Capitolo XXXI: Desiderio
Cork, 1 Dicembre.
Alla fine Alexander aveva vinto.
Era riuscito a portare Nathalie, Cassandra e Abegail a visitare il centro e - con quello - persino una delle cattedrali di Cork. Aiutati da Samuel erano partiti con l'auto di famiglia, avevano percorso delle strade affollate fermandosi dopo venti minuti.
- Bene, vi ho lasciato il mio numero di cellulare se mai vi perdeste. - disse Samuel nel mentre che chiudeva il suo sportello e si apprestava ad allontanarsi dopo un parcheggio arrangiato. - Sorridete e state tranquilli, la gente qua è gentilissima. Usate pure i soldi che vi ho dato. Vestiti, cibo, qualunque cosa voi vogliate.
Spiegò poi velocemente dovendo sbrigarsi per il suo nuovo impiego in un market lì vicino. Era stato fortunato, Talia aveva imprecato nel suo particolarissimo modo, ma solamente contro il redattore del college e non ce l'aveva affatto con lui. Anzi si era complimentata per aver dato importanza ad un obbligo morale e non lavorativo.
Certo, Samuel non si era salvato dal rimprovero di Victor che avrebbe voluto sapere prima del suo licenziamento, ma il peggio era passato e lui si sentiva un poco meglio. Talia si era immediatamente messa a fare delle telefonate sfruttando le amicizie e chiedendo se qualcuno avesse bisogno di una mano: anche lei si sarebbe rimessa a lavorare.
Tuttavia quella mattina era nervoso.
Lo si vedeva dal modo in cui camminava, dalla poca attenzione prestata nell'attraversare la strada e ancor prima da come aveva guidato.
- Andiamo a dare un'occhiata in giro!
I ragazzi lo guardarono entrare nel piccolo supermercato poi Alexander allargò le braccia spingendo assieme tutte e tre le ragazze. Si goderono il bel tempo e assaggiarono qualche piatto locale da asporto. Nathalie fu tentata svariate volte da qualche trucco e approfittò delle visite nei negozi per provare alcuni profumi.
Anche in Cassandra sembrava essersi riaccesa una luce. Passò la maggior parte del tempo a provare vestiti che - sapeva - non poteva permettersi.
L'idea di usare dei soldi indispensabili per la famiglia che la stava aiutando, la infastidiva. Si accontentò di osservarsi allo specchio del camerino e si sorprese di quanto questo la riempisse ugualmente di gioia. Parve così semplice disperdere le nubi oscure del loro passato. Eppure, tra quella loro momentanea felicità, avvertivano lo stesso un pizzico di malinconia.
Il natale era alle porte. Luci e addobbi riempivano le strade incuriosendo le tre ragazze. Alexander spiegò loro perché gli abitanti avessero così tanta cura dei dettagli, ricordando che a Fidnemid non vi fosse tutta quella tradizione.
Si scambiavano regali, si organizzavano pranzi e cene, ma solo per festeggiare del tutto l'arrivo dell'inverno. Inevitabilmente i loro pensieri finirono alla loro festività: il Samhain.
Sentirono il solito amaro in bocca; una sensazione nauseante che li colpiva partendo dallo stomaco.
Infine - vagando senza una meta - trovarono una cattedrale nascosta da alti alberi e un quartiere composto da sole abitazioni. Giurarono di essersi persi e per poco non presero in considerazione l'idea di disturbare Samuel. La curiosità era però tanta, soprattutto quella della piccola Cassandra.
Lei insistette tanto che alla fine - con dei buffi sorrisi sulle labbra - i ragazzi la accontentarono. Abegail buttò la carta oleosa del suo pranzo, pulendosi le mani con un fazzoletto. Dopodiché seguì gli altri all'interno della recinzione che delimitava il cortile della cattedrale. Il primo impatto non fu molto soddisfacente, la vegetazione pareva inglobare l'intera struttura, ma oltrepassata l'ombra degli alberi lo stupore avvolse l'intero gruppo.
Tutti quanti concordarono: l'ambiente era curato alla perfezione.
Da una parte vi erano gli alberi che mantenevano il loro verde brillante, dall'altra invece quelli che avevano perduto le foglie e abbracciavano la facciata con i loro rami nodosi e sottili. Insieme creavano un'atmosfera tra incanto e tenebra. Successivamente i ragazzi contemplarono solamente l'edificio. Ricordava molto l'aspetto della loro vecchia chiesa, quella a Fidnemid.
In quel caso però lo stile era neogotico, risalente probabilmente alla seconda metà dell'Ottocento. Era molto più recente. Comunque fosse stato, l'altezza provocava le vertigini e la robustezza un senso di inferiorità. Di fronte a questa rimasero sia affascinati che intimoriti. Alexander fu nuovamente il primo ad avanzare invitando Cassandra con un cenno della mano. Poco dopo entrarono e rimasero senza fiato.
La luce del sole attraversava i rosoni colorati e illuminava un'immensa navata. Il silenzio era solenne e i pilastri accompagnavano il passo dei giovani tra i loro sospiri; scandivano regolarmente lo spazio.
Solo una volta usciti scoprirono il nome di quell'edificio: era la cattedrale di San Finbar. Fecero un giro completo ammirando dall'esterno la struttura dell'abside e notando una piccola statua dorata sul pinnacolo. Fu in quel momento che Alex si immobilizzò e cominciò a tremare di fronte a quel presagio. Gli sembrò impossibile che il destino ponesse loro di fronte un frammento dell'inevitabile futuro.
- Che bello che è quell'angelo!
Esclamò Cassandra indicando la statua che reggeva tra le mani due sottili trombe. Nathalie si sedette un attimo sul prato e buttò scherzosamente per terra anche la bambina. Tuttavia alle loro spalle Alexander e Abegail non sembravano affatto tranquilli.
La ragazza aveva subito notato il repentino cambio di umore dell'amico e temeva che stesse per accadere qualcosa. Prima di altri pensieri la sua preoccupazione andò alle sue ali; temette che dovesse liberarle.
- Che ti succede?
- Quell'angelo... - il giovane deglutì spostando lo sguardo da Nat alla statuetta sopra di lei. - Alcune leggende riconducono il suono delle sue trombe al richiamo degli angeli in battaglia... - il sollievo che Abby provò fu molto breve. - Lui annuncia la fine del mondo.
Un auto passò vicino all'inferriata alla loro destra nel mentre che degli uccelli si mossero fra i rami delle piante, cinguettando. Improvvisamente seguì la suoneria del telefono che Samuel era riuscito a ricaricare, trovando il cavo adatto. Abegail lo estrasse dalla tasca del suo giacchetto e indugiò sul tasto per accettare la chiamata.
Vide l'orario se si stupì che fossero già le tre del pomeriggio.
- Meglio andarsene, Samuel mi sta chiamando.
Dette un'ultima occhiata alla statua e si incamminò rispondendo con un tono alterato dalla paura. Comunicò a Samuel la loro posizione e la sua macchina fece capolino da un incrocio in meno di dieci minuti. Tra sorrisi ingenui, soddisfazioni e preoccupazioni tornarono a casa per adempiere ognuno al proprio compito.
L'unica che rimase in disparte fu Abegail. La consideravano ancora troppo debole per poter aiutare nella ricostruzione del capanno o fare delle semplici faccende domestiche come Nathalie e Cassandra, le quali sostituivano Elizabeth e Talia. Samuel accennò qualcosa riguardo al ciondolo di Helen, ma se ne andò subito dopo al piano superiore borbottando.
Quindi mentre Alexander discuteva con Victor su come spostare le ultime assi bruciate e Samuel si stava per chiudere nel suo ufficio, Abby decise di andare in soffitta. Là si sedette sconsolata sul letto e lentamente optò per rovistare nel suo zaino. Dal suo arrivo non aveva ancora avuto l'occasione di disfarlo completamente. Mise da parte alcuni abiti che avrebbe poi lavato e - improvvisamente - si immobilizzò.
In fondo alla borsa trovò quel maledetto libro infernale: il "Peccatum Caeleste".
Lo prese cauta e se lo portò in grembo. Non ci volle molto perché questo cominciasse a bruciare come quella volta nella biblioteca di Iside. Provò ad aprirlo, consapevole del fatto che non avrebbe compreso le scritture, ma i movimenti dei simboli sulla copertina la bloccarono nuovamente. Le sue mani tremarono al solo sfiorarlo.
Improvvisamente lo gettò per terra spaventata. Per la seconda volta quel codice le aveva fatto provare delle terribili sensazioni. Giustificò il fatto di averlo con sé dicendo che le serviva per comprendere le reali funzioni del ciondolo di sua nonna, ma si stava contraddicendo da sola. Sapeva bene quale fosse la vera ragione. L'unico motivo per cui lo aveva realmente portato con lei era che sperava di poterlo restituire a Hereweald.
- Sono proprio una stupida...
Scese di corsa le scale precipitandosi fuori dall'abitazione. Con le lacrime agli occhi e sotto lo stupore di Alex spalancò il cancelletto della casa uscendo in strada. Seguì il marciapiede, allontanandosi in direzione dell'oceano. Si ritrovò poi a correre lungo le vie vuote nel mentre che il sole cominciava a sparire dietro all'orizzonte. Con la testa china, gli occhi chiusi e i denti serrati voleva reprimere i suoi ricordi.
Si fermò una volta giunta in un passo che costeggiava l'argine di una delle insenature. Lì si buttò addosso alla sbarra di ferro che delimitava la fine del percorso e si slanciò in avanti, piegandosi su se stessa. Voleva gridare, ma riuscì solamente a stringere tra le mani la fredda barra che le arrivava ai fianchi. Il vento soffiò gelido e le spostò i capelli mentre i lampioni del luogo cominciavano ad accendersi e le barche si apprestavano ad essere ormeggiate.
Fu talmente presa dal non piangere ulteriormente che non si accorse di essere osservata. I singhiozzi le scuotevano le spalle e bloccavano a scatti il suo respiro. Per Hereweald fu come vederla nuovamente per la prima volta. In quell'ambiente nuovo, con quegli abiti, l'oceano che si abbatteva vicino ai suoi piedi. Per un attimo - quando si era appena materializzato lasciandosi Deimos alle spalle - l'aveva vista come una persona diversa.
Si mosse lentamente incredulo.
I suoi passi disturbarono la quiete e le scarpe - sciupare dal caldo - scivolarono, prima sopra all'asfalto poi su l'erba umida. Il vento scompigliò pure a lui i capelli, riempiendoli di salsedine. Hereweald si sorprese per il freddo e i brividi che provò. Il cielo era nuvoloso all'orizzonte e presagiva una notte turbolenta.
Non seppe con quale coraggio si stava facendo avanti; dubitava ancora che potesse trovarsi nella realtà. Sentiva i sogni della prigionia farsi concreti.
Abegail era molto distante, distaccata; rinchiusa nei suoi pensieri tanto che lui poté affiancarla senza destare il suo stato assorto. La vide osservare le onde che si infrangevano sotto di lei, sbattendo contro il cemento di quel viale. In quel modo il loro scrosciare aumentava.
Si perse nei filamenti dei suoi capelli e solo in seguito riuscì a vederle completamente il viso. Era contratto e arrossato dal pianto. Il suo istinto fu quello di allungare una mano per poterla toccare, ma la nascose immediatamente dopo e si tormentò le labbra tremando impaziente.
Desiderava sentirla tra le sue braccia; udire la sua risata e poterla guardare negli occhi. Desiderava accertarsi che quello non fosse un sogno; avere una singola prova in più.
Per reprimere tutto questo respirò pesantemente e fu allora che Abegail si accorse della sua presenza. Scattò impaurita di lato per poi rabbrividire sia per lo spavento che per la sorpresa. Hereweald era lì con lei, ma non sapeva come comportarsi. La cicatrice sulla sua schiena prese a bruciare nel mentre che lo richiamava.
- Hereweald...
Lui tremò infastidito. Riconobbe quanto quel nome stonasse sulle labbra della ragazza. Era pronto a credere a ciò che i suoi occhi gli mostravano, ma voleva che il suo pseudonimo - tra loro - rimanesse quello che avevano stabilito insieme; quel qualcosa che lo avvicinava agli umani.
- Ti prego... - sussurrò. - Con te non sono lui, lo sai. Non sono un mostro...
Contrasse la mascella quando le lame angeliche vibrarono contrariate e si morse il labbro ricordando cosa aveva fatto. Prima che Abby potesse aggiungere altro Hereweald mise da parte il suo egoismo e fece due passi indietro, sbiancando.
- Sei veramente tu? - il fatto di aver rimembrato il loro passato donò una nuova speranza alla ragazza. Si portò una mano al petto stringendo sia la chiave che l'anello che portava al collo e stemperando l'ansia. - Co-come sei scappato da Lilith!
Notò poi le reazioni involontarie del demone. I muscoli contratti e il volto tirato, sicuramente non voleva parlare di quella creatura. Tuttavia Abegail non si pentì della sua domanda: ciò che vide fu per lei la riprova di quanto sperava. Possibile che quello fosse il ragazzo che rincorreva nei suoi sogni. Era riuscito a spezzare le catene per tornare da lei.
- Per favore, non la nominare! Non adesso. - l'emozione controllò le mosse di Hereweald che finì per balzare addosso ad Abby. Si trattenne quel poco che servì per non sfiorarla, ma erano lo stesso troppo vicini. Il suo profumo lo mandava in confusione e le luci soffuse dell'ambiente giocavano con i riflessi dei suoi occhi sotto le lenti degli occhiali. - Ero troppo cieco, pervaso da quel mio lato che tanto ripudio... - confessò provando a prenderle una mano, ma rinunciò non appena del sangue tornò a scorrere tra le sue memorie. - Sei, sei sempre stata tu...
Quella nuova consapevolezza lo colpì con l'impeto di un proiettile. Se prima le immagini erano offuscate, in quel momento poté vederle nitidamente.
Lui l'aveva ferita; il suo sangue era colato sulle sue mani e stava macchiando la sua anima.
Aveva rischiato di ucciderla.
Improvvisamente gli si palesò in mente anche il discorso che fece ad Alexander e nuovamente dovette concordare con lui. Perché l'aveva cercata?
Si scansò prendendosi la testa fra le mani nel mentre che sentiva il suo sguardo illuminarsi e le sue ali prendere il sopravvento. Aveva sbagliato ancora una volta; continuava a fare lo stesso sbaglio ovvero tornare sui propri passi.
Chiuse gli occhi dando le spalle alla ragazza e desiderò di poter sparire. Sarebbe riuscito a farlo se solo Abegail non gli si fosse avvicinata nascondendo il suo volto nel tessuto della sua camicia. Lo abbracciò per non farlo allontanare, quasi temesse anche lei che fosse tutto quanto un sogno.
- Sono qua, con te. Ti prego, non andartene di nuovo.
Il viso di Hereweald si addolcì nonostante le rughe del timore. Dopodiché afferrò delicatamente i polsi della ragazza per poi ruotare su se stesso e ricambiare l'abbraccio. Dato che lei gli aveva dato quella possibilità sentì come un obbligo che gli impose di ricercare aiuto. Gli ci volle poco per capire che Abby era la sua ancora di salvezza e lui quella di lei. La loro promessa brillava al collo di Abegail, dietro al chiarore del talismano angelico.
Infine - con le onde che si andavano sempre più agitando - il demone affondò il suo volto tra i capelli della ragazza. Entrambi sembrarono voler piangere; si desideravano a vicenda per poter vivere e non solo sopravvivere. Tuttavia a parlare fu solamente uno: Hereweald.
- Salvami, credo che senza di te potrei perdermi nuovamente...
Angolo autrice:
Non penso debba aggiungere molto altro ^^ avete avuto ciò che aspettavate da ben 30 capitoli ahahah!
E non finisce qua, tranquilli!
Lasciatemi qualche considerazione se volete; se sto andando bene e se le cose tra di loro non sembrano forzate ^^'
Sto cercando di rendere la storia più originale possibile.
Alla prossima,
Capitolo XXXII: "Perdonami"
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