Capitolo XVII: Il Cacciatore

   Uno sbadiglio segnò l'arrivo all'ennesima stazione. I campi coltivati si estendevano per chilometri lasciando intravedere dei greggi di pecore e - altre volte - qualche albero solitario. Stava divenendo pesante passare tutto quel tempo sopra al treno, pure stando immobili su dei confortevoli sedili.
Non sapevano di cosa discutere - anzi - non si sentivano in grado di articolare un discorso. L'adrenalina e l'euforia - provata a causa del volo - era scivolata via dai loro corpi e - in quel momento - desideravano solamente poter crollare senza dover intraprendere una lotta con gli incubi. Non sarebbe stato facile andare avanti.

Alcune gallerie fecero trattenere il fiato alle ragazze per poi lasciarglielo buttare una volta terminate. Il buio che vi governava all'interno era angoscioso e sconosciuto. Improvviso come un battito di ciglia. Non riuscivano a sentirsi abbastanza tranquille.

Dal nulla Samuel chiuse il suo laptop e lo ripose con cura nella custodia. Sbuffò e si stiracchiò, fiero di aver avvisato sua moglie degli ospiti. Non aveva detto niente di eclatante eccetto che la casa si sarebbe trasformata in un rifugio per adolescenti. Le sue gote si riempirono al pensiero di raccontarle - anzi - presentarle direttamente sua nipote.
Era talmente felice che quasi si dimenticò del suo licenziamento.

Era meglio per lui non pensare alla superficialità con cui lo avevano guardato; al tono con cui gli si erano rivolti. Sembrava essere tutto programmato.
Inoltre come avrebbe fatto a spiegarlo? Strinse i denti: doveva rimandare il più possibile quell'argomento e festeggiare il nucleo famigliare allargato.
Ancor prima che quel pensiero annientasse la preoccupazione, ricordò che doveva conoscere i particolari della fine di Fidnemid.
Sovrappensiero si grattò la testa.

Un'altra stazione passò - proprio in quel preciso istante - senza che fosse la loro, ma ormai mancava poco.
Cork Kent era la prossima e la Premier Line avrebbe concluso la sua corsa.

— Ragazzi, scendiamo alla prossima, preparatevi.

   Annunciò Samuel battendo le mani sui braccioli del sedile e flettendo le gambe. Si fece poi largo tra le gente che si spostava alla ricerca di un vagone vuoto e trascinò le valigie vicino alle uscite. Attese che i giovani lo accerchiassero, pronti a scendere e poi - finalmente - il treno rallentò la sua corsa fino a fermarsi. Non persero tempo. Saltarono giù non appena le porte si spalancarono e ripeterono le precedenti azioni ovvero si affidarono all'uomo. Lo seguirono curiosando in giro e osservando il luogo, tipico della campagna. Era vicino a ciò che erano abituati a vedere a Fidnemid.

La cittadina che si presentò loro era molto più tranquilla della precedente e ancora una volta saltò all'occhio la rusticità e la semplicità. Certo non mancava la frenesia e il movimento. Auto e pullman riempivano le vie, ma parevano più calme e il loro tragitto meno soffocante. Non appena prese a camminare per strada, Samuel venne assalito da conoscenti e dai loro saluti. Alle orecchie dei ragazzi si aggiunse un nuovo idioma dalla stessa particolarità del francese: non era il loro, ma poterono comunque distinguere alcuni termini e la cadenza. Possibile che a Fidnemid vi fosse una lingua che riuscisse a racchiudere i frammenti delle altre?

Non erano stati colpiti dalla punizione divina: parlavano una lingua pressoché universale.

Abegail e Nathalie si guardarono complici, pensarono la stessa cosa e si chiesero quanto tempo sarebbe servito per imparare a comunicare con la comunità. Quelle da imparare non erano leggende né superstizioni. In quel momento Samuel tornò indietro, come se le avesse sentite. Poggiò la mano sinistra su una spalla di Alex e si sentì in dovere di consolare il resto del gruppo.

— Non preoccupatevi, — esordì abbassandosi all'altezza di Cassandra. — se ho capito una cosa è che la nostra mente è stata talmente condizionata da quell'ambiente da essere simile a quella di un bambino. Se solo lo si vuole si potrebbe imparare in poco tempo qualsiasi cosa. Le lingue non sono dei problemi. — le sue movenze erano esuberanti. — Il nostro cervello deve ancora crescere di contenuto... — dopodiché rifletté grattandosi la testa. — per lo meno lo deve fare il vostro.

   Successivamente si fermò per comprare del pane e qualche fiore con il suo caratteristico sorriso, nascosto sotto la barba e i baffi. Abbandonarono rapidamente il centro servendosi delle linee di trasporto e in un batter d'occhio si trovarono a costeggiare una via isolata. Camminavano in discesa e il peso delle valigie li costringeva a contrarre i muscoli degli avambracci.

Sulla loro destra videro una serie interminabile di villette a schiera dai tetti aguzzi e le facciate di colori sgargianti, una diversa dall'altra. Erano bizzarre, ma donavano allegria. Oltre le cime di queste si potevano scorgere - molto in lontananza - le guglie di una cattedrale. L'aria sapeva di salmastro e il vento soffiava da est.

La parte opposta era invece caratterizzata da campi trascurati e capanne mezze crollate, dietro le quali si espandeva la sottile linea dell'orizzonte. Assieme all'aria che si appiccicava alla pelle, il vento portava con sé il suono delle onde che si infrangevano contro la spiaggia. I ragazzi proseguirono in silenzio per una ventina di minuti, cullati da quella melodia e distratti dalle mattonelle disconnesse per terra.

— Eccoci arrivati! — esclamò poi l'uomo facendo alzare lo sguardo a tutti gli altri. — Forza, entrate!

   L'edificio era distaccato dagli altri, strutturato su tre livelli e dalla facciata grigia. Le finestre erano ampie e al secondo piano ve ne era una ad arco, probabilmente per accogliere più luce in uno studio. Un giardino si intravedeva sul retro. Vi era poi una capanna e il confine con qualche metro di boscaglia. Samuel aprì il cancelletto e percorse il sentiero si ghiaia fino all'ingresso dell'abitazione.

Si mise sotto braccio il piccolo mazzo di fiori assieme alla busta con il pane e allungò appena la mano che il pomello ruotò aprendo la porta: sua moglie lo aveva preceduto.

— Mia cara, — disse un po' sorpreso, poi però si riprese. — ti presento Abegail. — Samuel dovette spostarsi di lato e schiacciare le valigie contro la parete dietro la porta. Sapeva che sua moglie non lo avrebbe fatto entrare senza che lui le avesse presentato la nipote. — Abegail, lei è mia moglie, Talia.

   La donna si presentava in tutta la sua semplicità. I capelli mossi e dai riflessi ramati erano raccolti in una coda, il viso lievemente truccato e gli abiti casalinghi. Aveva le mani sporche di un qualche impasto e le pantofole - vecchie di qualche anno - risaltavano per il loro colore acceso su tutta la sua figura neutra. Benché fosse insolito per le ragazze venire accolti con tanta sincerità a sorprenderle fu qualcos'altro.

Talia era diversa dalle persone che avevano frequentato a Fidnemid; diversa caratterialmente e - pure - apparentemente. Non volevano sembrare scortesi, ma le loro espressioni si tinsero di confusione: l'incarnato della donna non era comune dalle loro parti.

Talia lo immaginò e sorrise ancora di più. Suo marito l'aveva avvertita per prevenire possibili fraintendimenti, ma a lei non importava. Le era stato raccontato tanto di quel mondo, di quelle pazzie. Sapeva che era tutto nuovo per quei ragazzi e la sua sola intenzione era quella di rendere loro un po' di affetto materno.

— Ti prego, chiamami zia! — andò in contro ad Abegail con il suo grembiule infarinato. — Sono così felice di conoscerti! Spero che il viaggio non sia stato troppo pesante per voi.

   Dopodiché Samuel fece le presentazioni anche per gli altri. Ognuno di loro - per quanto lo concedesse il preparato sulle mani di Talia - venne accolto con un gran sorriso e un caldo abbraccio.

— Dove sono i ragazzi?

   Domandò Samuel non appena riuscì a posare alcune cose sul divano attiguo all'entrata.

— Elizabeth dovrebbe tornare da lavoro tra poco, le hanno cambiato i turni questa settimana.

   I due si salutarono con un rapido bacio e Samuel Porse alla moglie il suo regalo. Infine annuì riflettendo sulle informazioni e gettando la sua valigia sul tavolo della cucina.
Invitò Cassandra a farsi avanti. La vedeva troppo in disparte e confusa.
Le chiese se le andasse di aiutare a disfare i bagagli e allora cominciarono assieme. Talia finì di impastare e infornò quello che parve un pane, sgridando il marito per non averla avvertita delle sua spesa. Poteva risparmiarsi del lavoro.
Ogni cosa in quella stanza seguiva uno stile vintage e sembrava essere tutto realmente molto antico. Dai mobili robusti e scuri al forno rustico a legna.

All'improvviso si avvertì uno sparo partire dal retro dell'abitazione. La paura attraversò i volti di Cassandra e Nathalie mentre i due coniugi si scambiarono uno sguardo annoiato.

— Vado io. — disse Samuel spostando una sedia per passare meglio. — Abegail, seguimi, ti devo far conoscere qualcuno.

   Dopo un attimo di riluttanza lei lo raggiunse oltrepassando la porta della cucina. Non prima però di aver avuto la conferma che Alex la osservasse da lontano. Il suono di poco prima non li rassicurava affatto - anzi - li aveva terrorizzati. I ricordi avevano cominciato a correre sulla loro pelle.

— Hey! — ringhiò Samuel dall'esterno. — Cosa ti avevo detto riguardo al fucile?

   Abegail si avvicinò cauta. Vide scorrere delle pile di legna addossate al muro della casa poi comparvero due figure: quella di Samuel e quella di un giovane.

— Dimmi che ti avevo detto riguardo a qualsiasi arma! — sbraitò nuovamente l'uomo. — Accidenti come le hai trovate?

— Papà, le tieni nel fienile come se volessi che le prendessi!

— Non è stagione di caccia, quando la smetterai di mettermi nei casini?
Ormai hai diciotto anni!

   La ragazza si fece avanti incuriosita dai movimenti dello sconosciuto. Era alto e robusto, la pelle scura e lucida era messa in evidenza dalla maglia grigia che gli aderiva al petto e alle braccia.
Successivamente i due si guardarono reciprocamente negli occhi.
Quelli di lui erano neri, di una tonalità che superava di gran lunga l'oscurità delle iridi di Nat.

— Chi è questa?

— Non te ne ha parlato la mamma?

   Il giovane sbuffò toccandosi con la mano libera il ciuffo che gli ordiva la capigliatura. Era nera e riccia come quella del padre.

— Lo sai che non la ascolto, accidenti, voi non fate altro che ripeterlo.

   Samuel era esasperato, gli occhi oramai faticavano a rimanere aperti, ma non perse tempo.

— Bene, Abegail, — la incitò a farsi ancora più avanti. Lei non aveva niente da tenere eppure non si fidava abbastanza. — ti presento Victor, tuo cugino. È lui che ha il nostro stesso dono.

   Per un attimo l'espressione dei loro giovani volti fu la stessa: stupefatta.

— Oh, — Victor ripose lentamente l'arma e studiò a fondo la cugina. — questo non me lo aspettavo.

— Avresti potuto, se solo avessi ascoltato tua madre.

   L'uomo incrociò le braccia al petto con tono di rimprovero nel mentre il rumore - che l'oggetto produsse - turbò l'altra. Abegail trasalì al ricordo delle sparatorie. Parve che ogni battito di ciglia le restituisse le immagini recenti della morte, dei lamenti e del fuoco. Rabbrividì irrigidendo le sue braccia lungo i fianchi. Fino ad allora le erano sembrate lontane, il tempo si era distorto perché quel nuovo mondo era tanto calmo e puro ai suoi occhi.

— Stai tranquilla, so come usarlo. — ghignò Victor non smettendo di guardarla. — Solo che mio padre non vuole senza la sua supervisione. Per certe cose pensa che sia ancora un bambino!

   Uno stormo di volatili sorvolò in quel momento le loro teste.
Il ragazzo pestò il terreno e imprecò per aver perso l'occasione. In seguito mosse il capo in modo da cancellare quella sua sfortuna dai pensieri. Ci avrebbe riprovato il giorno successivo.

— Ebbene! — asserì puntando la cugina. — Anche tu puoi vedere quelle creature che studia mio padre? — Abby non rispose, deglutì inorridita dai ricordi che riaffioravano potenti. — Dimmi, ne hai mai vista una? — Victor assottigliò lo sguardo e arrivò a superare il padre, sfidando la ragazza. — Perché sai, io non riesco neanche a sentire la voce che lui ha nella testa.

— Victor, adesso basta!

— No, scusa, non ha mai visto niente anche lei? — domandò, questa volta rivolgendosi a Samuel. Era terribilmente sfacciato. — Allora come fate a essere sicuri di avere questo dono? — tornò poi a guardare Abby. — Secondo quello che dice mio padre basta essere un Knight. Se è così, dove sono questi esseri?

— Avrei dovuto lasciar perdere, sei solo un incosciente spudorato! Andiamo Abegail, è meglio che tu e i tuoi amici vi riposiate.

   Samuel spinse un poco la ragazza e la voltò per rientrare in casa. Tuttavia lei sembrava intenzionata a fare altro. Si tirò indietro e inspirando lentamente si apprestò a parlare. Odiava il fatto che Victor pensasse a lei come a un fortunata. Voleva vedere gli angeli e le bestie, ma non teneva conto del resto. Non sapeva il male che tutto quello comportava.

— Sì, le ho viste — confessò. — e continuo a vederle tuttora. Sento la loro presenza, mi perseguitano nei sogni e avrei tanto voluto non sapere della loro esistenza. Ho conosciuto persino Aida. — quella frase fu diretta a Samuel. Lo aveva sentito imprecare contro quello spirito ed era certa che lui fosse stato salvato da quella donna. Dopodiché tornò a interessarsi a suo cugino. — Tu non sai quanto sei stato fortunato!

   La voce le tremava e gli occhi stavano per riversare tutte le sue emozioni, proprio come l'uomo aveva supposto: Abegail stava per crollare. Tirò su con il naso e le venne in mente un tremendo particolare.

— Samuel, sai cosa succede ai comuni umani quando si trovano davanti a una creatura sovrannaturale?

— Sì, ho trovato degli scritti molto chiari riguardo a questo. — era confuso, ma continuò esponendo quanto imparato. — Corrisponde alla pena delle streghe nell'antichità: si brucia non appena ci siamo di fronte.

— Non è una punizione per noi, ma per loro. — Victor voleva essere partecipe del dono di famiglia e lei lo avrebbe accontentato. Comunque andasse, mancava poco e Lilith si sarebbe ripresentata. Non c'era tempo per riposare. Aveva sbagliato a pensare il contrario. — La loro essenza è pura e potente come il nucleo di una stella, ma pur sempre coscienziosa.

— Come fai a sapere queste cose?

   Era il momento di confessare.

— Perché io conosco un angelo.

Angolo autrice:

Come va? Spero stiate tutti bene ^^

Finalmente Abby si è riunita con la sua famiglia, che impressione vi hanno fatto i vari componenti? (anche se manca ancora Elizabeth)

Sicuramente Victor è la testa calda del gruppo... Le sue idee saranno un problema Non sa realmente quello che lo aspetta...

Comunque sia tra poco toccherà ad Alex fare la sua parte, sapendo le ragazze al sicuro dovrà tornare dagli angeli, al Castello nel Cielo oltre che accontentare la stupida curiosità del "cacciatore".

Riuscirà a far cambiare Michael e gli altri arcangeli? Sicuramente senza di loro non si avrà nessuna chance di combattere Speriamo bene ^^

Alla prossima,

Capitolo XVIII: "Responsabilità"

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