Prologo

"Che importa se il campo è perduto
Non tutto è perduto; la volontà indomabile, il disegno della vendetta,
l'odio immortale e il coraggio di non sottomettersi mai, di non cedere:
che altro significa non essere sconfitti?"
John Milton

Fidnemid, 15 Settembre 1979

   Una tempesta infuriava da ore; probabilmente, nei giorni successivi, sarebbe stata classificata la più potente mai registrata in quei ultimi decenni.
Ogni contatto con il centro della città era stato distrutto dal vento imperioso e dallo scrosciare dell'acqua gettata dal cielo con ira disumana.
Quella stessa burrasca sibilava al di là dei vetri delle finestre, a pochi metri dai corpi di una famiglia isolata.

Pioggia e vento avevano buttato a terra decine di vasi frantumandoli nel portico e nel prato di fronte alla residenza. Essi stavano strappando dal tetto altrettante tegole ed era una fortuna che nessun albero avesse ceduto all'inarrestabile forza della natura.

All'improvviso un blackout seguì una scarica intensa di energia, innescandosi esattamente nel momento dell'esplosione dell'etere burrascoso.
Fu così che la corrente elettrica saltò a causa di un potente fulmine dalla mira troppo precisa e il casolare dei Knight rimase privo di luce. Il vigore della saetta aveva colpito il contatore e il buio era piombato come una coltre di incubi in ogni sala dell'abitazione.
Fortuna che quest'ultima era provvista di ogni cosa, per qualsiasi emergenza.

­­­­­­— Ecco fatto.

   Esclamò minuti dopo una giovane donna in vestaglia; capigliatura scura raccolta in una crocchia poco fissata dalla quale scappavano numerosi ciuffi ondulati, e due occhi marroni come il cioccolato. Ella aveva appena finito di accendere dozzine di candele tutt'intorno al salotto, esattamente dove aveva radunato i suoi due tesori.
La fioca luce di una, unita alle sue compagne, divenne una potente fonte sia di calore che di chiarore.

— Vedi Alfred, non bisogna aver paura.

   Spiegò sedendosi sul divano e abbracciando entrambi i figli.
Un lampo illuminò l'ambiente a giorno, poco prima che un boato scoppiasse alle spalle delle tre figure, come una bomba lanciata dai nemici: la tempesta era vicinissima.
Tuttavia il sorriso della donna non cedette un sol secondo mentre avvolse il proprio corpo e quello dei suoi ragazzi in una pesante coperta.

Il più giovane sedeva alla sua destra; aveva quattordici anni e l'oscurità era da sempre la sua più grande rivale.
I capelli neri come la pece erano pettinati ad arte formando una specie di casco voluminoso, mentre gli occhi castani e le leggere lentiggini conferivano al volto un aspetto fanciullesco.

— Samuel, tutto bene?

   Domandò la madre, voltandosi alla sua sinistra, dove il maggiore quasi diciottenne non emetteva alcun suono.
Il viso dai lineamenti delicati si indurì.

Gli occhi del ragazzo, pensosi e dalle sfumature dell'ebano, guardavano il tappeto incastrato sotto al divano, interrotti qualche volta dai folti capelli neri ereditati dal padre. Al contrario del fratello, in lui i tratti fanciulleschi erano scemati molto presto e da circa un mese parevano scomparsi del tutto.
In quel momento era talmente concentrato che la voce di Helen raggiunse le sue orecchie molto ovattata.

— Samuel abbandona quelle immagini.

   Lo incoraggiò la madre con un timbro duro e, dopo una serie di battiti di ciglia, uno più rapido dell'altro, il ragazzo tornò nel mondo reale.

— Cosa hai visto?

   Gli venne chiesto dal fratello curioso, ma al contempo terribilmente preoccupato. Alfred era infatti presente quando, per la prima volta, le visioni di ciò che la madre chiamava "dono degli angeli" si erano riversate violente sul fratello, facendolo cadere in preda alle convulsioni.
Il corvino più alto rifletté sulle parole da utilizzare, in lotta contro i muscoli che lo obbligavano a correre tra le querce del Coed Diflas.

— La foresta mi ha mostrato una via di fuga. — ripeté come molte altre volte da quando la sua vista parve prendere il sopravvento. — Madre, dovremo andarcene.

   Gli occhi si spalancarono spaventati poco prima che una mano gentile li coprisse, chiudendoli per raccogliere un pizzico di calma.

— Dove mai potremo andare? — parlò Helen con tono pacato come se capisse le pene del figlio. — Samuel non c'è niente da vedere oltre i confini del Coed Diflas.

   Il corvino tremò contraendo i muscoli: quanto aveva torto sua madre.
Il bosco maledetto non aveva mai parlato così tanto con lei e mai aveva accennato a torturarla, né psicologicamente né fisicamente: forse, era giunta l'ora di cambiare.
Forse anche suo padre, seguendo le descrizioni della moglie era uscito dai confini e, magari, li stava attendendo da anni, in un luogo privo di alcun pregiudizio infondato.

— Dimmi la verità. — enunciò con determinazione. — Papà ha seguito le tue visioni ed è per questo che adesso sopprimi le mie volontà?

   Ciò parve più un'accusa che una domanda dettata dalla semplice voglia di conoscenza. Successivamente Helen sospirò socchiudendo lo sguardo: doveva essere sincera oppure avrebbe perduto anche i figli.

— Esatto. — ammise tremando. — Per questo non devi dar troppo peso a quelle immagini.

   Gli sguardi simili si scontrarono in una danza in cui dolcezza e aggressività si alternavano a cadenza misurata.

— So esattamente come ti senti; quanto impotente le paure ti facciano apparire o quanto coraggio ti donino facendoti vedere posti differenti e migliori, ma non possiamo andare da nessuna parte.

   I fischi del vento ruotavano intorno alla casa, abbattendosi sulle vetrate e trapelando dalle sottili fessure di porte e finestre.

— Non esiste nessun'altra parte per noi nati a Fidnemid. — la donna si strinse nella coperta di lana, avvicinando nuovamente con le braccia entrambi i figli. — Sono immagini del passato, nulla di più, niente di meno.

   Dichiarò sicura accompagnata da un secondo scoppio del violento diluvio insaziabile.
Dalle vetrate si notavano pezzi di carta e fogliame volare impazziti in un turbine, simile ai cicloni di cui i ragazzi avevano sentito parlare nelle lezioni a scuola.
La loro città era pigra e terribilmente spaventata dalle novità come quelle; avvenimenti che uscivano dagli schemi di leggende tramandatesi negli anni addietro.

Dopo circa due ore, l'orologio a pendolo scandì lento e deciso le dieci di sera, momento in cui la tempesta parve destarsi dalla sua furia animale.
I ragazzi si erano appisolati e Helen udendo il rintocco dell'ora decise di alzarsi per scendere nel seminterrato.
Voleva controllare se fosse possibile riattivare la corrente.
Prese dunque una nuova candela e l'accese usufruendo della fiamma appena percettibile di una attigua.
Il premurarsi per la casa fu, forse, il suo unico e fatale errore.

Lo scricchiolare della vecchia porta appena aperta destò dal riposo Samuel.
Ancora una volta i suoi sogni erano stati toccati dal male del bosco.
Il giovane si alzò dal divano facendo attenzione a non svegliare il fratello, ma cinque passi dopo, si sentì richiamare dal mugolio stanco di questo.
La madre sarebbe tornata da loro tra pochi minuti: Samuel non aveva tempo da perdere se voleva adempiere al suo piano.

— Alfred torno subito, vado a vedere se si può riaccendere il contatore della luce.

   Spiegò deglutendo e bisbigliando il più possibile.

— Bugiardo. — lo accusò rapido il più giovane, facendolo voltare. — C'è già andata mamma là sotto.

   Alfred si sfregò gli occhi togliendosi la coperta di dosso e raggiungendo l'altro con un cipiglio nel volto.

— Cosa accidenti vuoi fare?

   La domanda trasudava accuse fino all'astratto punto interrogativo.
Il più piccolo sapeva esattamente ciò che l'altro voleva fare e non glielo avrebbe mai permesso.
Aveva perso il padre ormai sei anni prima, non avrebbe lasciato andare anche il fratello; non senza combattere. Non in balia di qualunque cosa Samuel pensasse ci fosse nel bosco.

Alfred non credeva all'immaginazione del fratello; lui dava ragione a sua madre pensando che le visioni tramandatesi nella loro famiglia fossero legami del passato; avvenimenti, luoghi e strade percorse dai loro antenati. Non dovevano temerle, ma nemmeno assecondarle e, purtroppo solamente anni dopo avrebbe scoperto il reale peso di tale dono.

Samuel rimase di sasso; i muscoli gli fremevano, nemmeno lui sapeva se per fuggire nell'oscurità o tornarsene sul divano a riposare.
Un borbottio sempre più crescente arrivò dalla porta sotto le scale: Helen stava tornando dalla cantina, sconfitta.

— Samuel.

   Il respiro del diciassettenne aumentò d'intensità, la testa gli girò potentemente: il salone intorno a lui sembrò avesse iniziato a danzare senza un apparente motivo finché, altre immagini sostituirono le credenze, il tavolo e il sofà.

   Era tornato giorno e il ragazzo si ritrovò in un luogo aperto.

Guardò lo spazio circostante: un'infinita distesa di campi decorata da un unico albero. Una quercia, sicuramente secolare e maestosa imponeva la sua presenza. In seguito a un battito di ciglia accanto ad essa un enorme ammasso di rocce nacque dal nulla. In esso si scorgeva un entrata: probabilmente vi era una grotta.
Tuttavia la cosa più improbabile e originale accadde pochi istanti dopo, quando una figura sinuosa e magra uscì dalla caverna.

Era una donna; mai vista prima di allora, nemmeno nelle precedenti visioni.

Samuel immobile e con il fiato corto, studiò quella sagoma: l'abito che ella indossava era una semplice tunica marrone, strappata alle estremità, i capelli riccioluti e neri creavano una cornice a degli occhi vitrei.
La donna mosse una mano, invitando l'osservatore ad avvicinarsi, ma egli non cedette. Lo sguardo di questa non vedeva, era chiaro, nonostante ciò si accigliò al rifiuto del ragazzo.

— Devi scappare! — urlò all'improvviso. — Tutti voi dovete tornare a casa, figli miei.

   La sagoma, pareva esser preoccupata, ma per cosa?
Inoltre si stava riferendo a lui e alla sua famiglia come dei figli.
Era tutto troppo assurdo.
Non passò molto perché il calibro preoccupato cambiasse drasticamente, divenendo perentorio.

Figli miei dovete trovare Mikael.

   Samuel strabuzzò gli occhi.
Si chiese chi fosse Mikael e se dovesse ancora dar ascolto a quella pazza visione

Dovete fargliela pagare per tutto questo!

   Gridò muovendo le braccia nell'aria leggermente fredda, poco prima di irrompere in un pianto senza fine.

Riportatemi il mio Alexander.

   Fu un istante e tutta quella visione così reale, venne risucchiata in un vortice di colori scuri.

— Samuel?

   Il diciassettenne venne catapultato nuovamente nella cruda realtà.
Una mano era calata sulla sua spalla tremante: Alfred si era avvicinato in apprensione per lui che aveva trascorso poco più di qualche secondo nella sua maledetta allucinazione.
Tuttavia ciò era bastato per renderlo un bagno di sudore.
Gocce salate e fredde quasi quanto il ghiaccio imperlavano la sua fronte.

— Perdonami, Alfred.

   Fu un sussurro, più lieve di un alito di vento. Quelle parole cariche di rammarico e tristezza solcarono rapide la poca distanza presente fra i fratelli, prima che Samuel buttasse a terra il più piccolo.
Un gesto rapido e calcolato per distrarlo e metterlo fuori gioco per il tempo necessario a scappare.
Lesto come un fulmine si voltò e chiuse la porta in faccia a Helen, la quale lo sgridò ed emise suoni poco femminili a causa del colpo ricevuto sul naso.

Il giovane tormentato corse poi fuori, passando dalla porta sul retro dell'abitazione oscurata dalla tempesta.
Vani furono i richiami della madre, il canto del vento e lo scrosciare dell'acqua, se pur in diminuzione, azzerarono qualsiasi altro suono.
O quasi.

— Samuel!

   Solo la voce di Alfred fendette la tempesta, facendo arrestare la corsa del fuggiasco. Questo si trovava ad un passo dal bosco; l'acqua della pioggia lo aveva inzuppato come un panno, ma poco gli importava. Si guardò alle spalle, scorgendo fra gli strati di pioggia e buio la sagoma del fratello seguita da quella della madre.
Intravide la disperazione nei movimenti di entrambi e fu tentato di abbandonare la sua scelleratezza quando vide Helen scivolare nel fango.

Devi scappare. gli ricordò la sua allucinazione. — Dovete fargliela pagare.

   Samuel riconosceva di essere illogico: dar retta ad una voce nella sua testa; una voce del passato, come avrebbe detto sua madre.
Tuttavia era giunto alla conclusione che, se mai le visioni si fossero rivelate fasulle e puri ricordi arcaici, scappando da Fidnemid avrebbe sicuramente trovato una soluzione alle sofferenze della sua famiglia.
O almeno vi avrebbe scovato il perché.

— Tornerò a prendervi.

   Promise al vento, guardando ciò che la tempesta lasciava visibile dello sguardo del fratello.
Sarebbe tornato da loro e li avrebbe condotti in salvo.

Con quella credenza nel cuore si gettò fra i cespugli grondanti di pioggia, attraversò sentieri immaginari, scivolando nel pantano e inciampando tra le radici degli alberi.
Saltò fiumi mai visti, corsi e torrenti nati a causa della onnipresente tempesta mentre un richiamo lanciato da Alfred rimbombava nelle sue orecchie pulsando più del cuore.

Poi anche quel urlo si spense, sommerso da nuovi boati e correnti d'aria imperiose. Era solo e, mentre una seconda ondata di maltempo stava per rigettarsi sulla popolazione di Fidnemid, lui si perse tra gli intricati rami non facendone più ritorno.

Angolo autrice:

Salve! Come promesso sono tornata!
Passate bene le vacanze? Spero di sì anche perché adesso ricomincia tutto: ben tornati in questa avventura!

Che dire? Con questa introduzione abbiamo scoperto più dettagli sulla famiglia Knight, ma chi sarà mai la donna che prima ha tormentato Samuel e adesso (se ben ricordate) sta parlando pure alla povera Abby?

Spero vi sia piaciuto questo capitolo^^

Vi lascio alle vostre teorie, fatemele sapere così come i pareri generali (anche tramite sole stelline, come preferite) ^^

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