Capitolo XXVI: Cicatrice

Cork, 27 Novembre.

   Dalle finestre trapelavano i bagliori dei fulmini. Quelle luci - alle volte bianche, altre violacee - passavano attraverso le fessure delle imposte chiuse mentre la notte imperversava stranamente tumultuosa. I vetri vibravano sotto l'impetuosità del vento e il terreno sembrava tuonare, proprio come succedeva a Fidnemid, durante gli attacchi di Lilith. L'unica differenza era il calore e l'asciutto delle coperte; le onde che si abbattevano sugli scogli e il loro scrosciare che danzava nell'aria della tempesta.

Le si poteva immaginare sommergere veementemente le spiagge e spingere le barche ormeggiate contro le passerelle del porto.

Con questo tumulto in sottofondo Abegail stava nello studio di Samuel, provando a prendere sonno.
Si trovava là da un tempo che non era riuscita a calcolare. Le medicine che Talia le somministrava le annebbiavano la mente e la rendevano debole, ma almeno non sentiva dolore.
Aveva già provato ad alzarsi seguendo le indicazioni di sua zia per ristabilirsi e per andare in bagno, ma ogni volta era stata una pena tremenda.

In quel momento - per quanto le riuscisse - stava guardando il tessuto opaco che ricopriva le finestre reprimendo il tremore che i tuoni alimentavano in lei. Le sembrava di essere una bambina, sola e costretta a rifugiarsi sotto le lenzuola per cacciare via i mostri.
Eppure vedeva le mura di quella casa come una solida protezione.
Non capiva cosa la potesse intimorire.
Forse i ricordi?

Si stropicciò gli occhi con il dorso della mano e - successivamente - decise di muoversi un poco sullo scomodo divano. Sentì improvvisamente la pelle bruciare, tirare e delle fitte colpirle l'intero corpo. Sapeva che l'unica cosa che poteva fare - senza che si procurasse tormento - era rimanere sdraiata sopra a quella dannata imbottitura in pelle, con la pancia in giù, la schiena appena coperta da una trapunta e - nel mentre - alternare le guance sul cuscino.

Svariate volte aveva scherzato con Talia sulla pessima scelta di suo zio riguardo quel maledetto divano, ma ciò non cambiava la morbidezza né ne mutava il materiale. Mosse le gambe per sistemarsi la coperta ai piedi e sbuffò avvertendo di nuovo il solito bruciore diffondersi come una piaga.
Quella notte non avrebbe dormito.

Passarono dei minuti. Ogni oggetto rimase immerso nell'oscurità finché l'ennesimo lampo illuminò la stanza e delle linee apparvero sopra ai volumi custoditi nella vasta libreria.
Il brontolio del tuono aveva fatto vibrare le orecchie della ragazza.
Per il fastidio Abby si era nuovamente spostata e - come una stupida - si era trovata a sbuffare e digrignare i denti.

A seguito di svariati tentativi - per stare comoda - optò per mettersi a sedere.
Si spinse affondando i palmi nel divano sotto di lei e si appoggiò lentamente al cuscino lasciatole da Talia. La maggior parte della schiena se ne stava lontana da qualsiasi contatto, le gambe erano distende e le mani caddero in grembo.

Le sembrava di essere un fantoccio, privata della vista poteva poco e niente contro il resto.

Nella posizione - in cui era costretta a stare - le tornava davvero scomodo indossare i suoi occhiali. Aveva poche alternative se voleva ristabilirsi il prima possibile. Poca mobilità - niente al di fuori del necessario - pasti regolari e antidolorifici erano diventate le sue abitudini. In quel momento stava già trasgredendo alle regole.
Era una prigione dentro alla prigione della sua vita, ma - quella volta - era per il suo bene.
Per proteggerla pure da se stessa: dai suoi ricordi maledetti.

Nonostante ciò che le era successo, avvertiva ben poco il bisogno di proteggersi da quello che la circondava. Forse perché gli incubi di Fidnemid erano lontani, gli alberi che agitavano i loro rami al vento non erano quelli del Coed Diflas. Oppure perché Aida pareva essersi dimenticata di lei. Qualunque fosse il problema non le gravava sul cuore.

I suoi pensieri scivolarono ai ringraziamenti fatti - innumerevoli volte - a Samuel. Lui si era premurato di farle riparare le lenti ed Abby già se le immaginava: senza graffi o macchie, una montatura più solida e un mondo più nitido. Degli occhiali nuovi come quattro anni prima, quando ricevette un regalo - a lei necessario - dagli Aubert.
Quelli erano la sua distrazione.
Ogni tanto li osservava strizzando gli occhi, ma li vedeva soltanto come una linea scura, un sogno lontano per quanto vicino.

Samuel glieli aveva messi sopra alla scrivania dello studio, dall'altra parte della stanza. Lei avrebbe potuto chiederli oppure provare a prenderli da sola, ma li comparava ad una ricompensa per tutto quello che stava passando, per tutte le volte che aveva annientato il pensiero di Hereweald. Stava andando avanti - come le aveva suggerito Talia - per il suo bene e per quello dei suoi amici.
Tuttavia ancora faticava a crederci.
Faticava anche solo ad immaginare che Lilith avesse vinto sul principe e lo avesse ridotto ad un suo burattino.

   Eppure...
Per un attimo ricordò l'incertezza del demone, il suo sguardo afflitto e le sue mani che allentavano la presa su di lei. Non era per dare un falsa speranza, ma perché stava cercando di vedere la realtà. Abegail sapeva che si trattava di quello, ma bloccò improvvisamente le sue riflessioni, esattamente come aveva imparato a fare.

Faceva male non poter godersi i recenti ricordi di Hereweald; un tremendo male che le stritolava il cuore.
Non poteva però permettersi che il dolore la opprimesse. Aveva ancora troppe cose da conoscere e molte prove da affrontare. Lasciarsi andare avrebbe vanificato ogni azione fatta nei mesi passati, ogni sacrificio e lacrima versata.

Lei era una cercatrice di Annwn, aveva scavato per cercare provviste e aveva trovato dei cadaveri. Aveva guardato in faccia la morte fin da bambina. Era più forte di quanto si ritenesse tale e doveva dimostrarlo a se stessa, cominciando pure a guardarsi allo specchio con una luce nuova.

Successivamente si concentrò sul suono del vento nel mentre osservava lo studio di suo zio. Ricordò la sorpresa quando - il secondo giorno che aveva ripreso conoscenza - era riuscita a guardarsi attorno. Il soffitto era alto, si vedevano le assi in legno che sorreggevano parte del tetto e - come aveva immaginato alla prima occhiata dall'esterno - la finestra ad arco faceva entrare molta luce naturale.
Una luce perfetta per disegnare.

Stava premendo per tornare al presente - disturbata persino dal sibilio del vento - quando un ulteriore rumore si aggiunse alla notte. Fu leggero e lento come se - quello scricchiolio - avesse paura di disturbarla.

— Abby, come stai?

   Nathalie comparve a poco a poco da dietro la porta. La luce del corridoio le illuminava le spalle e si allungava sul pavimento dello studio.
La ragazza entrò spegnendo in contemporanea le luci del corridoio.
Si fece avanti con molta cautela perché aveva imparato che Victor avesse un udito sopraffino.

Ricordò con imbarazzo - come se avesse ancora addosso tutta la vergogna di pochi giorni prima - quando il giovane era entrato in camera di Elizabeth sorprendendole a chiacchierare.
Si era vergognata per la smorfia di lui e da allora non pensava ad altro che al perché. Perché un espressione di un estraneo le avesse fatto comprende qualcosa che si ostinava a non capire.

Qualcosa che le era stato insegnato come proibito, ma che stava nascendo in lei, senza alcun motivo.

— Non riesci a dormire? — pronunciò sedendosi per terra e tirando le coperte dell'amica fin sopra le spalle. — Se è per la ferita posso andarti a prendere qualcosa.

   Abegail si ribellò frustrata.
Odiava sentirsi accudita, considerata come un bambina da chi aveva la sua stessa età.

— No, — sospirò poi. — va tutto bene, solo... — un tuono fece tremare le vetrate ed entrambe le ragazze si irrigidirono. Provarono a nascondere all'altra i brividi che quei suoni procuravano alla loro pelle. — Puoi rimanere qui con me?

   Le chiese infine con voce flebile. L'avevano isolata da tutti per farla riposare il più possibile, ma a lei mancava vedere i volti della sua famiglia. Persino Victor ed Elizabeth - che conosceva solo da poche settimane - avevano riempito i suoi pensieri.
Alla loro lontananza poteva rimediare, poteva affacciarsi, scendere in cucina oppure obbligare Talia a farli stare con lei.

Anche se - spesso - si chiedeva se fosse giusto. Se ai suoi cugini interessasse realmente di lei. Tuttavia c'era altro a preoccuparla maggiormente.

Sarebbe stato facile tranquillizzare il senso di solitudine con i presenti, ma sentiva che non le sarebbero comunque bastati. Sospirò pesantemente nel mentre si portava le ginocchia al petto per far spazio sul divano a Nathalie.
La guardò a lungo, osservò il suo turbamento e si chiese se fosse giusto parlarle o meno.
Se dovesse avere più tempo per comprendere quello che lei aveva sempre supposto.

Finì con il crogiolarsi sotto al rumore della pioggia scuotendo un poco il capo.

— Quanti giorni sono passati da quando Alexader è partito?

   Quella domanda invase l'aria in maniera cauta, quasi avesse timore della risposta.

— Dodici...

   Fu allora che Abegail si agitò con l'intento di alzarsi e manifestare meglio il suo disappunto.
Nathalie però glielo impedì.

— Potrebbe essergli successo qualcosa!

— No, Abby. — Nat le frenò i movimenti tappandole pure la bocca con una mano e intimandole di fare silenzio. — Gli angeli non possono fargli del male e poi... — storse le labbra triste. — noi cosa potremmo mai fare?

   Abegail si scansò arrabbiata e negò insistentemente con la testa.

— Sappiamo veramente cosa possono o non possono fare gli angeli? — proferì contraendo la mascella mentre la sua coda si allenava sul capo. — Tu sai cosa hanno fatto in passato? — ci fu un attimo di silenzio carico di tensione. — No, non lo sai, vero?

— Invece tu lo hai visto...

— Credo... — per un attimo la gola le si seccò. — Aida è complicata da capire, ma... — Abegail strinse le palpebre per cacciare l'ultima visione che aveva ricevuto da quello spirito. Gli odori che aveva sentito e la terribile sensazione che - anche quella volta - il suo istinto avesse ragione. — Da quando siamo qua non mi si è più mostrata...

   In un attimo avvertì il peso della collana di sua nonna.
L'espressione di Samuel nel vedere il ciondolo e ogni informazione acquisita al riguardo le passarono davanti agli occhi, nitide fra l'oscurità.
Lei forse avrebbe potuto fare qualcosa.

— Devo parlare con mio zio...

— Oh no! — nel tentativo costringere l'amica a restare al suo posto Nathalie le lanciò un cuscino in faccia. — Prima di fare qualsiasi pazzia ti devi ristabilire.

   Lei assunse una posa autoritaria.
Mise poi le mani sui fianchi e strinse le labbra rimproverando con lo sguardo l'altra ragazza. La sua compostezza durò però poco più di qualche secondo.
Il tempo che il cuscino scendesse completamente dal viso di Abegail, mostrando lo stupore segnare innocentemente i lineamenti del suo volto.

Allora Nat cominciò a ridere.
Si sforzò per trattenere il volume della sua voce, gonfiò le guance provando a non fare rumore e contrasse i muscoli dell'addome.

— Scusa, ma sei buffa!

   Si portò persino una mano davanti alla bocca nell'istante in cui vide gli occhi di Abby spalancarsi sempre più per l'incredulità. In quello stesso momento lei sorride debolmente dando qualche calcio al fianco di Nathalie.

— Stupida...

   Quella fu la sua replica, pronunciata poco prima che cedesse al sonno.

   Nelle quattro ore successive la tempesta si placò lentamente.
Le nuvole scemarono e dalle imposte cominciarono a vedersi i pallidi raggi del mattino. La porta dello studio si aprì nuovamente e Talia entrò scortata da bende, disinfettanti e vitamine.

Osservò sorpresa le due ragazze rannicchiate sul divano come se posassero per un dipinto. La coperta che scendeva leggermente verso il pavimento con le sue pieghe, i corpi posati in una carezza di conforto e la poca luce che si muoveva su di loro.

Sorrise e - facendo attenzione a non essere rumorosa - si preparò per quando Abegail si sarebbe svegliata. Un'imprecazione giunse improvvisa dal piano inferiore e fu seguita a ruota dalla voce di Samuel: Victor era già agitato. Talia assottigliò le labbra frenandosi dall'andare di sotto a rimproverare suo figlio per la poca serietà.

— Buongiorno Talia...

   Le sue spalle scattarono sorprese: era stata colta sovrappensiero.
Dopodiché si voltò vedendo Nathalie e Abegail svegliarsi assieme. Subito dette il buongiorno ad entrambe con affetto, poi pensò alle solite premure verso la nipote. La vide mettersi meglio a sedere e irrigidire il corpo quando parte della ferita toccò il braccio del divano.

— Ti fa male la ferita?

   Chiese porgendole una pasticca e un bicchiere d'acqua.

— Poco, preferirei andare a lavarmi.

— Certo, — rapida poggiò nuovamente i medicinali e il bicchiere vuoto sulla scrivania. — però ricorda...

— Bagnare solo l'asciugamano e non andare sotto al getto della doccia, almeno finché la pelle non si sarà del tutto riformata. — Abegail sbadigliò un poco. — Tranquilla, ormai lo so.

   Lasciò Talia felicemente a bocca aperta.

— Bene, ti preparo la colazione!

— Talia... — la giovane la bloccò nuovamente, quella volta sull'uscio dello studio. — Oggi, potrei scendere?

— Se te la senti non vedo perché non dovresti.

   Il sorriso della donna fece l'effetto di una medicina: le tolse il dolore di dosso. Abby si alzò cauta per poi dirigersi al bagno prendendo i soliti asciugamani che sua zia - meticolosamente - le cambiava ogni giorno. Fece tutto rapidamente, rimanendo ogni tanto senza fiato a causa delle fitte e svegliandosi poco a poco.

Un'ultima passata d'acqua sopra al viso e - fissando il suo riflesso allo specchio appannato - constatò di essersi dimenticata il cambio. Ruotò quindi gli occhi, chiuse adirata il rubinetto e si coprì il busto dopo essersi rimessa i soliti pantaloni da ginnastica, sempre offerti da Elizabeth.

Successivamente uscì dal bagno, controllando che nessuno passasse e - nel mentre che attraversava il corridoio - Nathalie uscì dallo studio di Samuel cominciando a ridere a crepapelle. Quella volta non si trattenne.

— Perché ridi?

   Bisbigliò l'altra, rossa dalla vergogna e con un pungo ben saldo a tenerle il petto coperto.

— Perché stai bene. Non sai che paura ho avuto quel giorno... — Nat storse le labbra assottigliando lo sguardo per prenderla un po' in giro e scacciare la propria tristezza. — Sono felice che la testa ti sia rimasta fra le nuvole!

   Abegail la guardò con falso rimprovero. Un gioco di sguardi che capirono entrambe.
In seguito si divisero: Nat scese in cucina e Abby andò a vestirsi. Entrando di nuovo nello studio notò con piacere che Talia aveva aperto le imposte e che si prospettava una giornata poco nuvolosa.
Fece scorrere l'asciugamano sopra allo schienale del divano e si meravigliò del gelo se si andò a posarsi sopra alla sua ferita. Vide solo successivamente che una finestra era socchiusa.

Si avvicinò alla poltrona di Samuel e prese una felpa riposta sopra a questa.
Ne tastò il tessuto con i capelli tirati in avanti per nascondere il suo seno.
C'era qualcosa di strano.
Si sentì improvvisamente inebriata dalla tranquillità. Chiuse gli occhi inspirando e portando la felpa al petto. La pelle d'oca le ricoprì le braccia nel mentre avvertiva qualcosa a lei conosciuto.

Una sensazione a cui era abituata riprese possesso del suo umore.
Non ci aveva mai fatto caso - forse - perché non erano mai stati così lontani.

— Alexander!

   Nathalie strillò sorpresa e poco dopo una porta sbatté violentemente.
Ad Abegail il cuore batteva all'impazzata.
La chiave che teneva al collo le parve farsi incandescente nel mentre sentiva la voce dell'amica urlare nuovamente all'angelo - quella volta - allarmata.

— Aspetta, non puoi andare!

    Non ci fu niente da fare.
Alle sue spalle la porta si spalancò e la sua cicatrice finì in mostra, davanti agli occhi di Alexander.

Angolo autrice:

Eccomi di nuovo qua! Scusate l'attesa...

Che dire? Questo è stato un po' un capitolo di passaggio, ma presto torneremo nel pieno delle vicende Ricordate cosa disse Victor? Con il ciondolo di Helen loro avrebbero potuto fare qualcosa contro i demoni, ma in che modo?

Vi avviso: preparatevi.
La prossima scena sarà meglio non farla sapere ad Hereweald quando tornerà in sé...

Alla prossima,
Capitolo XXVII: Gente Di Dublino

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top