Capitolo XIX: Ira
Inferno.
Lo scrosciare lento della lava aumentava per poi diminuire. Diveniva un frastuono all'interno delle mura del palazzo e se ne andava con molta calma per poi tornare con un'altra ondata, più potente della precedente. Nella dimora risuonava sempre la stessa musica. Quel suono però non era fastidioso - anzi - rilassava la sovrana che - tutta impettita - passeggiava avanti e indietro per la sala del trono.
Lilith stava ammirando il territorio di cui si era appropriata, mantenendo la fronte corrugata. Attraverso il vetro delle immense finestre l'Inferno le si presentava come un caos pullulante di morte e frammentato da alcuni sostegni in ferro. Quella non era però una morte dovuta a battaglie, sgozzamenti e torture, bensì a una disgregazione lenta e macchinosa. La regina deglutì portandosi le mani in grembo e decidendo di abbassare lo sguardo.
Si accontentò del suo lusso e cambiò il soggetto dei suoi pensieri. Improvvisamente il suo umore mutò. Rise al ricordo di lei che trascinava Lucifer in un'angusta torre. I lamenti di lui che riempivano le scale erano un'orchestra sinfonica. Il sangue scuro sporcava e tracciava il suo percorso. Era un gioiello ai suoi occhi e non aveva ancora accennato a farlo rimuovere. Viveva per quei momenti, per vedere le catene lacerare la carne e far sgorgare altro fluido.
Lo voleva più vicino a sé e lo aveva quindi condotto dove lei soggiornava. Là, in una torre - il cui tetto pareva sfiorare vertiginoso la volta del regno - aveva fatto nuovamente rinchiudere quel demone declassato. Aprì entrambe le mani e vi trovò delle vesciche a corromperle la pelle. Avvertiva ancora il calore del metallo celeste, l'epidermide che si squarciava e lo sfrigolio del contatto con le catene e il suo sangue marcio. In quel momento rise. La preoccupazione per i suoi sudditi era un mero ricordo.
Molto presto sarebbe giunta l'ora della visita giornaliera a Lucifer: non importava nient'altro. Amava vederlo distrutto, godeva di quanto era riuscito secondo i suoi piani e rideva - oh se rideva - pensando poi a quante anime avevano da poco riempito l'atmosfera del suo regno. I suoi occhi erano nei cieli di Fidnemid quel giorno, guardavano e mietevano. Tuttavia si accorse in seguito di non poter essere infallibile. Almeno non come pretendeva lei. Dette le spalle alle vetrate arcuate e chiuse gli occhi.
Gli spiriti che aveva raccolto da Fidnemid dovevano bastare per sfamare le creature più meritevoli. Credeva che sarebbero subito state prese d'assalto, ma le vedeva svolazzare, perdute nella confusione e - purtroppo - non erano scese di numero. Nessuno si era ancora cibato di loro. Erano una marea informe di nubi; delle presenze che cercavano di capire com'erano morte e ripetevano in continuo loop le loro ultime parole, le loro ultime grida. Erano tante: un'abbondanza simile non la si aveva dagli anni della peste e delle guerre barbare. Tuttavia all'appello ne mancavano alcune ed era questo a far irritare la sovrana.
Lilith aveva visto troppo tardi quei dannati fuggiaschi. Aveva mandato la distruzione oltre il confine del Coed Diflas, ma quei maledetti ci erano riusciti lo stesso: erano sopravvissuti.
La logorava il fatto che Abegail fosse ancora viva. Avrebbe dovuto ucciderla quando poteva, quando si era presa il principe. Strinse i denti - evitando per un soffio - di darsi della stupida. Lei non era stupida: erano stati quei ragazzi i veri sciocchi. Non avevano rispettato il suo volere.
La porta della sala scattò improvvisamente distogliendola dalle sue riflessioni. Allentò la tensione dei pugni e fissò seria l'ingresso. Fu quando il portone in ferro, lucidato e pieno di bassorilievi si spalancò completamente che entrarono due suoi servitori. Uno di loro era Taon, sempre più sfinito sotto ai suoi abiti larghi. Le guance scavate, le braccia e le gambe esili non avrebbero retto a lungo. Non era nemmeno più in grado di scrivere e persino i suoi capelli - come la carnagione - avevano perso colore: erano divenuti argentei e fini, come se fossero unti.
— Li avete rintracciati?
Domandò Lilith, ma nessuno dei due rispose. Il più giovane era alto, magro quasi come l'altro, ma prestante e ancora in forze. Lui - serio in volto - guardò Taon alle prese con un attacco di tosse dovuto alla precedente camminata. Dopodiché roteò gli occhi che erano di un azzurro brillante e - parlando - i lineamenti del suo viso furono più accentuati.
— Madre, li abbiamo rintracciati in Irlanda, l'uomo che li accompagnava è stato visto al Trinity College di Dublino. — enunciò sicuro facendosi più vicino a Lilith. In seguito precedette i suoi ordini ghignando fiero. — Ho già ordinato che dei segugi seguissero le loro tracce.
— Ben fatto, Deimos. — sorrise la donna fissando la statura del demone. Le sembrò si fosse fatto più alto e - per un attimo - nei suoi occhi rivide Gideon. Tuttavia lui non era stato creato malamente. — Devo rimediare al mio errore. — sentenziò alludendo persino al poco controllo che aveva esercitato sul suo primogenito. — Adesso portati via quella carcassa — indicò Taon. — e chiamami Hereweald, dobbiamo prepararci.
Deimos annuì sorridendo beffardo e lasciando che i suoi capelli color pece gli scendessero davanti agli occhi. Successivamente - a seguito di un inchino - i due demoni uscirono silenziosi. Lilith rimase nuovamente sola con i suoi pensieri. La sua mente malata cadde preda dei recenti ricordi, corse a qualche tempo prima quando - proprio nel punto in cui stava - aveva generato il suo secondogenito desiderosa che fosse la copia perfezionata di un traditore. Aveva mantenuto i tratti, ma li aveva resi meno pieni. Deimos era molto giovane e alla sua totale mercé. Non si poneva domande, agiva e basta.
Qualche minuto dopo si udirono dei passi lenti che si avvicinavano alla sala, attraversando il corridoio principale. Lilith si impettì passando le mani sulla gonna del suo abito, questa volta un vestito a tubino, attillato e rigorosamente rosso.
Fu allora che comparve il principe.
La posa fiera, i pantaloni lunghi e aderenti e la camicia bianca, sbottonata caratterizzava la sua figura. Tuttavia non fu il suo petto ad attrarre la sovrana, bensì le sue ali libere e immense che il giovane sfoggiava con orgoglio.
— Mia regina. — si prostrò di fronte a Lilith e le sorrise furbo. Poggiò poi un ginocchio sul pavimento e si inchinò carico di rispetto. — Cosa volete riferire oggi a mio padre?
La donna curvò le labbra e invitò il giovane a rialzarsi. Aveva fatto proprio un ottimo lavoro con lui. La venerava come la Dea che era; vedeva i suoi occhi languidi cercarla per l'approvazione e i lineamenti duri lo rendevano adulto.
Il tempo occupato a impartirgli torture e insegnamenti non era stato vano.
Le ferite avevano temprato il suo corpo, lo avevano reso più robusto e muscoloso mentre le verità aveva scavato a fondo nella sua anima. Lui non aveva più niente da perdere, sua madre era una traditrice e suo padre un bugiardo, un inetto. Lucifer non meritava il trono, ma Hereweald avrebbe governato a fianco di qualcuno che - invece - ne era più che degno.
Era figlio di un amore maledetto, frantumato perché messo da parte e poi ricomposto perché era l'unico a possedere il potere che Lilith bramava. Un potere che faceva rabbrividire gli angeli: il potere del peccato. La regina non disse nient'altro, ma continuò a guardarlo. Guardava invidiosa le sue ali. Le piume di queste muoversi lentamente e parere morbide. Eppure entrambi sapevano quanto avrebbero potuto ferire.
Infine - tramite un cenno del capo - invitò Hereweald a seguirla. Lasciò a lui il compito di immaginarsi il monologo del giorno e - insieme - si avviarono in direzione della torre destinata a Lucifer.
I tacchi di Lilith facevano un rumore assordante. Andava a sbattere contro le pareti dei corridoi e ritornava alla orecchie ancora più forte. Al contrario Hereweald aveva un passo felpato, i suoi piedi marciavano scalzi sopra alle piastrelle imperfette del palazzo.
Alle sue spalle l'ombra delle ali si ergeva vibrante e possente. Le luci eleganti dei candelabri accompagnarono i due per tutto il tragitto finché la pavimentazione si fece sporca.
Un liquido denso e scuro si era raggrumato sopra questa; puzzava di marcio e si trascinava lungo le scale a chiocciola della torre che i due avevano raggiunto. Salirono un centinaio di scalini, intrappolati in stretti cunicoli rocciosi. Fu come essere in un lento turbine.
Hereweald guardava la schiena della sua regina osservando le ali di questa nel mentre reggeva un candelabro con cinque fiaccole. Le scale finirono davanti ad una porta in legno con dei massici sostegni in ferro. Ad aprirsi i cardini cigolarono: la ruggine aveva creato una spessa patina. La stanza era buia, ma vi si poterono scorgere dei movimenti. Inizialmente si sentì solo il tintinnio delle catene, dopodiché si aggiunse anche il rumore della carne che veniva corrosa. Infine arrivò al naso un tremendo odore di bruciato.
Hereweald fu invitato a farsi avanti. Doveva illuminare quei pochi metri quadrati e assicurare alla sua regina la vista sul prigioniero. Si portò dunque a fianco del padre, abbassandosi alla sua altezza e avvicinandogli le fiamme delle candele. La luce traballò incerta sulla figura di Lucifer che era costretto a stare accasciato a terra. La sua pelle - nera e coperta di ustioni - lo rendeva irriconoscibile, quasi fosse parte del solaio sudicio. Le sue ali sembravano prive di ossa: erano cartilagine lasciata in balia della gravità.
Hereweald gli diede un calcio per voltarlo e rivelare il suo viso. Lucifer stava ridendo sommessamente nonostante sentisse bruciore ovunque: le catene - fatte di materiale celeste - gli circondavano i polsi, le caviglie e il busto. Correvano lungo braccia e gambe, stringendosi attorno al collo.
— Vedo che adesso non ti fai scrupoli a mostrarti, figliolo.
Pronunciò roco, faticando ad ingoiare, ma non poté evitare di riprendere suo figlio. Non era da lui pavoneggiarsi del suo essere: il vero Hereweald odiava ciò che era.
— Taci, pezzente!
Gli urlò Lilith ordinando poi al principe di allentare la stretta alla gola. Non voleva certo decapitarlo: doveva patire.
Il giovane allungò dunque una mano, afferrò le catene e - senza difficoltà - le tolse dalla zona interessata. La pelle di Lucifer cominciò subito a rigenerarsi, ma era ancora più doloroso della punizione angelica: gli toglieva il respiro, pur avendone poca necessità.
Tuttavia non si rassegnò.
Quella volta desiderava giocare lui.
— Come sta procedendo il tuo reame, mia cara? — sputò del sangue e scosse le spalle come ad imitare una risata. — Povera, — l'espressione di Lilith si fece diabolica. Stava per esplodere dall'ira. —non l'hai ancora capito, vero?
Lei stette immobile, contraendo i muscoli facciali. Lasciò che Hereweald posasse il candelabro a terra e rinforzasse la stretta del ferro angelico. Lucifer urlò tenendo le labbra serrate. La pelle del suo viso era tumefatta, gli occhi rossi a cause delle botte ricevute e i capelli sporchi e annodati sul capo.
— Non sei adatta a governare, — continuò a parlare. — sei stata salvata per pietà! — dopodiché soffiò colto da un bruciore più intenso: le catene erano tornate a circondargli la gola, suo figlio si stava assicurando di farlo tacere. Tuttavia lui non demorse. — Il tuo piano ha avuto fortuna, è stato e continua ad essere pieno di lacune...
— Maledetto, credi che mi lasci trattare così! — Lilith si fece avanti furiosa. La rabbia le scorreva nelle vene, ma non voleva sporcarsi nuovamente le mani. Voleva vedere la lealtà del principe nei suoi confronti. — Hereweald!
— Coraggio figliolo, credile pure. — Lucifer si intromise subito. — O meglio, fai finta. — riuscì a voltarsi un poco, incrociando gli occhi del ragazzo: erano completamente dorati. — So che non ci riesci del tutto
Senza che gli venisse chiesto esplicitamente, Hereweald strinse la presa che teneva sul padre. Lo sentì lamentarsi e avvertì la pelle di questo lacerarsi velocemente.
— Stai zitto. — gli sussurrò all'orecchio mentre l'uomo si muoveva, seguendo gli spasmi di dolore. — Credi che possa provare pena per te? Mi hai sempre fatto credere di essere un debole mentre invece eri invidioso del mio potere.
— Quale potere? — Lucifer aprì gli occhi per quanto poté e riuscì a liberarsi il giusto per parlare. — Dimmi quale maledetto potere! — un terzo scossone e le catene scivolarono via dalle mani del figlio. — Quello che non riesci a controllare? Era meglio che restassi sulla Terra...
— Continua a beffarsi di te, non te ne rendi conto?
— Tu parla quanto vuoi, ma lui lo sa, vero Hereweald? — lui non rispose. — Quanto a te, mia cara. So del tuo fallimento. — Lilith si irritò ancora di più e gli saltò addosso prendendolo per i resti degli indumenti che coprivano le sue nudità. — Puoi farmi quello che vuoi, ma intanto degli insulsi umani stanno festeggiando alle tue spalle!
Per non parlare di quel piccolo angioletto esiliato, esilarante, non trovi?
Seguì un potente pugno che rovesciò il volto del demone e provocò dei movimenti dall'alto del tetto della torre. Là, dove Lilith aveva chiuso in delle gabbie gli altri peccati, come se fossero degli animali.
— Ti farò passare la voglia di ridere.
— Non devi farla passare a me...
L'allusione si fece capire perfettamente e i nervi della sovrana saltarono.
— Ricorda cosa ho potuto farti, con degli umani sarà ancora più facile. — gli sputò in faccia. — Hereweald! Preparati per tornare sulla Terra, dobbiamo concludere subito la questione.
Detto ciò si incamminò alla porta e se ne andò. Non attese nessuna risposta e nemmeno aspettò il principe. Era determinata a mostrare la sua superiorità, ma non sapeva quanto questo facesse ridere Lucifer: Lilith stava facendo il suo gioco. Lui - in quel momento - sperava solo che avesse visto bene. Il futuro era nelle mani di suo figlio, non di quel fantoccio che aveva di fronte. Hereweald doveva tornare in sé.
Inoltre per la prima volta - da quando aveva tradito i suoi fratelli - desiderava ardentemente ricreare quel sottile equilibrio fra il bene e il male e sapeva che Hereweald sarebbe stato l'unico in grado di farlo.
Angolo autrice:
Ecco tornato il nostro amato Harry, o meglio Hereweald! 😘
Vi avevo accennato che avrebbe subito un cambiamento, ebbene non è più l'amore che conoscevamo. Siete rimasti delusi? Che impressione vi ha fatto?
Se ritroverete il nome "Harry" è perché per Abegail non cambierà niente, lei lo tratta come se fosse umano...
Come avrete capito Lilith non è buona a governare, è solamente un'egoista.
L'Inferno cade a pezzi perché l'unico che lo può dominare è Lucifer, il suo creatore. Probabilmente adesso lo odierete per aver istigato Lilith ad attaccare, ma ricordate: anche se è debole e ormai sembra un inetto, rimane il demone più potente, l'Angelo Ribelle. Adesso il piano che si seguirà sarà il suo, l'importante però è che gli angeli si sentano tirati in causa. Altrimenti - senza di loro - ogni cosa è priva di uno scudo.
Un'ultima cosa: Deimos. Chi di voi ha ricordato la scena del primo capitolo? Quella in cui Lilith si diverte con l'argilla del pavimento non ancora piastrellato: "Polvere, terriccio arido e qualche frammento di argilla solida riempirono le memorie di Lilith facendola sussultare momentaneamente. ... Fiatò, spalancando gli occhi furenti e rossi e costringendosi a volgere l'attenzione altrove benché - oramai - la sua fulgida idea fosse definita."
Lui era la sua idea ^^
(un secondo Gideon)
Alla prossima,
Capitolo XX: Fiamme E Libidine.
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