Capitolo XVI: A Un Passo Dagli Angeli

Beauvais, 12 Novembre.

   L'aeroporto di Beauvais era gremito di persone. Una folle calca che andava e veniva riempendo l'ambiente del rumore dei propri passi e delle ruote delle valigie. Un continuo chiacchiericcio si espandeva sotto le potenti luci a neon della struttura. Era la cosa più grande che i ragazzi avessero visto. Il soffitto neutro - lontanissimo da loro - li lasciò esterrefatti nel mentre che la luce della mattina li accecava passando per le gigantesche finestre a tutta parete.
Vi erano scale mobili, ascensori che suonavano, si aprivano e si chiudevano. Negozi, profumi e luci catturavano ulteriormente l'attenzione.

— Ragazzi, seguitemi e fate attenzione. — Samuel faceva da capofila, emozionato e preoccupato allo stesso tempo. — Cercate di essere disinvolti, come se non fosse la prima volta che viaggiate. — proseguì con tono contenuto, sperando che mantenessero sotto controllo le domande e lo stupore. — Vi rifarete una volta in aria.

   Non aveva dubbi che la partenza avrebbe dato loro fastidio. Lui ricordava perfettamente la prima volta che era montato su un aereo. Tuttavia - sapeva - la vista li avrebbe ripagati, specialmente con quel tempo. Avrebbero ammirato un nuovo mondo, solcato l'etere e - sperava - si sarebbero dimenticati del giorno precedente godendosi quell'attimo.
Ciò che li doveva interessare era il presente: il passato sarebbe servito solo per comprendere chi fossero e cosa avessero intenzione di superare.

Si misero in fila dopo aver fatto passare lo schermo del telefono sotto ad uno scanner. Erano in cinque con un solo cellulare funzionante. Rallentarono un po' il flusso dovendosi passare l'oggetto, poi proseguirono a zig zag finché non venne il momento dei controlli.

Ancora un volta si ritrovarono impacciati, sotto la serietà e i comandi in un lingua sconosciuta di chi li avrebbe potuti riconoscere come fuorilegge. Dopo piccoli problemi- dovuti ai macchinari che Samuel aveva insistito per portarsi dietro e l'inusuale arma di Alexander - conclusero il check-in. Fortunatamente Samuel era riuscito ad avere un aiuto anche per far passare della spada: tutto merito di Hugh. Corsero quindi all'imbarco dove una gigantesca stanza li attendeva.

Clarissa schizzò via dalla presa di Abegail e andò ad attaccarsi alla grande vetrata in fondo alla sala. Premette i palmi delle mani sul vetro - lasciando le sue impronte - e si mise sulle punte delle sue scarpe bucate.

— Cassandra! Togliti di lì.

— Abby, guarda! Quello sta volando!

   La intimarono di tacere avvicinandosi a lei. Anche i bambini più piccoli conoscevano un aeroplano e sapevano cosa questo facesse.
Dovevano essere cauti.

— Dobbiamo salire là sopra?

   Chiese successivamente, portando le mani attorno all'impugnatura del trolley che le era stato affidato. Quella valigia pesava a causa degli attrezzi di Samuel, ma non si lamentava: era troppo catturata dalle novità. Uno spazio così ampio non era mai riuscita a trovarlo nella sua città. Le orecchie le vibrarono nel mentre i motori di un aereo si accesero, muovendolo fino al centro della pista e facendolo decollare con a bordo centinaia di passeggeri.

Cassandra dovette ammetterlo: non la spaventava l'idea di trovarsi tra le nuvole. Era inusuale, ma la attraeva.
I suoi occhi chiari - lucidi dall'emozione - tremavano dalla contentezza mentre i capelli rossicci le cadevano attorno alle guance, segno di una frangia ormai troppo cresciuta.

— Sì, piccola. — le rispose in quel momento Samuel, avvicinandosi. — Quello si chiama aereo e ci porterà a Dublino. — aprì poi una cartina appena comprata, indicando con l'indice il punto situato dove - grossolanamente - si trovavano. — Vedi, noi siamo qui e atterreremo proprio qua, — trascinò una rotta fino ad un'isola. — oltre questo pezzo di oceano.

— Non chiamarmi piccola, ho quasi quattordici anni!

   Samuel rise di gusto e diete la mappa a Cassandra rivedendo nella sua espressione i lineamenti della madre.

— Oceano? — fu il turno di Nathalie, anch'ella curiosa. — Questa è tutta acqua? Potremo vederlo?

— Certo! Ci passeremo sopra.

   Nat non poté crederci. Non aveva mai visto il mare, a malapena conosceva l'aspetto di un fiume e di un lago, avendoli visti durante le varie fughe da Fidnemid.

— Alex, a te preoccupa volare là dentro?

   Domandò Abegail pensando a quello stava passando l'amico. Stretto dentro ad un mezzo pieno di persone e immerso nel suo elemento. Aveva paura che le sue ali prendessero nuovamente il controllo. Dopotutto avevano ricevuto altri colpi non poche ore prima. Era preoccupata che - dato i molteplici avvenimenti - non le avesse detto che stesse soffrendo. Niente di inconsueto: sarebbe stato proprio da Alexander.

— Mi preoccupo di più di questa situazione. — le sussurrò tenendo d'occhio gli altri che si dirigevano verso un ultimo controllo. — Cosa faremo poi? Tuo zio... — si mosse agitato. — Credo che lui sappia più di quanto ci immaginiamo. Dobbiamo dirgli quello che rischia, quello che succederà all'intero pianeta!

— Hai ragione, ma... — Abby si ritrovò a deglutire per evitare che dicesse cose sconvenienti. — è così bello poter vivere come delle persone normali. Alex, è questa la normalità che ci meritavamo, non capisco come tu l'abbia potuta abbandonare per rimanere a Fidnemid. Sapevi che era maledetta!

— Sapevo che era giusto proteggerti e non mi sbagliavo!

   Vennero richiamati da Samuel e - prima che gli andassero incontro - Alex sospirò scuotendo e abbassando la testa. Dopodiché annuì a se stesso. Sotto lo sguardo supplichevole della ragazza gli era difficile rimanere irremovibile.

— Va bene! Arriviamo dai tuoi parenti, li conosciamo, studiamo la situazione e poi parliamo, ma non rimandiamo tanto la questione.

— Grazie!

   Abegail gli saltò al collo.
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che Alexander l'aveva vista così?
Faticava a ricordarlo.

— Sembri una bambina...

   Sorrise ancora poco prima di raggiungere il gruppo già pronto per l'imbarco. Furono poi investiti dal sole che scottava sulla loro pelle: erano quasi le dieci di mattina. Salirono incerti delle scale di metallo che dondolavano seguendo i movimenti della gente e si misero a sedere sospirando pesantemente. Samuel, Nathalie e Cassandra sedevano davanti a Alexander e Abegail. L'uomo aveva appositamente fatto cambio di posto. Per quanto poteva, voleva rallegrare la bambina.

Seguirono le spiegazioni della hostess, incomprensibili per i ragazzi, dopodiché un campanello segnalò l'obbligo di allacciare le cinture. Le orecchie fischiarono, lo stomaco corse in gola e un senso di leggerezza colmò i corpi delle fanciulle. La leggerezza della libertà le inebriò ancor prima che le ruote lasciassero il terreno. Si trovavano finalmente lontane dalla loro terra, senza niente a cui tornare, tra i raggi di quel sole così vicino che credevano di poterlo toccare. L'ebbrezza di attraversare le nuvole fu ineguagliabile. Era tutto nuovo e il passato non ebbe rilievo.

Osservavano rapite - oltre l'oblò dell'aereo - il riflesso del sole. L'assenza di un terreno che potesse seppellirle le rendeva euforiche. Inebriate da una nuova volontà: non quella di sopravvivere, ma quella di vivere.
Vivere veramente. Si erano quasi dimenticate di trovarsi in uno stato precario: Lilith presto o tardi le avrebbe riscosse nuovamente.

Una coperta di nuvole si stagliava all'orizzonte. Infinita, pareva ci fosse un manto nevoso e ghiaccio a perdifiato. Erano sempre più vicini a oltrepassare l'etere. Gli occhi bruciavano sotto l'alone del sole e tutto era immobile. Immaginarono che con tuffo potessero divenire parte di quel candido agglomerato di vapore nel mentre venivano disarmate dalla grandezza e dalle forme delle nuvole, simili a dei castelli. Era come stare a un passo dagli angeli. Non mancarono delle turbolenze. I sobbalzi colpirono pure i loro stomaci. Poco dopo tutto si schiarì e il cielo si confuse con il mare.

Il viaggio durò poco più di un'ora e - prima che se ne potessero accorgere - furono in dirittura di arrivo. L'aereo puntò verso il basso e lo scenario cambiò drasticamente. Pian piano il chiarore delle nuvole e l'azzurro del cielo e dell'oceano scemarono, lasciando spazio alle terre coltivate e alle città industrializzate.

— Riallacciate le cinture.

   Uno sbalzo li colse all'improvviso mentre Samuel li stava avvertendo e il cuore tornò loro in gola. La stessa donna della partenza parlò poi nuovamente, sembrava un robot dalle labbra bloccate in un sorriso e i movimenti rigidi.
Il carello dell'aereo fu fatto scendere, le ruote toccarono l'asfalto della pista e l'abitacolo si mise a tremare fin quando il portello fu aperto e i passeggeri invitati a scendere.

Successivamente i ragazzi corsero, seguendo la sicurezza di Samuel e ritrovandosi all'interno di un altro edificio simile a quello di Beauvais. Era pieno di gente e dai negozi simili a quelli già visti. Uscirono di lì dopo una buona mezz'ora, dopo controlli e spinte, scale e corridoi luminosi. Era un labirinto: un incubo per chi non vi era abituato.

— Ebbene ragazzi, — parlò Samuel mentre procedeva verso una porta automatica. — Vi dò il benvenuto a Dublino!

   Aspettarono qualche minuto per recuperare il bagaglio con l'attrezzatura di Samuel e la spada è poi superarono le pareti di vetro, ritrovandosi allo scoperto, in mezzo alla frenesia di una città immensa. L'uomo incitò i giovani a muoversi perché non avevano tempo da perdere e si vide costretto a trascinare lui stesso le valigie, finendo per farle scontrare tra loro e cadere. Imprecò sommessamente e solo in quel momento si mise a cercare un appunto sul cellulare.

— Coraggio, — riuscì a smuovere gli altri con un gesto della mano per poi dirigersi in un parcheggio. Seguì le indicazioni che si era segnato, individuando la zona e il posto auto dove - ad aspettarlo - c'era una jeep grigia. — dovete scusarmi, ma prima di andare a casa devo passare dal mio dirigente. Spero mi creda...

   Aggiunse infine più a se stesso che a chi lo ascoltava. Caricò i bagagli in macchina e fece montare tutti. Era ansioso di sentirsi chiamare nuovamente ricercatore e non voleva più avvertire la perenne paura di perdere il suo ambiguo posto.

— Qualcuno sapeva che stavi cercando Fidnemid?

   Si immerse nel traffico con quella domanda che gli creò dell'amaro in bocca.

— Sapevano che ricercavo creature sovrannaturali, bibliche soprattutto. — sterzò bruscamente a sinistra. — O almeno, una loro concreta traccia — concluse inchiodando davanti un semaforo rosso. La sua fretta poteva costargli caro. — Ho studiato qua da quando mi sono sposato, venticinque anni fa. All'inizio era più semplice, erano interessati a ciò che teorizzavo, ma con gli anni i miei interessi gli sono divenuti superflui. — essendo tra persone che conoscevano bene di cosa stesse parlando non perse l'occasione di argomentare. Era bello poter condividere qualcosa, non essere solo. — Sono stato ad Avignone e a Roma, ma nessuno di quei posti poteva contenete delle creature divine.
Loro non cercano la folla, ne fuggono.

   Alex si immobilizzò. Per fortuna aveva scelto di sedersi dietro Samuel altrimenti questo avrebbe notato il suo disagio. Poteva un uomo desiderare così tanto delle creature sovrannaturali?
Eppure la sua ricerca non era a scopi religiosi, bensì pareva che da un affare personale sviasse in teorie scientifiche.

— I miracoli e le maledizioni sono nascoste nel quotidiano. Loro... — scandì bene in modo che fosse chiara l'allusione. — vogliono rimanere delle pure immaginazioni, ma credo che abbiano lasciato molte impronte nella storia umana. Fidnemid ne era la prova.

   Passarono pochi minuti prima che la macchina si fermasse nei pressi di una struttura. Era immensa e pareva espandersi oltre la facciata ristrutturata, con persino una serie di campi al suo interno.

— Rimanete qua, torno il prima possibile.

   Tornò infatti dal college due quarti d'ora dopo, tempo impiegati dai ragazzi per rimanere incollati ai finestrini e studiare i movimenti della gente.
Samuel li raggiunse serio, il passo pesante e le mani chiuse in due pugni mentre parte dell'attrezzatura - che si era ricordato di prendere prima di abbandonare il veicolo - era sparita. Sbatté la portiera e dette dei colpi al volante con i palmi, ringhiando furioso.
Era incredibile che lo avessero licenziato.
Dopodiché accese la macchina.

— Andiamo alla stazione ferroviaria. — decretò con la rabbia che rendeva la sua giuda ancora più pericolosa. — Ci mancano ancora due ore prima di poterci rilassare in un letto.

— Dove hai detto che dobbiamo andare esattamente?

   Cassandra si sporse in avanti spostando lo sguardo dalla radio al conducente. Sapere la destinazione non le avrebbe cambiato niente: per lei rimaneva comunque un luogo sconosciuto. Tuttavia voleva cominciare a conoscere anche lei, così come ci era riuscito Samuel.

— A Cork, vedrete vi piacerà.
Non è grande quanto questa città e poi ho comprato casa in una zona abbastanza tranquilla. Avrete tutta la privacy di cui necessitate.

   Premette sull'acceleratore svoltando per entrare in un parcheggio e occupando il primo posto libero. Solamente le indicazioni stradali indicarono ai passeggeri che si trovavano nei pressi di una stazione ferroviaria chiamata Heuston. Samuel scese sospirando e raccogliendo le valigie assieme ai ragazzi per poi andare a comprare i biglietti di sola andata per tutti. Trasportarono i bagagli con le rimanenti cianfrusaglie - che l'uomo si era ripromesso di non riconsegnare - e raggiunsero il binario della Premier Line appena in tempo. Il treno fischiò così forte da doversi coprire le orecchie e il vento fece volare gli abiti. Tempo cinque minuti e riprese rapido il viaggio verso il sud dell'isola, attraversandola tutta ad alta velocità.

Il loro spostamento procedette monotono. Samuel inviava email dal computer, Nat e Cassandra erano occupate a guardare il paesaggio correre attorno a loro e Alex fissava serio Abegail. Per gran parte del tragitto lei fu tormentata dai dubbi: sarebbe piaciuta alla sua famiglia?
Non pensava ad altro e temeva di venire rinnegata nuovamente.

Angolo autrice:

Ebbene sono finalmente arrivati a Dublino!

Finalmente sono pronti a cominciare una nuova vita, ma per quanto potranno stare tranquilli? Ricordate? Lilith ha anticipato i suoi piani, presto tornerà sulla terra dunque è meglio che siate pronti. Soprattutto per rivedere il nostro amato Harry ^^

Vi avviso in anticipo, ma comunque ve lo ricorderò prima di pubblicare il capitolo: ho intenzione di usare il nuovo nome di Harry. Per chi mi seguisse su Instagram già ne è al corrente, ma per togliere ogni ulteriore problema lo ripeterò.

Con la revisione e soprattutto un consiglio davvero utile, "Harold" ha lasciato il posto a "Hereweald", molto più inusuale e sicuramente adeguato alla lingua demoniaca. Dunque non vi sorprendete se Lilith lo chiamerà a sé utilizzando quel nome ^^

Alla prossima,

Capitolo XVII: "Il cacciatore"

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top