla fine della trilogia non ci metterò mano. Ho deciso di concentrarmi e buttare giù le idee fino alla conclusione. Poi, con calma, tornerò sui miei passi.

Detto questo, con il prologo di Warrior ho voluto portavi molto indietro nel tempo. Vi ho mostrato la nascita del Peccatum Caeleste (il libro) e di come Taon vedesse il regno. Forse sono stata meschina a ripresentarvi questo personaggio, ma ci tengo che ognuno abbia la giusta importanza.

Ditemi che ne pensate di questo nuovo inizio ^^ La prossima volta torniamo a Cork! Preparatevi ad un'escalation di scene, azione e (spero) emozioni.

Alla prossima,
Capitolo I: Fratello

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