Capitolo VII: Il Giorno Degli Spiriti

Fidnemid, 1 Novembre.

   Samhain, una ricorrenza che gli abitanti di Fidnemid non avrebbero scansato nemmeno con le avversità onnipresenti, bisognosi di festeggiare il cambio della stagione, gli spiriti che li stavano mantenendo in vita e credere in una salvezza. Dovevano rammentare i loro cari per aggrapparsi a qualche piacevole ricordo.

Era una tradizione dalle origini radicate nel passato, a prima della creazione della Barriera. Quando odio e paura non divoravano insaziabili la vita; quando paganesimo e cristianesimo si stavano scontrando.
Le persone l'avevano festeggiata la notte precedente riunendosi attorno a un falò attendendo le anime dei perduti e, chiusi nel mutismo, volevano ripetere l'esperienza quella stessa notte.

Si preannunciava una sera dal clima rigido; case e tende presentavano inconsueti addobbi sfavillanti posti su ogni superficie utilizzabile. Candele, lanterne oppure semplici bicchieri riempiti di acqua e olio aspettavano solo una fiamma che accendesse il loro stoppino per brillare come i sorrisi che si erano spenti in quei mesi.
Era tutto pronto come nel giorno precedente, ogni singolo particolare curato alla perfezione.
All'improvviso però un lamento dal tono maschile si innalzò spregiudicato spezzando quel silenzio tanto sacro e rispettoso riservato al giorno dei morti.

— State attenti, maledizione!

   Subito dopo aver parlato, l'uomo si morse la lingua imprecando, prima contro il suo poco tatto e poi, costretto a farsi da parte, contro coloro che gli avevano sbarrato il cammino. Scivolò leggermente verso il bordo della strada borbottando in direzione dei ragazzi che avevano rischiato di fargli buttar a terra altre preziose decorazione, trasportate in scatole impilate le une sulle altre.
Gli unici a combinare dei disastri nella sperduta frazione di Annwn: Abegail e Alexander.

Questi correvano senza preoccuparsi di chi incontrassero, di chi lanciasse su di loro i peggiori degli sguardi e a chi finissero addosso; i ragazzi semplicemente spingevano questi ultimi con irruenza, scappando per evitare un ulteriore disastro, quello meno apparente.
La loro unica apprensione era raggiungere il confine con il Coed Diflas.

Il cielo era nuvoloso, a tratti lampeggiava, tuttavia nessun suono era udibile. Le pesanti scarpe dei giovani alimentavano l'unico rumore sbattendo nella ghiaia e nelle pozze d'acqua e fango. Pure il vento si era ammutolito, forse per compassione, poiché, percettibile come d'abitudine, smuoveva freddo e silenzioso le fiamme di candele e lumi accese in anticipo.

Le movenze lente di queste seguirono i due fuggiaschi tra le famiglie, i passanti, il luogo dove ciocchi di legna erano già stati posti per accendere la notte, fino alla loro meta e anche oltre: in prossimità della residenza dei Knight.
Fra i tronchi e le foglie di cespugli e piante, la loro luce era identica a quella di una debole stella.

Una volta giunti in corrispondenza del cancello della proprietà abbandonata, i giovani, sfiancati entrambi dallo sforzo, si piegarono portando le mani sulle ginocchia per non cadere. In quello stesso istante Alex gemette, mordendosi il labbro inferiore e strizzando gli occhi; i dolori più tremendi che un angelo potesse avvertire lo stavano flagellando.
Le sue ali spingevano contro la schiena, volevano mostrarsi e stendersi per guarire, non certo sentirsi prigioniere di un corpo dall'aspetto mortale.
Avrebbero lacerato carne, spezzato altre ossa finché non avrebbero distrutto la volontà del loro proprietario per mostrarsi.

— Resisti ancora un po'.

   Lo incitò la mora reggendolo e trascinando sul retro della casa, collassata dopo l'ultimo terremoto. Là dove avevano deciso di nascondere una delle spade angeliche.

Della casa era rimasto un ammasso di mattoni, cemento mentre il tetto era stato come risucchiato dalle sale all'interno.

In quell'ultimo breve tragitto Abby guardò svariate volte intorno a sé per accertarsi che non ci fossero occhi curiosi e fragili.
Sudava freddo per il timore che qualcuno li avesse seguiti e potesse assistere a ciò che dovevano fare, ma non poteva comprendere quanta angoscia riempisse la figura dell'amico: stretto in una morsa di ricordi terrificanti, autori dell'infrangersi del suo cuore.
Successivamente caddero contro i massi e le tegole della struttura e gli abiti si bagnarono a contatto con il suolo.

Per un momento Abegail abbandonò la schiena su ciò che rimaneva di una parete della sua vecchia abitazione, provò a riprendere il respiro, tuttavia si strozzò nel vedere il biondo ancora in difficoltà. Doveva togliergli il cappotto  così come le restanti maglie, per facilitare l'uscita delle ali.

Appena prima che la ragazza raggiungesse l'angelo - che nel mentre stava disteso, sorretto solamente dagli avambracci e tremava come una foglia - le spalle di questo si curvarono voluminose. Il sudore gli corse lungo le gote mescolandosi alle lacrime finché uno strappo decretò la fine di quel patimento: non erano riusciti a salvare i vestiti.

Pezzi di stoffa volarono via.
I filamenti del tessuto aleggiarono nell'ambiente e le piume che imbottivano il giacchetto si sparpagliarono per tutto l'appezzamento di terra che distanziava i due. Non sarebbe stato facile trovare un sostituto di quel capo, soprattutto in quel periodo poiché l'inverno aveva spalancato completamente le sue porte.

I brividi, causati dal gelo, furono contrasti dal sollievo diffusosi nell'immediato in tutto il corpo dell'angelo. Le sue ali si stesero splendenti e in tutta la loro maestosità; svettarono appagate ben oltre la testa mentre la schiena del giovane riprese lentamente la naturale postura. Successivamente le piume celestiali sbatterono ritmicamente cercando di librarsi nel cielo, ma riuscirono soltanto a riportare in aria i resti dell'abbigliamento del biondo, oltre che perdere qualche loro compagna. Una nuvola di fiato abbandonò le labbra del giovane, evidenziando il sospiro di sollievo prima che il busto ruotasse in cerca della fanciulla.

Fu in quel attimo che Abegail rivide l'espressione di un'essenza sovrannaturale: uno sguardo in cui infuriava una tempesta dai colori dell'argento e dell'etere sereno, talmente chiaro e luminoso da sormontare ogni altra caratteristica della creatura.
Il tempo sembrava essersi fermato; il vento scompigliava i capelli del giovane e le minuscole pezze di stoffa che volteggiavano tutt'intorno come se fossero dei petali su uno sfondo scuro.

Gli occhi di Alexander vennero poi nascosti dalle sue stesse piume intrecciate, macchiate e fragili le quali ancora risentivano dell'attacco di Lilith. L'angelo si sedette meglio, completamente privo di inibizione, stiracchiò le ali prendendone il controllo e, dopo ciò, avvertì le solite scosse che queste gli donavano. Optò quindi per distendere le gambe invitando infine la fanciulla ad avvicinarsi.
Infine dette una rapida occhiata alla spada che avevano incastrato in una fessura, tra le pareti.

— Sempre nel solito punto?

   Domandò Abby ricevendo un timido cenno del capo dall'altro, quindi prese a fare pressione sotto le morbide piume del biondo, massaggiando affinché il dolore sparisse. Dopo lo scontro contro la Dea della lussuria, Alex era rimasto segnato da numerose fratture che non riuscivano a guarire, soprattutto a causa dell'impedimento terrestre: doveva relegarle per non mietere anime innocenti e l'unico rimedio, per lenire la pena, era appartarsi e liberarle di tanto in tanto.

I ragazzi furono vigili per una ventina di minuti, necessari affinché le ali smettessero di dolere.
Trascorso quel lasso di tempo toccò all'angelo sciogliere un suo dubbio, vecchio di giorni.

— La mattina... — Deglutì inizialmente, cercando di accantonare l'immagine della piccola defunta. — prima che morisse Clarissa, tu stavi per dirmi qualcosa.
Di che cosa si trattava?

   Abby scattò all'indietro sorpresa; aveva dimenticato la questione di Aida e non sapeva più come incominciare il discorso.
Poteva essere tutta una sua credenza sbagliata? Ripensò all'immagine della donna, nitida nella sua mente; sentì la voce di questa scorrere nuovamente nel suo sangue assieme all'ira e per l'assurda paura di errare si ritrovò a sussurrare afflitta.

— Non ha importanza.

— Abby... — La creatura celeste si voltò urtando accidentalmente con le sue piume il viso dell'amica. — Ho sbagliato a non raccontarti tutto, — Cominciò afferrando le mani di questa. — ho sbagliato credendo fosse l'unica cosa giusta da fare, ma non succederà di nuovo.

   Dopodiché fece un lungo respiro e socchiuse lo sguardo: non riusciva a credere alle parole che stava per proferire, ancor meno che queste fossero così dannatamente veritiere.
Il suo cuore prese a battere frenetico e la vista gli divenne lucida al ricordo di Iris.

— Non ti nasconderò più niente e se vorrai ti racconterò di...

   La ragazza lo prese in contropiede e scosse immediatamente la testa comprensiva.
Impedì il pronunciarsi del nome che ricorreva negli incubi dell'angelo; era come se non ci fossero segreti per i pensieri di questo, non più.

— Non voglio che tu riapra le tue ferite.

   Dichiarò solenne nel momento in cui le mani del giovane si posarono sulle sue guance. Alex la fissò intensamente negli occhi muovendo frustrato il candido piumaggio.
Come poteva la mora non capire quanto fosse importante?
Avrebbe fatto di tutto per sentire nuovamente una sua risata sincera, vederla felice e toglierle la morte dalla vista.

Adagio un odore di fumo iniziò a farsi largo tra quello della pioggia ristagnante avvisando i due che i popolani di Annwn si stavano per riunire attorno al falò.

— Sarò sincero... — Sfoggiò un triste sorriso, portandosi poi una mano al petto. — queste non si sono mai ricucite.

   Il nome della fanciulla, che gli aveva rubato il cuore, era un marchio sulla sua pelle divenuta imperfetta.
Non poteva più negarlo.
Tuttavia ella apparteneva al passato e lui avrebbe dovuto superarlo per guardare al futuro senza fantasmi alle spalle.
Un futuro che per lui non avrebbe mai avuto fine.

— Ho bisogno che lo faccia anche tu, che tu sia sincera. Non importa quanto siano orribili o, secondo te, scontate le cose che ti fanno soffrire. — Proferì aggiustandole un ciocca di capelli dietro l'orecchio e sfiorando l'asta degli occhiali. — Non mi basta leggerle nei tuoi occhi per poterle fare completamente mie.

   La mora aveva letteralmente le vie bloccate; spalle contro muro, senza alcuna scelta, dunque sospirò pregando che fosse nel giusto.

— Conosci tua madre?

   La reazione fu disarmante.
Alex rimase allibito, spalancò la bocca e lasciò cadere entrambe le mani in grembo.

— Nessun angelo possiede genitori.

   Rispose poi di getto, ma la sua sicurezza venne meno, man mano che cominciò a ricordare gli insegnamenti dategli quando ancora frequentava il Castello Celeste.

— Noi nasciamo... — Notò subito ci fosse qualcosa di strano. — Siamo nati assieme all'universo...

   I suoi occhi scavarono nel passato; si mossero rapidi, quasi impazziti.
Doveva trovare una soluzione, una risposta sensata, ma non ce ne erano.

— Alex da quando cominciano i tuoi ricordi? — Il problema della questione fu portato alla luce e Abegail si meravigliò per le sue supposizioni azzeccate. — Non ne hai di così arcani vero?
Chi ti ha cresciuto non ti ha detto tutta la verità.

— No!

   Con un balzo e un colpo d'ali si portò in piedi provocando stupore nella fanciulla. L'angelo strinse i pugni, sbatté nuovamente le ali e si voltò dando le spalle all'amica. Cercava di ricordare scenari mai visti, viaggi mai compiuti e avvenimenti datati prima della sua esistenza.

— Perché dici assurdità del genere?
Gli angeli non mentirebbero mai!

   Loro non possono mentire!
Provava in ogni modo di non cadere nell'assurdo, ma si sentiva trascinare in un baratro di domande e vuoti inconcepibili. Forzò la sua mente e le immagini che gli si balenarono in testa non bastarono per riempire l'empietà: lui era il solo bambino alato che avesse mai conosciuto.

— Alex, io l'ho vista, mi ha parlato.
È la donna delle mie visioni, dice di essere una mia antenata.

   Abby prese coraggio, si alzò e fece in modo che la creatura confusa la guardasse.

— Questo ciondolo, — Mostrò quindi la chiave trovata nella vecchia soffitta. — apparteneva a lei ed è questo che ha maledetto la mia famiglia!

   Le parole viaggiavano tangibili e affilate; scalfirono l'emotività e la poca sicurezza legata alla realtà. Nonostante ciò l'intensità dei pensieri di Alexander confluiva su una singola figura avvolta dal mistero.

— Come puoi credere sia mia madre?
Te lo ha detto lei?

   Era disperato.
Si portò le mani alle tempie premendo e ondeggiando un poco a causa del fiato corto.

— Non c'è stato bisogno di parole. L'ultima volta che ha preso possesso della mia mente tu eri accanto a me e, attraverso il velo che ci circondava, lei ti guardava con occhi materni e un sorriso commosso.
Non c'è stato bisogno che mi dicesse altro. — Fece una pausa. — Siete identici e ho sentito le sue emozioni come se fossero mie.

— È impossibile...

— Credimi! — Lo implorò per non sembrare una pazza. — Ha anche parlato di un certo Mikael, lei lo odia per qualcosa che le ha fatto.

   A quel nome lo sguardo del biondo schizzò alle stelle. Stupefatto tentò di cacciare le nuvole che macchiavano l'etere scuro in cerca del suo luogo d'origine; perlustrò a lungo sfidando colui che gli doveva svariate spiegazioni: Michael.
Un arcangelo così adulato e dal comando indiscutibile, celava segreti che lo avrebbero condotto allo stesso esilio del giovane.

— Alex, devi parlare con loro. — Riprese la mora. — Caliel, lui ti ascolterà, è sceso per aiutarci e sicuramente, adesso tutti lassù sapranno cosa Lilith stia tramando. Non è più tempo di tacere, dovranno capirlo.

   Le parve di parlare come quella donna.

— Mi stai chiedendo qualcosa di proibito. — Fiatò l'altro, perso nell'incomprensione. — Gli esiliati non possono più avvicinarsi alle nuvole del Castello Celeste.
Sono stato graziato, dovrei trovarmi all'Inferno!

   In quel preciso istante scese una quiete illuminata dal focolare lontano e accompagnata dal sottofondo di un coro. Questo richiamò a sé piccole creature uscenti dai bordi dello spiazzo: somigliavano a delle lucciole fuori stagione.
Volarono lente e numerose riaccendendo l'ambiente con la loro fluorescenza, i loro bisbigli e accolsero su di loro gli sguardi degli emarginati. 
Erano animate da risate e parole e  più si avvicinavano ai corpi di chi lottava contro il mal celato, maggior era il mutamento che subiva il loro aspetto.

— Lo farò, ma ad una condizione. — Asserì improvvisamente Alexander dopo attente macchinazioni. — Voglio saperti al sicuro. Dobbiamo riprovare a oltrepassare la barriera, prima che sia troppo tardi.

   Non attese oltre per accogliere Abegail fra le sue braccia e stringerla a sé, circondandola con le enormi ali.
Nel frattempo gli insetti misteriosi avevano catalizzato l'attenzione sui due e, come se avessero una coscienza, li attorniarono mostrando loro l'aspetto di stravaganti falene iridescenti.
Un nodo si formò nella gola del biondo proprio nel momento in cui cercava di comprendere le voci di quelle creature e finendo per intrecciate le dita affusolate con quelle di Abby.

— Lei... — Ingoiò il groppo. — Lei ti ha detto il suo nome?

   La fanciulla annuì, meravigliandosi per il coraggio mostrato da una di quelle farfalle notturne che, temeraria, aveva superato il labirinto di piume tutt'intorno a lei e, al momento, brillava di fronte ai suoi occhi richiamandola con il pulsare del suo minuto corpo.
Sembrava salutarla, chiamandola con una voce nota e infantile.
Dopodiché le labbra della ragazza si dischiusero sussurrando l'atteso.

— Aida.

Angolo autrice:

Perdonate le sviste... Volevo aggiornare questa mattina, ma non ho avuto tempo e adesso sto per addormentarmi in pullman... >~<
(chi di voi è stato o deve andare al Lucca Comics?)

Okay... Parliamo del capitolo adesso: ecco svelato il mistero di Aida!
Complimenti, alcuni di voi ci erano arrivati già prima ❤️
O perlomeno erano sulla buona strada...

*Ps. Quando troverò tempo, comincerò l'ennesima revisione di "The Original Sin". Spero di renderla decente ^^'

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